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Cos’è la crociata nella Chanson de Jérusalem? La risposta è molto complessa. L’ideologia dell’opera, come vedremo, è costituita dal confluire di più tradizioni culturali, tant’è che gli stessi crociati, nel testo, hanno idee diverse su quale debba essere la loro missione.

Secondo Daniel Poirion nelle chansons de geste francesi è presente “un’estetica della forza”, rovesciamento dell’agiografia, che esalta la virtù virile e la violenza. Sono opere i cui protagonisti sono caratterizzati dal gigantismo, dal sovrumano.237

Il gusto per l’avventura non sembra mancare nella Jérusalem. Emblematica è la reazione di Boemondo dopo l’episodio di saccheggio con cui si apre l’opera e di cui parleremo successivamente. Boemondo prova gran dolore perché avrebbe voluto combattere anch’egli contro i musulmani.

Buiemons se leva a mïenuit serie,

Grant duel ot en sor cuer – nel mescreés vos mie – Por çou que il ne fu avoec la baronie (vv. 610- 612)

Per questo Boemondo decide di dar via autonomamente ad una seconda spedizione di razzia: con 10000 cavalieri parte subito per Cesarea per un’impresa che ha tutto dell’avventura cortese.

S’ala devant Cesaire querre cevalerie (v. 626)

L’episodio di Boemondo è del tutto inventato, poiché il principe normanno si trovava ad Antiochia al momento dell’assedio di Gerusalemme: la presenza stessa di Boemondo nella

Jérusalem è dovuta alla volontà del rimaneggiatore del ciclo di raffigurare l’eroe dell’assedio di

Antiochia anche nella chanson de geste che avrebbe chiuso il ciclo.238

La definizione di Francia come roiame Karlon al verso 522 e quella di paladini per i crociati al verso 1847 sono espressione della volontà di porre la Chanson de Jérusalem in continuità con la Chanson de Roland, legandosi all’illustre precedente ed inserendo gli eroi di Gerusalemme sulla scia dell’impresa di Roncisvalle, superando, però, gli stessi paladini di Carlo per la maggiore importanza che rivestiva la Prima Crociata. Anche l’utilizzo di termini

237Daniel Poirion, Il meraviglioso nella letteratura francese del Medioevo, Torino, Einaudi, 1988, p. 20. 238Filippo Andrei, Le fonti storiche e letterarie della “Chanson de Jérusalem”, cit., p. 174.

come aventure al verso 2429 testimonia un certo gusto per l’avventuroso.

Nella Chanson de Jérusalem è poi presente la descrizione delle armi e delle armature, procedimento abituale nelle chansons de geste, che riguarda sia il contingente franco sia il contingente saraceno, ovviamente legata a valori diversi. Il ciclo di crociata sviluppa in maniera variegata il motivo, concentrandosi su diversi aspetti come luce, colori, lusso, ornamenti e solidità di armi ed armature.239

Sin dalla prima lassa l’autore magnifica le armature dei crociati.

La peüssiés veïr maint auberc fremillon, Tant vert elme laciet, tant escu a lion

Et tante bele ensegne et tant rice pegnon (vv. 18-20)

I crociati indossano splendidi usberghi, elmi verdi allacciati e scudi con leoni, e si accenna a belle insegne e preziosi pennoni.

Lo splendore delle armi caratterizza, ad esempio, la coppia epica formata da Boemondo e Tancredi.

Or cevalcent ensanble el non le Raemant, Les lances sor les fautres, les gonfanons pendant. Li escu et les armes vont grant clarté jetant,

Li ors et li argens al soleil resplendant; (vv. 294-297)

Una descrizione molto più lunga ha come protagonista Boemondo prima della sua spedizione per razziare i nemici.

Il vesti en son dos sa grant broigne trelie Et laça en son cief son elme de Pavie, Al cercle de fin or qui luist et reflanbie, Et a çainte l’espee molue et bien forbie Et pendi a son col se grant targe florie Et a pris .I. espiel u l’esnegne ballie,

Qui fu d’un rice paile qui fu fais en Surie –

Une crois i ot d’or qui luist et reflanbie. (vv. 616-623)

Al termine dell’episodio della collina di Monjoie, l’autore della Jérusalem si sofferma lungamente a descrivere e armature e le armi dei crociati. Le armature dei cristiani sono

239Magali Janet, L'idéologie incarnée. Représentations du corps dans le premier cycle de la croisade (Chanson

splendenti in maniera letterale: il fulgore che emanano illumina tutta l’area circostante, che sembra essere un secondo paradiso, grazie ai cristalli incastonati nell’oro massiccio di cui sono fatte le corazze cristiane.

Anche i drappi che decorano le armi dei cristiani sono descritti con dovizia di dettagli, secondo un gusto tipicamente cortese.

A icestes paroles se sont as caval pris: Vestus ont les aubers, laciés elmes burnis Et çaintes les espees et les bons brans forbis Et pendent a lor cols les fors escus vautis.

Li ors et li argens, li tains et li vernis, L’azurs et li sinoples qui es escus fu mis, Les pieres de cristal, qui sont en l’or masis, Rendoient grant clarté environ le païs : Avis estoit cascun qu’il fust em paradis!

Les ensegnes de paile, de cendaus, de samis Qui pendoient as lances et as espius forbis

Ondoient et ventelent al vent qui fu seris (vv. 1078-1089)

La magnificenza delle armature dei crociati viene di nuovo citata poco prima della presa di Gerusalemme.

La veïssiés mainte arme luisir et ondoier Et pegnons et ensegnes ontremont balloier

Et amont eslever, al soler flanboier. (vv. 4483-4485)

L’esaltazione delle armature dei guerrieri cristiani nelle chansons de geste serve sia a magnificare i protagonisti dell’opera sia ad intrattenere il pubblico di uditori/lettori dell’opera, secondo un motivo comune nelle chansons de geste (ricordiamo che addirittura nella Chanson

de Roland viene dato un nome alla spada dell’eroe: Durlindana). Armature splendide rivelano

immediatamente la presenza di un eroe positivo.

Questi passaggi, però, rappresentano una parte decisamente minoritaria nell’economia complessiva del racconto. Il cavaliere crociato della Jérusalem è, come i suoi colleghi degli altri cicli di chansons de geste, un eroe, ma il suo eroismo è differente da quello carolingio perché mostra elementi di originalità in quanto il suo ruolo precipuo è combattere per conquistare o difendere i luoghi marcati dalla predicazione di Cristo. È la nascita della figura

dell’eroe gerosolimitano.240

È la “nuova cavalleria”, i cui tratti sono stati delineati nel De laude novae militiae ad

Milites Templi da Bernardo di Chiaravalle,241 che propone il modello di cavaliere-monaco che

influenza, come vedremo, non poco la Jérusalem.

La spedizione verso la Terra Santa non poteva essere rappresentata, nel ciclo di crociata, come una guerra qualsiasi. Coloro che partecipavano all’iter non potevano essere raffigurati come guerrieri qualunque. L’eroismo tradizionale delle chansons de geste fatto di superuomini pronti ad uccidere il maggior numero di nemici possibile, non era più sufficiente. Quello necessario per intraprendere la crociata, appunto, è un nuovo eroismo, ispirato culturalmente dal De laude novae militiae, atto ad esaltare ma al contempo anche ammonire l’Ordine dei Templari.

Per meglio inquadrare quello che per le chansons de geste rappresenta un nuovo modello di cavaliere, presente nel ciclo di crociata, è necessario, quindi, analizzare alcuni passaggi del De laude novae militiae che ci consentiranno di meglio inquadrare l’ideologia che caratterizza i cavalieri della Jérusalem.

Dopo il prologo, il De laude novae militiae inizia col Sermo exhortatorius ad milites

Templi. Bernardo asserisce che è apparso sulla terra un nuovo genere di cavalieri, rimarcando il

luogo dove ciò è avvenuto, vale a dire la Terra Santa: descritta con una lunga perifrasi, essa è lo scenario dell’incarnazione di Gesù Cristo.

Questo nuovo genere di cavalieri rappresenta una novità assoluta sotto due punti di vista: nella medesima persona sono riunite due funzioni, sia quella di combattere con le forze materiali un avversario terreno, sia la lotta ai vizi e ai demoni.

Novum militiae genus ortum nuper auditur in terris, et in illa regione, quam olim in carne praesens visitavit Oriens ex alto; ut unde tunc in fortitudine manus Suae tenebrarum principes exturbavit, inde et modo ipsom satellites, filios diffidentiae, in manu fortium suorum dissipatos exterminet, faciens etiam nunc redemptionem plebis suae, et rursum erigens cornu salutis nobis in domo David pueri Sui.

Novum, inquam, militiae genus, et saeculi inexpertum, qua gemino pariter conflictu atque infatigabiliter decertatur, tum adversus carnem et sanguinem, tum contra spiritualia nequitiae in caelestibus. Et quidem ubi solis viribus corporis corporeo fortiter hosti resistitur, id quidem ego tam non iudico mirum, quam nec rarum existimo. Sed et quando animi virtute vitiis sive daemoniis bellum indicitur, ne hoc quidem mirabile, etsi laudabile dixerim, cum plenus monachis cernatur mundus.

Ceterum cum uterque homo suo quisque gladio potenter accingitur, suo cingulo nobiliter insignitur, quis hoc non aestimet omni admiratione dignissimum, quod adeo liquet esse

240 Alexandre Winkler, Le tropisme de Jérusalem dans la prose et la poésie (12. -14. siècle): essai sur la littérature des croisades, Parigi, Honoré Champion, 2006, p. 319.

241Bernardo di Chiaravalle, Éloge de la nouvelle chevalerie, a cura di Pierre-Yves Emery, Sources Chrétiennes n°

insolitum? (I, 1)242

Questi monaci-guerrieri, in caso di morte, ottengono la palma del martirio. Bernardo sostiene che per il templare è preferibile morire in battaglia piuttosto che trionfare e continuare a vivere, perché una santa morte è da stimare maggiormente rispetto ad una vittoria sul campo di battaglia.

Quam gloriosi revertuntur victores de proelio! Quam beati moriuntur martyres in proelio! Gaude, fortis athleta, si vivis et vincis in Domino; sed magis exsulta et gloriare, si moreris et iungeris Domino. Vita quidem fructuosa, et victoria gloriosa; sed utrique mors sacra iure praeponitur. Nam si beati qui in Domino moriuntur, non multo magis qui pro Domino moriuntur? (I, 1)243

Quello che segue, da parte di Bernardo, è un violentissimo attacco ai valori della cavalleria di quel tempo. Ciò che è al centro della sua critica è l’aspetto “mondano”, lo sfarzo con cui si agghindano i cavalieri, che ornano di metalli e pietre preziose le redini e gli speroni e bardano di seta i loro cavalli.

Operitis equos sericis, et pendulos nescio quos panniculos loricis superinduitis; depingitis hastas, clypeos et sellas; frena et calcaria auro et argento gemmisque circumornatis, et cum tanta pompa pudendo furore et impudenti stupore ad mortem properatis. Militaria sunt haec insignia, an muliebria potius ornamenta? Numquid forte hostilis mucro reverebitur aurum, gemmis parcet, serica penetrare non poterit? (II, 3)244

Non a caso, come vedremo nelle prossime pagine, i crociati della Jérusalem, eccettuati i cosiddetti chétifs, i cavalieri sfuggiti dalla prigionia musulmana, sono in effetti caratterizzati da quella sobrietà ivi descritta.

Anche le motivazioni che spingono i cavalieri a combattere sono oggetto di scherno da parte di Bernardo: si tratta, secondo il cistercense, di ragioni frivole, poiché i cavalieri sono mossi dall’ira, dal desiderio di gloria o dalla brama di ricchezze.

Super haec omnia est, quod armati conscientiam magis terret, causa illa nimirum satis levis ac frivola, qua videlicet talis praesumitur et tam pericolosa militia. Non sane aliud inter vos bella movet litesque suscitat, nisi aut irrationabilis iracundiae motus, aut inanis gloriae appetitus, aut terrenae qualiscumque possessionis cupiditas. Talibus certe ex causis neque occidere, neque occumbere tutum est. (II, 3)

Si tratta di ragioni sicuramente vane rispetto alla difesa dei Luoghi Santi.

Seguono quindi i famosi passaggi sul “malicidio”, in cui Bernardo giustifica l’uccisione

242Ivi, p. 50.

243 Ivi, p. 52. 244 Ivi, p. 56.

dei pagani, considerandola una missione divina, ma non è ciò che ci interessa ora.

I cavalieri dell’Ordine sono lo strumento attraverso il quale viene glorificata la città di Gerusalemme, come previsto dalle stesse Scritture.

Omnino per istos tibi iam iamque illa persolvitur antiqua promissio: Ponam te in superbiam seaculorum, gaudium in generatione et generationem, et suges lac gentium, et mamilla regum lactaberis; et item: Sicut mater consolatur filios suos, ita et ego consolabor vos, et in Ierusalem consolabimini. (III, 6)245

Giungiamo quindi al punto che maggiormente ci interessa: il “De conversazione militum Templi”, vale a dire il capitolo dedicato al modo di vita dei Templari.

Bernardo prospetta per loro un vero e proprio regime cameratesco: i primi valori che indica sono disciplina e obbedienza. Ma è soprattutto la frugalità la caratteristica che ci interessa: rifuggono da tutto ciò che è superfluo sia per quanto riguarda il vitto sia per quanto riguarda il vestiario, senza famiglie al seguito.

Primo quidem utrolibet disciplina non deest, oboedientia nequaquam contemnitur, quia, teste Scriptura, et filius indisciplinatus peribit, et peccatum ariolandi est repugnare, et quasi scelus idololatriae nolle acquiescere.

Itur et reditur ad nutum eius qui praeest, induitur quod ille donaverit, nec aliunde vestimentum seu alimentum praesumitur. Et in victu et in vesti tu cavetur omne superfluum, soli necessitati consulitur. Vivitur in communi, plane iucunda et sobria conversatione, absque uxoribus et absque liberis.” (IV, 7)246

Non vi devono essere, per Bernardo, differenze di rango sociale tra i cavalieri, non vi è nobiltà di sangue. I cavalieri devono rifuggire ogni svago della vita cortese. Non devono preoccuparsi minimamente del loro aspetto, sono irsuti e coperti di polvere. Si tratta di un duro attacco allo stile di vita nobiliare coevo.

Persona inter eos minime accipitur: defertur meliori, non nobiliori. Honore se invicem praeveniunt; alterutrum onera portant, ut sic adimpleant legem Christi. Verbum insolens, opus inutile, risus immoderatus, murmur vel tenue, sive susurrium, nequaquam, ubi deprehenditur, inemendatum relinquitur. Scacos et aleas detestantur; abhorrent venationem, nec ludicra illa avium rapina, ut assolet, delectantur. Mimos et magos et fabulatores, scurrilesque cantilenas, atque ludorum spectacula, tamquam vanitates et insanias falsas respuunt et abominantur. Numquam compti, raro loti, magis autem neglecto crine, hispidi, pulvere foedi, lorica et caumate fusci. (IV, 7)247

Non è la corazza d’oro a fare il cavaliere, né sono i ricchi finimenti a fare il cavallo.

245Ivi, p. 64.

246 Ivi, pp. 66-68.

Coloro che si preoccupano di queste cose, in realtà, tralasciano il vero obiettivo, la vittoria, e pensano all’eleganza e alla gloria esteriore. Non sono degni di alcuna ammirazione. Il vero cavaliere è armato di fede e di ferro e, soprattutto, non è incline all’irrazionalità, a quella precipitazione che caratterizza gli irruenti cavalieri delle chansons de geste tradizionali, ma è caratterizzato dalla saggia prudenza dei grandi uomini di Israele.

Porro imminente bello, intus fide, foris ferro, non auro se muniunt, quatenus armati, et non ornati, hostibus metum incutiant, non provocent avaritiam. Equos habere cupiunt fortes et veloces, non tamen coloratos aut phaleratos: pugnam quippe, non pompam, victoriam, sed non gloriam cogitantes, et studentes magis esse formidini quam admirationi. Deinde non turbulenti aut impetuosi, et quasi ex levitate praecipites, sed consulte atque cum omni cautela et providentia seipsos ordinantes et disponentes in aciem, iuxta quod de patribus scriptum est. (IV, 8)248

I cavalieri devono fare totalmente affidamento a Dio, perché per il Signore non vi è cosa impossibile da realizzare: l’inferiorità numerica non è un ostacolo per il Signore degli Eserciti.

Noverunt siquidem non de suis praesumere viribus, sed de virtute Domini Sabaoth sperare victoriam, cui nimirum facile esse confidunt, iuxta sententiam Macchabaei, concludi multos in manus paucorum, et non esse differentiam in conspectu Dei caeli liberare in multis, et in paucis, quia non in multitudine exercitus est victoria belli, sed de caelo fortitudo est. Quod et frequentissime experti sunt, ita ut plerumque quasi persecutus sit unus mille, el duo fugarint decem millia. (IV, 8)249

Le caratteristiche dei Templari fanno sì che Bernardo stesso non possa scegliere un solo appellativo per essi: sono contemporaneamente monaci e cavalieri, avendo la dolcezza dei primi e il coraggio dei secondi. Ovviamente è Dio ad averli scelti per la loro altissima missione, vale a dire custodire la Terra Santa.

Ita denique miro quodam ac singulari modo cernuntur et agnis mitiores, et leonibus ferociores, ut pene dubitem quid potius censeam appellandos, monachos videlicet an milites, nisi quod utrumque forsan congruentius nominarim, quibus neutrum deesse cognoscitur, nec monachi mansuetudo, nec militis fortitudo. De qua re quid dicendum, nisi quod a Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris?

Tales sibi delegit Deus, et collegit a finibus terrae ministros ex fortissimis Israel, qui veri lectulum Salomonis sepulcrum vigilanter fideliterque custodiant, omnes tenentes gladios, et ad bella doctissimi. (IV, 8)250

Queste caratteristiche che Bernardo attribuisce ai Templari ritornano nella Regola stessa dell’Ordine. La Regola del Tempio è al contempo “antiascetica e antieroica”: essa è caratterizzata dalla discretio, dalla mancanza di esagerazioni in un senso o nell’altro, né

248 Ibidem. 249 Ivi, pp. 70-72. 250 Ivi, p. 72.

ascetismo, né esibizione della forza fisica e vanto.251 La Regola eredita da Bernardo il rifiuto dei

costumi lussuosi e dello stile di vota cortese. Il Templare è pronto a sacrificare la sua vita nella lotta contro il maligno.252 Seguendo lo stile di vita monacale, la Regola prevede l’osservanza

della pratica delle ore e della messa quotidiana.253 L’esperienza dei Templari serve a soddisfare

esigenze spirituali dell’aristocrazia laica coeva.254

Sebbene non esistano opere letterarie a gloria delle imprese dell’Ordine del Tempio,255 è

inevitabile un’influenza della Regola dei Templari sui poemi epici della crociata. Come ribadito da Flori, gli ideali della crociata divergono da quelli della cavalleria tradizionale.256 Lo stesso

Urbano II considerava i due ideali in opposizione.257

I Templari non assunsero mai del tutto i costumi delineati dal De laude novae militiae, ma l’impatto dell’opera di Bernardo nella mentalità coeva è innegabile e ciò è rintracciabile, appunto, anche nelle chansons de geste. Se Franco Cardini vede nelle opere di Chrétien de Troyes e nella ricerca del Graal un’influenza della spiritualità cistercense nella letteratura, il ciclo di crociata e, in particolar modo, la Jérusalem, mettono al centro il nuovo modello di cavaliere inaugurato da Bernardo nel De laude.

I crociati della Jérusalem aderiscono perfettamente al modello della nuova milizia inaugurato da Bernardo di Chiaravalle: essi sono ben lieti di aver lasciato dietro di sé i propri feudi, le proprie terre, le proprie case, i propri affetti e il piacere della caccia per vedere i luoghi della Passione di Gesù Cristo.

Buer avonmes laisiés nos fiés et nos païs, Nos rices manandies et nos grans edefis, Les deduis des faucons et le vair et le gris

Et nos frances molliers dont faisiens nos delis Et nos beles maisnies et nos enfans petis, Quant or veons la vile u Jhesus fu traïs,

Batus et coloiés, ferus et escopis En le saintisme crois u il fu crucefis – U il recoilli mort por nos dolans caitis,

Por nos armes fors metre des mains as anemis

Qui nos et nos ancestres avoient tos saisis! (vv. 1062-1072)

251 Alain Demurger, I Cavalieri di Cristo. Gli ordini religioso-militari del medioevo. XI-XVI secolo, Milano, Garzanti,

2007, p. 191.

252 Ivi, p. 192. 253 Ivi, p. 193.

254Ivi, p. 315.

255 Ivi, p. 201.

256 Flori, La Guerra Santa, cit., p. 296. 257 Ivi, p. 297.

Si tratta di un atteggiamento decisamente diverso rispetto ai cavalieri della Chanson de Roland, che piangono pensando agli affetti lasciati in Francia.

Puis quë il venent a la Tere Majur, Virent Guascuigne, la tere lur seignur;

Dunc l[ur] remembret des fius e des honurs, E des pulcele<s> e des gentilz oixurs:

Cel n’en i ad ki de pitét ne plurt. Sur tuz les altres est Carles anguissus: As porz d’Espaigne ad lessét sun nevold.

Pitét l’en prent, ne poet müer n’en plurt. (vv. 818-825)258

In quanto seguaci di un modello di monaci guerrieri, i crociati della Jérusalem conducono uno stile di vita in cui la sfera della sessualità non è prevista e le proprie mogli,“nos

delis”, sono lasciate con gioia al di là del mare. La Crociata, cammino di Imitatio Christi per

eccellenza, è un tempo di astinenza da qualsiasi possibile tentazione materiale, sesso in primis. Il crociato deve rispettare per tutta la durata del viaggio il voto di castità.

Non c’è spazio per l’amore e i desideri della carne nella Terra Santa. I crociati si limitano a essere nostalgico di chi ha lasciato oltremare.

Il conte Roberto di Fiandra, al termine del suo discorso sulla collina di Monjoie, cita gli