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Si è visto che prima della Novella del 1992 la costituzione di garanzie reali sui marchi era di dubbia configurabilità; allo stesso tempo si deve considerare che anche nel regime di libera cessione l’autonomia del marchio è circondata da una serie di cautele e limiti. In primo luogo bisogna osservare che il <<diritto al marchio non si estende oltre l’ambito entro il quale il segno che ne forma oggetto assolve la sua funzione tipica, in relazione alla quale l’ordinamento vi accorda tutela>>36; in secondo luogo, entrano in considerazione le disposizioni in tema di divieto d’inganno: in particolare quelle che concernono l’ipotesi di cessione. Per apprezzare quest’ultimo rilievo si devono anticipare alcune considerazioni proprie della fase dell’esecuzione forzata (nonostante all’Ufficio italiano Brevetti e Marchi non risultino numerose esecuzioni forzate derivanti da garanzie37, si ricorda che la stessa efficacia della concessione di diritti di garanzia su un marchio si fonda sulla “astratta” possibilità di ottenere l’espropriazione coattiva del marchio nell’ipotesi in cui il credito non sia ripagato). La materia delle garanzie reali entra qui in contatto con uno degli aspetti più intimi della normativa in tema di marchi, quello che è stato definito “Statuto di non

35 Entro i confini in cui ciò spettava al dante causa.

36 C. GALLI, Lo <<statuto di non decettività>> del marchio: attualità e prospettive di un concetto giuridico, in Studi in memoria di Paola A.E. Frassi, Giuffrè, Milano, 2010, p. 403.

119 decettività del marchio”38. Con questa espressione si designa il corpus normativo che pone il principio di divieto di inganno al pubblico alla base del diritto nazionale relativo ai segni distintivi: si fa riferimento al diritto nella sua nuova struttura successiva all’intervento del già citato d.lgs. 480/1992, struttura che secondo Galli si potrà apprezzare pienamente solo sul piano della <<concretezza del mercato>>, il solo livello al quale si può cogliere e delineare il sempre nuovo equilibrio di

interessi tra titolare del marchio da un lato, concorrenti e consumatori dall’altro39. Quindi, riallacciandoci a quanto prospettato ad inizio paragrafo: se il regime di

cessione libera del marchio ha superato gli inconvenienti già considerati, è però rimasto il limite per cui dalla cessione non deve derivare un inganno per il pubblico di cui all’art. 23 c.p.i. (Trasferimento del marchio) il quale precisa al quarto comma: <<In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali

nell'apprezzamento del pubblico>>. Il testo originario della legge marchi era espressione di un’economia poco

dinamica (o addirittura conservatrice), nella quale i prodotti nuovi erano relativamente pochi (e in generale, nella maggior parte dei casi, non subivano mutamenti per lungo tempo). L’art. 15 della legge marchi allora stabiliva al primo comma che il marchio non poteva essere trasferito <<se non in dipendenza del trasferimento dell'azienda, o di un ramo particolare di questa, a condizione, inoltre, che il trasferimento del marchio stesso avvenga per l'uso di esso a titolo esclusivo>>; disponeva poi al secondo comma che dal trasferimento del marchio, in ogni caso, non doveva <<derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o merci che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico>>.

L’art. 1540 della legge marchi era direttamente richiamato dall’art. 49 legge marchi

38 Si veda C. GALLI, Lo <<statuto di non decettività>>, cit., pp. 371 ss., ove si attribuisce la “paternità” di questa espressione a Paola Frassi.

39 C. GALLI, Lo <<statuto di non decettività>>, cit., p. 372.

40 In seguito alle modifiche operate nel 1992 il primo comma stabiliva: <<Il marchio può essere trasferito per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato>>. A norma del quarto comma poi: <<In ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico>>.

120 (la norma sulla trascrizione), il quale precisava che le disposizioni del precedente art. 15 erano in ogni caso <<fatte salve>>. Si deve però rilevare che tale riserva non è stata riprodotta nell’art. 138 (Trascrizione) del successivo Codice della Proprietà Industriale. Il mancato richiamo all’art. 23 c.p.i. (Trasferimento del marchio) troverebbe una sua spiegazione nel fatto che la norma sulla trascrizione concerne tutti i titoli di proprietà industriale. In ogni caso, si ritiene che le due norme siano ancora implicitamente coordinate, nel senso che la trascrizione, una volta effettuata, non avrebbe comunque efficacia sanante nei confronti di un negozio da cui derivi inganno (e che quindi sia nullo). Infine, riallacciandoci all’ipotesi accennata all’inizio, si deve intendere che queste norme, dettate a tutela del pubblico, debbano trovare applicazione anche nel caso in cui la cessione avvenga <<in seguito all’espropriazione conseguente all’operatività della garanzia

reale concessa sul marchio>>41. È necessario ora comprendere quando si verifichi l’inganno al pubblico: nel fare

ciò ci si servirà dell’esempio proposto dalla Corte di Giustizia42 che, nel caso “Emanuel”, pare aver circoscritto la sanzione all’ipotesi in cui gli elementi sui quali

cade l’inganno riguardino le <<caratteristiche materiali del prodotto>>43. Ricostruendo le vicende, la società che aveva acquisito l’impresa originaria della

nota stilista Elizabeth Emanuel (alla quale la stessa era però ormai del tutto estranea) unitamente al suo avviamento, aveva proceduto ad effettuare la registrazione di un marchio imperniato proprio sul nome della stilista. La questione riguardava il fatto se la “estraneità” di cui sopra potesse o meno far considerare ingannevole il marchio, prescindendo dal fatto che essa fosse stata o meno resa nota al pubblico interessato. La risposta, negativa, dei giudici europei è stata presa sulla base dell’assunto che <<quand'anche un consumatore medio potesse venire influenzato, nel suo atto di acquisto di un vestito recante il marchio «ELIZABETH EMANUEL», dall'idea che l'appellante… abbia partecipato alla

41 C. GALLI, Lo <<statuto di non decettività>>, cit., p. 405.

42 Corte di Giustizia CE 30 Marzo 2006, causa C-259/04, Elisabeth Florence Emanuel c. Continental Shelf 128 Ltd, in Racc. 2006, I, pp. 3089 ss.

121 creazione di tale vestito, le caratteristiche e le qualità del detto vestito restano garantite dall'impresa titolare del marchio>>44. È stato poi precisato che sarebbe spettato al giudice nazionale valutare se, nella presentazione del marchio «ELIZABETH EMANUEL», non vi fosse una volontà da parte dell'impresa di far credere ai consumatori che la signora Emanuel fosse ancora la creatrice dei prodotti recanti tale marchio, o che comunque partecipasse alla loro creazione: <<In tal caso si tratterebbe, in effetti, di una manovra che potrebbe essere valutata

dolosa>>45. Una conclusione come quella appena considerata sembrerebbe essere

particolarmente favorevole ai titolari di diritti di garanzia sui marchi. In effetti, il trasferimento del marchio e la piena operatività della garanzia sarebbero pregiudicati solo nei casi in cui si sia in presenza di elementi materiali fondamentali per garantire “le caratteristiche e le qualità” (binomio incontrato al punto 48 della decisione) dei prodotti contrassegnati dal marchio in questione, e questi elementi non siano dati in garanzia e poi trasferiti insieme al marchio. È stato però osservato che una tale conclusione non parrebbe corretta. Galli ha sostenuto che, alla luce del fatto che oggi tutte le componenti del messaggio comunicato dal marchio, e non solo quelle materiali, sono rilevanti ai fini dell’estensione della tutela del marchio stesso, sarebbe opportuno far corrispondere la diretta rilevanza di tali componenti <<anche agli effetti della valutazione dell’ingannevolezza>>46. Il ragionamento concerne in particolar modo i prodotti di moda (ma non è limitato ad essi) rispetto ai quali le caratteristiche per così dire “immateriali”, legate da un lato alla paternità, dall’altro alla coerenza nello stile, ricoprono un ruolo decisivo per i consumatori. Proprio a questo riguardo, l’Autore sostiene l’importanza di un’interpretazione delle norme ispirata ai principi di concorrenza e di tutela dei consumatori, facendo leva sul criterio, ritenuto decisivo, della “percezione del

pubblico”47.

44 Corte di Giustizia CE 30 Marzo 2006, causa C-259/04, cit., punto 48.

45 Corte di Giustizia CE 30 Marzo 2006, causa C-259/04, cit., punto 50.

46 C. GALLI, Marchi comunitari, cit., p. 191.

122 Passando dal piano della teoria a quello della pratica, si comprende come le garanzie non presentino per tutti i marchi lo stesso grado di sicurezza: di norma, per evitare l’inganno che potrebbe derivare dal trasferimento, è necessario rendere nota al pubblico la separazione del marchio dal precedente titolare <<e la mancata cessione unitamente ad esso degli elementi materiali o immateriali>>48

che siano rilevanti per il pubblico. Bisognerà quindi verificare in ogni caso se la garanzia sia idonea a procurare un trasferimento valido.