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Se l’obiettivo della prima crociata fosse stato, agli occhi dell’autore della Jérusalem, solamente quello di praticare un pellegrinaggio, seppur armato, in Terra Santa, visitando il Santo Sepolcro, liberato dai pagani, la Jérusalem si concluderebbe a metà del suo racconto. Eppure l’opera consta più di 9800 versi e le imprese dei crociati continuano in vista di un nuovo fine. C’è quindi qualcos’altro dietro la prima crociata? Il concetto di crociata che l’autore vuole veicolare è molto più complesso di quanto sia apparso sino ad ora?

Leggendo le lasse inerenti ai rifiuti dei grandi leader cristiani alla proposta di portare sul loro capo la corona di re di Gerusalemme, sembrerebbe di no. Tutti sembrano intenzionati a tornare subito in patria, come effettivamente è attestato.

Nell'autunno del 1099, infatti, molti crociati si prepararono a partire per l'Occidente. Rimasero forse appena 300 cavalieri nel neonato Regno latino.440

Agli occhi dei grandi leader crociati, il loro voto si è sciolto appena realizzato il pellegrinaggio al Santo Sepolcro: nulla più li lega alla Terra Santa da quel momento in poi.

Ensorquetot jou l’ai et plevi et juré Que si tost con j’aroie le Sepucre aöré Et baisiet de ma bouce et m’ofrande doné

Me metroie el repaire – issi l’ai afié. (vv. 5083-5086)

I motivi che spingono i crociati a tornare sembrano avere punti di contatto con le

chansons

liriche della crociata: sono motivi intimistici, legati alla sfera degli affetti.

È, in effetti, il desiderio di abbracciare i propri cari a far desistere i crociati dall’intenzione di rimanere a Gerusalemme.

Roberto di Fiandra, il primo a cui viene offerto il regno di Gerusalemme dopo il rifiuto di Goffredo, quest’ultimo motivato dall’umiltà del duca di Buglione, cita il giuramento fatto alla moglie Clemenza, l’unica donna del contingente francese che abbia un nome, di tornare in patria una volta concluso il pellegrinaggio. Clemenza è quindi la moglie fedele che attende suo marito con pazienza, sempre presente nei ragionamenti di Roberto nonostante non sia mai presente nell’azione epica, motivo principale per poter dichiarare conclusa la sua esperienza in Terra Santa. Oltre alla moglie, l’altro affetto lasciato in patria è il figlio Baldovino, che Roberto desidera incontrare nel suo grande palazzo ad Arras (e qui ritorna il contrasto tra la douce

France e le anguste terre mediorientali) e che desidera baciare, in una scena che vuole esprimere

la tenerezza che vi è nel rapporto tra padre e figlio, niente affatto scontata per questo periodo.

Quant jo tornai de Flandres – sans mentir vos diron – Climence l’afiai, a la clere façon,

Qua si tost con seroie au Temple Salemon Et baisiet le Sepucre et faite m’orison Me metroie el repaire: n’i querroie okison. N’i poons demorer se no foi n’i menton. Car pleüst ore a Deu et a saint Simeon Que jo fuisse a Arras en ma maistre maison Et Bauduïns mes fius me tenist al geron –

Anqui le baiseroie .X. fois en .I. randon. (vv. 5047-5056)

Il contenuto dei lamenti degli stessi leader crociati, nostalgici della propria patria, ritorna qui sotto forma di dolce desiderio di ritorno in Francia, con motivi che contribuiscono ancora di più a “distruggere” l’immagine tradizionale dell’eroe del ciclo carolingio, a cui fa da contraltare la nuova cavalleria, fragile e priva dei caratteri sovrumani di un Orlando.

Eventuali nuove ricchezze o territori da governare non sono una tentazione sufficiente per cedere nel proposito di tornare a casa.

Ki me donroit tot l’or qui’st dusqu’en Pré Noiron, Ne remanroie jou en ceste region (vv. 5057-5058) Mais se jo estoie ore a Roem a ma cité,

Ki me donroit tot l’or qui’st dusqu’en Noiron Pré, N’i revenroie jo […] (vv. 5087-5089)

Moie est Puille et Calabre et l’onors qu’i apent Et si m’est Anthioce donee creaument.

Mais d’el i atenir n’ai encor nul talent. A dant Raimon le lais s’il le velt bonement. Ne de Jerusalem corages ne me prent Que ja en soie rois por tenir casement,

Ne terre de Surie aie a eritement. (vv. 5114-5120)

Le terre e i feudi su cui i leader crociati governano non solo sono abbastanza estesi da poter, in qualche modo, “soddisfare” le loro ambizioni territoriali, ma è anche loro dovere di feudatari riprendere a governare le proprie terre.

«Sire» ce dist Robers «ja n’ert par moi pensé,» Car jo ai molt grant terre et de lonc et de lé

Nel liberare il Santo Sepolcro hanno dato il proprio auxilium al Signore, in questo caso Dio. Il legame di tipo feudale che lega i milites Christi a Cristo stesso li ha portati ad organizzare la spedizione crociata. Una volta che il loro servizio si è concluso, sono liberi di tornare a casa.

Ma sono soprattutto le sofferenze a far desistere i crociati dal proposito di stabilirsi in Terra Santa. I grandi leader crociati ricordano, nei loro discorsi di rifiuto, tutto ciò che hanno dovuto subire sulla propria pelle: la fame, la sete, il gelo, le continue battaglie con il nemico.

Sono sofferenze sopportate unicamente per il proposito di adorare il Santo Sepolcro: non vi è altra ragione per patire ulteriori tormenti. Ora è giunto il momento del meritato riposo: il nuovo eroismo gerosolimitano mostra ancora una volta il suo volto “umano”.

[…] tant ai mal enduré

Et soufert fain et soif et grant caitiveté. Trestos li cors m’en delt tant ai l’auberc porté, On ne m’a pas de fer ne d’acier manovré! Dex! ki poroit soufrir issi grant lasqueté Se ne fust por toi, sire – t’en soies mercïé – Que nos avons soufert par noif et par gielé :

Ne l’eüsce sofert por l’or d’une cité. (vv. 5089-5096)

Il sole cocente e l’aridità della terra renderebbero i cavalieri, afferma Ugo Magno, in realtà mai arrivato a Gerusalemme, costantemente malati, sia in guerra sia in pace. I tormenti dovuti al clima del Medio Oriente sarebbero insopportabili, tali da impedire a chiunque di stare in buona salute.

«Sire» dist li quens Hue «trop i ai sofert mal. Ja ne seroie sains en cest païs jornal,

Car li terre est trop caude de l’ardor del solal. Jo ne le puis soufrir a pié ne a ceval,

Ja n’i seroie sains a camp ne a ostal. (vv. 5134-5138)

Roberto di Fiandra sottolinea come i crociati siano ormai stremati per via delle diverse battaglie. Abbiamo detto che gli eroi della Jérusalem non siano più i guerrieri sovraumani del

Cycle du Roi: sono troppo stanchi per continuare a combattere e hanno bisogno del giusto

riposo per riprendersi dalle ferite subite.

Cascuns n'est pas de fer ne d'acier manovrés Que il puist tant soufrir conme vos devisés. meïsmes ai tos debrisiés les costés.

Tant ai jut en l'auberc par pluie et par orés En .XXX. lius sor moi est li miens quirs tröés,

Les costés et les flans ai jo tos entamés. Quant jo sui si forment malement conrëés, Molt est cis autres pules dolerous et quassés, Mestier aroit cascuns que il fust reposés. Bien a passé .I. an que jo n'oc dras lavés

Ne que mes ciés ne fu a lescive pinés. (vv. 5402-5412)

Ancora una volta, quindi, l’umanità dei crociati viene rimarcata dall’autore e ciò ha conseguenze nello sviluppo dell’azione: le sofferenze subite sono state eccessive per dei corpi comunque umani, che hanno vissuto un lungo percorso di Imitatio Christi. Il loro compito è terminato e non vi è ragione per restare: messa così, non vi è alcuna ragione per criticare la loro condotta. In questo modo l’autore dell’opera sembra giustificare coloro che rientrarono in patria dopo aver portato a termine il loro voto.

Le sofferenze non sviliscono l’eroismo gerosolimitano, ma lo amplificano, esaltando coloro che hanno resistito così tanto tempo pur di realizzare la missione affidata loro da Dio, missione che si è ormai conclusa, rendendo il loro voto sciolto. Perché rimanere?

Agli occhi di Goffredo, però, la missione dei crociati deve continuare. Lo si capisce già dal suo discorso post-elezione: egli è stato scelto da Dio per sconfiggere definitivamente i nemici, governare stabilmente la Terra Santa e difenderne gli abitanti.

«Et jo vos recevrai par itel desirree

Que Dex me doinst victore vers la gent desertee Et contr'els garandir la terre et la contree, Que Jerusalem soit a grant honor gardee

Et li gens par dedens salvement gouvernee» (vv. 5278-5282)

Nonostante ciò, i baroni, preparate le palme e il bordone, si apprestano a tornare in patria tra le lacrime.

Al nueme jor s'aprestent li prince et li baron, Lor palmes ont fretees, tost sont pris li bordon, Del repairier ariere erent en sospeçon.

A! Dex! le jor i ot si grande plorison. (vv. 5350-5354)

Goffredo si lancia quindi in un lungo discorso nel Tempio, piuttosto ridondante, per tentare di convincere gli altri crociati a rimanere: il lavoro da fare, per lui, non è ancora finito.

Vi sono ancora altre città da conquistare, tra cui Acri, Tiro, Ascalona, Damasco, Tiberiade e Cesarea ancora nelle mani dei musulmani. Il controllo militare della Terra Santa si rende necessario per consentire ai pellegrini di visitare, in tutta tranqullità, i Luoghi Santi.

Il nuovo re di Gerusalemme, eletto tale, nella Jérusalem, pochi giorni prima, si mostra quindi preoccupato per l'esiguità del contingente con cui avrebbe continuato la spedizione nel caso in cui i baroni fossero tornati in patria, rimanendo praticamente solo in quella terra arida e

desolata qual è la Terra Santa.

Li rois les apela ses a mis a raison:

«Segnor, vos en alés, bien sai que vos est bon, Et moi laisiés tot seul en ceste region

Entre la gent salvage qui croient en Mahon. Encore avons a prendre ces castels environ,

Acre, Sur, Escalone, u maint Turc a felon.» (vv. 5354-5359) «Bien voi que l'aler faites tot bel sanblant.

Vos palmes sont coillies en l'ort saint Abrahant, Cascuns a bien le soie fertee et fort pendant. Aler vos en volés, bien est aparissant, Et moi laisier tot sol entre gent mescreant. Encor n'avés conquis Sur ne Acre le grant, Damas ne Tabarie, qui molt par sont vaillant, Belinas n'Escalone, Barbais ne Le Colant.

Ja pelerins n'ira baignier el flun Jordant. » (vv. 5371-5380) «Segnor, jo voi molt bien qu'aler vos en volés.

Vos palmes, vos espis voi loiés et fertés. En ceste estrange terre trestot sol me lairés. Des castels ci endroit a prendre avons assez: Se vos par vos peciés ceste cité perdés,

Ne vaut quan qu'avés fait .II. deniers moneés. » (vv. 5392-5397)

Goffredo, seguendo ciò che aveva già affermato il vescovo di Mautran, presenta la missione in Terra Santa come una spedizione monca nel caso in cui le altre città della regione non venissero conquistate. I rinforzi dei musulmani sarebbero arrivati da oriente mettendo a rischio la tenuta del neonato regno di Gerusalemme. Dio stesso vuole che si continui a combattere e, per tale ragione, coloro che fossero rimasti avrebbero goduto del perdono dei loro peccati in caso di morte in battaglia: il pellegrinaggio non è ancora finito.

«Se nos ceste cité par pecié reperdon, Quan que nos avons fait ne valt .I. esperon. Mais prendés bon consel, por Deu et por son non, En ceste sainte vile ensanble remanon. Tot si conme nos sonmes nostre Segnor servon. Sor le paiene gent les castels conqueron,

Et qui morra por Deu s'avera vrai pardon.» (vv. 5360-5366) «Se nos Jerusalem ralons or reperdant

Tos nos pelerinages ne vaura .I. bezant

Mais prendés bon consel si soiés remanant, En ceste sainte vile nostre Segnor servant Si soiés sor paiens et sor Turs conquerant.

Bien sai que li empires vient devers oriant. » (vv. 5381-5387) «Mais prendés bon consel, por Deu si remanés

En ceste sainte vile nostre Segnor servés» (vv. 5398-5399)

I baroni, però, non osano rispondere a Goffredo, rimanendo in silenzio per il forte imbarazzo.

Quant li prince l'entendent ne disent ol ne non,

Cascuns se teut tot coi, si baissa le menton. (vv. 5367-5368) Quant no baron l'entendent tot s'en vont enbronçant, Onques n'i ot celui del remanoir se vant. (5388-5389)

Per quello che abbiamo detto fino ad ora, in realtà sembra plausibile la protesta dei baroni: perché restare? L’obiettivo principale della spedizione crociata è apparso essere la realizzazione di un pellegrinaggio e, nello specifico, del pellegrinaggio ideale, di un Imitatio

Christi che toccasse i luoghi calpestati da Gesù Cristo durante la sua vita terrena.

La conquista duratura di quei territori non era contemplata nel voto fatto prima della spedizione: non è affar loro il controllo della Terra Santa. Una volta liberato, ripulito dalla mondezza e baciato il Santo Sepolcro, l’Imitatio Christi può dirsi conclusa. Eppure Goffredo insiste nel voler continuare il loro cammino. Verso quale obiettivo? A questo punto, nel dibattito tra Goffredo e il fronte dei baroni, dovremmo chiederci una cosa: da che parte sta l’autore? Quale delle due idee condivide?

La risposta, motivata da ciò che scriverò nelle pagine seguenti, è: entrambe. L’Imitatio

Christi è sicuramente un perno della Chanson de Jérusalem, l’architrave dell’intera prima metà

dell’opera. Ma ci sono oltre migliaia di versi che seguono il racconto della presa della città. La ragione per cui la Crociata prosegue, nell’opera, è dovuta al volere divino. È Dio che vuole che l’impresa continui, così come era stata la Provvidenza divina a predisporre gli eventi della Prima Crociata. La direzione verso cui punta l’impresa crociata è stata sin dall’inizio tracciata dall’alto. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, la crociata è, sì, considerata una impresa senza precedenti, essendo il pellegrinaggio ideale, con cui viene ripercorso il cammino di Cristo, motivo per il quale i riferimenti al Vecchio e soprattutto al Nuovo Testamento sono continui.

Il quadro, però, non è ancora completo: sono emersi già numerosi tratti originali e fondamentali per comprendere il concetto di crociata secondo la Jérusalem, ma non è stato ancora approfondito l’aspetto escatologico dell’impresa e la dimensione soprannaturale che è ad essa legata.

Certo, abbiamo già notato la corrispondenza tra tempo della crociata e tempo sacro: Dio, però, non si limita ad essere presente nell’opera come ispiratore lontano dell’impresa; egli interviene direttamente per fare in modo che tutto sia realizzato secondo i suoi piani. Il provvidenzialismo cristiano, che permea la Jérusalem già nel suo essere Imitatio Christi, si fa molto più esplicito dopo la presa stessa di Gerusalemme, avendo deciso che l’impresa dei crociati deve continuare.

Mentre i crociati, dopo aver visitato il mar di Galilea, stanno continuando il loro viaggio che li riporterà in patria, una colomba viene mandata da Dio con un messaggio indirizzato a loro: è il vescovo Mautran a leggerlo, rivelando a tutti che Goffredo ha bisogno di rinforzi al più presto.

Quant uns colons lor fu de par Deu envoiés. .I. brief lor aporta qui ert estrois ploiés, Le vesque de Mautran fu donés et bailliés. Quant il a liut les letres, forment fu deshaitiés. A haute vois s'escrie, "Baron, ne vos targiés! D'aler en Jursalem soit cascuns avanciés, Car al duc Godefroi sort une paine griés

Dont il morront maint Franc se Dex n'e a pitiés. (vv. 5519-5526)

Possiamo quindi comprendere come rientri nel disegno divino il ritorno dei crociati a sostegno di Goffredo e come Dio stesso voglia che la missione in Terra Santa continui, nonostante il pellegrinaggio sia ormai concluso. Per quali ragioni? In quali forme e in quale direzione può proseguire una spedizione che ha già assolto al suo scopo?

Sta di fatto che il vescovo di Mautran, in lacrime, chiama a raccolta tutti i crociati affermando che è loro dovere, per amore di Dio, tornare indietro e affrontare la battaglia più grande dell'intera spedizione, in modo da consentire a Re Goffredo di conservare il governo di Gerusalemme. Non vi è nulla di cui preoccuparsi, afferma il vescovo, perché Dio li avrebbe appoggiati, come fatto fino ad allora.

«Par cest brief le vos fait nostre Sire mander Que por la siue amor vos convient endurer Iceste grant bataille, c'onques ne fu sa per! Et se cesti pöés par vo cors afiner,

Bien pora puis li rois Jerusalem garder. Ne vos esmaiés mie, bien vos puet conforter Qui de son propre sanc vos degna racater. Conquise avons la terre par paines endurer. Ja por totes vos paines n'i peüsiés entrer

A questo punto anche Roberto di Fiandra, tra i più irriducibili avversari della proposta di Goffredo, decide di appoggiare il vescovo di Mautran e incita i suoi soldati a tornare indietro per difendere il Santo Sepolcro.

«Baron, Rehaitiés vos! Dex vos velt esprover. Devant ceste bataille n'en poons nos aler. Or verrons qui boins ert as paiens decolper!

Dex velt que nos alons son Sepucre aquiter.» (vv. 5549-5552)

Sono, però, oltre 30000 i soldati che conservano intatto il proposito di tornare in patria. Allora alcuni dei principali leader dell’armata, vale a dire il conte di Normandia, Ugo di Vermandois e Boemondo incitano personalmente i crociati in partenza, affermando che occorre concludere ciò che avevano iniziato.

Si m'aït Dex, segnor, nel deüssiés penser.

Bonement deüssiés nos voloirs aciever. (vv. 5562-5563)

Il vescovo di Mautran, per convincere i baroni a restare, richiama alla memoria le sofferenze del Cristo, che patì la Passione per tutti gli uomini: per tale ragione essi non devono scoraggiarsi e tirarsi indietro.

«Baron, franc Crestïen, ço vos wel conmander Por amor cel Segnor qui se laisa pener

Et ferir de la lance et plaier et navrer Et metre ens el Sepucre et coucier et poser Et d'illuec au tierc jor valt de mort suciter. A infer en ala la porte desfremer -

Çou fu por ses amis de le prison jeter. Segnor, ce soufri Dex por nos ames salver. Por cel Segnor vos pri que m'öés ramenbrer Que vos ne faites l'ost ne les barons torbler,

Car li uns ne doit l'autre ne nul endroit fauser!» (vv. 5565-5575)

Così come ha sofferto il Cristo, così devono soffrire i crociati per lui: l’Imitatio Christi sembra continuare, non concludersi con la visita al Santo Sepolcro. Le sofferenze continuano e, per tale ragione, viene rievocata l’analogia tra il tempo della Crociata e il tempo della Passione.

L’autore insiste ancora su questo motivo molte lasse più avanti, quando ormai Goffredo e i crociati rimasti a Gerusalemme difendono con ogni sforzo possibile la Città Santa: Goffredo si dispera apertamente con gli altri milites, esprimendo il suo sentimento di solitudine, ritrovandosi accerchiato dai Saraceni, in netta inferiorità numerica, essendo rimasto lì solamente per amore di Dio. E qui ritorna ancora una volta il tema dell’Imitatio Christi, con l’accostamento dell’impresa crociata alla Passione di Cristo.

«Segnor,» ço dist li rois, «por Deu or m'entendés. Li barnages en est ariere retornés,

Par le mien escïentre cascuns est mer passés. Entre gent sarasine sui ci illuec remés. A poi que ne fu ier pirise ceste cités – Molt est li pules grans qui ci est assanblés. Et cascuns de vous est por amor Deu remés Por garandir sa vile u ses cors fu penés.

Ja ne souferra mais ses murs soit craventés.» (vv. 7597-7605)

Tutto si conclude per il meglio: i crociati tornano sui loro passi ed una lettera portata da una colomba annuncia a Goffredo il ritorno di chi era partito. La crociata non si conclude con il pellegrinaggio al Santo Sepolcro: essa è qualcosa di più. C’è qualcosa di incompiuto nell’impresa crociata, cosa evidenziata anche dall’azione divina. È Dio che invia la colomba a