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In Dalla parte di lei, De Céspedes, inserisce spesso riflessioni sulla condizione delle donne dell’epoca, considerando anche le diverse componenti sociali. In alcuni punti del romanzo, l’autrice offre dei veri e propri spaccati di vita quotidiana, come quando si sofferma nella descrizione del casamento di via Paolo Emilio dove Alessandra trascorre la propria infanzia:

era abitato da borghesi di condizione modesta. Gli uomini vi si vedevano raramente, nel corso della giornata: erano quasi tutti impiegati, gente avvilita dalle continue strettezze, i quali uscivano presto al mattino, rientravano a ore fisse con un giornale in tasca o sotto il braccio. Il grande casamento sembrava, quindi, abitato soltanto da donne: a loro, in realtà, apparteneva l’incontrastato dominio di quella scala buia che esse scendevano e salivano innumerevoli volte durante il giorno […] Nel cortile le donne vivevano a loro agio, con la dimestichezza che lega coloro che abitano un collegio o un reclusorio. Ma tale confidenza, piuttosto che dal tetto comune, nasceva dal fatto di conoscere reciprocamente la faticosa vita che conducevano: attraverso le difficoltà, le rinunce, le abitudini, un’affettuosa indulgenza le legava, a loro insaputa. Lontane dagli sguardi maschili, si mostravano veramente quali erano, senza la necessità di portare avanti una gravosa commedia. Il primo sbattere delle imposte era il segno d’avvio alla giornata, come la campanella in un convento di monache. Tutte, rassegnate, accettavano, col nascere di un nuovo giorno, il peso di nuove fatiche: si davano pace considerando che ogni loro gesto quotidiano era appoggiato a un altro gesto simile compiuto, al piano di sotto, da un’altra donna ravvolta in un’altra sbiadita vestaglia. Nessuna avrebbe osato arrestarsi, per tema di arrestare il moto di un preciso ingranaggio. E, anzi, in tutto ciò che faceva parte della loro vita casalinga inconsapevolmente avvertivano la presenza di un modesto valore poetico.9

7 Ivi, p. 210.

8 Ivi, p. 49 e p. 246.

37 Quando, però, gli uomini sono presenti, le donne sono diverse anche nel rapportarsi le une con le altre: si salutano per educazione, con una voce diversa dal solito, fingendo di conoscersi appena, poiché, appunto, in presenza di figure maschili le donne “recitano” la parte loro assegnata.

Le amiche Lydia e Fulvia fanno conoscere ad Alessandra ed Eleonora la vita segreta delle signore del casamento che il pomeriggio, terminate le faccende domestiche, fuggono per andare incontro all’amante e, forse, all’amore. A casa restano le più anziane, madri o suocere delle giovani, che le lasciano libere di agire e vivere come desiderano, senza tradire il loro segreto, unite da un comune disprezzo per la vita degli uomini e dal rancore verso di loro che le donne si tramandano di generazione in generazione a causa di quell’“inganno” nel quale erano state tutte tratte. Il sogno d’amore che fin da piccole si erano immaginate per sé svanisce dopo il matrimonio, così come la possibilità di realizzare i progetti che si erano create durante il fidanzamento: «avevano atteso preparando il corredo, fiduciose, nella speranza di un’amorosa felicità; e invece avevano trovato quella vita estenuante, la cucina, la casa, il gonfiarsi e lo sgonfiarsi del loro corpo per mettere al mondo i figli»10 e si erano rassegnate poiché non era concesso loro nemmeno di lamentarsi, i consorti non si interessavano della loro salute o di ciò che era accaduto loro durante la giornata e a nulla erano valsi i tentativi di rivivere i momenti felici del corteggiamento e del fidanzamento.

Alessandra, interrogandosi sui rapporti tra uomo e donna, trova inverosimile che i mariti, i quali durante il giorno non spendono mai una sola parola d’amore per la loro compagna né si dimostrano capaci di apprezzarla, la notte pretendano di trovarla pronta e disponibile a giacere con loro: la ragazza lo considera un affronto, un’umiliazione che la donna è costretta a portare dentro di sé tutti i giorni, ogni mattino seguente, alla ripresa delle attività quotidiane.

Una visione fortemente negativa degli uomini pertiene a zia Clarice secondo cui, questi, non sono in grado di concludere niente e la loro vita si svolge tra discussioni di politica e alcool mentre le donne mandano avanti la casa, ma, nonostante ciò, devono mostrarsi a loro sottomesse. La zia si augura di morire presto e, quando Alessandra le si mostra titubante sul fatto che questo sia anche un suo desiderio, Clarice afferma che non sarebbe contenta della cosa perché evidentemente è già stata incantata dagli uomini «altrimenti perché una

38 donna non dovrebbe desiderare di morire?»11. In fondo a lei tocca il mettere al mondo i figli, lavorare tutto il giorno in casa e nei campi, inoltre, deve temere l’uomo se è di cattivo umore e magari ha l’amante e spende il denaro per questa. La vita delle donne, secondo la zia, è un soffrire, tremare e piangere per colpa degli uomini quindi non vede un’altra alternativa se non che questi incantano in qualche modo le donne per legarle a loro.

Al funerale della madre Alessandra, seduta tra donne, sente un legame, una solidarietà tra esse che gli uomini non possono cogliere non comprendendo il loro carattere, non riuscendo a spiegarsi quei gesti estremi che spesso le donne compiono, perché, secondo loro, un bambino, un estraneo o anche semplicemente un vestito nuovo sono sufficienti a consolare una donna infelice. Il suicidio di Eleonora viene da loro giustificato come una conseguenza del tempo di cui lei disponeva per pensare e coltivare i suoi interessi. Secondo il padre e lo zio Rodolfo se lei avesse avuto molti figli non avrebbe avuto la possibilità di suonare il pianoforte dal momento che sarebbe stata impegnata in gravidanze, parti e allattamenti, così tutto questo non sarebbe accaduto. È lo stesso destino che prospettano i parenti abruzzesi ad Alessandra: sposarsi e avere figli, cosicché non le resterà più il tempo per dedicarsi alle lettere e alla poesia, ritenendo superflui la laurea a cui lei aspira e un seguente impiego. Alessandra, però, la pensa diversamente tanto da non cambiare idea nemmeno dopo il matrimonio e, pure di fronte alla suocera, sostiene che, anche qualora il marito fosse ricco e non fosse necessario contribuire al reddito familiare, comunque lei vorrebbe svolgere una professione perché crede non sarebbe giusto pesare sul lavoro dell’uomo che è magari costretto ad accettare una condizione umiliante pur di riuscire a mantenere la famiglia, soprattutto nel suo caso, essendo lei una moglie giovane, sana e senza figli di cui occuparsi.

Le donne che lavoravano non erano, però, ben viste all’epoca e De Céspedes ce ne dà un quadro esaustivo, anche grazie al confronto tra il lavoro maschile e quello femminile, oltre alle idee che esprimevano gli uomini nei confronti delle lavoratrici. Alessandra nota che i colleghi d’ufficio, così come un tempo suo padre, si propongono di faticare il meno possibile, considerando sufficiente acconsentire a restare lì dalle otto alle quattordici in punto per avere diritto al loro stipendio, a differenza di quanto fa lei che, pur non amando molto la sua mansione, non dimentica mai di aver accettato di compierla spontaneamente in cambio di

39 un compenso pattuito. La ragazza nota, inoltre, una certa diffidenza degli uomini nei confronti delle colleghe o delle sottoposte: aspettano sempre che sbaglino, come per avere la possibilità di perdonarle di qualcosa e fanno di tutto per farle “cadere” cercando di ostacolarle e metterle in difficoltà quanto più possibile.

Al padre, ogni fine mese, Alessandra consegna i loro stipendi insieme in modo che l’uomo noti che lei guadagna molto più di lui, ma Ariberto giustifica ciò con la guerra perché, dal suo punto di vista, è impossibile che una donna percepisca un salario pari, o addirittura superiore, a quello di un uomo. Secondo gli uomini le faccende domestiche e la cura della casa fanno parte del destino delle donne, perciò è naturale che siano mansioni di loro pertinenza, ma Alessandra sottolinea come, invece, loro le svolgano perché è necessario, per essere utili e gradite agli uomini, allo stesso modo in cui fanno molte altre cose per loro, anche se orribili e crudeli, perché li amano. Da parte loro, gli uomini, credono di compensarle di queste fatiche con la certezza che hanno di mantenerle. In realtà molto di rado lo fanno effettivamente:

Conoscevo invece le donne che lavoravano con me, quelle che abitavano in via Paolo Emilio, e quelle che facevano la fila, nel freddo, con un bambino in collo, quelle che mi sedevano vicino, nel tram, quando andavo in ufficio o a dare lezioni. Quasi tutte, in casa, facevano lo stesso lavoro di una serva; ma alla serva non diciamo mai “ti mantengo” perché lei – in cambio del danaro che riceve, e del vitto, e del letto – ci dà il suo fidato lavoro. E la moglie, invece, fa lo stesso lavoro di una serva, e quello di una donna che si paga, e allatta i bambini, e li custodisce, e cuce i loro vestiti, e rammenda i panni del marito, senza pretendere neppure lo stipendio della serva. Eppure, nonostante questo, il marito può dirle: “ti mantengo”.12

In cambio di tutto ciò che fanno, alle donne basterebbe solo qualche parola d’amore, qualche attenzione in più.

Analizzando anche il punto di vista popolare la situazione non cambia molto. Una donna abruzzese sostiene, infatti, che:

faticano d’estate, gli uomini. È brutta la fatica della terra, più brutta di quella della casa, la casa difende, la terra ammazza. Ma d’inverno gli uomini dormono accanto al fuoco, fumano la pipa e si riposano. Noi no. I figli nascono anche d’inverno, la polenta si deve cucinare. La terra riposa, la casa non riposa mai. […] Pure noi andiamo a faticare nei campi quando viene la raccolta o la semina. Andiamo a faticare anche quando viene la guerra. La guerra è degli uomini.13

12 Ivi, p. 404.

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