2. Blonde: ricostruzione del self oltre il mito
2.4. Lo stile di Blonde
Come affermato nel paragrafo precedente, in Blonde si incastrano da più generi che permettono alla sua autrice di dare un ritratto completo di Marilyn Monroe. Attraverso vari punti di vista, quello interiore della protagonista, e quello esterno degli altri personaggi, non escludendo il background storico, Oates riesce a parlare di lei e della sua epoca senza focalizzarsi su un unico punto di osservazione. Naturalmente, ad un romanzo così multisfaccettato, non poteva non corrispondere uno stile altrettanto variegato.
Come era già accaduto in Black Water, anche in Blonde il polo di attrazione dell’intera vicenda è il finale, che compare all’inizio del romanzo sotto forma di un prologo ambientato il 3 agosto 1962, il giorno prima della morte di Marilyn. E’ proprio la morte a scandire l’intero prologo, dato che, secondo Ricoeur, “[death] marks, so to speak, the absent in history”337. La formula “There came Death” viene reiterata varie volte nelle tre pagine iniziali, in una forma del tutto impersonale che cattura frammenti della scena circostante. La morte, che viene simboleggiata da una “special delivery” consegnata all’attrice da un fattorino in bicicletta, ad ogni ripetizione della formula si avvicina sempre di più, fisicamente, al soggetto del romanzo:
There came Death hurtling along the Boulevard in waning sepia light.
There came Death flying as a children’s cartoon on a heavy unadorned messenger’s bicycle.
There came Death unerring. […]
There came Death expertly threading his graceless bicycle through traffic at the intersection of Wilshire and La Brea where, because of street repair, two westbound Wilshire lanes were funeled into one. […]
There came Death undeterred by the smoggy spent air of Los Angeles. […] There came Death so matter-of-fact. […]
There came Death unexpectedly into Brentwood! […]
There came, in the early evening of August 3, 1962, Death ringing the doorbell at 12305 Fifth Helena Drive. (Bl, 3-5)
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La formula fissa e ripetuta, viene accompagnata da verbi e aggettivi che danno l’idea del movimento compiuto dal fattorino che si avvicina sempre di più alla casa dell’attrice. “Hurtling”, “flying” e “threading” esprimono la velocità della bicicletta nel testo, e il percorso compiuto per le strade di Los Angeles per arrivare inesorabilmente a Brentwood, dove Monroe viveva, è fornito dalle precise coordinate topografiche inserite dall’autrice. L’idea dell’inevitabilità di questa morte, nonostante arrivi “unexpectedly”, è espressa dagli aggettivi “unerring” (“infallibile”) e “undeterred” (“imperterrito”).
Il fatto che Oates inizi il romanzo dal finale, come aveva fatto con Black Water, le permette però di conferire un’architettura del tutto diversa a Blonde. Se infatti nel romanzo precedente il finale veniva ripetuto ossessivamente, ogni volta con elementi diversi e sempre più approfonditi sullo stato d’animo della ragazza morente, qui i piani temporali sono piuttosto netti, proprio come in una normale biografia. La successione del tempo è, per usare un termine ricoeuriano, quella oggettiva, e scorre seguendo la vita dell’attrice. Il caos di questa esistenza, e soprattutto di questo self, viene reso più nel linguaggio (spesso collegato ad uno dei generi usati) che nell’uso dei piani temporali. Il tempo segue il plot, che formalmente viene definito da Ricoeur come “an integrating dynamism that draws a unified and complete story from a variety of incidents”338. Nel caso di Blonde, si può affiancare a questa definizione anche il suo unificare una varietà di stili e di voci. Infatti, come si è già detto in precedenza, si tratta di un romanzo polifonico in cui la “single and unified authorial consciousness”339 scompare, per lasciare spazio ad un narratore che piuttosto “becomes a plurality of centers of consciousness irreducible to a common denominator”340. Il primo di questi “centers of consciousness” è quello della protagonista, la cui voce irrompe nel bel mezzo della terza persona autoriale. Si tratta dei pensieri e dei giudizi dell’attrice sulle varie situazioni raccontate. Il “quoted monologue” viene definito infatti da Ricoeur come uno degli strumenti privilegiati per immaginare i pensieri di un personaggio, fittizio o meno341. Gli esempi di questa pratica sono molteplici, ma ne verranno presi in esame solo alcuni.
338 Ricoeur, Time and Narrative (vol.2), cit., p. 8. 339 Ibidem, p. 96.
340 Ibidem. 341 Ibidem, p. 90.
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Queste incursioni della voce della protagonista si dividono in due tipi: il monologo interiore e la narrazione al passato.
Un esempio di monologo interiore è il seguente:
Was she going to disappoint this good man, too? Break his heart?
I guess I am a tramp…I don’t want to be! (Bl, 512)
La parte in corsivo è quella corrispondente alla voce di Monroe, e riprende il pensiero dell’attrice nel momento in cui viene prodotto, quindi al tempo presente, in contrapposizione con il past tense usato nella narrazione principale.
L’altra modalità in cui Oates fa emergere la voce di Marilyn è attraverso la narrazione al passato:
There was some fumbling then with the wedding band but it fitted Norma Jeane’s icy finger perfectly, and Mrs. Glazer with her customary foresight had made sure that Norma Jeane’s engagement ring had been shifted to her right hand, so that part of the ceremony went smoothly. So scared. I wanted to run away. But where? (Bl, 194)
A differenza del brano precedente, in questo la protagonista riflette sul suo passato come se lo avesse davanti agli occhi e lo stesse commentando in modo postumo. L’uso del past tense è comune sia alla narrazione principale che ai commenti di Marilyn, che appaiono appunto come una riflessione, vista l’ellissi di “I was” nella prima frase, e della domanda retorica posta alla fine (“But where”?).
Le voci appartenenti agli altri personaggi seguono in qualche modo lo stesso meccanismo, ma hanno gradi diversi di vicinanza con la protagonista. I commenti delle persone più lontane emotivamente da lei, quelle che ne parlano al passato, sono strutturati come frammenti di interviste postume, spesso corali e contraddistinte dall’uso di “we”. Ad esempio, il capitolo “Freak” contiene i commenti dei compagni del corso di recitazione, personaggi anonimi e senza identità:
It wasn’t acting, what she did. It was deeper than acting. It was crude, it was too raw. We were taught technique primarily. To simulate an emotion, not to be the bearer of the emotion. Not to be the lightning rod through which an emotion breaks loose into the world. She scared us, and that’s hard to forgive. (Bl, 255)
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La lunghezza limitata dei periodi simula un discorso parlato ed elaborato sul momento, come se fosse la risposta ad una domanda. Il tempo passato evidenzia invece la natura postuma di queste dichiarazioni.
Il monologo interiore di alcuni personaggi, quelli più vicini all’attrice, viene riportato al tempo presente e al momento in cui viene prodotto. Come nel caso del primo marito Bucky Glazer:
The stumbling way like a sleepwalker she moved toward him, then stopped stricken with shyness, half smiling, stammering her name. Just a kid. But Jesus, look at her.
That figure! (Bl, 174)
Anche in questo caso, il tempo presente, in contrasto con il passato della narrazione principale, il punto esclamativo finale, e il lessico del tutto colloquiale ed ellittico, ricreano la spontaneità del pensiero del ragazzo nell’incontrare per la prima volta la sua futura moglie.
I dialoghi sono un altro modo in cui Oates fa esprimere la protagonista e i personaggi che le gravitano intorno. Non sempre però si tratta di dialoghi tradizionali, espressi quindi con le tipiche virgolette, ma di conversazioni immerse in un’atmosfera più opaca, quasi a voler riprodurre l’illusione del ricordo sfocato della protagonista di quei momenti.
It was my fault! My fault Grandma died. Don’t be ridiculous. It was nobody’s fault. I wouldn’t come when she called me! I was bad. Look, it was God’s fault. Now go back to sleep. Mother, can she hear us? Can Grandma hear us? Christ, I hope not!
It’s my fault what happened to Grandma. Oh, Mommy-
I am not Mommy, you disgusting little idiot! Her number came up, is all. (Bl, 57)
Si tratta di un dialogo che Norma Jeane ebbe con sua madre Gladys dopo la morte di sua nonna. Oltre all’uso del corsivo, si può notare la mancanza delle virgolette o di espressioni come “she said”. Chi pronuncia le diverse frasi si riconosce solo dalla disposizione tipografica di queste sulla pagina, come in un continuum fra le due voci, come se fosse un ricordo in dissolvenza.
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Più avanti, nel raccontare il matrimonio tra Marilyn e Arthur Miller, nel capitolo “The Playwright and the Blond Actress: the Seduction”, Oates estende questa tecnica per circa otto pagine di dialoghi tra l’attrice e il drammaturgo, e rivela, solo alla fine di queste pagine, la vera natura di quei dialoghi per bocca della stessa Marilyn: “This play
that was his life” (p. 647). Le conversazioni tra i due coniugi, che sono spesso
discussioni teoriche sulla loro relazione, possono essere equiparate a copioni teatrali senza stage directions e ancora, senza l’esplicita indicazione di chi pronuncia una determinata frase. Questo genere di elementi formali compaiono solo più avanti in un dialogo tra Miller e il medico che cura Marilyn dopo un aborto spontaneo:
DOC: Mr --- , I’m afraid I don’t have very good news for you. Y: What- is it?
DOC: Your wife will recover from the miscarriage though there may be occasional pain & spotting. But…
Y (trying to remain calm): Yes, Doctor?
Doc: I’m afraid her reproductive organsuterus is badly scarred. She’s had too many abortions-
Y: Abortions?
DOC (embarrassed, man-to-man): Your wife…seems to have had a number of rather crude abortions. Frankly, it’s a miracle she ever conceived at all.
Y: I don’t believe this. My wife has never had- DOC: Mr ---, I’m sorry.
Y exits (quickly? Slowly? A man in a dream) LIGHTS DOWN (not blackout)
END OF SCENE (Bl, 832)
Questo brano contiene tutte le caratteristiche formali del copione, comprese le stage
directions e i nomi, dei personaggi che recitano le battute. Ma non si tratta
semplicemente di un copione, quanto di un work-in-progress che si caratterizza come tale per via della cancellatura su “reproductive organs” (sostituito poi con “uterus”) e della parentesi che dovrebbe definire l’uscita di scena di Y (The Playwright), in cui l’autore si chiede se questa uscita sia veloce o lenta.
L’inserimento di questo brano, così configurato, si ricollega non solo alla professione di Arthur Miller, ma soprattutto alla reiterata richiesta della moglie:
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You won’t ever write about me, will you? About us. Darling! Of course not.
Because we’re special, aren’t we? We love each other so much. You couldn’t ever make anybody understand…how it is between us. Darling, I would never ever try. (Bl, 627)
La scrittura di un copione che parla di Marilyn è il modo in cui Oates spiega che quella promessa fatta non è poi stata mantenuta da Miller. Infatti il drammaturgo ha scritto della defunta ex moglie nel play After the Fall, che Oates decide comunque di non citare. Tuttavia, l’inserimento di un frammento di copione inventato sostituisce, simbolicamente, l’atto in sé.
Come mostra questo brano, in Blonde sono presenti diversi registri linguistici. Tra questi vi è il linguaggio cinematografico, ma non, come si potrebbe inferire in modo scontato, solo per parlare della carriera di Marilyn. La metafora cinematografica fa la sua prima comparsa, proprio come metafora, in una frase pronunciata da Gladys:
“Ignore your grandmother, dear. She is silent film and we are talkies”. (Bl, 15)
L’equiparare la nonna ad un film muto, contrappone Gladys e la figlia ad un cinema vecchio e quindi ormai fuori moda, dato che la donna si autodefinisce, con Norma Jeane, “talkies” (film con sonoro).
Più avanti, verso la fine del romanzo, è la stessa Marilyn a tracciare la distinzione tra il cinema e la vita:
Any scene (so long as it’s a scene and not life) can be played. Whether well or badly it can be played. And it won’t last more than a few minutes. (Bl, 902)
La riflessione scaturisce dal momento in cui l’attrice prende coscienza di dover recitare una parte, quella della “famous blond actress” con il Presidente Kennedy, e di non poter aspirare ad avere un amore vero con lui.
Un cambio di registro sostanziale lo si può notare anche nei numerosi inserti poetici all’interno del romanzo. Oates spiega nella prefazione che Marilyn Monroe scriveva poesie, ma che tutte quelle inserite nel romanzo sono inventate342. I frammenti presenti
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nel romanzo sono spesso dedicati agli uomini, per i quali, come si vedrà, Monroe svilupperà delle vere e proprie dipendenze affettive. Si tratta di poesie semplici e in rima, come la seguente, scritta per il primo marito:
To My Husband
My love for you is deep- Deeper than the sea. Without you, my darling, I would cease to be. (Bl, 188)
Ma non sono solo le sue poesie inventate ad apparire fra le pagine di Blonde, perché pur senza note esplicative in merito, è possibile riconoscere alcuni versi di Because I
Could Not Stop for Death di Emily Dickinson (pp. 37, 130) e la citazione fatta da Gladys
di I Heard a Fly Buzz- When I Died (p. 25). Vengono invece citate con i loro autori
Upon the Infant Martyrs di Richard Crashaw e They Are All Gone into the World of Light di Henry Vaughan (p. 345).
Il tema unificante di tutte queste poesie è quello della morte, e la poesia di Vaughan verrà ripresa nel titolo dell’ultimo capitolo, “We Are All Gone Into the World of Light”. L’aver citato quattro poesie con questo tema dimostra quanto l’intuizione ricoeuriana sul finale come “polo d’attrazione dell’intera vicenda” sia una regola applicabile anche a questo romanzo. Persino nella narrazione dei momenti più radiosi, qualche traccia ricorda sempre gli eventi drammatici del finale.
I riferimenti di tipo poetico non sono gli unici presenti in Blonde. Una citazione di Sigmund Freud sulla bellezza (tratta da Civilization and Its Discontents) è posta come epigrafe della sezione “The Woman, 1949-1953” (p. 275) a sottolineare il periodo di maggiore splendore fisico dell’attrice, mentre più avanti, come epigrafe del capitolo “Für Elise”, è presente una citazione tratta da An Actor Prepares di Constantin Stanislavski:
“Always you must play yourself. But it will be an infinite variety” (p. 509).
La presenza di questa frase, e del capitolo che segue, dimostra quanto queste citazioni svolgano la loro funzione di epigrafi. Il capitolo in questione tratta proprio di come Marilyn vede se stessa e di come la vedono gli altri.
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Il modo in cui l’attrice è vista al di fuori viene espresso, come già si è potuto notare, dalle voci dei personaggi che le gravitano intorno. Ma a fare da corredo a queste voci c’è quella determinante e ben più insistente della stampa.
La scelta di Oates a servirsi della stampa, soprattutto scandalistica, e dei suoi titoli sensazionalistici, raggiungerà il culmine in My Sister, My Love, ma anche in Blonde se ne può trovare più di una traccia. I titoli dei giornali che per primi si trovano nella narrazione non riguardano strettamente il personaggio Monroe. Il primo riguarda la morte di Aimee Semple McPherson, un’evangelista, fondatrice della Foursquare Gospel Church di Los Angeles, morta nel 1944, probabilmente per overdose.343 L’inserimento della notizia (“EVANGELIST MCPHERSON DIES, CORONER RULES DRUG OVERDOSE”344) ha molteplici funzioni. Per prima cosa, Oates spiega subito dopo che Norma Jeane era stata battezzata proprio nella chiesa fondata dalla McPherson, e solo più tardi pone l’accento sul fatto che la sua morte, incredibilmente, sembra essere un suicidio (p. 225). Un ovvio collegamento con la morte di Monroe. Successivamente, i titoli riportati saranno interamente dedicati al lato scandalistico della vita dell’attrice:
NUDE CALENDAR PIX MARILYN MONROE?
Denial by the Studio
‘We Had No Knowledge’ Claim Execs (Bl, 383)
Il linguaggio e l’aspetto grafico dei titoli sono tipicamente quelli delle riviste scandalistiche. Lo stile nominale del titolo e l’uso di “pix” e “execs” (invece di “pictures” ed “executives”) rimandano alle forme classiche del giornalismo dei tabloid. Oates inventa persino una rubrica tenuta da un certo Leviticus (“gossip columnist […] known for his cruel wit and scandalous revelations”345) su Hollywood Confidential, dove scrive una lettera aperta a Marilyn proprio riguardo al già citato calendario:
Dear ‘Miss Golden Dreams 1949’,
You are indeed ‘Miss Sweetheart of the Month’. Or any month.
343 Judith Robinson, Working Miracles, The Drama and Passion of Aimee Semple McPherson
(Toronto: James Lorimer & Company Ltd. Publishers, 2008), pp. 104-105.
344 Oates, Blonde, cit., p. 224. 345 Ibidem, p. 536.
101 You are indeed a victim of our culture’s mercenary exploitation of feminine innocence. You are one of the lucky ones: you will go on to flourish in a movie career. Good for you!
Yet, know: you are more beautiful and desirable even than ‘Miss Marilyn Monroe’- and that is saying a mouthful! (Bl, 536)
L’invenzione di questa rubrica, e l’inserimento in particolare di questa lettera, mirano a delineare, specialmente con l’osservazione sullo sfruttamento mercenario dell’innocenza femminile, quella che era probabilmente la temperie culturale dell’epoca, e sono, di riflesso, un collegamento al già citato disprezzo per Monroe come fatto storico.
L’altro registro presente in Blonde, collegato questa volta al genere, è quello fiabesco. Le formule della fiaba accompagnano i momenti in cui Oates racconta la storia di Monroe in questa modalità:
Once upon a time. At the sandy edge of the great Pacific Ocean. There was a village, a place of mystery. Where the light was golden upon the sea surface. Where the sky was inky-black at night winking with stars. Where the wind was warm and gentle as a caress (Bl, 52)
Si tratta di uno dei numerosissimi inserti fiabeschi all’interno del romanzo, e come si può notare, racchiude molti degli elementi classici della fiaba. La formula “once upon a time” è una di queste, e anche la trasformazione di Los Angeles in un “place of mystery”. Elementi del tutto ovvi, come la luce sul mare o l’oscurità del cielo, vengono esaltati come caratteristiche specifiche di quel luogo, e insieme “remake the world in the image of desire”346.
Come si è potuto notare, lo stile di Blonde è estremamente variegato e multiforme. Obbedisce talvolta alle regole del genere (come nel caso della fiaba), e spesso all’esigenza di combinare più punti di vista sull’attrice, in modo che il suo ritratto contenga sia il punto di vista esterno che quello interiore, naturalmente immaginato. La strategia attuata da Oates, che sfocia indubbiamente in una forma caotica e discontinua, è tuttavia l’unica a poter garantire il risultato al quale aspira: la ricostruzione del self.
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