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Il PCE e l'opposizione antifranchista

2.2 Quiñones, l'uomo della ricostruzione

Di fronte alla prima ondata repressiva inferta ai comunisti dai corpi di polizia e della Guardia Civil verso i loro primi tentativi di ricostruzione, il PCE decise di non arrendersi bensì di proseguire su quella linea di opposizione al regime intrapresa a conflitto appena terminato, che nei loro piani doveva quindi condurre ad un graduale rientro in patria, da dove poi la lotta armata al regime si sarebbe consumata.

La situazione in realtà non era poi così semplice, in particolare perché la seconda guerra mondiale, scoppiata ormai da due anni non lasciava spazio a soluzioni rapide da parte della stessa opposizione, costringendo per contro il fronte antifascista a decisioni difficili che in qualche modo frenassero il forte avanzamento delle truppe hitleriane verso il cuore dell'Europa. Nel giugno del 1941, inoltre, il patto di non aggressione fra Germania ed URSS

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poteva considerarsi ufficialmente nullo, data l'invasione militare attuata dalla Wehrmacht ai danni del sovietico la quale rimetteva di fatto in gioco una serie di vecchie prerogative comuniste, fra le quali quelle della lotta armata fino a pochi anni prima perseguita con forte convinzione dalla Terza internazionale, ma abbandonata in quel biennio di tregua momentanea.

Nel frattempo la linea dirigenziale del PCE continuava a rimanere divisa fra America latina ed Unione Sovietica, mantenendo ben pochi contatti con l'interno della madrepatria, che in quel momento - come già espresso – si trovava in una fase di profondo cambio della guardia, visto i primi tentativi di ricostruzione del comitato centrale interamente fracassati e gli stessi arresti con relative condanne attuti verso quei personaggi ai quali era stato assegnato il compito di farne da guida. In un periodo di così acuta repressione chi contribuì a spazzar via un po' di nuvole di incertezza, passando poco tempo dopo sotto le luci della ribalta del PCE fu la figura di Heriberto Quiñones, pseudonimo iberico di Yefin Granowdiski, un militante originario della Moldavia ed agente di lunga esperienza presso il Comintern per conto dei sovietici che rappresentò un personaggio piuttosto controverso, ma senza dubbio portatore a dare un'iniziale parvenza risolutiva di quel fortemente torbido periodo che il comunismo spagnolo stava attraversando104.

Di lui la storiografia sul tema è giunta a sapere ben poco, ma probabilmente fra le informazioni maggiormente sicure a riguardo vi fu che giunse in Spagna nel 1930, precisamente a Gijòn (Asturia), dove grazie a degli appoggi di partito ottenne dei falsi documenti che ne attestavano la nascita proprio in loco. Personaggio molto brillante e dotato altresì di un acume particolarmente accentuato che lo conduceva ad un apprendimento sistematico delle lingue, dominava perfettamente il dialetto asturiano e la stessa lingua spagnola, cosa che li permise di non cadere mai sotto accusa rispetto ai numerosi controlli ai quali le autorità del regime lo sottoposero105. Durante la prima metà degli anni '30 visse presso l'isola di Palma de Maiorca, dove conobbe una giovane militante comunista che poco dopo divenne sua moglie, la quale però, caduta sotto circostanze sfortunate perse la vita nel

104 P. Preston, El Zorro Rojo, op. cit. , pp. 112-113

105 H. Heine, La oposiciòn politica al franquismo, op. cit. , p. 69, La figura di Quiñones testimonia la decisiva

scelta che vi era alla base dell'organizzazione del partito comunista sovietico, che si dotò sempre di uomini particolarmente dotati, che potessero perciò eludere eventuali sospetti su di loro. Riguardo alla figura del suddetto vi è ad ogni modo una bibliografia quasi assente e l'opera sopracitata di H. Heine risulta a buon titolo quella più completa al fine di interpretarne i movimenti politici e l'inserimento all'interno del contesto di ricostruzione del PCE. Ulteriori cenni alla figua del politico moldavo possono comunque essere

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1937, in quanto scoperta dalle autorità nemiche e vessata da torture fisiche estenuanti che la condussero a perire.

Quiñones seppe della morte della moglie nel gennaio del 1937, ma decise di rimanere comunque in territorio spagnolo e fece altrettanto anche a guerra civile conclusa, quando Togliatti gli prospettò la possibilità di emigrare verso altri paesi; non sappiamo se fosse stato un atto di fedeltà verso la consorte defunta o una decisione mossa da motivazioni di altro genere, fatto sta che da questo momento la sua vita e soprattutto la sua carriera di partito presero una direzione del tutto differente106. Delle sue doti di leadership e della sua fermezza caratteriale, a trattai anche burbera, come testimoniarono alcuni militanti che li gravitarono intorno non vi erano mai stati dubbi, ma sino a quel momento la direzione non aveva mai riposto in lui tanta fiducia da permettergli di scalare le gerarchie di partito. Con buona probabilità a ciò intercorse anche la lontananza dei grandi leader del comunismo spagnolo, troppo geograficamente estromessi per influenzare realmente con ferma decisione le pieghe interne che stava prendendo la ricostruzione clandestina del PCE e perciò spesso costretti a lasciar andare la mano su certe questioni.

Proprio tale lontananza rappresentò la premessa che permise a Quiñones di prendere in mano le redini della politica comunista interna, incalzato fortemente anche da tale Josef Wajsblum, un quadro di partito dell'Est Europa - precisamente polacco - anche lui inviato in territorio iberico durante il triennio bellico, il quale con grande probabilità consigliò caldamente alla dirigenza moscovita di favorirne l'ascesa presentandolo come uomo di fiducia e di profonda capacità direttiva, dovuta quest'ultima in particolare alla sua lunga esperienza politica acquisita in quegli anni sul campo spagnolo.

Tra le prime mosse di Quiñones vi fu quella di favorire l'unione degli svariati comitati comunisti locali che fra il 1939 ed il 1941 erano fioriti con grande proliferazione in svariate zone del paese, in particolare nella capitale, dimostrazione da un lato di una chiara voglia di rinascita politica, ma dall'altra anche segno di un generale individualismo politico nella struttura dell'opposizione interna, deleteria a detta del nuovo leader e che a suo avviso non avrebbe mai potuto condurre verso vittoria. Era invece necessario canalizzare tutti questi sforzi ricostruttivi verso un'unica linea politica alla quale lui stesso mostrò di volersi mettere alla guida, cosa che effettivamente farà dopo la sua evasione dal campo di concentramento di Albatera, nel quale era stato recluso per alcuni mesi e dopo aver raggiunto la città di Valencia,

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da dove il Comitato centrale di partito si metterà in contatto, chiedendone appunto l'assunzione della guida verso la rioorganizzazione di partito.

Una volta preso l'incarico scrisse insieme a Luis Sendìn, suo braccio destro in quegli anni un manifesto che prese il nome di Anticipo de orientaciòn politica, che per mancanza di tempo non trovò un'iniziale ampia conoscenza fra le fila del partito, ma che sostanzialmente rappresentava un documento di particolare lungimiranza politica, poiché se da una parte riprendeva i punti essenziali della visione di Negrìn, dall'altra tracciava altresì le linee guida di quella che sarebbe stata la futura politica di Uniòn Nacional – della quale si avrà maggiore testimonianza in seguito – che pur continuando a rispettare la visione politica tipica del PCE, tesa alla lotta, spingeva anche verso un'alleanza con le altre forze politiche dell'opposizione spagnola, inserendovi anche quelle conservatrici, che non volevano la permanenza del franchismo in suolo iberico e che per questo avrebbero rappresentato una premessa fondamentale per una decisa vittoria107.

Se inizialmente la presenza del moldavo venne accolta con favore, poiché apriva nuovi ed interessanti scenari di rinascita del PCE in una fase successiva la sua sempre più ingombrante presenza venne vista con maggior sospetto, determinata quest'ultima per altro dall'assenza dei grandi leader, che non potevano far altro che lasciare autonomia alle manovre del nuovo uomo guida. Fu lui stesso per altro a sostenere che fino a quando non fossero giunte notizie e direttive decise da Mosca o da Città del Messico, si sarebbe occupato personalmente di guidare la politica di ricostruzione di partito; in tutto ciò giocavano del resto un fattore decisivo la lunga militanza del moldavo ed anche le forti ambizioni che in quel preciso momento egli stesso poteva portare a compimento108. Tale dichiarazione compromise in buona parte il lavoro del neo leader, provocando forti dubbi verso gli alti dirigenti del PCE su quelle che erano le sue reali intenzioni, ma ancor più sfrontata, almeno ai loro occhi, tanto da sbilanciare fortemente le considerazioni sullo stesso Quiñones che aprirono poi la strada verso profonde critiche nei suoi riguardi, causando in seguito la sua caduta fu la scelta di cambiare il nome del comitato centrale di Madrid in Burò politico central, ovverosia un nome che

107 S. Serrano, Maquis, op. cit. , p. 119, La politica di Uniòn Nacionàl rifletteva in quel momento quasi

un'utopia, dato che Quiñones sapeva perfettamente di non poter contare sull'appoggio dei prietisti, di Casado, Cipriano e Mera e su un'altra buona parte della sinistra spagnola del tempo. Per questo motivo la richiesta di alleanza sembrava quasi più rivolta alla destra conservatrice e cattolica iberica, ideologicamente del tutto incompatibile con la linea comunista, ma in quel momento di profonda crisi democratica

probabilmente affine nella stessa volontà di provocare la caduta del regime. Tale politca, fra tentativi ed unioni fallite si riprodurrà per gran parte della prima metà degli anni '40.

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solitamente rimandava direttamente al termine utilizzato per definire la dirigenza di partito, composta allora da Dolores Ibarrurri, Claudìn e Diaz, che seppur trovandosi in esilio continuava ad essere a tutti gli effetti il centro decisionale del PCE.

Questa decisione suonava realmente come una provocazione verso i loro confronti, venendo di fatti accolta come tale, tanto che rappresentò una mossa mai effettivamente digerita da molti membri di spicco del partito, nemmeno dopo la dichiarazione dello stesso moldavo che garantiva la piena devozione verso i suddetti. Fu da tale atto imprudente che la cupola di partito decise di intervenire verso l'eccessivo allargamento di potere di Quiñones e tale risposta provenne direttamente dalla sezione dirigenziale latinoamericana in Messico, la quale decise di prendere in mano le redini della questione e di mettere in piedi una delegazione locale composta dai quadri Jesùs Larrañaga, Manuel Asarta ed Eduardo Castro, i quali una volta imbarcatisi dal porto di Tampa (Florida) giunsero a Lisbona, dove ad attenderli si trovava un altro membro di partito - insediatosi in territorio lusitano da anni - che favorì loro i documenti necessari per entrare in Spagna, da dove poi si sarebbero messi in contatto con Quiñones.

Nonostante tale decisione i tre suddetti non riuscirono mai a portare a termine il compito assegnato loro, poiché arrestati dalle autorità di regime e successivamente processati sotto condanna a morte. Tale evento rappresentò non solo la loro fine, ma anche il tramonto della figura del leader moldavo, che ormai da diversi mesi era caduto sotto il discredito del partito, in quanto visto come uomo eccessivamente ambizioso e pericoloso, soprattutto in una fase in cui i grandi comunisti spagnoli non potevano avere diretto controllo sul suo operato. Cadde in realtà sotto arresto dei franchisti venendo fucilato il 2 ottobre del 1942 legato ad una sedia 109. Quiñones lasciava ad ogni modo un vuoto piuttosto consistente all'interno del partito ed una situazione decisamente più sviluppata rispetto ai due anni precedenti, in cui la politica di ricostruzione comunista era andata molto a rilento, risentendo peraltro della decisiva mancanza di una forte personalità che riportasse convinzione e idee chiare. Ad ogni modo la dirigenza moscovita soppesò attentamente l'operato del sovietico, giungendo ad approvarne in certi casi anche alcune decisioni, come testimoniava la sempre maggiore convinzione che la stessa riponeva nei confronti della proposta di politica di Uniòn Nacional, sulla quale infatti da quell'estate del 1941, anno in cui era stata lanciata, cominciarono a a lavorare intensamente.

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Dall'altra parte, però,il comportamento che il suddetto leader tenne nei confronti dei Comitato Centrale del PCE aveva raggiunto livelli di sfrontatezza troppo alti, giungendo persino ad accusare i grandi di partito di codardia per il loro abbandono della madrepatria in una fase di profonda crisi, quanto il partito e l'opposizione in generale aveva più bisogno di loro e di non conoscere realmente le questioni che si sviluppavano all'interno del territorio nazionale, non potendosi perciò permettere troppe critiche verso la gestione interna110.