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2. Blonde: ricostruzione del self oltre il mito

2.2. Genesi e struttura di Blonde

Il rischio di dimenticare la figura di Marilyn Monroe è, in teoria, inesistente, per questo motivo, il motore che aveva dato vita a Black Water non può essere lo stesso di Blonde. La biografia dell’attrice, con tutti i suoi misteri e le sue contraddizioni, è nota a tutti, e i film da lei girati rappresentano uno specchio immortale di ciò che era. Quindi cosa ha spinto Oates a scrivere l’ennesima biografia su un soggetto ipersfruttato come quello di Monroe? In parte, le stesse ragioni che l’avevano portata a raccontare la storia di Mary Jo Kopechne poco meno di dieci anni prima. E come in quel caso, la scrittrice ha dichiarato di non aver scritto un libro su Marilyn Monroe, ma su una “universal figure”267. Non a caso il titolo del romanzo si riferisce semplicemente al suo iconico colore di capelli, e viene ripreso più volte nella narrazione in terza persona, quando Oates chiama il suo personaggio non per nome ma solo “the blond actress”. Si tratta di una figura che, come scrive Gavin Cologne Brookes, incorpora in sé altri miti del ventesimo secolo, figure di donne carismatiche che nascondevano invece enormi fragilità e conflitti interiori, altre celebri “bionde” rimaste nella storia, da Eva Peron a

265 Nell’introduzione Oates fa riferimento a un gran numero di biografie sull’attrice: The Life and

Death of Marilyn Monroe di Fred Lawrence Guiles (1985), Goddess: The Secret Lives of Marilyn Monroe di Anthony Summers (1986), Marilyn Monroe: A Life of the Actress di Carl E. Rollyson (1986), Marilyn Monroe di Graham McCann (1987) e Marilyn di Norman Mailer (1973).

266 Nel paragrafo dedicato alle figure maschili in Blonde, si potrà notare come il dramma di Miller sia

chiaramente ispirato alla ex moglie.

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Grace Kelly, fino a Lady Diana268. Ma non è esattamente questo l’intento di Oates nel riprendere di nuovo, all’inizio del ventunesimo secolo, la storia di una donna adorata e venerata dalle folle. E’ piuttosto quello di restituire una voce a quella parte dell’attrice che è stata nascosta e ignorata, la parte dimenticata, la “authenticity behind the image”269.

Come si è visto nel paragrafo precedente, Oates ha deciso di scrivere Blonde (inizialmente solo come novella) dopo aver visto una foto di Norma Jeane Baker a diciassette anni, prima che diventasse la bionda attrice che tutti conoscono: una ragazza normale che le ha ricordato le “girls of my childhood, some of them from broken homes”270, suscitando in lei “an immediate sense of recognition”271. Proprio questa sensazione le ha fatto realizzare che avrebbe potuto dare una nuova vita a “this lost, lone girl, whom the iconic consumer product ‘Marilyn Monroe’ would soon overwhelm and obliterate”272.

Traccia dell’interesse per la realtà dietro l’artificio del “prodotto di consumo” si può trovare in un’intervista rilasciata a Josh Grobel per il mensile Playboy dalla scrittrice nel 1993, sette anni prima della pubblicazione di Blonde:

I recently saw The Misfits on video and I was really struck by Marilyn Monroe as a kind of female impersonator. There were real women in that movie and they walked around in regular shoes, and then she would come on the screen completely confectionary, her hair, her manner, her walk, her physical being. It was as if she were a female impersonator in a way that we don’t experience women now- stuffed into a dress, teetering on high heels273.

E’ un contrasto molto forte con la ragazza normale e sorridente vista in foto. E’ per questo che Oates intende ricordare la donna e non la “female impersonator”, un essere artificiale che non necessita di ulteriori rievocazioni. Perché come scrive Ebert, di lei si

268 Cologne-Brookes, Dark Eyes on America, The Novels of Joyce Carol Oates, cit., p. 216. Cologne-

Brookes riprende il concetto espresso da Oates sull’universalità del personaggio Monroe e sostiene che le caratteristiche che le vengono attribuite nel romanzo (capelli biondi, bellezza, successo, problemi psicologici e dipendenze) possono essere adattate, con le dovute differenze, alle altre donne da lui citate.

269 Ibidem, p. 218.

270 Oates, “Blonde Ambition”, cit., p. 144. 271 Ibidem.

272 Ibidem.

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ricorda “the smiling, glitzy, ditzy Marilyn Monroe of the photographers and the magazine covers and the movie posters”274, è solo “this Marilyn, split from the bone core of the real Marilyn by means of the camera eye, who will be adored by the future275”.

La “resurrection of the dead”, che Oates attua (della donna piuttosto che dell’icona), si serve di varie strategie che ne raccontano la vita archetipica276, “deconstructed and then reconstructed into a new mythical mode”277. Oates non riprende l’intera biografia di Marilyn, ma si serve piuttosto solo di alcuni episodi con valore simbolico. Come scrive nella nota introduttiva di Blonde, in tutto il romanzo “synecdoche is the principle of appropriation”278: delle tante famiglie adottive in cui l’attrice ha vissuto, la scrittrice ne sceglie solo una, e lo stesso vale per i suoi tanti amanti (alcuni di loro, come Robert Kennedy, non vengono neanche menzionati), per gli aborti, per i film e per i tentativi di suicidio. Curiosamente, viene dato grande valore e spazio ad una relazione che probabilmente non ha neanche avuto: il ménage a trois tra lei, Charlie ‘Cass’ Chaplin Jr. e Eddy G. Jr. A questa relazione, Oates conferisce un valore simbolico. I tre si autodenominano, nel romanzo, “the Gemini” (perchè sono tutti e tre del segno dei Gemelli), e sono i primi uomini che sfruttano e poi tradiscono Marilyn. L’intento è quello di evocare “a poetic, spiritual, “inner” truth”279, non essendo Oates interessata a scrivere un libro puramente biografico o storico280. Inoltre, come si vedrà successivamente, anche i mariti “celebri” del personaggio, e il Presidente Kennedy, non vengono considerati personaggi storici ma individui mitici281, che assumeranno i nomi dei loro ruoli (“The Ex-Athlete” per Joe Di Maggio, “The Playwright” per Arthur Miller e “The Prince” o “The President” per John Fitzgerald Kennedy) e non quelli reali. Il testo, preceduto da una Author’s Note, inizia con un prologo che si svolge la sera del 3 agosto 1962, il giorno prima della morte di Marilyn. In seguito, la vita dell’attrice viene divisa in cinque sezioni, corrispondenti ad altrettante fasi della sua esistenza: The

274 Ebert, Dead Celebrities, Living icons: Tragedy and Fame in the Age of Multimedia Superstar, cit.,

p. 65.

275 Ibidem.

276 Oates, “Blonde Ambition”, cit., p. 144.

277 John De Vito, Frank Tropea, The Immortal Marilyn, The Depiction of an Icon (Lanham: The

Scarecrow Press Inc., 2007), p. 66.

278 Oates, Blonde, cit., p. ix.

279 Oates, “Blonde Ambition”, cit., p. 148. 280 Ibidem.

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Child 1932-1938, The Girl 1942-1947, The Woman 1949-1953, ‘Marilyn’ 1953-1958, The Afterlife 1959-1962.

Le sezioni, apparentemente “canoniche” per una biografia, sono in realtà composte da capitoli che ne rivelano la natura del tutto multiforme; infatti sono intitolati spesso con i nomi dei personaggi interpretati da Monroe sullo schermo (come “Rose 1953”, in The

Asphalt Jungle, o “Roslyn 1961”, in The Misfits) e nella vita (come “Little Wife”,

riferito al primo matrimonio con James Dougherty/ Bucky Glazer, o “Pinup 1945”, sull’inizio della sua carriera di modella).

I generi utilizzati sono molteplici. Oates spazia dalla tradizionale terza persona singolare, tipica della biografia, al romanzo storico, che irrompe nella storia per raccontare gli eventi americani contemporanei alla vita dell’attrice, fino alla fiaba che, come si vedrà in seguito, risulta essere il genere più adatto a descrivere la mutazione, anche fisica, del personaggio. Tutti questi generi si fondono per creare quello che Oates stessa ha definito “posthumous memoir”, il quale le permette, paradossalmente, di mantenere una certa distanza dalla storia raccontata, ricreando idealmente “how an individual might feel dreaming back over his or her own life at the very conclusion of that life” ed entrando in una “abstract, communal, ‘posterity’”282. Si tratta naturalmente di un memoir immaginario, definizione che Norman Mailer aveva già dato al suo “set of interviews that never took place between Marilyn Monroe and Norman Mailer”283:

On Women and Their Elegance. L’obiettivo dello scrittore nel comporre il suo memoir

era cercare di capire il soggetto284. E l’unico modo per capire, secondo Ricoeur, è proprio interpretare285, attraverso un collage di interviste mai realizzate, come nel caso di Mailer, o con un memoir fittizio, come nel caso di Oates. E’ probabilmente per questo motivo che, come scrive Sarah Churchwell, “the ‘Marilyn’ persona seem especially suited to hybrid works that cross conventional boundaries of genre, compounds of fact, fiction and fantasy”286. Oates con Blonde fa proprio questo, “explodes lines between biography and memoir, reader and writer”287, e crea, come in

Black Water, un’opera composta da più generi.

282 Oates, “Blonde Ambition”, cit., p. 145.

283 Norman Mailer, On Women and Their Elegance (New York: Simon & Schuster, 1980), p. 285. 284 Ibidem.

285 Paul Ricoeur, “The Symbol…Food for Thought”, Philosophy Today, (Fall 1960), p. 204. 286 Sarah Churchwell, The Many Lives of Marilyn Monroe (London: Granta Books, 2004), p. 83. 287 Clara Juncker, Circling Marilyn Text Body Performance (Odense: University Press of South

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