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3. My Sister, My Love: Memoria, oblio e critica sociale

3.2. Genesi e Struttura

In un’intervista rilasciata a Greg Johnson nell’ottobre del 2008, Oates ha spiegato perché ha scelto di ispirarsi proprio al caso Ramsey per il suo romanzo My Sister, My

Love:

My primary motive in choosing this case is that it remains unsolved; also, it involves the exploitation of a young child by her mother in a way that seems to me emblematic of such exploitation generally in our time467.

465 Douglas, Olshaker, The Cases that Haunt Us, cit., p. 269. 466 Ibidem.

467 Greg Johnson, “A Conversation with Joyce Carol Oates”, My Sister, My Love (London: Fourth

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L’interesse per questo omicidio era nato nella scrittrice poco meno di dieci anni prima, quando aveva recensito per The New York Review of Books alcuni testi sull’argomento. Una sua riflessione in merito a queste pubblicazioni, e al gusto generale per le “true crime stories”, anticipa di fatto la scelta di scrivere un romanzo sull’uccisione di JonBenét Ramsey:

Perhaps, in the fact-obsessed late twentieth century, the most palatable fictions are those that aren’t really fictional but rather “facts” audaciously reinvented in the language of gifted writers. For what is “reality” except as it is presented through language?468

All’uscita di questo articolo, Oates aveva già pubblicato Black Water, e stava per dare alle stampe Blonde. Entrambi questi romanzi, come si è potuto notare nei capitoli precedenti, si prestano ad una lettura di questo tipo, e lo stesso si può dire di My Sister,

My Love.

Scrivere del crimine, soprattutto di un omicidio, per Oates è “always interesting”, ma il rischio è che ciò “never accomplishes anything else- one act, one crime, one glorious killing […]469”. E’ un rischio che la scrittrice non intende correre nel produrre un romanzo sul caso Ramsey, poiché suscita elementi di riflessione che vanno ben oltre il mistero di un caso irrisolto. Scrivere di JonBenét le permette di soffermarsi sullo sfruttamento che la madre ne fa attraverso la partecipazione ai concorsi di bellezza, perché si tratta di uno sfruttamento generalizzato, tipico della nostra epoca. Come era accaduto nel racconto del Chappaquiddick Incident, o della vita di Marilyn Monroe, Oates intende conferire un carattere universale ed emblematico anche a questa storia. Con un elemento in più: la giovanissima età della vittima. “When you’re a young person- aveva dichiarato anni prima in un’altra intervista rilasciata a Greg Johnson- you just don’t have any power, especially when a person in authority does something to you470”. E’ proprio questa vulnerabilità che la scrittrice intende evidenziare nel suo romanzo, la ragione di questa nuova “resurrection of the dead”.

Oates ammette di essersi ispirata al caso in questione, ma afferma, nella nota introduttiva al romanzo, che “it is a work of the imagination solely and lays no claim to

468 Oates, “The Mystery of JonBenét Ramsey”, cit., p. 31.

469 Joyce Carol Oates, “Fiction Chronicle”, Hudson Review (No. 22, Fall 1969), p. 534.

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representing actual persons, places or historical events”. In realtà, l’operazione compiuta dall’autrice è quella di cambiare solo in parte i fatti, i nomi e i luoghi della storia, fornendo probabilmente la sua idea di come siano andate le cose. La voce di cui si serve per questo intento, non è ovviamente quella della giovane vittima (che nel romanzo ha il fatidico nome di Bliss, “benedizione”, con un ovvio riferimento religioso) e neanche quella dei suoi genitori. A raccontare i fatti, dieci anni dopo che si sono svolti, in un memoir, è il quarto membro della famiglia, il fratello maggiore di Bliss, Skyler. I nomi dei personaggi principali vengono modificati, ma in alcuni casi mantegono una certa somiglianza con quelli originali. Il cognome della famiglia della vittima è infatti “Rampike”, che ha una certa assonanza con “Ramsey”, e quello della madre è Betsey, che assona con Patsy. Al padre viene dato il nome di Bruce, ma tutti lo chiamano Bix. Oates modifica in parte anche l’attività principale della bambina, che non è più solo quella di gareggiare in concorsi di bellezza, ma in competizioni di pattinaggio.

Anche i luoghi e le date sono leggermente modificati, l’omicidio infatti non si svolge più nella notte tra il 25 e il 26 dicembre del 1996, ma tra il 28 e il 29 gennaio del 1997. Il luogo non è più la cittadina di Boulder, ma il sobborgo di Fair Hills471, New Jersey, geograficamente opposto alla costa orientale, dove il vero omicidio ha avuto luogo. Il memoir che Skyler scrive per il decimo anniversario della morte della sorella, espone i suoi intenti fin dalla prima pagina. Il narratore lo definisce “a ‘unique personal document’- not a mere memoir but (maybe) a confession” (p. 4). Infatti, la ripetizione degli eventi di dieci anni prima ha come obiettivo non solo di raccontare la vita di Bliss Rampike, e quindi di ricordarla, ma anche di capire cosa sia realmente successo nella notte in cui è morta. E’ per questo motivo che Skyler spiega fin da subito che non seguirà un criterio lineare e cronologico, ma piuttosto un “pathway of free association”. La frase di apertura del memoir ne fornisce una chiave interpretativa:

DYSFUNCTIONAL FAMILIES ARE ALL ALIKE. DITTO “SURVIVORS”. (MS, 4)

Si tratta di una citazione, capovolta, della prima frase del romanzo di Lev Tolstoj Anna

Karenina472. In questo caso il narratore utilizza il termine “dysfunctional”, che non solo

471 Si tratta probabilmente di una parodia del sobborgo di Far Hills, non molto lontano da Princeton,

dove Oates vive.

472 Lev Tolstoj, Anna Karenina (Roma: Newton & Compton, 1996), p. 21: “Le famiglie felici si

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descrive, come si vedrà in seguito, la condizione della famiglia Rampike, ma anche la narrazione stessa.

Nel saggio “Dysfunctional Narratives: or: ‘Mistakes Were Made’”, Charles Baxter dà la sua definizione del termine:

A structural unit (like the banking system, or the family, or narrative) whose outward appearence is intact but whose structural integrity has been compromised or has collapsed473.

La definizione può essere applicata al memoir di Skyler per la sua mancanza di una logica lineare e persino di un’idea iniziale di come si concluderà. La narrazione non può non essere disfunzionale, visto l’evento che la produce. Sempre Baxter dà la definizione di narrazione disfunzionale:

One of the signs of a dysfuncyional narrative is that we cannot put it to rest, because it does not, finally, give us the explanation we need to enclose it. We don’t know who the agent of the action is. We don’t even know why it was done474.

Si tratta di caratteristiche assimilabili al crimine di cui Skyler parla. All’inizio del

memoir non sa chi sia stato a commetterlo e perché. Solo verso la fine, la narrazione e

il caso arriveranno al loro naturale scioglimento, ma perché ciò si compia, il narratore dovrà ripercorrere l’intera storia, passare attraverso una fase di memoria, di lotta all’oblio e infine di perdono475.

L’analisi del romanzo sarà effettuata non solo sul piano del genere e dello stile, ma si rivolgerà anche al modo in cui Oates ha delineato, attraverso la narrazione del protagonista, le varie fasi del ricordo e dell’elaborazione del lutto secondo la prospettiva ricoeuriana. Si focalizzerà inoltre sul genere non solo nelle sue caratteristiche formali, ma anche come modo per realizzare una risignificazione retroattiva del passato476.

473 Charles Baxter, “Dysfunctional Narratives: or: ‘Mistakes Were Made’”, Burning Down the House,

Essays on Fiction (Minneapolis: Graywolf Press, 1997), p. 11.

474 Ibidem, p. 7.

475 I tre concetti sono espressi da Paul Ricoeur in Memory, History, Forgetting.

476 Il concetto di risignificazione retroattiva è espresso da Luis Kancyper nel saggio “Cos’è il

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