Perché una impresa voluta e guidata da Dio è costellata da questo gran numero di sofferenze, pianti e lamenti dei capi crociati? Nonostante la presenza storica di numerose difficoltà occorse ai crociati, la deformazione epica non le riduce, ma, anzi, le amplifica, dando spesso parola ai grandi leader che sottolineano la differenza tra l’arida Terra Santa e la douce
France.
Vi è, dietro quest’operazione dell’autore, un preciso disegno ideologico che occorre chiarire. I primi segnali che possono fornirci la chiave di lettura ci provengono da un gruppo di persone insospettabili: le donne.
In diverse chansons de geste le donne o sono presenti in quanto oggetto dell’amore di uno dei protagonisti o, semplicemente, sono assenti, non potendo giocare alcun ruolo attivo in un genere letterario che narra scontri bellici.
Invece la Jérusalem ribalta la situazione, rendendo le donne esseri asessuati con ruoli importanti nello svolgersi della guerra. In una chanson de geste dove la sofferenza principale è la sete, loro si preoccupano di portare l’acqua ai guerrieri. Ebbene, in una delle prime lasse, al momento della controffensiva musulmana alla razzia crociata, le donne stesse, i cui piedi sanguinano mentre camminano sulla sabbia bollente, ringraziano il Signore per la sofferenza che stanno subendo.
Et dame set puceles qui vont l’eve portant Contre lor cuers as cols tot le sablon boillant. Assez i ot de celes qui n’ont sollier cauçant: Des piés et des talons en va li sans colant.
De l’angoisse des pieres qui lor car vo[n]t trençant Damedeu en looient, le père raemant.
Del travail qu’eles suefrent vont Damedeu loant. (265-271)
La sofferenza, in effetti, può essere un modo per avvicinarsi a Dio.388
Vivere in un regime di carestia può diventare quindi una scelta: un digiuno penitenziale volontario ritenuto necessario in quello che, nonostante tutto, rimane un pellegrinaggio.
Il vescovo di Mautran invita i crociati a non scoraggiarsi di fronte alle privazioni da loro subite, perché avrebbero ottenuto, grazie alla loro impresa, la vita eterna.
Li vesques de Mautran les a a raison mis: «Baron, franc Crestïen, por Deu de paradis Ne vos esmaiés mie, mais soit l’uns l’autre amis! Se cascuns n’a ses aises, ses bons ne ses delis, En Deu aiés fïance qui vos tient por ses fis.
En glore pardurable ert fais cascun ses lis.
Tot serés coroné al grant jor del juïs. (vv. 2380-2386)
I crociati rispondono allora, a voce unanime, che sono disposti a soffrire per giorni e giorni la fame pur di prendere Gerusalemme.
Et Crestïen respondent tot ensanble a hals cris Qu’il ançois juneroient les .III. jors u les .VI.
Que Jursalem ne prendent u Dex fu mors et vis; (vv. 2388-2390)
Ed è ciò che, in effetti, succede realmente: il vescovo di Mautran indice una giornata di digiuno che avrebbe accompagnato la santa elezione di Goffredo di Buglione.
Junons, ba, hui por Deu, et si soit saintement (v. 5189)
I leader crociati non si perdono d’animo, e tutti, svestendosi dell’armatura e abbigliati come pellegrini penitenti, iniziano il digiuno.
Onques n’i ot celui par grant devosion N’eüst hauberc u haire – et ost le siglaton – U le lange u le sac par grant affliction. Junent en pain, en eve et sont en orison
Que Dex gart la cité u il prist passion. (vv. 5198-5202)
Il digiuno era in effetti prescritto nel pellegrinaggio penitenziale.389 Esso ritorna nella
Jérusalem con la stessa funzione. I crociati si preparano al miracolo divino predisponendosi al
meglio attraverso il digiuno, secondo una prassi consolidata. Inoltre il digiuno rafforza la caratterizzazione dei crociati come cavalieri umili, con l’habitus di monaci.
Allo stesso modo della nudità, il digiuno rientra negli strumenti per avvicinare i crociati a Dio, svestendoli della loro superbia e accettando la frugalità che comporta il nuovo eroismo gerosolimitano.
In questo caso la fame è consapevolmente ricercata dai crociati, non è un elemento contingente della loro spedizione armata. Essa si rende necessaria per assecondare il volere divino. Questo tipo di sofferenze “offerte” a Dio ci avvicina alla spiegazione del perché i crociati soffrano tanto nella Jérusalem. Quelle sopraelencate sono, però, sofferenze volontarie: il digiuno è voluto e deciso dai crociati, ma le sofferenze legate all’aridità del suolo, ad esempio, sono semplicemente subite in maniera passiva.
Un elemento che può farci fare un ulteriore passo in avanti nel ragionamento è il tema del martirio. La valorizzazione dei guerrieri morti in battaglia inizia per Jean Flori già nel corso
del XI secolo.390
Nel suo Libellus de symoniacis, scritto intorno al 1090, Bruno di Segni, in riferimento ai caduti dello schieramento papale nella battaglia di Civitate contro i Normanni, considera martiri i caduti in battaglia per Dio.
Preciosa est enim in conspectu Domini mors sanctorum eius. Firmissime enim credendum est et nullatenus dubitandum, quod omnes qui pro iusticia moriuntur inter martyres collocantur. Collocet eos Dominus cum principibus populi sui.391
Se prima del XI secolo erano pochi i casi in cui cristiani caduti in battaglia contro i pagani erano considerati martiri, le crociate stabilirono nella coscienza degli Europei occidentali che combattere per Cristo rappresentava una nuova strada per ottenere lo status di martire. Per tale ragione chi predicava la crociata metteva l’accento sulla possibilità dei reclutati all’iter di diventare martiri.392 Se già sotto Carlo Magno i Franchi avevano assunto il ruolo di
difensori della Cristianità, la promessa di salvezza riservata ai guerrieri caduti in battaglia arrivò solamente nell’XI secolo.
Secondo Morris il nuovo ideale del guerriero-martire è connesso al rispetto per gli uomini che servivano fedelmente il loro signore proveniente dalla mentalità germanica, lealtà che viene poi rivolta verso Cristo.393
Morris cita una canzone di reclutamento dei crociati, Jerusalem mirabilis, in cui è promesso il Paradiso a chi sarebbe morto durante la spedizione.
Illuc quicumque tenderit Mortuus ibi fuerit, Caeli bona receperit
Et cum sanctis permanserit.394
Kantorowicz, commentando questo stesso passo nel suo I due corpi del re, afferma che la credenza nell’assunzione in paradiso dei crociati, che fosse corretta o meno dal punto di vista dogmatico, era unanimemente condivisa.395
Diversi sono i passi delle Gesta Francorum dell’anonimo in cui si dice esplicitamente che i crociati ricevettero il martirio.
390 Flori, La guerra santa, cit., p. 193.
391Bruno di Segni, Libellus de symoniacis, In Monumenta Germaniae Historica, Libelli de Lite Imperatorum et
Pontificum Saeculis XI. et XII., Tomus II, Hannover, Hannoverae Impensis Bibliopoli Hahniani, 1892, p. 550.
392Colin Morris, Martyrs on the Field of the Battle before and during the First Crusade, Studies in Church History,
Volume 30, 1993, p. 93.
393 Ivi, p. 96. 394 Ivi, p. 99.
Quidam conducebant suos in domum suam, alios in Corosanum, alios in Antiochiam, alios in Aleph, aut ubi ipsi manebant. Isti primo felix acceperunt martirium pro nomine Domini Iesu.396
Fuimusque in obsidione illa per septem ebdomadas et tres dies, et multi ex nostris illic receperunt martyrium, et letantes gaudentesque reddiderunt felices animas Deo; et ex pauperrima gente multi mortui sunt fame pro Christi nomine. Qui in caelum triumphantes portarunt stolam recepti martyrii, una voce dicentes: «Vindica Domine sanguinem nostrum, qui pro te effusus est; qui es benedictus et laudabilis in secula seculorum. Amen»397
Fueruntque in illa die martyrizati ex nostris militibus seu peditibus plus quam mille, qui ut credimus in caelum ascenderunt, et candidati stolam martyrii receperunt.398
In illa denique obsidione feliciter acceperunt martyrium plures ex nostris, videlicet Anselmus de Riboatmont, Willelmus Picardus, et alii plures quos ignoro.399
In alcuni punti l’anonimo autore dei Gesta Francorum descrive anche l’ascesa in cielo delle anime dei crociati, rivestite di vesti candide, esigendo la vendetta da compiersi nei riguardi dei nemici infedeli.
Anche Alberto di Aquisgrana, la principale fonte per l’autore della Jérusalem (dopo l’Antioche stessa), parla di martirio in relazione ai crociati.
Vbi suis consilium dedit, ne aliqui eorum ullomodo a se diuiderentur, donec omnis subsequentium peregrinorum manus conueniret, et sic crastina luce sollerti prouidentia quodque periculum tutius inirent, ac pro nomine Iesu martyrium recipientes, nil tolerare dubitarent.400
Secondo Morris è la prima crociata ad aver dato un posto stabile nel pensiero occidentale all'idea del martirio associato ai guerrieri che combattevano per Cristo, come testimonierebbero le cronache sulla prima crociata che hanno iniziato a formulare tale idea.401
La Chanson de Roland, la pietra di paragone per qualsiasi altra chanson de geste, presenta già il motivo del martirio per i cavalieri morti in battaglia, oltre all’accorrere degli angeli che portano in paradiso l’anima di Rolando, una volta caduto. Ma l’importanza di questo motivo all’interno della Chanson de Roland è molto ridotta, se raffrontata alla Jérusalem.
Franco Cardini afferma nella sua introduzione alla sua edizione del De laude novae
militiae che:
La religiosità di Rolando, per sincera e sublime che sia, resta legata alla sua morte senza investire la sua intera vita; la sua è un’esistenza pagana, da eroe nibelungico, coronata da una
396 Anonimo, Le Gesta dei Franchi, p. 36. 397 Ivi, p. 54.
398 Ivi, p. 80. 399 Ivi, p. 138.
400 Albert of Aachen: Historia Ierosolimitana, cit., p. 534.
finale testimonianza cristiana sia nel pio eroismo dell’offerta della vita nel momento supremo, sia - e soprattutto - perché Rolando, morente sui picchi pirenaici con il volto verso la Spagna, muore “dalla parte giusta”, per la buona causa: e, insegna la Chiesa, causa, non poena, facit
martyrem. D’altronde, anche sul piano della poena, il trapasso dell’eroe cristiano assume il
valore di imitatio Christi: conforme all’antica tradizione martirologica, Rolando è appunto in quanto martire un alter Christus. Ma né in lui né (a maggior ragione) nei suoi meno perfetti emuli della vita reale si scorge l’esito dell’interiore travaglio della conversio: la cavalleria, alla quale “leghe di pace” e riformatori hanno consegnato una missione tanto sublime, la persegue con lo spirito impregnato ancora delle vecchie passioni, dalla violenza all’amore per la rapina, dal gusto del sangue all’avidità. In Spagna o in Siria, la guerra santa non offriva pur sempre l’attrazione di un’avventura con i suoi guadagni? «Non c'è bisogno di menare una vita dura nel più severo tra
gli Ordini - cantava il trovatore Pons de Capdoill - con fatti che danno onore, sfuggire in pari tempo all’inferno, c’è forse di meglio?».”402
La Chanson de Jérusalem costituisce la vera consacrazione del miles Christi, del combattente di Cristo, così chiamato perché muore per lui e mette al centro del suo agire la missione assegnatagli da Dio. Non sono presenti dispute feudali nella Jérusalem: l’unico obiettivo dei milites Christi è quello di riconquistare il Santo Sepolcro, essendo disposti a morire pur di realizzare ciò.
L’idea del premio del martirio per i crociati caduti in battaglia viene espressa nella
Chanson de Jérusalem già da Boemondo, quindi un laico, nel suo discorso per incoraggiare i
compagni d’arme durante la spedizione di razzia a Ramla. Cosa dice precisamente Boemondo? I caduti in battaglia per Dio riceveranno il perdono dai loro peccati nel giorno del Giudizio.
Segnor, qui ci morra s’ait la beneïçon Que Dex fist as aposteles au jor d’asention! Qui ci recevra mort s’avra le vrai pardon
Au grant jor del juïse de la solution! (vv. 716-719)
Secondo una ripetizione tipica di qualsiasi testo epico, Boemondo rimarca più volte che chi sarebbe morto in battaglia avrebbe avuto come compenso un posto in Paradiso.
Car cil qui ci morra, il avra tel loier
Qu’en paradis celestre les fera Dex couchier,
Ensamble as Innocens servir et aaisier! (vv. 761-763) Ki bien les recevra, s’arme ert et caste et pure:
Devant Deu en ira en present sa faiture! (vv. 769-770)
402 Franco Cardini, «Milites Christi. San Bernardo di Clairvaux, l’ordine templare e il “Liber de laude”», pp. 5-
144, in Bernardo di Clairvaux, Il libro della nuova cavalleria. De laude novae militiae, a cura di Franco Cardini, Milano, Biblioteca di via Senato Edizioni, 2004.
«Segnor» dist Buiemons «nel nos quier a celer – Qui por Deu reçoit mort molt par se doit
amer. En paradis celestre les fera Dex guier;
Ensanble as Innocens les fera coroner.» (vv. 771-774)
Di compenso per i caduti parla anche Pietro l’Eremita nell’episodio della collina di Monjoie, incoraggiando i cavalieri ad installare l’assedio alla Città Santa.
Car cil qui ci morra en ara tel loier
Qu’en paradis celestre les fera Dex coucier,
Ensamble as Innocens servir et aaisier! (vv. 1091-1109)
La stessa voce narrante della Jérusalem, nel rimarcare il gran numero di morti nel campo cristiano, afferma che i crociati non devono temere la morte perché chi combatte per il signore otterrà la salvezza.
Mais cil pot estre liés qui illuec devia
Car Damedex de glore le siue ame salva. (vv. 2183-2184)
A fornire la chiave di lettura per la corretta interpretazione della Chanson de Jérusalem è però il vescovo di Mautran. Come Boemondo anch’egli riconosce ai crociati il premio della vita eterna: chi cadrà per Cristo riposerà a fianco degli angeli nel Paradiso.
Cels a sainiés li vesques de Diu l’esperital: «Baron, or a l’asaut! Dex vos destort de mal! Et qui morra por lui hui ens en cest jornal, En son saint paradis li prestera ostal
Avoec saint Miciel l’angele et o saint Gabrial!» (vv. 1986-1990) Qui ci morra por Deu – bien vos puis affremer –
Li rois qui maint es cius le fera coroner, Ensanble avoec les angeles et coucier et poser. Tos les mals qu’avés fait en dit ne en penser
Vos voel jou de par Diu ci endroit pardoner». (vv. 2093-2097)
Goffredo riferisce al re dei Tafuri, affranto per la cattura di Pietro l'Eremita, che quest'ultimo sarebbe sicuramente felice se morisse per difendere Dio.
Il puet molt estre liés s'il est por Deu finés. (v. 6978)
musulmani una volta che la Città Santa è in mano cristiana: egli preferirebbe essere decapitato piuttosto che diventare prigioniero dei musulmani. Chi muore per Dio dev’essere felice, in quanto sarà incoronato in Paradiso con gli angeli.
«Le matin en istrons quant soleus ert levés, As Turcs nos conbatrons se vos le me löés. Dehé ait ki sera ça dedens enserrés – Autresi seroit prise ceste sainte cités.
Miux nos vient a honor avoir les ciés colpés Que en caitivisons en fust cascuns menés. Cil qui por Deu morra ert molt bons eürés,
El ciel avoec les angeles ert ses ciés coronés.» (vv. 7606-7613)
Vi è, però, un elemento che il vescovo di Mautran aggiunge nel suo discorso: l’accostamento dei crociati al Cristo.
Il a parlé en haut, ne sanbla pas vilain.
«Baron, franc Crestiien! Por Deu soiés certain: En ceste sainte vile qui est de marbre plain Soufri mort Jhesus Cris qui fu fils Mariain ; Et qui por lui morra si vivra de vif pain,
En vie pardurable iert sans soif et sans fain. (vv. 1876-1881)
Secondo la massima autorità ecclesiastica presente nel campo cristiano, i crociati non devono temere la morte, perché con essa potranno guadagnare la vita eterna. In Paradiso non soffriranno la fame e la sete che hanno sofferto in terra perché vivranno in uno stato di beatitudine. Lo stesso vescovo di Mautran, più avanti nell’opera, cita di nuovo il tema della fame, ma, questa volta, attribuito al Cristo: egli infatti fa riferimento al digiuno di quaranta giorni di Gesù nel deserto, quando egli si era incarnato sulla terra.
Cels beneïst li vesques, de sa main les segna: «Baron, cil vos garisce qui tot le mont cria Et en la sainte virgene pucele s’aombra
Et les .XL. jors el desert jeüna!». (vv. 2167-2170)
Il digiuno come pratica di vita si ispira alla vita di Cristo e da questa trae la sua legittimazione. È l’esempio di Cristo a dare il senso alla pratica
In effetti sono numerosi i punti della Jérusalem che rievocano le sofferenze del Cristo per collegarle alle sofferenze dei crociati.
Li vesques de Mautran conmença a parler: «Baron, cil vos garisse qui se laisa pener
En ceste sainte vile por son pule salver, (vv. 2085-2087) Cil Sire les conduie qui se laisa pener. (v. 5586)
Car se Jhesu n'en pense, qui se laisa pener, (v. 5685)
La chiave di interpretazione dell’intero poema è esposta dall’autore della Jérusalem ai versi 3389-3403. I crociati continuano l’assalto alla Città Santa adoperando un ariete fatto costruire dai due ingegneri Nicola e Gregorio. Esso non servirà a nulla, perché i Turchi reagiranno immediatamente scagliando il fuoco greco e la pece bollente sui nemici cristiani, che vengono letteralmente arrostiti.
Si tratta di un episodio presente nella cronaca di Fulcherio di Chartres.
Tum vero rari milites, tamen audaces, monente cornu, ascenderunt super eam, contra quos Saraceni nihilominus se defendendo faciebant, et ignem cum oleo et adipe vividum cum faculis aptatis praedictae turri et militibus qui erant in ea, fundibulis suis iaculabantur.403
Ebbene, non solo questa sofferenza è da valorizzare, ma è voluta e orchestrata da Dio stesso: non per punire i crociati di qualche loro mancanza, ma per mostrare loro un insegnamento. La volontà di Dio è di far rivivere sulla pelle dei crociati tutti i tormenti che abbiamo fino ad ora elencato perché Egli stesso era stato straziato quando si era fatto uomo.
Nicolas et Grigoires ont .I. mouton ferré,
Sor baus et sor roieles mis et encavestré. Puis l’ont devant l’engien et conduit et mené Assés pres de la porte, res a res del fossé.
Mais il ne lor vaut mie .I. denier monëé, Car li Turc la dedens ont tot ço esgardé. Un autel engien ont conre cel atorné. De feu grigois seront cil defor arousé Et de le poi boullant li pluisor escaudé. Tout çou consenti Dex li rois de majesté, Car il vaut que sa gent fuisent illuec grevé Et a se vile prendre travelliet et lassé, Po çou qu’il ot son cors si crüelment pené Et son costé perciet et sanglent et navré:
Çou fu senefïance que il lor a mostré. (vvv. 3389-3403)
Il legame tra le sofferenze dei crociati e le sofferenze di Cristo è qui esplicitato al massimo livello: le prime sono intenzionalmente volute da Dio affinché i crociati possano replicare il cammino di sofferenza che Dio stesso aveva intrapreso nella Terra Santa.
Siamo arrivati ad un passaggio chiave per la nostra tesi: il pellegrinaggio che stanno
compiendo i crociati è il pellegrinaggio ideale, perché esso è un cammino di Imitatio Christi. I crociati ripercorrono le ultime tappe della vita del Dio incarnato replicandone gli spostamenti e le sofferenze, che hanno quindi l’obiettivo di avvicinare gli stessi crociati a Cristo. Non è possibile pellegrinaggio più santo di questo: la Prima Crociata è un unicum, replica della Passione di Cristo.
I cristiani che hanno preso parte alla spedizione sono dei privilegiati, in quanto otterranno la salvezza, con o senza martirio, accettando anch’essi la Croce, come già fece Cristo, calpestando lo stesso suolo calpestato dal Figlio di Dio.
Il capo spirituale della spedizione, il vescovo di Mautran, è ben conscio di ciò: egli incoraggia i crociati mettendo in parallelo le loro sofferenze e quelle di Cristo. Essi non devono disperarsi per le sofferenze subite sino ad allora e non devono perdere di vista l’obiettivo della loro spedizione. Inoltre Cristo, da uomo, subì molto più di quanto abbiano subito loro.
«Segnor baron» fait il «ne vos esmaiés mie