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Dalla fuga alla riorganizzazione: il comunismo spagnolo nella prima fase dell'esilio

Il PCE e l'opposizione antifranchista

2.1. Dalla fuga alla riorganizzazione: il comunismo spagnolo nella prima fase dell'esilio

Quando si fa riferimento al sistema di opposizione al regime di Franco, spesso si può facilmente cadere nell'errore comune di pensare all'esistenza di un fronte politico fortemente unito e compatto che coinvolgesse tutte quelle forze di partito antifasciste, che unitesi sotto un'unica organizzazione cercarono in ogni modo di ristabilire quell'ordine sociale, politico e governativo che si era dissolto sotto i duri colpi della dittatura. In realtà, così come accadde per contesti a noi vicini – come fu il caso dell'Italia antifascista – in cui le divisioni interne fra le sinistre e gli stessi partiti di centro rischiò di compromettere la buona riuscita del piano di liberazione, cosa assai simile, anche se con esiti diversi avvenne per il contesto iberico, che per gran parte del '900 fu all'insegna del disaccordo politico e partitico.

Non è oggetto di questa tesi delineare quelli che furono i generali eventi legati all'opposizione politica al regime di Franco, in quanto tale intento condurrebbe verso una geografia immensa di situazioni e informazioni relative a svariati partiti e movimenti, che allontanerebbero eccessivamente il ragionamento da quello che è l'effettivo fulcro centrale di questo lavoro, incentrato invece nell'analizzare quello che fu lo specifico ruolo assunto dal PCE all'interno della generale opposizione al regime, facendone notare i mutamenti e le trasformazioni interne allo stesso che lo caratterizzarono durante gli anni '40, fino all'approdo di una politica decisamente bellica ed insurrezionale, la quale a tal ragione conduce ad un collegamento diretto con la questione guerrigliera centrale in questa trattazione.

Prima di giungere a questa precisa strategia, inserendosi così in buona parte all'interno della generale tradizione resistenziale che coinvolse molti paesi europei del tempo, il PCE fu però costretto ad un'iniziale fase di esilio forzato di almeno quattro anni, nei quali le vicissitudini interne allo stesso e la freschezza ancora nitida degli eventi bellici appena terminati resero ancor più difficile l'elaborazione di un piano di lotta unico e deciso, che mettesse ordine e

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compostezza fra la linea direttiva in esilio ed i molteplici militanti subordinati rimasti in Spagna, entrambi geograficamente troppo lontani dagli intensi contatti politici che avrebbero agevolato le comunicazioni e reso decisamente più facile la creazione di una linea generale di partito.

A spiegare tale confusione dilagante fu l'immediata fuga verso l'esilio della linea direttiva di partito – quest'ultima motivata non solo dalla sconfitta della repubblica e dalle conseguenti repressioni messe in atto dal regime -, ma anche dalla proclamazione del Golpe militare messo in piedi da Sigismundo Casado, un repubblicano di sinistra con idee incompatibili a quelle del PCE, in quanto teso a trovare un accordo di pace immediato con Franco che fosse incentrato su basi diplomatiche e non invece volto ad una resistenza armata ad oltranza che caratterizzava per contro i comunisti. Il suddetto, una volta dichiarato incostituzionale il governo Negrìn (socialista ormai da tempo sotto forte manipolazione comunista) ed inviso a Casado, ne provocò la caduta dal governo repubblicano in esilio a Valencia, rendendolo di fatto politicamente impotente93.

Tali eventi condussero in poco tempo alcuni dei dirigenti del PCE ad abbandonare il paese, già a partire dai primi mesi del 1940. Personaggi del calibro di Dolores Ibarruri (futura leader di partito), Enrique Lìster, Josè Dìaz e Jesùs Hernandez si diressero in territorio sovietico, accasandosi a Mosca e allacciando immediati rapporti diretti con la direzione del PCUS, destinati a durare sino al loro rientro in patria, che avvenne molti anni dopo. L'altro filone della dirigenza, invece, composto da Vicente Uribe, Pedro Checa, Fernando Claudìn ed Antonio Mije emigrò in Sud America (fra Messico ed Argentina), che divenne un luogo di grande scambio politico – non solo per i futuri membri del PCE, ma anche per quelli del PSOE e del partito repubblicano – motivato in gran parte anche dalla profonda vicinanza linguistica e culturale che intercorreva fra il popolo spagnolo e quello latinoamericano, che ne rese quindi più facili le relazioni94.

Tale fuga, in realtà non venne accettata di buon grado da tutti i suddetti membri, in quanto andava in ogni caso ad evidenziare una dura sconfitta del piano antifranchista promosso dal fronte popolare spagnolo di quegli anni e in cui la disunione l'aveva fatta da padrone, permettendo di fatto quest'ultima di spianare la strada della vittoria ai nazionalisti, palesando

93 H. Heine, La oposiciòn politica al franquismo, Critica Grupo editorial Grijalbo, Barcelona 1983, pp. 19-20 94 J. Marco, “Encender la guerra de guerrillas”. El PCE y la guerrilla antifranquista (1939-1952), in

Violencia e sociedade em ditaduras ibero-americanas… Editoria Universitaria da Pontificia Universidade Catolica do Rio Grande do Sul, p. 104

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per giunta una profonda incomprensione con le altre sinistre, mai realmente propense verso un'alleanza con i comunisti per le divergenze viste sopra. Come sottolineò poco dopo Josè Dìaz, l'allora leader del PCE: “El error principal de nuestro partido fue que, frente a la amenaza de rebeliòn contrarrevolucionaria en Madrid (5-6 de marzo de 1939) no la diò a conocer a las masas, y que no actuo tan enèrgica y resueltamente cuando la rebeliòn ya estaba en marcha, tal como la situaciòn dificìl lo requerìa” 95, palesando quindi in questo modo uno dei maggiori errori commessi dal partito, ovvero non aver reso pubblica ed estesa la lotta insurrezionale antifranchista, trasformandola di fatto in uno scontro di massa che coinvolgesse la componente più importante per la vittoria, ossia il popolo.

Oltre allo stesso Dìaz, anche diversi membri stranieri affiliati al partito spagnolo – inviati in territorio iberico durante il triennio bellico per affiancarne la politica ed intensificarne i rapporti con altri partiti stranieri alleati- , quali Togliatti, sotto lo pseudonimo di “Alfredo” ed il bulgaro Stoyàn Minev “Stepanov”, si esposero per scritto riguardo al fallimento del partito in seguito agli ultimi eventi della primavera del 1939, che avevano permesso a Franco di prendere il potere su tutto il territorio. In particolare Togliatti evidenziò e motivò più volte quelle che a suo dire costituirono le maggiori cause della sconfitta repubblicana spagnola, che lui stesso imputava proprio alla debole gestione interna del PCE, eccessivamente sottomessa in diverse fasi del conflitto all'opprimente presenza dei membri inviati dal PCUS, i quali produssero più volte numerose epurazioni in seno al PCE – come accadde con personaggi quali Andres Nes e l'italiano Camillo Berneri – tacciati di “trosckismo” e quindi eliminati dal partito attraverso l'uso violenza che cosparse in tal modo l'ambiente comunista iberico di un'eccessiva dose di stalinismo che in quel preciso momento creava solo paure e malumori interni.

Il politico italiano sottolineò convintamente che tali pratiche risultarono decisive nel delineare una disunione interna allo stesso partito, ma anche fra comunisti e socialisti spagnoli (quest'ultimi impauriti dalla netta politica aggressiva interna al PCE), convinzione poi per altro espressa nella lettera del 15 settembre del 1939, nella quale il membro del PCI scriveva:” Si è consolidata dentro di me la convinzione che sia necessario cambiare radicalmente il metodo di lavoro dei vostri “consiglieri” qui da noi […] Esiste un gruppo di compagni (Uribe, Hernandez, Dolores, Gloria) in condizioni di dirigere il partito e anche di dirigerlo bene [...]”, evidenziando chiaramente come il PCE doveva essere messo nelle mani di promettenti leader

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iberici e non trovarsi invece costantemente sottoposto alla dura gestione sovietica, che tante difficoltà aveva causato sino a quel momento96. Togliatti aveva per altro rintracciato tale problematica già nel luglio del 1937, quando dall'Unione Sovietica giunse in territorio iberico con il compito di coordinatore di partito, rimanendo per giunta quanto appena detto una convinzione personale piuttosto perenne e ricorrente per tutta la durata del suo mandato. Insieme alla profonda mancanza di accordi fra le sinistre spagnole, il politico italiano- come segnalò nell'ultima lettera inviata a Stalin prima del suo rientro in URSS – evidenziò in aggiunta con consistente convinzione quello che per lui fu il ruolo decisivo assunto dal deliberato pacifismo britannico e francese nel determinare la sconfitta repubblicana in Spagna. La mancanza di forze regolari ben assortite, cosa che invece non poteva dirsi per i franchisti, sempre aiutati dalle truppe italiane e tedesche, condusse inevitabilmente alla sconfitta della repubblica iberica sul campo militare97.

Lo stesso Enrique Lìster (uno dei dirigenti di partito più in vista del momento), andò a stagliarsi sulla linea analitica tracciata da Togliatti, sostenendo appunto che attraverso una maggiore resistenza ed unione fra le forze del fronte popolare si sarebbe persino potuto evitare il golpe casadista, determinante insieme ai fattori visti sopra nel lacerare quel già debole legame fra le sinistre spagnole, unione che avrebbe rappresentato peraltro una premessa fondamentale per la vittoria contro Franco98.

Risultava quindi piuttosto chiaro che l'incompatibilità fra le forze democratiche fu in gran parte determinata dall'assenza di un piano unico e generale che mettesse in luce un obiettivo comune da realizzarsi in seguito alla fine della guerra. La stessa conduzione del conflitto fece emergere divergenze troppo ampie in cui emergeva un comunismo fortemente incline alla dura lotta popolare, contro un socialismo per contro tendente alla comunicazione diplomatica, che in alcuni casi trovò anche l'appoggio di repubblicani ed altri partiti maggiormente moderati. Insieme a queste due la stessa posizione indecisa dei conservatori monarchici minò ulteriormente il terreno della lotta, producendo alla lunga le viste premesse per la sconfitta. La repressione messa in atto da Franco in seguito alla vittoria registrò un numero piuttosto alto di vittime fra i militanti dei partiti nemici, in particolare dello stesso PCE, mentre altri andarono ad aumentare i reclusi delle svariate carceri disseminate per tutto il territorio nazionale. Ciò non frenò comunque diversi di loro che proprio da questi luoghi di detenzione

96 P. Togliatti, Opere, Volume 4, T. I, A cura di P. Spriano e F. Andreucci, Roma Editori Riuniti, 1979, p. 103 97 Ibidem, p. 100

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diedero vita ad una prima forma di rinascita dell'opposizione al regime, seppur fortemente limitata nei mezzi e nelle pratiche ed in particolare nel numero delle prime adesioni. Tale limitazione non fu determinata unicamente dal profilo organizzativo delle prime cellule nate in seguito al conflitto, che contavano comunque di uno scarso personale e di collegamenti ancora non sufficientemente estesi, ma anche da eventi di carattere internazionale, fra i quali spiccò il patto Ribbentropp-Molotov, firmato il 23 agosto del 1939 e che andava a costituire di fatto un' ufficiale- seppur momentanea – situazione di non aggressione fra la Germania nazista, pronta a dilagare militarmente in Europa e l'Unione Sovietica. Il suddetto patto provocò una decisa ripercussione della strategia di non belligeranza su tutti i comunismi europei, i quali momentaneamente furono costretti ad abbandonare la loro linea offensiva verso il dilagante fascismo che stava prendendo piede nel vecchio continente, proprio per rimanere fedeli alle direttrici politiche tracciate dal Comintern, al quale essi erano affiliati99. Insieme a questo generale passivismo emerse ad ogni modo un'evidente assenza di mezzi primari che garantissero in qualche modo al partito un'efficiente riorganizzazione della propria opposizione al regime, segnalata questa stessa dalle parole della dirigente Dolores Ibarrurri, in parte già leader del partito, ma proclamata come segretaria solo in seguito, la quale sostenne vivamente che il PCE non aveva praticamente niente a disposizione per fronteggiare quella difficile situazione di esilio, registrando una carenza persino di materiali basilari per effettuare una prima propaganda, che andavano dalla carta all'inchiostro per creare giornali e manifesti, fino alle piccole somme di denaro per affittare case e radio dove poter gestire la riorganizzazione100.

Nonostante gli evidenti limiti il partito non peccò di arrendevolezza e fin dalle ultime battute del conflitto mise in piedi un sistema di iniziale resistenza alla repressione, che come visto non poteva ancora passare attraverso una linea armata vera e propria – del resto ancora lontana da un concepimento vero e proprio -, ma solo porre le basi per un'iniziale emigrazione dei militanti rimasti in Spagna verso altri territori più sicuri, da dove poi riorganizzare le idee per un rientro successivo, come testimonia il caso del SERE (Servicio de Emigraciòn de los Refugiados Españoles), creato nell'aprile del 1939 dai negrinisti con il concorso del PCE anche per mezzo dell'utilizzo di quel denaro posto in custodia all'esterno per evitare che cadesse nelle mani di Franco. Con tale sistema andava a realizzarsi un canale di fuga che permettesse ai quadri più in vista del PCE di raggiungere luoghi più sicuri, che in questo

99 J. Marco, Guerrilleros y vecinos en armas, op. cit. , p. 103 100 H. Heine, La oposiciòn politica al franquismo, op. cit. , p. 60

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preciso momento erano prevalentemente rappresentati dall'ancora democratica Francia, da quell'Inghilterra simbolo del non intervento, fino alla lontana e per molti irraggiungibile America, che comunque per alcuni di loro diverrà una nuova casa per diversi anni101.

Il suolo britannico non rappresentò mai in realtà il paese prediletto per la fuga comunista – per lo meno spagnola – che convogliò prevalentemente verso i territori transalpini, deviando in altri casi verso le coste del Nord Africa sempre comunque di proprietà francese, per altro alquanto insidiose come vedremo in seguito, in quanto dipendenti dalla politica della madrepatria che dal momento in cui prenderà piede il regime di Vichy vedrà estendere le leggi naziste anche all'interno dei propri confini. Porti come quello di Algeri ed Orano, ma anche di Tangeri diverranno allora il simbolo di seconda reclusione per quei comunisti spagnoli datisi alla fuga dai litorali levantini ed andalusi, come Alicante, Valencia e Cartagena, ritrovandosi in molti casi all'interno di vere e proprie trappole poiché condotti ben presto alla detenzione verso i campi di internamento costruiti in quelle colonie francesi.

Naturalmente in quel pesante esodo non vi furono solo comunisti e nemmeno solo militanti di partiti politici, bensì anche un foltissimo numero di semplici popolani in fuga da un regime cruento e pronto a colpirli. I numeri ci raccontano che la sola caduta della Catalogna riversò verso la vicina frontiera francese circa 450 mila spagnoli, la metà dei quali erano rappresentati da donne e bambini, per niente esentati dai sistemi di violenza del regime, i quali avrebbero trovato posto prevalentemente nel mezzogiorno francese102.

Ad affiancarsi alla citata organizzazione, di carattere maggiormente elitario, che coinvolgeva perciò prevalentemente dirigenti del PCE verso la fuga all'estero, ve ne fu una maggiormente locale, realizzata presso le regioni di Asturia e Paesi Baschi, con sede principale presso Pamplona. In seguito alla realizzazione di falsi documenti, gli interessati venivano condotti presso i valichi montuosi locali, da dove poi un gruppo di contrabbandieri alleati si sarebbero preoccupati di condurli oltre confine. Degna di nota fu senz'altro la preponderante partecipazione femminila a tale organizzazione, che riuscì a condurre il salvo personaggi importanti legati al PCE quali, Larrañaga, Garcia Roza, Asarta e Cristòbal. Oltre a tali avanzamenti, di particolare importanza furono i lavori messi in atto per la costruzione di quella che sarebbe stata la nuova sede clandestina di partito, che avrebbe trovato posto a Madrid, a guidarla venne scelta Matilde Landa, ex responsabile del Socorro Rojo, la quale grazie all'appoggio di molti giovani della JSU (Juventudes socialistas unificadas) potè

101 S. Serrano,Maquis, op. cit. , p. 114 102 S. Serrano, Maquis, op. cit. , p. 123

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condurre un'efficace azione propagandistica senza destare eccessivi sospetti. Tale avanzata durò però per poco tempo, registrando in seguito un rallentamento dei lavori di costruzione che divennero più difficili del previsto, in quanto la suddetta dirigente, insieme alle altre personalità designate per formare la nuova linea dirigenziale interna al paese, vennero tradite dalla loro notorietà che ne determinò l'assolvimento dall'incarico. La cellula, sempre più stretta all'interno della morsa del regime e del suo continuo sistema di investigazione, fu portata alla dissoluzione un anno dopo – nel 1940 – in seguito agli arresti della stessa Matilde Landa e con lei degli altri responsabili, tra i quali Cazorla e Sànchez, condannati a morte l'8 aprile del 1940. Landa venne invece incarcerata nella prigione di Palma de Maiorca, ma le continue intimidazioni e torture psicologiche perpetrateli dalle guardie del carcere femminile la condussero al suicidio nel 1942103. Con la dissoluzione del primo tentativo organizzativo da parte del PCE e le relative detenzioni scaturite dallo smembramento della cellula madrilena, si chiudeva di fatto la prima tappa della fase di ricostruzione del partito nella clandestinità, destinato a questo punto ad affrontare un'inversione di rotta per rendere realmente concreta la propria rinascita. A tal proposito sarà breve l'arrivo di una nuova personalità carismatica in seno allo stesso, che si porrà alla guida della ricostruzione.