UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Economia e ManagementCORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN “BANCA, FINANZA AZIENDALE E MERCATI
FINANZIARI”
“TEORIA DEL CAOS: UN APPROFONDIMENTO”
Relatore:
Candidato:
Fabrizio Bientinesi
Andrea Antonioli
Matricola 476170
3
INDICE
1)INTRODUZIONE PAG. 8
2)L’ECONOMIA NEOCLASSICA COME IMITAZIONE DELLA FISICA PAG. 9
3)MANDELBROT E CARATTERISTICHE DEL SUO LAVORO PAG. 12
3.1)CHI ERA MANDELBROT PAG. 14
3.2)CARATTERISTICHE DEL SUO LAVORO PAG. 15
4)OSSERVAZIONI SULLA VARIAZIONE DEI PREZZI PAG. 17
4.1)PANORAMA STORICO PAG. 21
4.2)MARKOWITZ PAG. 22
4.2.1)PORTAFOGLIO CHE MINIMIZZA IL RISCHIO PAG. 25
4.2.2)FRONTIERA DEI PORTAFOGLI PAG. 28
4.2.3)FRONTIERA DI PORTAFOGLI. CON N>2 TITOLI RISCHIOSI PAG. 30
4.2.4)FRONTIERA DI PORTAFOGLI CON TITOLO RISCHIOSO E UN TITOLO PRIVO DI RISCHIO
PAG. 32
4.3)SHARPE PAG. 35
4.4)IL MODELLO DEL CAPM PAG. 37
4.5)BLACK & SCHOLES PAG. 42
4.6)CRITICA DI MANDELBROT PAG. 47
4
6)L’IMPATTO DI MANDELBROT PAG. 55
7)AUTOSOMIGLIANZA PAG. 57
8)INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI CAOS PAG. 59
8.1)ALCUNI CENNI STORICI DI CAOS DETERMINISTICO PAG. 63
8.2)SISTEMA DINAMICO E LEGGE D EVOLUZIONE PAG. 66
8.3)SIST. DINAMICI LINEARI PAG. 68
8.4) SISTEMI NON LINEARI CON AND. REGOLARE PAG. 69
8.5) SISTEMI DINAMICI CON COMPORTAMENTO CAOTICO PAG. 71
8.6)STRETCHING & FOLDING PAG. 76
8.7)IMPLEMENTAZIONI PAG. 78
8 CAPITOLO 1)
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi anni, studiosi provenienti da discipline diverse dell’economia si sono impegnati nelle tematiche economiche, contrapponendosi ai fondamentali filosofici su cui si reggeva la teoria standard che ha avuto sviluppo dal 1900.
Tali impegni interdisciplinari si sono evoluti in correnti vere e proprie dando origini a diverse interessanti discipline come a teoria del caos, o dando origine a vere e proprie discipline ad esempio l’econophisics.
In particolare l’econophisics, come si può intuire dal nome, è un nuovo campo di ricerca interdisciplinare caratterizzato dall’applicazione di teorie e metodi originariamente sviluppati da fisici con l’obiettivo di dare una propria soluzione o spiegazione a fenomeni economici “da un punti di vista diverso”.
Questo lavoro si sofferma sulla figura di Mandelbrot, matematico pioniere della teoria dei frattali, e di come ha affrontato il contesto filosofico storico dei suoi tempi.
Il percorso di questa tesi ultimerà, dopo trattato del punto di vista di Mandelbrot sui diversi modelli principali del XX secolo,con delle brevi considerazioni sul caos deterministico e i sistemi dinamici non lineari.
9 CAPITOLO 2)
L’ECONOMIA NEOCLASSICA COME IMITAZIONE DELLA FISICA
La fine del 1900 ha visto una profonda rottura tra le nozioni cardine ed emergenti del campo scientifico filosofico: gli stessi significati di ordine e caos, di deterministico e stocastico, sono stati ridefiniti negli ultimi decenni.
Alcuni economisti hanno rivolto i loro sforzi nell’assimilare alcune delle nuove tecniche matematiche, tuttavia, ciò che manca a questo movimento è la prospettiva storica. Mentre è facile essere travolti dall'entusiasmo del momento per quella che è indiscutibilmente una delle più significative innovazioni intellettuali del secolo, ciò non esime ancora l'economista dal porsi alcune domande basilari:
-Perché queste idee e formalismi matematici dovrebbero essere adatti al discorso economico? -Di cosa tratta questa nuova matematica che necessariamente migliorerà l'economia?
-Cosa spiega questa fretta di appropriarsi di nuove tecniche?
La ragione, che sta dietro queste domande, è storica piuttosto che tecnica. Poiché non si può presumere che la maggior parte degli economisti abbia un solido bagaglio storico in fisica o in economia.
L’idea di fondo è che gli economisti non abbiano riflettuto con sufficiente enfasi e rigore sulle implicazioni che può avere la letteratura del caos negli studi economici.
L'attrazione che la letteratura del caos esercita sulla moderna economia matematica può essere facilmente spiegata dalla storia di quella disciplina. L'economia matematica si estende al fianco della scuola della teoria economica neoclassica; e la teoria neoclassica fu copiata direttamente dalla fisica energetica della metà del 1800.
Lo scopo di quel trasferimento di metafora era multilivello:
- si pensava che l'imitazione della fisica rendesse il discorso economico intrinsecamente scientifico; - si pensava che l'ottimizzazione vincolata su un campo vettoriale conservativo incarnasse l'ideale deterministico di tutte le spiegazioni scientifiche prevalenti in quel tempo;
- alcuni credevano che l'energia fosse il termine intermedio che consentiva la riduzione della legge da sociale a fisica, dall'energia psichica fino al movimento meccanico.
10 Quindi l'economia matematica, e in particolare la sua incarnazione neoclassica, ha una lunga storia di imitazione delle scienze fisiche. È importante soffermarsi su quelli che sono stati i problemi emersi da tale imitazione.
In primo luogo, mentre l'economia neoclassica tentava di prendere parte all'ideale della spiegazione deterministica, non era in nessun caso riuscita in questo tentativo come la fisica. Questa debolezza può essere direttamente ricondotta a una persistente tergiversazione su ciò che era conservato nel sistema economico. Senza un analogo principio di conservazione, l'economia neoclassica fu bloccata dal seguire la fisica nel regno di una seria dinamica formale, inclusa la struttura formale dell'Hamiltoniana, e si ritirò invece nella pseudo dinamica spuria delle condizioni del ceteris paribus. Questa incapacità di emulare il nucleo dell'ideale della spiegazione deterministica offuscò l'intero programma di imitazione della fisica.
In secondo luogo, l'assenza di una dinamica legittima comprometteva anche l'ideale di un empirismo scientifico. Cosa potrebbe significare tentare di adattare le relazioni neoclassiche alle prove delle serie temporali quando i determinanti fondamentali dell'equilibrio neoclassico non mostravano una stabilità necessaria da un momento all'altro? la maggior parte dei neoclassici sono stati ostili ai tentativi di importare tali tecniche (come la stima dei minimi quadrati in economia) e i primi sforzi in questo campo furono sperimentati da individui scettici sulla teoria neoclassica. Tali dispute sul significato dell'attività scientifica hanno anche compromesso le affermazioni della teoria neoclassica di aver raggiunto lo status scientifico.
In terzo luogo, c'era il problema che la fisica continuò a evolversi rapidamente dopo l'orientamento della metà del 1800: la fisica cominciò sempre più a incorporare idee stocastiche in spiegazioni fisiche, mentre l'economia neoclassica no. Ora, è vero che l'economia neoclassica alla fine ammise alcuni aspetti di concetti stocastici nel suo ambito con l'ascesa della "econometria"; ma l'aspetto curioso di questo sviluppo è che:
-i termini stocastici sono stati semplicemente aggiunti alla ottimizzazione vincolata esistente della teoria economica, a differenza degli eventi paralleli in fisica.
-Inoltre questi "shock" stocastici avevano poca o nessuna giustificazione teorica, ma essi stessi sembravano solo una scusa per mantenere il puro ideale deterministico di spiegazione di fronte alle massicce prove sconcertanti.
In questa situazione insoddisfacente, osserviamo l'intrusione dell'ulteriore sviluppo della teoria del caos in fisica.
Il fascino di questo sviluppo per gli studiosi di economia è prontamente apparente: sembra che esista una soluzione ai problemi più irritanti ed endemici della teoria. In questo contesto sembra che:
11 -la precedente mancanza di una dinamica sostanziale possa essere riempita solo con una matematica un po’ più sofisticata.
-il formalismo di strani attrattori possa promettere un comportamento governato dalla legge indipendente dalla posizione storica.
-ci sia un rimedio per il fallimento di sforzi econometrici di mezzo secolo.
In realtà si tratta di una semplice estrapolazione delle tendenze originali della teoria neoclassica, poiché implica un'ulteriore imitazione diretta delle teorie generate all'interno della fisica.
12 CAPITOLO 3)
MANDELBROT E CARATTERISTICHE DEL SUO LAVORO
3.1 CHI ERA MANDELBROT
Benoît Mandelbrot è stato un matematico polacco naturalizzato
francese, noto per i suoi lavori sulla geometria frattale.
Nato a Varsavia (Polonia) il 20 novembre 1924 da una famiglia ebrea di origini lituane, ha vissuto in Francia per buona parte della sua vita. La famiglia aveva una forte tradizione accademica: sua madre era laureata in medicina e suo zio Szolem era un famoso matematico specialista in analisi matematica; suo padre era un commerciante.
Nel 1936 la famiglia si trasferì a Parigi, dove Benoît fu avvicinato alla matematica dai suoi zii. Nel 1939, a causa dello scoppio del II conflitto mondiale, si trasferì con la famiglia a Tulle, un paesino della Francia centrale, dove si diplomò nel 1942.
Mandelbrot muore il 14 ottobre 2010 a Cambridge, all'età di 85 anni, a causa di un cancro al pancreas.
In Francia, sviluppò la matematica di Gaston Julia e dette inizio alla rappresentazione grafica di equazioni su computer. Mandelbrot è il fondatore di ciò che oggi viene chiamata geometria frattale. Dagli anni ’60 fino alla fine del 1900, l'applicazione della geometria frattale nelle questioni economiche condusse Mandelbrot a mettere in discussione alcuni fondamenti dell'economia classica e della finanza moderna, quali l'ipotesi di razionalità dei comportamenti degli agenti economici, l'ipotesi dell'efficienza del mercato, e quella secondo cui i movimenti dei prezzi di mercato sono descrivibili come un cammino casuale (random walk) in analogia al moto browniano di una particella in un fluido.
13 Mandelbrot scoprì il suo frattale quasi per caso nel 1979, mentre conduceva degli esperimenti per conto del Thomas J. Watson Research Center dell'IBM1, dove, con l'aiuto della computer grafica, poté dimostrare che il lavoro di Julia del 1918, poteva essere uno dei frattali più affascinanti. Una delle curiosità del frattale di Mandelbrot è che esso comprende, pur nella sua semplicissima formula, anche il frattale di Julia.
«Meraviglie senza fine saltano fuori da semplici regole, se queste sono ripetute all'infinito.»
L'analisi frattale delle variabili economiche e finanziarie ha portato nell'ultima decade del novecento alla nascita della cosiddetta finanza frattale, nella quale lo stesso Mandelbrot riteneva fossero impegnati almeno un centinaio di ricercatori.
Mandelbrot dimostrò anche che i frattali possono essere la chiave di lettura delle forme presenti in natura, dando il via a una particolare sezione della matematica che studia la teoria del caos.
1 International Business Machines Corporation (comunemente nota come IBM o "Big Blue"), è un'azienda statunitense, tra le maggiori al
mondo nel settore informatico.
Produce e commercializza hardware e software e servizi informatici, offre infrastrutture, servizi di hosting, servizi di cloud computing e consulenza. Oggi oltre ad hardware, software e servizi IBM sta emergendo come una società che fornisce soluzioni cognitive e piattaforme cloud.
14 3.2 CARATTERISTICHE DEL SUO LAVORO
Benoit Mandelbrot scrisse opere incredibilmente originali nel campo economico dal 1962 al 1972 tuttavia queste furono inizialmente ignorate. Il suo lavoro in economia fece da un input promotore alle sue successive scoperte riguardanti i frattali (che lo resero famoso).
Gli economisti concepirono un entusiasmo per la letteratura del caos un decennio in ritardo la nascita di questa, anche se non mostrarono alcun interesse relativamente alle sue radici.
La formazione principale di Mandelbrot era matematica. Riguardo a se stesso riteneva che non avrebbe mai potuto portare a termine il suo lavoro in una qualsiasi disciplina o in qualsiasi dipartimento accademico, se non avesse lavorato per IBM per il fatto che gli era concesso seguire il suo istinto (per cui si ritenne molto fortunato).
Quattro sono gli elementi che hanno caratterizzato l’impegno di Mandelbrot in campo scientifico dal 1962 al 1972.
Innanzitutto Mandelbrot fu un perenne estraneo in quasi ogni contesto intellettuale e soprattutto al di fuori delle distinzioni nascoste tra le discipline nell'università moderna.
In secondo luogo, Mandelbrot aveva un atteggiamento completamente non ortodosso per essere un matematico: ad esempio respingeva il formalismo Bourbaki2.
Terzo, egli era un patriottico della rinascita di un'intuizione geometrica in matematica: vi è un profondo approccio fenomenologico in tutto il suo lavoro.
In quarto luogo, Mandelbrot costantemente ridicolizzava l'invidia degli economisti neoclassici per la fisica.
2Nicolas Bourbaki è l'eteronimo con il quale, a partire dal 1935 e sostanzialmente fino al 1983, un gruppo di matematici di alto profilo, in
15 CAPITLO 4)
OSSERVAZIONI SULLA VARIAZIONE DEI PREZZI
Il lavoro di Mandelbrot in fisica, geologia, economia e meteorologia sono tutti stati parte di un più ampio programma, che rivelò nella sua opera "Premature Fractal Manifesto" del 1964 pubblicato anni dopo. Sostenne che i suoi sforzi dovessero essere considerati all'avanguardia di un "secondo stadio dell'indeterminismo"di un ampio fenomeno culturale.
-Il primo stadio dell'indeterminismo fu il tentativo di introdurre la teoria della probabilità in campi come la fisica e l'economia, partizionamento degli aspetti deterministici causali dai disturbi stocastici, in effetti subordinando questi ultimi ai primi. La chiave per la plausibilità di questo primo stadio era un ricorso al teorema del limite centrale3, che consentiva a coloro che erano così inclini ad aggrapparsi alle loro precedenti visioni deterministiche del mondo.
-Il secondo stadio sarebbe contrassegnato dall'esplorazione di quelle aree in cui il teorema del limite centrale non era riuscito a reggere: previsione meteorologica, turbolenza, resistenza alla trazione e fratture e, naturalmente, l’economia.
Mandelbrot si approcciò alla questione dei prezzi in economia grazie a un suo collaboratore, il quale lo spinse nell’impegnarsi a comprendere il motivo per cui le "filter rules"4 non fossero risultate migliori rispetto ad un qualsiasi altra strategia di investimento. Una filter rule calibrata su ρ% è un dispositivo che
3 Il teorema del limite centrale afferma che la somma o la media di un grande numero di variabili aleatorie indipendenti e dotate della stessa distribuzione è approssimativamente normale, indipendentemente dalla distribuzione soggiacente.
4strategia di trading in cui gli analisti tecnici stabiliscono le regole per quando acquistare e vendere gli
investimenti, in base alle variazioni percentuali del prezzo rispetto ai livelli minimi e massimi precedenti. La regola del filtro si basa su una certezza della dinamica dei prezzi, o sulla convinzione che l'aumento dei prezzi tenda a continuare a salire e che i prezzi calanti continuino a scendere. È spesso considerato uno screener soggettivo, poiché viene impostato dall'interpretazione propria dell'analista della storia storica dei prezzi di un titolo
16 monitora continuamente un prezzo delle azioni, registra tutti i massimi e minimi locali e attiva un segnale di acquisto nel momento in cui il prezzo raggiunge prima un minimo locale più ρ%, e al contrario attiva un segnale di vendita quando il prezzo per prima cosa raggiunge un massimo locale meno ρ%. Mandelbrot sostenne che le filter rules non potevano dominare alcuna altra strategia, e che il problema si poneva alla base dove nessun economista neoclassico avrebbe posto attenzione: i cambiamenti di prezzo erano geometricamente concettualizzati come continui, ma in realtà non lo erano.
Questo mise Mandelbrot sulla strada di guardare effettivamente le serie temporali di prezzi; e ciò che scoprì non corrispondeva affatto a ciò che sostenevano gli economisti ortodossi.
1)i record dei prezzi sono stati punteggiati da grandi cambiamenti discontinui.
2)i grandi cambiamenti tendevano a "raggrupparsi" insieme: ciò contraddiceva la proprietà gaussiana di smoothing che sarebbe inerente ai modelli stocastici esistenti di prezzi.
3)come corollario dei primi due attributi, lo scarto quadratico medio (root mean square deviation RMSD) non sembrava stabilizzarsi mentre il record cresceva più a lungo.
Tutto ciò implicava che: i prezzi non dovevano essere modellati come analoghi al moto browniano, come era in pratica da Bachelier. Ma i cambiamenti di prezzo esibivano l'attributo precedentemente inosservato che il loro aspetto geometrico sembrava immutato dai cambi della scala nel tempo. In particolare, per qualsiasi ritardo temporale arbitrario d, sia esso giornaliero, settimanale o annuale P(t+d)-logP(t) sembrava essere distribuito indipendentemente da d, eccetto per un fattore di scala. Ciò implicava una distribuzione iperbolica delle variazioni di prezzo, almeno per le code della distribuzione.
17 4.1) PANORAMA FILOSOFICO
In questo capitolo affronterò I principali punti della finanza nello studio del prezzo delle attività dei mercati finanziari facendo riferimento alla stessa voce di Mandelbrot: nell’opera “Il disordine dei
mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” del 2004 egli compie un excursus della teoria standard.
Mandelbrot iniziò a interessarsi dei rapporti tra mercati finanziari e sistemi caotici alla fine degli anni ’60 inizio ’70 e sostanzialmente cosa si trovò di fronte alla teoria Standard: teoria del pricing dei prodotti finanziari.
La considerazione principale è osservare che il prezzo si muove seguendo una certa legge. Ciò su cui siamo certi, sicuri nel momento presente è il prezzo attuale, ma non possiamo conoscere quale sarà il prezzo futuro.
“In effetti, i prezzi compiono una serie di movimenti aleatori, un “cammino casuale”, secondo la metafora adottata dai successori di Bachelier. L’espressione deriva da un bizzarro problema che si presenta nella teoria delle probabilità. Supponiamo di vedere un uomo, ubriaco fradicio, che cammina barcollando in un campo aperto. Se ripassiamo di lì più tardi, di quanto si sarà spostato? Forse avrà fatto due passi a sinistra, tre a destra, quattro indietro e così via, procedendo senza meta lungo un percorso a zigzag. In media, come a testa o croce, non va da nessuna parte. Quindi, se consideriamo soltanto quella media, il suo cammino casuale per il campo rimarrà per sempre bloccato al punto di partenza. Questa sarebbe la miglior previsione possibile della sua posizione in un qualsiasi momento futuro, se proprio dovessimo avanzare un’ipotesi. Lo stesso ragionamento si applica al prezzo di un’obbligazione: in mancanza di nuove informazioni che possano alterare l’equilibrio tra domanda e offerta, qual è la miglior previsione possibile del prezzo di domani? Nuovamente, il prezzo può salire o scendere e lo scostamento può essere piccolo oppure grande ma, senza nuove informazioni che spingano il prezzo decisamente in una direzione o nell’altra, il prezzo in media oscillerà intorno al punto di partenza. Quindi, di nuovo, la miglior previsione è costituita dal prezzo attuale.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 53)
Gli studi della variazione dei prezzi di attività finanziarie furono condotti dallo statistico e matematico francese Louis Jean Baptist Bachelier (nacque Le Havre il 11 marzo 1870, morì a Saint-Malo il 26 aprile 1946).
Bachelier nella sua tesi di dottorato del 1900 sulla "Théorie de la spéculation" sviluppò una teoria, basata su un approccio statistico, con lo scopo di dare conto dell'andamento dei prezzi dei titoli alla
18 Borsa di Parigi. Egli considerava che le variazioni dei prezzi dei titoli fossero indipendenti da quelle precedenti, e la distribuzione di probabilità di tali variazioni fosse quella gaussiana.
“Ogni variazione di prezzo, inoltre, non ha relazione con la precedente ed è generata dal medesimo processo, immutabile ma misterioso, che guida i mercati. Le variazioni dei prezzi, nel linguaggio della statistica, formano una sequenza di variabili casuali indipendenti e identicamente distribuite. In realtà è persino più semplice, ragionò Bachelier. Se si riportano in un diagramma tutte le variazioni di prezzo di un’obbligazione relative a un mese o a un anno, queste si dispongono nella forma familiare di una curva a campana, con le numerose variazioni di poco conto al centro della campana e le poche grandi alle estremità.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 53)
La random walk che osservò Bachelier fu oggetto di evoluzioni di modelli da parte di successivi studiosi per tutto l’arco del XX secolo. Dalla random walk prendeva origine il fenomeno conosciuto come moto browniano. Il moto Browniano, un moto che non ha memoria, cioè il movimento del polline al tempo t1 non ha alcuna relazione con quello che è successo a tempo t0 e t-1. Quindi distribuzione la teoria standard si basava sulla distribuzione normale Gaussiana e il moto Browniano.
“Si inaugurò così tutto il corredo dei comuni strumenti matematici per le distribuzioni gaussiane, o normali, citati in precedenza. Fu quindi a causa di Bachelier che la curva teorica di Gauss finì per essere applicata all’analisi dei mercati finanziari. Ma Bachelier si avventurò anche in territori nuovi per la matematica. All’incirca un secolo prima, il grande matematico francese Jean Baptiste Joseph Fourier aveva elaborato le equazioni che descrivono la diffusione del calore. Bachelier conosceva bene tali formule e le adattò per calcolare la probabilità dell’aumento e della diminuzioni del prezzo delle obbligazioni, chiamando la tecnica “radiazioni di probabilità”. Stranamente., la tecnica funzionava. Il caso volle, inoltre, che altri scienziati, spinti da motivazioni assai diverse, fossero su questa stessa pista. Molto tempo rima, l’invenzione del microscopio aveva permesso di osservare i movimenti irregolari e imprevedibili dei granelli di polline nell’acqua. Un botanico scozzese, Robert Brown, studiò questi movimenti e osservò che non si trattava di una manifestazione della vita, ma di un fenomeno fisico; il merito di questa scoperta gli venne attribuito (forse in maniera eccessiva) grazie all’espressione “moto browniano”. Nel 1905 Albert Einstein sviluppò per questo moto equazioni assai simili a quelle di Bachelier per la probabilità dei prezzi – anche se non venne mai a sapere di questa somiglianza. In ogni caso, non si può fare a meno di meravigliarsi che l’andamento dei prezzi dei titoli, il movimento delle molecole e la diffusione del calore possano tutti appartenere alla stessa specie matematica. Come si vedrà, in natura esistono molti strani collegamenti di questo genere.”
19
Robert Brown (nacque a Montrose il 21 dicembre 1773, morì a Londra il 10 giugno 1858) è stato un
botanico britannico, famoso per aver dato il nome al cosiddetto "Moto browniano". Nel 1827 infatti, mentre studiava al microscopio le particelle di polline della Pulchella clarkia in acqua; egli osservò che i granuli di polline erano in continuo movimento e che in ogni istante tale moto avveniva lungo direzioni casuali. Dopo avere appurato che il movimento non era dovuto a correnti o evaporazione dell'acqua, Brown pensò che queste particelle fossero "vive".
Notò in seguito lo stesso movimento nelle particelle di polvere, giungendo quindi a sfatare l'ipotesi che quel movimento fosse dovuto al fatto che il polline fosse vivo. Sebbene egli non abbia mai fornito una spiegazione sulla natura di tale moto il fenomeno è tuttora noto come "Moto browniano", in suo onore.
“Il moto browniano, un concetto preso in prestito dalla fisica, indica il movimento di una molecola in un mezzo con temperatura uniforme. Bachelier aveva suggerito che il processo potesse descrivere anche la variazione dei prezzi. Questa idea riunisce in sé diversi assunti critici.
Primo assunto: l’indipendenza. Ogni variazione di prezzo, che si tratti si un aumento di 5 centesimi di dollaro o di un crollo di 26 dollari, si verifica indipendentemente dalla variazione precedente e le variazioni dei prezzi avvenute una settimana prima o un anno prima non influenzano le variazioni odierne. Questo significa che qualsiasi informazione che si potrebbe usare per prevedere il prezzo di domani è contenuta nel prezzo odierno, quindi non è affatto necessario studiare i diagrammi storici.
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 88)
Così come il lancio della moneta non segue, non è correlata al lancio precedente ne in quello successivo: ovvero come abbiamo detto in precedenza non ha memoria.
Secondo assunto: la stazionarietà statistica delle variazioni dei prezzi. Questo significa che il processo
che genera le variazioni dei prezzi, quale che sia, rimane invariato nel tempo. Se si presuppone che
stabilire i prezzi sia il lancio di una moneta, la moneta non viene cambiata o truccata nel corso della
partita. Tutto ciò che cambia è, a ogni lancio, il numero di volte in cui è venuta testa o è venuta croce,
non la moneta stessa.
20 Il secondo assunto che cita Mandelbrot fa riferimento a un’ipotesi sulla natura umana, al fatto che è sempre la stessa, ovvero che non c’è impatto istituzionale: la società di un tempo t-1 è la stessa di quella del tempo t+1., quindi ciò che vale in passato vale anche nel presente o in un momento successivo.
Terzo assunto: la distribuzione normale. Le variazioni dei prezzi seguono le proporzioni della curva a campana: per la maggior parte sono piccole e quelle grosse sono estremamente poche, con frequenze prevedibili e rapidamente decrescenti.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 88)
Bachelier applicò la propria teoria e osservò che il mercato rispondeva in una qualche misura a una legge di probabilità.
“Bachelier non si fermò alla teoria e provò a verificare le sue equazioni applicandole ai prezzi reali dei contratti a termine standardizzati e dei contratti a premio. Le teorie funzionavano. Per citare un esempio, calcolò che chi acquista un contratto a premio con liquidazione a 45 giorni al prezzo di mezzo franco ha il 40 per cento di probabilità di ricavarne un profitto. La stima era sorprendentemente accurata: esaminando i dati reali, scoprì che il 39 per cento di tali contratti aveva effettivamente prodotto un guadagno per gli acquirenti. “il mercato, inconsapevolmente, obbedisce a una legge che lo governa, la legge delle probabilità”, concluse Bachelier”.
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 54)
Da qui nasce anche la definizione di mercati effcienti: i mercati si dicono efficiente da un punto di vista informativo quando il prezzo dei titoli finanziari riflettono tutta l’informazione disponibile utile per le decisioni di investimento.
“L’idea fondamentale della teoria è che in un mercato ideale i prezzi dei titoli riflettono pienamente tutte le informazioni pertinenti. Un mercato finanziario è un gioco di equilibrio in cui compratore e venditore si compensano l’un l’altro. Ne discende che in ogni momento il prezzo è necessariamente quello “giusto”. Compratore e venditore possono avere opinioni diverse, uno può essere un ribassista e l’altro un rialzista, ma entrambi sono d’accordo sul prezzo, altrimenti l’affare non si farebbe. Se si moltiplica questo ragionamento per i milioni di operazioni quotidiane di un mercato vivace, se ne conclude che anche il prezzo genera ledi mercato è necessariamente “giusto” – in altre parole, il prezzo ufficiale riflette la miglior ipotesi complessiva del mercato, date le informazioni disponibili, in merito al probabile rendimento dell’azione. Se è vero, e questo per un investitore è il boccone più amaro da inghiottire, battere il mercato è impossibile.”
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4.2) MARKOWITZ
Quindi il primo “mattone dell’edificio” della teoria standard, almeno quella che è stata le teoria ortodossa standard della finanza, è l’osservazione di Bachelier agli inizi 1900 : la variazioni del prezzo di un prodotto finanziario si distribuiscono con una distribuzione di probabilità di tipo Gaussiano e attraverso un moto Browniano cioè la posizione che il prezzo assume in t non ha alcuna relazione con quella assunta in t-1. A questo punto il secondo “mattone” sono le teorie di Markowitz.
Markowitz ha avuto un’idea brillante negli anni ’40 del XX secolo e sostanzialmente si trova a fare una tesi di dottorato sui mercati finanziai e comincia a pubblicare in modo che le sue idee si diffusero: idee semplici ma non banali cioè di introdurre nel modello Bachelier rischi e redditività e rischio. In particolare quest’ultimo viene misurato con la varianza ( l’ipotesi della distribuzione Gaussiana dei prezzi sussiste ancora). La tesi di Markowitz era quella che per descrivere le prospettive bastano 2 numeri la redditività e il rischio (ovvero in termini matematici la varianza).
Harry Markowitz (nacque a Chicago il 24 agosto 1927) è un economista statunitense. All'inizio degli anni cinquanta, Markowitz aveva sviluppato la teoria del portafoglio che cercava il modo di ottimizzare la rendita degli investimenti. Gli economisti avevano compreso da tempo che era più saggio diversificare il portafoglio, ma Markowitz mostrò come misurare il rischio dei vari strumenti finanziari e come combinarli in un portafoglio per ottenere il rendimento massimo per un determinato rischio.
Brevemente riporto le considerazioni di Markovitz riguardo la media varianza e la costruzione della frontiera di portafogli efficienti.
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4.2.1) MODELLO MEDIA VARIANZA
assumeremo che i soggetti, nelle scelte dei titoli finanziari da “inserire” nei loro portafogli di investimento, preferiscano un rendimento atteso più elevato, ma non amino il rischio (cioè siano avversi al rischio). In tali circostanze, e sulla base di certe ipotesi che analizzeremo, il problema di scelta del portafoglio ottimo di investimento può essere espresso in termini di massimizzazione di una funzione di utilità che dipende esclusivamente dalla media e dalla varianza dei rendi-menti dei vari possibili portafogli di titoli.
Preferenze degli investitori
Definiamo con P un generico portafoglio (un insieme di diverse attività finanziarie possedute da un investitore). Immaginiamo poi che le preferenze degli investitori (avversi al rischio) rispetto ai vari portafogli siano rappresentate dalla seguente funzione di utilità:
dove µP ≡ E [rP ] rappresenta il rendimento medio atteso del portafoglio generico P (con rP il rendimento effettivo del portafoglio) e σP2≡E[(rP−µP)2] è la varianza del rendimento del portafoglio. Ha senso interpretare la varianza del portafoglio, σP2 , come una misura del rischio a cui va incontro l’investitore acquistando il portafoglio P: tanto più il rendimento di P può variare rispetto alla sua media, tanto più è rischioso scegliere quel portafoglio.
Poiché stiamo assumendo che gli investitori siano avversi al rischio, avremo che la funzione di utilità V è crescente in µP (maggiore è il rendimento atteso di P maggiore è l’utilità che l’investitore ottiene investendo in quel portafoglio) e decrescente in σP2 (maggiore è il rischio associato a P minore è l’utilità che l’investitore ottiene investendo in esso la sua ricchezza).
Ciò può essere espresso con ∂V/∂µP>0 e ∂V/∂σP2<0. In altri termini, a parità di rendimento atteso, investitori avversi al rischio preferiranno sempre investimenti con minor variabilità del rendimento.
“L’essenza della teoria del portafoglio, il cosiddetto criterio media-varianza, è abbastanza semplice: dati due portafoglio di investimenti tra cui scegliere, si sceglie quello che ha il massimo rendimento (atteso) e la minima varianza, ovvero il minimo rischio. La complicazione scaturisce dall’ovvia domanda di ordine pratico: come si calcolano la media e la varianza del portafoglio? Calcolare la
23 media è facile: si prende semplicemente il rendimento atteso di ogni titolo del portafoglio e lo si moltiplica per il suo peso nel portafoglio. Nel caso di un portafoglio composto da due titoli, se il 40 per cento del denaro è stato investito nel titolo A, per cui si prevede un rendimento del 5 per cento, e il 60 per cento nel titolo B, che ha un rendimento atteso del 10 per cento, si può prevedere che il portafoglio nel suo complesso frutti l’8 (0.4x5+0.6x10) per cento. Ma per calcolare il rischio delle azioni, misurato dalla loro varianza, non basta una semplice somma: il rischio può essere maggiore o minore della semplice media pesata, a seconda di quanto le azioni si inseguono l’un l’altra, vale a dire a seconda di quanto sono correlate. Due azioni che tendono a crollare nello stesso momento formano un portafoglio più rischioso di due che vanno in direzioni opposte. La formula della varianza di un portafoglio P composto da due titoli è:
dove σA e σB sono le deviazioni standard dei titoli A e B (i quadrati sono le varianze), wA e wB sono i pesi
dei titoli nel portafoglio e ρAB è il coefficiente di correlazione tra A e B.
Chiaramente più alta è la correlazione, più grande è la varianza, e quindi il rischio”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 78)
Una curva di indifferenza può essere considerata come l’insieme dei portafogli che danno all’investitore lo stesso livello di utilità.
In relazione a tali curve di indifferenza, tre aspetti meritano di essere sottolineati:
Innanzitutto le curve di indifferenza sono inclinate positivamente. Ciò dipende dal fatto che gli argomenti della funzione V sono uno un “bene” (µP ) e l’altro un “male” (σP2 ): se ne aumenta uno, per rimanere su una stessa curva di indifferenza, deve necessariamente aumentare anche l’altro.
24 Ad esempio, i due portafogli PB e PC che si trovano su una stessa curva di indifferenza. PC rispetto a PB dà all’investitore un rendimento atteso maggiore. Di conseguenza, per trovarsi sulla stessa curva di indifferenza di PB , PC deve essere anche più rischioso di PB (ciò è possibile solo con curve di indifferenza inclinate positivamente); se così non fosse darebbe all’investitore un’utilità maggiore di PB e quindi dovrebbe trovarsi su una diversa curva di indifferenza.
In secondo luogo l’utilità dell’investitore aumenta quando ci si sposta verso curve di indifferenza più alte. Ad esempio, i portafogli PA e PB. Essi sono caratterizzati dallo stesso rischio (σP2A = σP2B ), ma PB dà un rendimento atteso maggiore di PA (µPB>µPA). PB dà all’investitore un’utilità maggiore di PA. In terzo luogo le curve di indifferenza sono convesse verso l’origine degli assi. Consideriamo i portafogli PB e PC . Immaginiamo di cambiare la composizione dei titoli che compongono i due portafogli in modo da aumentare in egual misura il loro rischio.
Con curve di indifferenza convesse verso l’origine degli assi, avremo che l’aumento di rendimento atteso del portafoglio ottenuto da PB (da µPB a µPB′ ) è minore rispetto a quello del portafoglio ottenuto da PC (da µPC a µPC′ ).
Per accettare un ulteriore incremento di rischio (e rimanere sulla stessa curva di indifferenza) l’investitore richiede un maggior incremento di rendimento atteso “partendo” da PC (che ha già un rischio relativamente alto) piuttosto che da PB.
“Le sue idee si diffusero. Da un punto di vista pratico, erano molto attraenti. La tesi di Markovitz era che per descrivere le prospettive di una data azione bastano due numeri, le redditività e il rischio – ovvero, in termini matematici, la media e la varianza di quanto ripagherà l’azione in base alle nostre previsioni al momento della vendita. Il primo numero, la media del prezzo di vendita atteso, si prevede con gli strumenti standard degli analisti finanziari: si elaborano previsioni degli utili, si stima la crescita dei dividendi, oppure si chiacchiera con il barista del presidente. Se ne conclude, poniamo, che in un anno le azioni del Generl Motors saranno aumentate del 10 per cento perché si pensa che i suoi utili saranno cresciuti di quella percentuale. Il secondo numero, la varianza, si prevede usando la curva a campana per valutare l’andamento dell’azione nel passato: l’anno scorso le azioni del General Motors hanno avuto oscillazioni inferiori al 17 per cento della loro deviazione standard per due terzi di attività, quindi è probabile che faranno altrettanto anche quest’anno. Conclusione: si prevede che le azioni della General Motors frutteranno un guadagno del 10 per cento e la probabilità che no ci si sbagli più del 17 per cento è di 2 contro 1; in altre parole, è probabile perdere più del 17 per cento e si potrebbe guadagnare fino al 27 per cento. Questa si che è precisione!”
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4.2.1) PORTAFOGLIO CHE MINIMIZZA IN ASSOLUTO IL RISCHIO
Caso particolare è quello in cui l’investitore è interessato esclusivamente alla minimizzazione del rischio di investimento (caso di massima avversione al rischio).
Indichiamo con ai la porzione di ricchezza dell’investitore investita nel titolo i presente nel portafoglio P (con µi il suo tasso atteso di rendimento e con σij≡E[(ri − µi)(rj − µj )] la covarianza tra il tasso di rendimento del titolo i e quello del titolo j anch’esso presente nel portafoglio). Allora, il tasso atteso di rendimento di P e il suo rischio sono:
Per semplificare l’analisi immaginiamo una situazione in cui esistono due soli titoli. Consideriamo innanzitutto che, con due sole attività finanziarie, il rendimento atteso del portafoglio è µP=a1µ1+a2µ2. In questo caso µP non `e rilevante per l’investitore, in quanto il suo solo interesse è il rischio di portafoglio che, con due soli titoli, è σP2=a21σ12+a22σ22+2a1a2σ12.
Il coefficiente di correlazione tra i tassi di rendimento dei due titoli, indicato con ρ12, è dato da ρ12≡σ12/σ1σ2 (dove σ1 e σ2 sono le deviazioni standard dei rendimenti dei due titoli). Inoltre, tenendo conto che, con due sole attività finanziarie, abbiamo a2=1−a1, il problema di scelta dell’investitore (portafoglio che minimizza il rischio) può essere così rappresentato:
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Tre casi particolari
È importante analizzare tre casi particolari in cui il coefficiente di correlazione ρ12 assume i valori −1, 0 e +1.
Caso ρ12=−1 in cui i rendimenti dei due titoli sono perfettamente correlati negativamente:
Sostituendo i valori di a∗1 e 1 − a∗1 nella formula della varianza del rendimento di
Si può quindi concludere che, in questo caso, tramite un’adeguata diversificazione del portafoglio è possibile azzerare il rischio di investimento, sebbene i titoli utilizzati per costruire il portafoglio costituiscano di per sé investimenti rischiosi.
Caso ρ12 = 0 in cui non c’`e correlazione tra i rendimenti dei due titoli:
Sostituendo i valori di a∗1 e 1−a∗1 nella formula della varianza del rendimento di portafoglio σP2 (con ρ12=0), otteniamo:
27 La seconda grandezza è negativa per cui σP2<σ12 ; il rischio associato al portafoglio è sempre inferiore a quello dell’investimento nel solo titolo 1. Quindi, anche quando i tassi di rendimento dei titoli non sono correlati, è possibile costruire adeguatamente un portafoglio diversificato che consente sempre di ridurre (ma non azzerare) il rischio di investimento rispetto a quello di entrambi i soli titoli che lo compongono.
Caso ρ12=1
che comporta σP=(a1σ1+(1−a1)σ2). Poiché, con ρ12 = 1, σP è una media ponderata delle deviazioni standard dei rendimenti dei due titoli, σ1 e σ2 (dove i pesi sono rappresentati dalle quote, a1 e 1−a1), che ne esprimono il rispettivo rischio σP si collocherà necessariamente tra σ1 e σ2. Quindi, tramite un’adeguata diversificazione di portafoglio è generalmente (ma non sempre) possibile ridurre il rischio di investimento rispetto a quello delle singole attività possedute in portafoglio.
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4.2.2) FRONTIERA DEI PORTAFOGLI CON SOLO TITOLI RISCHIOSI
Per individuare l’insieme di scelta dell’investitore, cioè i possibili portafogli di investimento tra cui sceglie quello preferito, occorre di costruire la frontiera dei portafogli, che individua tutti i portafogli che consentono all’investitore di ottenere un certo tasso atteso di rendimento al rischio più basso.
Consideriamo il caso particolare di un portafoglio con due soli titoli rischiosi. Esprimeremo il rischio di portafoglio in termini di deviazione standard (σP ) piuttosto che in termini di varianza (σP2 ) dei rendimenti (ai nostri scopi, poiché la varianza è il quadrato della deviazione standard, ciò non produrrà alcun rilevante cambiamento). In generale, la frontiera dei portafogli di due attività rischiose, assume la forma grafica rappresentata dalla curva in grassetto che unisce i punti P1 e P2
I punti P1 e P2 rappresentano i due portafogli in cui l’investitore investe tutta la sua ricchezza, rispettivamente, nelle azioni della prima società e in quelle della seconda società. Ogni punto sulla curva che unisce i due punti rappresenta invece un portafoglio per cui l’investitore spende la sua ricchezza per acquistare, in una certa combinazione, sia azioni della prima che della seconda società.
29 Un portafoglio rappresentato è il punto PMR. Esso, infatti, `e il portafoglio con minor rischio (σP più basso) tra tutti quelli situati sulla frontiera. Si noti la differenza tra questo e qualsiasi altro portafoglio sulla frontiera: mentre in ogni altro portafoglio diverso da PMR il rischio di investimento è minimizzato per un dato rendimento atteso, il portafoglio PMR è quello che minimizza il rischio di investimento indipendentemente dal rendimento.
Un ultimo aspetto riguarda la relazione tra i portafogli situati nel tratto crescente e quelli situati nel tratto decrescente della frontiera. Consideriamo P2 e PE essi sono caratterizzati dallo stesso rischio, ma PE fornisce un rendimento atteso maggiore di P2. Per tale motivo, pur essendo situati entrambi sulla frontiera, solo PE è un portafoglio efficiente. Un portafoglio P si definisce efficiente se massimizza il tasso atteso di rendimento µP per un dato grado di rischio σP .
L’insieme (o frontiera) dei portafogli efficienti coincide con il tratto crescente (a partire dal portafoglio PMR) della frontiera dei portafogli.
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4.2.3) FRONTIERA DEI PORTAFOGLI CON N>2 TITOLI RISCHIOSI
All’aumentare del numero delle attività aumenta la possibilità dell’investitore di diversificare il proprio portafoglio. Graficamente, ciò implica che, in generale, all’aumentare di n la frontiera di portafoglio si sposta sempre più verso l’asse delle ordinate.
un portafoglio sulla frontiera può essere individuato dalla combinazione di titoli espressa dalle quote (a1, a2, ..., an) che soddisfano :
31 -il portafoglio individuato dalla soluzione del problema minimizza il rischio di investimento dato un certo tasso atteso di rendimento µP che l’investitore intende realizzare;
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4.2.4) FRONTIERA DEI PORTAFOGLI CON TITOLI RISCHIOSI E UN TITOLO PRIVO DI RISCHIO
Introduciamo un’attività priva di rischio (risk free), ad esempio un titolo obbligazionario sicuro emesso dallo Stato. Se indichiamo con r0 il tasso effettivo di rendimento del titolo privo di rischio, avremo che µ0≡E[r0]=r0 e σ02=σ0=0, dove µ0, σ02 e σ0 sono, rispettivamente, il tasso atteso di rendimento dell’attività priva di rischio, la sua varianza e la sua deviazione standard.
Immaginiamo che l’investitore abbia già individuato un portafoglio composto da sole attività rischiose: indichiamo con PR tale portafoglio (con µR e σR2, rispettivamente, il suo tasso atteso di rendimento e la varianza). Ammettiamo che l’investitore può costruirsi un nuovo portafoglio in cui sono presenti sia attività rischiose che l’attività priva di rischio.
Indichiamo con a0 la quota di ricchezza disinvestita da PR per l’acquisto del titolo risk free e con P il nuovo generico portafoglio costruito combinando il portafoglio rischioso con il titolo risk free. Tenendo presente che la covarianza e il coefficiente di correlazione tra i rendimenti di un’attività priva di rischio e il portafoglio di investimento sono pari a zero, avremo che il rendimento atteso e il rischio del portafoglio P saranno dati, rispettivamente, da:
ciò implica, chiaramente, σP=(1−a0)σR, che possiamo riscrivere come:
da cui si ottiene:
33 Questa equazione esprime il fatto che, per portafogli di investimento in cui sono presenti attività rischiose e un’attività priva di rischio, vale sempre una relazione lineare tra il tasso atteso di rendimento (µP ) e il rischio, del portafoglio (σP deviazione standard).
Le due semirette che originano da P0 e passano per PR e PT rappresentano, dunque, tutti i portafogli che si ottengono combinando, in proporzioni differenti, il titolo privo di rischio e, rispettivamente, i portafogli rischiosi PR e PT.
È facile mostrare che per ogni portafoglio situato sulla semiretta passante per PR, esiste un altro portafoglio su quella passante per PT che:
-consente di ottenere un dato rendimento atteso con un rischio minore;
-oppure a parità di rischio consente di ottenere un rendimento atteso maggiore.
Ovviamente, dal punto di vista grafico, tali risultati dipendono dal fatto che la semiretta passante per PT si colloca al di sopra di quella passante per PR. Rimane semplice dimostrare che i portafogli sulla semiretta passante per PT dominano i portafogli che si collocano su una qualsiasi altra semiretta che origina da P0 e che passa per un portafoglio qualsiasi sulla frontiera con solo titoli rischiosi. Ciò in quanto la semiretta passante per PT è l’unica che è tangente a quella frontiera; per tale motivo, il portafoglio PT si definisce portafoglio di tangenza.
In sostanza, quindi, in presenza di un titolo senza rischio la frontiera dei portafogli efficienti è la semiretta inclinata positivamente che origina dal portafoglio senza rischio P0 ed è tangente alla frontiera dei portafogli con solo titoli rischiosi (coincide con la semiretta in grassetto passante proprio per il portafoglio di tangenza PT ), per cui l’equazione che la caratterizza sarà:
34 dove µT e σT sono rispettivamente il rendimento atteso e il rischio del portafoglio di tangenza.
“Il passo successivo consiste nell’aggiungere un numero crescente di azioni in diverse combinazioni per formare quel che Markovitz chiama un portafoglio “efficiente” – un aggettivo rassicurante che viene usato nei contesti più vari. Una buona pompa è efficiente: sposta la quantità massima di acqua con il minimo di energia. Un portafoglio è efficiente se produce massimo profitto con il minimo rischio. Con le regole matematiche di Markovitz, per ogni livello di rischio considerato, si può individuare un portafoglio efficiente che produrrà il massimo profitto possibile. E per ogni livello di profitto che ci si prefigge di ottenere, esiste un portafoglio efficiente associato al minimo rischio possibile. Se si riportano in un grafico i valori relativi a tutti questi portafogli, si ottiene una curva crescente e regolare, con i portafogli brillanti e rischiosi in alto e quelli noiosi e sicuri in basso. E quindi, quale compriamo? Dipende da quanto vogliamo rischiare. Se siamo avidi e audaci, possiamo prendere un portafoglio vivace scegliendolo nella parte alta del grafico. Se siamo timidi, è meglio prenderne uno tranquillo al fondo del grafico. La scelta dipende anche dal resto dell’economia – in modo specifico, da quanto paiono attraenti i principali rivali del mercato azionario, i sicuri Buoni del Tesoro.”
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4.3) SHARPE
William Sharpe (nacque a Boston il 16 giugno 1934) è un economista statunitense.
Professore di finanza alla Graduate Business SchooL dell'Università di Stanford, è il padre del Capital asset pricing model, utilizzato in tutto il mondo per la valutazione delle attività finanziarie, che ha proposto per la prima volta in un pionieristico contributo del 1964 (Capital Asset Prices: A Theory of Market Equilibrium under Conditions of Risk, in Journal of Finance). Prende il suo nome inoltre lo Sharpe ratio, utilizzato come misura di rendimento corretta rispetto al rischio nella valutazione degli investimenti.
In letteratura sono stati proposti vari indici per misurare le performance di un’attività che tenesse conto sia del rendimento atteso che della sua rischiosità che si ri-chiamano esplicitamente al concetto di frontiera efficiente. Fra questi, assume particolare interesse l’indice di Sharpe (Sharpe ratio), dal nome dell’economista William Sharpe che per primo lo ha proposto, che, in relazione all’attività i-esima, è definito come:
L’indice di Sharpe valuta quindi un’attività, che può essere un singolo titolo oppure un intero portafoglio, in relazione sia al suo rendimento atteso in eccesso rispetto al rendimento dell’attività risk free, sia alla sua rischiosità, misurata da σi, la deviazione standard del suo rendimento.
“Sharpe si pose una domanda molto interessante: che cosa accadrebbe se tutti nel mercato seguissero le regole di Markovitz? La risposta fu una vera sorpresa: non vi sarebbe un portafoglio efficiente per ogni persona nel mercato, bensì uno soltanto per tutti. Se le oscillazioni dei prezzi suggerissero un’altra migliore tavolozza di investimenti, tutti inizierebbero a trasferire il denaro in quel portafoglio, abbandonando il primo. In poco tempo, vi sarebbe di nuovo un solo portafoglio, il “portafoglio di mercato”. In tal modo, a effettuare i calcoli di Markovitz sarebbe il mercato stesso, computer più potente, che a ogni istante produce il fondo di investimento ottimale. Nacque così il concetto di fondo di investimento su indici azionari: una grande quantità di denaro, di migliaia di investitori, che detiene quote esattamente nella stessa proporzione del mercato reale nel suo complesso. Com’è naturale, i particolari non sono così semplici. Innanzitutto occorre decidere che cosa si intende per “mercato”: solo i trenta titoli industriali del Dow Jones, o i cento del “Financial Times”-Stock Exchange 100 Share Index? Si devono considerare anche le obbligazioni? Inoltre il fondo andrebbe comunque rimesso a
36 punto di continuo per inseguire il mercato, comunque li si intenda. Se si compra o si vende troppo o al momento sbagliato, si perde denaro.
E non è finita qui. Se tutto ciò che conta è il portafoglio di mercato, allora il valore di una singola azione dipende soltanto da come si comporta in confronto al resto del mercato. Naturalmente, il rendimento del mercato nel suo complesso segue le maree dell’economia. I Buoni del Tesoro sono sicuri e noiosi; dal 1926, hanno fruttato una media del 3.8 per cento con un rischio molto piccolo nei momenti buoni e in quelli cattivi. Il mercato azionario, di contro, è rischioso ed eccitante; nello stesso periodo, i 500 titoli dell’indice azionario Standard & Poor hanno fruttato una media del 13 per cento, però con enormi oscillazioni intorno a tale media, nei periodi al ribasso e al rialzo, durante le crisi e nelle fasi di boom. Il divario tra il rendimento medio del mercato azionario e quello dei Buoni del Tesoro è ciò che gli economisti chiamano “premio di rischio”; lo si può considerare come il rendimento che il mercato azionario deve offrire per allontanare il denaro degli investitori dalle banche e dai titoli di stato.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 68)
“Per comprare un’azione, dobbiamo prevedere che ci farà guadagnare di più dei solidi Buon del Tesoro. Questo “di più” è proporzionale alla precisione con cui l’azione rispecchia il rendimento del mercato nel complesso. Consideriamo un esempio. Poniamo che le azioni Hot TechCo abbiano un coefficiente β pari a 1.5, il che significa che sono molto sensibili allo stato del mercato e dell’economia. Inseriamo i numeri nella formula di Sharpe. Iniziamo con il rendimento dei Buoni del Tesoro: 2 per cento. Aggiungiamo un altro numero, il β dell’azione (1,5) moltiplicato per il premio di rischio del mercato rispetto ai Buoni del Tesoro (9 per cento). Quale rendimento possiamo prevedere? Sommando al 2 per cento il prodotto di 1.5 per il 9 per cento, si ottiene il 15.5 per cento. È un rendimento annuo molto alto per un’azione, ma non impossibile, se si pensa che il mercato sia troppo pessimista riguardo alle azioni delle aziende di software e che alla fine si correggerà.
Il concetto è semplice: più si rischia, più ci si aspetta di essere ripagati. In base a questo concetto, il rischio più importante che si affronta quando si investe nell’andamento azionario è lo stato generale dell’economia, che si riflette nell’andamento del mercato; inoltre, se si è razionali, di solito non si vuole un’azione che crollerà appena arriva la recessione e si è sul punto di perdere l lavoro; quindi, per comprare quell’azione, occorre pensare che nei periodi buoni crescerà così tanto da superare le perdite dei brutti periodi. E ora aspetto pratico, che contribuisce a spiegare perché questa formula divenne tanto popolare nel mondo della finanza: tutti i tediosi calcoli di Markovitz vengono sostituiti da un piccolo insieme di calcoli.”
(“Il disordine dei mercati: Una visione frattale di rischio, rovina e redditività” 2004 pag. 69)
Un investimento privo di rischio trovatemelo. È un investimento privo di rischio basandosi sulla distribuzione gaussiana, cioè ha un rischio talmente basso che può essere statisticamente irrilevante.
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4.4) CAPITAL ASSET PRICE MODEL
Nel 1990 il CAPM fruttò a Sharpe, Markowitz e Miller, il premio Nobel per l'economia. «per i contributi pionieristici nell'ambito dell'economia finanziaria».
Studiando come agiscono (o dovrebbero agire razionalmente) gli investitori nel formare i loro portafogli di investimento, nel capitolo precedente abbiamo di fatto analizzato la domanda di titoli finanziari in base a un particolare modello (quello media-varianza) di comportamento degli investitori. Peraltro, nel modello media-varianza, gli investitori, nel decidere i loro portafogli di investimento, considerano i prezzi e i rendimenti attesi delle singole attività finanziarie come dati. In altri termini, il modello media-varianzia, di per sé, non dice niente su come si formano sul mercato i prezzi (e i rendimenti attesi) dei singoli titoli. Il modello CAPM (Capital Asset Pricing Model) si propone invece di spiegare come si formano, in equilibrio, i prezzi e i rendimenti attesi delle attività finanziarie.
Le ipotesi fondamentali del CAPM sono che gli investitori: i) prendano le proprie decisioni di investimento in base a quanto prescritto dal modello media-varianza delle scelte di portafoglio; e ii) condividano tutti le stesse aspettative (o credenze) sulla media, la varianza e le covarianze dei rendimenti delle attività
Le assunzioni di base del CAPM riguardano: 1) Equilibrio nei mercati dei capitali
-Nei mercati non sono presenti frizioni di alcun tipo. Questo significa assenza di costi di transazione e nessun limite allo scambio di attività.
-Gli investitori non incontrano mai limiti nel prendere a prestito o nell’investire nell’attività priva di rischio.
-Le attività sono infinitamente divisibili.
-Tutti gli scambi devono avvenire ai prezzi di equilibrio di mercato. -Gli investitori devono comportarsi da price-takers.
-Le imposte devono essere neutrali. : tutti gli investitori siano tassati alla medesima aliquota e che non vi sia una tassazione differenziale fra guadagni in conto capitale e dividendi.
38 -Tutti gli investitori adottano un orizzonte uniperiodale.
-Tutti gli investitori si comportano in accordo al modello media-varianza.
3) Aspettative omogenee: tutti gli investitori condividono le stesse stime delle aspettative sul rendimento atteso, varianza e covarianza delle diverse attività.
Portafoglio di mercato e linea del mercato dei capitali
In base alle assunzioni del CAPM, tutti gli investitori che operano sul mercato dei capitali hanno aspettative omogenee e detengono attività rischiose nelle stesse proporzioni. Peraltro, dal momento che il mercato dei capitali è un aggregato di tutti gli investitori, logicamente ogni investitore deterrà titoli rischiosi nella stessa proporzione del mercato. Per tale motivo, sotto le assunzioni del CAPM, il portafoglio di tangenza ( combinazione di titoli rischiosi detenuta da ciascun investitore) viene definito portafoglio di mercato e, analogamente, la frontiera efficiente (costruita combinando in proporzioni differenti il portafoglio di mercato con il titolo privo di rischio) viene indicata come linea del mercato dei capitali (capital market line :CML).
La linea del mercato dei capitali, o CML, esprime la relazione di equilibrio tra il rendi-mento atteso e il rischio (deviazione standard) dei portafogli efficienti. L’equazione che caratterizza la CML è:
dove µP e σP rappresentano il rendimento atteso e la deviazione standard di un generico portafoglio efficiente P , mentre µM e σM esprimono il rendimento atteso e la deviazione standard del portafoglio di mercato. La CM L, quindi, è rappresentata da una retta con intercetta verticale pari a r0 e coefficiente angolare (µM−r0)/σM.
Il portafoglio di mercato PM, è costituito dal portafoglio di tangenza tra la CML e la frontiera efficiente con soli titoli rischiosi. In particolare, nella figura sono stati indicati tre portafogli ottimali, P1∗, P2∗ e P3∗, per tre possibili investitori con diverse preferenze
39 Il portafoglio di mercato `e il portafoglio composto da tutti i titoli (rischiosi) presenti sul mercato, dove le quote dei diversi titoli sono quelle detenute in equilibrio dal mercato nel suo complesso, ossia quelle per cui, per ciascun titolo, la domanda e l’offerta di mercato sono uguali.
Linea del mercato delle attività
La linea del mercato dei capitali (CML) esprime la relazione di equilibrio tra il rendimento atteso e il rischio (deviazione standard) dei portafogli efficienti. Peraltro, di per sé, essa non fornisce alcuna indicazione sulla relazione tra il rendimento atteso e il rischio delle singole attività finanziarie
40 da cui, risolvendo con alcuni passaggi algebrici rispetto a µi:
La relazione espressa e nota come linea del mercato delle attività (security market line SML).
Dove:
βi=σiM/ σM2 esprime la reattività del rendimento di talli attività rispetto a variazione del rendimento medio del mercato nel suo complesso.
(μM-r0) premio per il rischio del mercato nel suo complesso. Graficamente la relazione della SML di presenterà:
41 E importante evidenziare alcune interessanti proprietà dei beta delle attività finanziarie e della SML. In primo luogo, considerando che σ0M = 0 e σM M = σM2 `e immediato stabilire che β0=0 e βM=1.
Può poi essere utile ricavare il premio per il rischio (risk premium) dell’attività i-esima, definito come la differenza fra il rendimento atteso dell’attività i e il rendimento dell’attività senza rischio, ossia µi−r0. Esso è dato da:
Emerge che per investimenti rischiosi (cioè in attività caratterizzate da un beta positivo), il premio per il rischio prevede un tasso di rendimento aggiuntivo proporzionale alla reattività rispetto al mercato. Titoli con coefficienti di reattività inferiori alla media (βi < 1) dovrebbero comportare un premio per il rischio inferiore a quello del mercato nel suo complesso. Viceversa, titoli con coefficienti di reattività superiori alla media (βi > 1) dovrebbero comportare un premio per il rischio superiore a quello del mercato.
Inoltre, emerge anche che potrebbe accadere che un’attività presenti un premio per il rischio negativo. Ciò potrebbe succedere perché il suo beta è negativo, ossia se il suo rendimento atteso è correlato negativamente al rendimento atteso del portafoglio di mercato, ossia ρiM≡σiM/(σiσM )<0.
Si tratterebbe dei titoli che si collocano sulla SML a sinistra di r0). Dal grafico della SML, si noti anche come in equilibrio i titoli con un beta negativo siano caratterizzati da un rendimento atteso inferiore a quello del titolo privo di rischio per il fatto che il rendimento di questi titoli è correlato negativamente a quello del mercato nel suo complesso. Inserire questi titoli nel portafoglio di mercato potrà consentire di ridurre il rischio complessivo dell’investimento ancor di più che inserendo il titolo privo di rischio, il cui rendimento presenta una correlazione nulla con quello del mercato.
42 Infine è possibile calcolare il beta di un intero portafoglio: quest’ultimo è uguale alla media ponderata dei beta delle attività incluse nel portafoglio, dove i pesi sono dati dalle quote delle singole attività sul totale del portafoglio:
Di conseguenza si collocherà sulla SM L ciascun portafoglio formato con le attività presenti sul mercato. In particolare, la relazione di equilibrio tra il rendimento atteso e il rischio di ogni generico portafoglio sarà definita dall’equazione µP=r0+(µM−r0)βP.
La differenza sostanziale tra la CML e la SML è che nella prima sono inclusi esclusivamente i portafogli efficienti,mentre nella seconda si collocano tutti i portafogli, siano essi efficienti o inefficienti.
“L’equazione “β-rendimento atteso” è la parte essenziale del modello di Sharpe. La forma in cui viene descritta nel testo di Sharpe è la seguente:
Dove E è l’operatore di speranza matematica. La speranza è data dal prodotto di un risultato previsto per la probabilità che tale risultato si realizzi. Per esempio, la speranza associata al lancio di una moneta non truccata è pari a 0, poiché si ha un 50 per cento di probabilità di vincere 1 punto e un 50 per cento di perdere 1 punto (0.5x1+0.5x(-1)=0). L’equazione quindi afferma che il rendimento atteso r con il titolo i è uguale alla somma di due numeri. Il primo è il “tasso di rendimento di un investimento privo di rischio” che si può prevedere di ottenere da qualcosa di sicuro come un Buono del Tesoro. Il secondo è il coefficiente β di Sharpe moltiplicato per il “premio di mercato”, che indica di quanto si prevede che il mercato M renda più del tasso del Tesoro. Il coefficiente β è il fattore chiave. Ogni titolo ha un proprio coefficiente β, che esprime la misura in cui i movimenti del prezzo sono correlati a quelli del mercato complessivo, ed è definito come il rapporto tra quanto varia il titolo con il mercato (la covarianza) e la varianza, o rischio, del mercato stesso. Anche in questo caso, si sfruttano le proprietà matematiche della curva a campana, quindi il ragionamento è valido soltanto se i prezzi hanno effettivamente una distribuzione normale.”
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4.5) BLACK AND SCHOLES
Il modello di Black-Scholes è un modello dell'andamento nel tempo del prezzo di strumenti finanziari, in particolare delle opzioni. La formula di Black e Scholes è una formula matematica per il prezzo di non arbitraggio di un'opzione call o put di tipo europeo, che può essere derivata a partire dalle ipotesi del modello; lo stesso può dirsi per la formula di Black, per la valutazione di opzioni su futures. L'equazione differenziale di Black & Scholes alla base della formula è stata originariamente derivata da Fischer Black e Myron Scholes, in un lavoro del 1973, sulla base di precedenti ricerche di Robert Merton e Paul Samuelson. L'intuizione fondamentale del modello di Black e Scholes è che un titolo derivato è implicitamente prezzato se il sottostante è scambiato sul mercato. La formula di Black e Scholes è largamente applicata nei mercati finanziari.
Ipotesi sottostanti al modello:
-Il prezzo del sottostante segue un moto browniano geometrico (si veda anche oltre); -È consentita la vendita allo scoperto del sottostante, come dello strumento derivato; -Non sono ammesse opportunità d'arbitraggio;
-Il sottostante e lo strumento derivato sono scambiati sul mercato in tempo continuo; -Non sussistono costi di transazione, tassazione, né frizioni di altri tipo nel mercato; -Vige la perfetta divisibilità di tutte le attività finanziari;
-Il tasso d'interesse privo di rischio è costante e uguale per tutte le scadenze.
La formula Black-Scholes:
Il prezzo di un'opzione call europea, con scadenza T, valutata in t, è dato da:
Per un'opzione put europea, l'espressione corrispondente è:
Dove:
-St è il prezzo del titolo sottostante; -K è il prezzo d’esercizio dell’opzione;
-r è il tasso d’interesse privo di rischio, espresso in base annua; -N denota la funzione di ripartizione di una variabile casuale normale; -d1 e d2 vengono così definiti: