Introduciamo un’attività priva di rischio (risk free), ad esempio un titolo obbligazionario sicuro emesso dallo Stato. Se indichiamo con r0 il tasso effettivo di rendimento del titolo privo di rischio, avremo che µ0≡E[r0]=r0 e σ02=σ0=0, dove µ0, σ02 e σ0 sono, rispettivamente, il tasso atteso di rendimento dell’attività priva di rischio, la sua varianza e la sua deviazione standard.
Immaginiamo che l’investitore abbia già individuato un portafoglio composto da sole attività rischiose: indichiamo con PR tale portafoglio (con µR e σR2, rispettivamente, il suo tasso atteso di rendimento e la varianza). Ammettiamo che l’investitore può costruirsi un nuovo portafoglio in cui sono presenti sia attività rischiose che l’attività priva di rischio.
Indichiamo con a0 la quota di ricchezza disinvestita da PR per l’acquisto del titolo risk free e con P il nuovo generico portafoglio costruito combinando il portafoglio rischioso con il titolo risk free. Tenendo presente che la covarianza e il coefficiente di correlazione tra i rendimenti di un’attività priva di rischio e il portafoglio di investimento sono pari a zero, avremo che il rendimento atteso e il rischio del portafoglio P saranno dati, rispettivamente, da:
ciò implica, chiaramente, σP=(1−a0)σR, che possiamo riscrivere come:
da cui si ottiene:
33 Questa equazione esprime il fatto che, per portafogli di investimento in cui sono presenti attività rischiose e un’attività priva di rischio, vale sempre una relazione lineare tra il tasso atteso di rendimento (µP ) e il rischio, del portafoglio (σP deviazione standard).
Le due semirette che originano da P0 e passano per PR e PT rappresentano, dunque, tutti i portafogli che si ottengono combinando, in proporzioni differenti, il titolo privo di rischio e, rispettivamente, i portafogli rischiosi PR e PT.
È facile mostrare che per ogni portafoglio situato sulla semiretta passante per PR, esiste un altro portafoglio su quella passante per PT che:
-consente di ottenere un dato rendimento atteso con un rischio minore;
-oppure a parità di rischio consente di ottenere un rendimento atteso maggiore.
Ovviamente, dal punto di vista grafico, tali risultati dipendono dal fatto che la semiretta passante per PT si colloca al di sopra di quella passante per PR. Rimane semplice dimostrare che i portafogli sulla semiretta passante per PT dominano i portafogli che si collocano su una qualsiasi altra semiretta che origina da P0 e che passa per un portafoglio qualsiasi sulla frontiera con solo titoli rischiosi. Ciò in quanto la semiretta passante per PT è l’unica che è tangente a quella frontiera; per tale motivo, il portafoglio PT si definisce portafoglio di tangenza.
In sostanza, quindi, in presenza di un titolo senza rischio la frontiera dei portafogli efficienti è la semiretta inclinata positivamente che origina dal portafoglio senza rischio P0 ed è tangente alla frontiera dei portafogli con solo titoli rischiosi (coincide con la semiretta in grassetto passante proprio per il portafoglio di tangenza PT ), per cui l’equazione che la caratterizza sarà:
34 dove µT e σT sono rispettivamente il rendimento atteso e il rischio del portafoglio di tangenza.
“Il passo successivo consiste nell’aggiungere un numero crescente di azioni in diverse combinazioni per formare quel che Markovitz chiama un portafoglio “efficiente” – un aggettivo rassicurante che viene usato nei contesti più vari. Una buona pompa è efficiente: sposta la quantità massima di acqua con il minimo di energia. Un portafoglio è efficiente se produce massimo profitto con il minimo rischio. Con le regole matematiche di Markovitz, per ogni livello di rischio considerato, si può individuare un portafoglio efficiente che produrrà il massimo profitto possibile. E per ogni livello di profitto che ci si prefigge di ottenere, esiste un portafoglio efficiente associato al minimo rischio possibile. Se si riportano in un grafico i valori relativi a tutti questi portafogli, si ottiene una curva crescente e regolare, con i portafogli brillanti e rischiosi in alto e quelli noiosi e sicuri in basso. E quindi, quale compriamo? Dipende da quanto vogliamo rischiare. Se siamo avidi e audaci, possiamo prendere un portafoglio vivace scegliendolo nella parte alta del grafico. Se siamo timidi, è meglio prenderne uno tranquillo al fondo del grafico. La scelta dipende anche dal resto dell’economia – in modo specifico, da quanto paiono attraenti i principali rivali del mercato azionario, i sicuri Buoni del Tesoro.”
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4.3) SHARPE
William Sharpe (nacque a Boston il 16 giugno 1934) è un economista statunitense.
Professore di finanza alla Graduate Business SchooL dell'Università di Stanford, è il padre del Capital asset pricing model, utilizzato in tutto il mondo per la valutazione delle attività finanziarie, che ha proposto per la prima volta in un pionieristico contributo del 1964 (Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium under Conditions of Risk, in Journal of Finance). Prende il suo nome inoltre lo Sharpe ratio, utilizzato come misura di rendimento corretta rispetto al rischio nella valutazione degli investimenti.
In letteratura sono stati proposti vari indici per misurare le performance di un’attività che tenesse conto sia del rendimento atteso che della sua rischiosità che si ri-chiamano esplicitamente al concetto di frontiera efficiente. Fra questi, assume particolare interesse l’indice di Sharpe (Sharpe ratio), dal nome dell’economista William Sharpe che per primo lo ha proposto, che, in relazione all’attività i-esima, è definito come:
L’indice di Sharpe valuta quindi un’attività, che può essere un singolo titolo oppure un intero portafoglio, in relazione sia al suo rendimento atteso in eccesso rispetto al rendimento dell’attività risk free, sia alla sua rischiosità, misurata da σi, la deviazione standard del suo rendimento.
“Sharpe si pose una domanda molto interessante: che cosa accadrebbe se tutti nel mercato seguissero le regole di Markovitz? La risposta fu una vera sorpresa: non vi sarebbe un portafoglio efficiente per ogni persona nel mercato, bensì uno soltanto per tutti. Se le oscillazioni dei prezzi suggerissero un’altra migliore tavolozza di investimenti, tutti inizierebbero a trasferire il denaro in quel portafoglio, abbandonando il primo. In poco tempo, vi sarebbe di nuovo un solo portafoglio, il “portafoglio di mercato”. In tal modo, a effettuare i calcoli di Markovitz sarebbe il mercato stesso, computer più potente, che a ogni istante produce il fondo di investimento ottimale. Nacque così il concetto di fondo di investimento su indici azionari: una grande quantità di denaro, di migliaia di investitori, che detiene quote esattamente nella stessa proporzione del mercato reale nel suo complesso. Com’è naturale, i particolari non sono così semplici. Innanzitutto occorre decidere che cosa si intende per “mercato”: solo i trenta titoli industriali del Dow Jones, o i cento del “Financial Times”-Stock Exchange 100 Share Index? Si devono considerare anche le obbligazioni? Inoltre il fondo andrebbe comunque rimesso a
36 punto di continuo per inseguire il mercato, comunque li si intenda. Se si compra o si vende troppo o al momento sbagliato, si perde denaro.
E non è finita qui. Se tutto ciò che conta è il portafoglio di mercato, allora il valore di una singola azione dipende soltanto da come si comporta in confronto al resto del mercato. Naturalmente, il rendimento del mercato nel suo complesso segue le maree dell’economia. I Buoni del Tesoro sono sicuri e noiosi; dal 1926, hanno fruttato una media del 3.8 per cento con un rischio molto piccolo nei momenti buoni e in quelli cattivi. Il mercato azionario, di contro, è rischioso ed eccitante; nello stesso periodo, i 500 titoli dell’indice azionario Standard & Poor hanno fruttato una media del 13 per cento, però con enormi oscillazioni intorno a tale media, nei periodi al ribasso e al rialzo, durante le crisi e nelle fasi di boom. Il divario tra il rendimento medio del mercato azionario e quello dei Buoni del Tesoro è ciò che gli economisti chiamano “premio di rischio”; lo si può considerare come il rendimento che il mercato azionario deve offrire per allontanare il denaro degli investitori dalle banche e dai titoli di stato.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 68)
“Per comprare un’azione, dobbiamo prevedere che ci farà guadagnare di più dei solidi Buon del Tesoro. Questo “di più” è proporzionale alla precisione con cui l’azione rispecchia il rendimento del mercato nel complesso. Consideriamo un esempio. Poniamo che le azioni Hot TechCo abbiano un coefficiente β pari a 1.5, il che significa che sono molto sensibili allo stato del mercato e dell’economia. Inseriamo i numeri nella formula di Sharpe. Iniziamo con il rendimento dei Buoni del Tesoro: 2 per cento. Aggiungiamo un altro numero, il β dell’azione (1,5) moltiplicato per il premio di rischio del mercato rispetto ai Buoni del Tesoro (9 per cento). Quale rendimento possiamo prevedere? Sommando al 2 per cento il prodotto di 1.5 per il 9 per cento, si ottiene il 15.5 per cento. È un rendimento annuo molto alto per un’azione, ma non impossibile, se si pensa che il mercato sia troppo pessimista riguardo alle azioni delle aziende di software e che alla fine si correggerà.
Il concetto è semplice: più si rischia, più ci si aspetta di essere ripagati. In base a questo concetto, il rischio più importante che si affronta quando si investe nell’andamento azionario è lo stato generale dell’economia, che si riflette nell’andamento del mercato; inoltre, se si è razionali, di solito non si vuole un’azione che crollerà appena arriva la recessione e si è sul punto di perdere l lavoro; quindi, per comprare quell’azione, occorre pensare che nei periodi buoni crescerà così tanto da superare le perdite dei brutti periodi. E ora aspetto pratico, che contribuisce a spiegare perché questa formula divenne tanto popolare nel mondo della finanza: tutti i tediosi calcoli di Markovitz vengono sostituiti da un piccolo insieme di calcoli.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 69)
Un investimento privo di rischio trovatemelo. È un investimento privo di rischio basandosi sulla distribuzione gaussiana, cioè ha un rischio talmente basso che può essere statisticamente irrilevante.
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