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Il pellegrinaggio armato che i crociati devono affrontare non è sicuramente privo di insidie: non si tratta solamente degli inevitabili scontri che devono ingaggiare con i musulmani, ma anche di una serie di difficoltà che dipendono dalle condizioni atmosferiche, dalla conformazione del territorio in cui avviene l’assedio e dalle imponenti mura che circondano la città di Gerusalemme.

Nonostante i crociati ritengano di avere la benedizione divina, sembra che siano destinati ad andare incontro ad ogni genere di problema. Il cavaliere celebrato dalla chanson de

geste già nella Chanson de Roland, per bocca del suo protagonista, aveva dichiarato di esser

pronto a soffrire caldo e freddo per il proprio signore.

Ben devuns ci estre pur nostre rei: Pur sun seignor deit hom susfrir destreiz E endurer e granz chalz e granz freiz,

Sin deit hom perdre e del quir e del peil. (vv. 1009-1012)347

L’autore della Chanson de Roland, però, non approfondisce il tema, dedicandosi soprattutto alla descrizione di scontri bellici. Inoltre nella Jérusalem l’obiettivo è senz’altro diverso: si tratta di un pellegrinaggio armato con una guida spirituale, il vescovo di Mautran, dove il signore da servire è in realtà Dio.

La Chanson de Jérusalem, a differenza della Chanson de Roland, registra al suo interno le difficoltà che i crociati patirono realmente durante la loro spedizione, come si può notare dalla lettura delle cronache.

Esempi concreti delle sofferenze vissute dai crociati provengono dalle Gesta Francorum dell’Anonimo.

Nos itaque persequebamur eos per deserta et inaquosam et inhabitabilem terram, ex qua vix vivi evasimus vel exivimus. Fames vero et sitis undique coartabant nos, nihilque penitus nobis erat ad edendum, nisi forte vellentes et fricantes spicas manibus nostris, tali cibo quam miserrime vivebamus. Illic fuit mortua maxima pars nostrorum equorum, eo quod multi ex nostris militibus remanserunt pedites; et pro penuria equorum, erant nobis boves loco caballorum, et pro nimia necessitate succedebant nobis capri et multones ac canes ad portandum.348

Nos autem qui remansimus, exeuntes inde intravimus in diabolicam montanam, quae tam erat

347 La Chanson de Roland, cit., p. 210.

348Anonimo, Le Gesta dei Franchi e degli altri pellegrini gerosolimitani, a cura di Luigi Russo, Alessandra,

alta et angusta, ut nullus nostrorum auderet per semitam, quae in monte patebat, ante alium preire. Illic precipitabant se equi, et unus saumarius precipitabat alium. Milites ergo stabant undique tristes, feriebant se manibus pre nimia tristitia et dolore, dubitantes quid facerent de semetipsis et de suis armis vendentes suos clipeos et loricas optimas cum galeis, solummodo propter tres aut quinque denarios, vel prout quisque poterat habere. Qui autem vendere nequibant, gratis a se iactabant et ibant.349

Scene dello stesso tipo sono descritte nella cronaca di Fulcherio di Chartres, che racconta la situazione dei crociati durante l’assedio ad Antiochia nel 1098.

Tunc famelici comedebant surculos fabarum in agris adhuc crescentium, herbasque multimodas et sale inconditas; carduos etiam, qui, propter lignorum deficientiam non bene cocti, linguas manducantium depungebant; equos, asinos camelosque, canes etiam, et mures. Pauperiores etiam bestiarum coria, et annonae grana in stercoribus reperta comedebant. Frigora, calores, pluvias densas propter Deum perpessi sunt. Tentoria eorum illic inveterata sunt et dirupta et imbrium continuatione putrefacta. Qua de re, multi eorum nonnisi coelo tegebantur.350

Perchè i membri di una spedizione divina subiscono tali sofferenze? Secondo l'anonimo dei Gesta Francorum si tratta di una punizione proveniente dall'alto: è Dio ad aver deciso di punire i crociati per i loro peccati.

Hanc paupertatem et miseriam pro nostris delictis concessit nos habere Deus.351

I Gesta Francorum sono paradigmatici di un atteggiamento comune agli autori delle cronache della prima crociata: Dio interviene punendo i crociati quando questi deviano dalla retta via.

La Jérusalem, come le cronache, elenca gli ostacoli del pellegrinaggio armato, che comprendono anche le insidie della natura, oltre agli scontri con i Saraceni. Il significato di tali sofferenze diverge nettamente, però, dell’interpretazione dell’autore dei Gesta Francorum e di chi segue la sua linea.

Già l’inizio della Jérusalem vuole metterci in guardia su ciò che leggeremo/ascolteremo: viene detto esplicitamente che i crociati andavano incontro a morte certa, pur avendo, dalla loro parte, la protezione divina.

A lor mort cevalçoient, pas ne vos mentiron, Mais Dex li rois de glore qui tant par est preudom Sera a nostre gent garant et tention:

349 Ivi, pp. 66-67.

350 Fulcherio di Chartres, Fulcheri Carnotensis Historia Hierosolymitana (1095-1127), a cura di Heinrich

Hagenmeyer, Heidelberg, Carl Winters Universitätsbuchhandlung, 1913, pp. 225-226.

351“Dio permise che noi soffrissimo questa povertà e sventura a causa dei nostri peccati”, traduzione a cura di Luigi

Ki en lui a fiance ja n’ara se bien non. (vv. 5-8)

La principale sofferenza patita dai corpi dei crociati è forse la combinazione di caldo e sete, citata di frequente nella Jérusalem. La prima notazione è della terza lassa.

Molt forment faisoit caut, François l’eve desinente (v. 84)

Questa nota fugace viene ampliata alla quinta lassa con dettagli raccapriccianti: i crociati, oppressi dal caldo e dalla sete, sono costretti a bere l’urina dei cavalli, il sangue ed il sudore.

Li soleus luisoit caus qui jetoit grant calor : Tant par ierent destroit auquant et li plusor, Tant desiroient l’eve li noble poigneor,

Par destrece i bevoient li gent nostre Segnor

L’escloi de lor cevals, le sanc et le suor (vv. 116-120) François sont si destroit et d’eve ont tes disietes

Que il boivent l’escloi et le sanc de lor bestes (vv. 254-255)

Il motivo della sete viene poi associato alla fontana di Siloè, che viene citata sia nell’Antico352 sia nel Nuovo Testamento.353 L’anonimo delle Gesta Francorum nella sua

cronaca riporta la sosta dei crociati a Siloé per abbeverarsi.

Syloa namque fons qui est ad radicem montis Syon, sustinebat nos; sed tamen cara vendebatur aqua inter nos.354

Se nella Jérusalem il riferimento ai tre giorni è assente, vi è comunque la descrizione di una fontana non proprio adatta alle necessità dei crociati.

Qui la misent le siege par vive pöesté U il n’avoit riviere, ne herbage ne pré, Fontaine ne sorjon desci qu’a Silöé –

C’est une eve salee; n’a gaires de bonté (vv. 988-991)

L’autore della Jérusalem descrive Siloé mettendo l’accento su ciò di cui è priva: non vi sono fiumi, pascoli, prati, fonti e sorgenti. L’unica acqua disponibile per abbeverarsi è salmastra, ma i crociati, come vedremo successivamente, si ritrovano costretti a berla.

Anche Alberto di Aquisgrana, come l’autore della Jérusalem, descrive le sofferenze dei

352 Nee 3,15 353 Gv 9,6-11

crociati legate alla sete immediatamente prima dell’arrivo sulla Monjoie e del discorso di Pietro l’Eremita.

Quorum socii ad hauriendos et investiagndos fontes cum sparsim mitterentur, interdum incolumes hausto fonte redibant, interdum amputatis capitibus insidiis gentilium periclitabantur. Aquam vero turbatam et lutulentam in contentione multitudinis haurientium cum lubricis vermibus yrundinum in follibus caprinis afferebant. De qua quantum os cuiusque a foramine angusto pellis capere poterat, licet vetus et putrida fuerit, aut de foedis sumpta paludibus vel antiquis cisternis duobus nummis vendebatur.355

In generale, sono numerosi i cronisti della Prima Crociata che descrivono la sete dei crociati, a partire dall’anonimo autore dei Gesta Francorum.

Et in nimia pressura sitis detenti fuimus, ita ut per nimium terrorem et pavorem per sex milia nostros potaremus equos, et alia animalia.356

Interea in tanta pressura sitis fuimus districti, ut unus homo non posset pro uno denario ad sufficientiam habere aquam, aut exstinguere sitim suam.357

Fulcherio di Chartres, come l’autore della Jérusalem, sottolinea la mancanza di corsi d’acqua sufficienti per assetarsi.

Sed quia locus ille aridus et inaquosus et sine fluminis exsistat, tam viri quam iumenta eorum egebant aqua nimis ad potandum. Quapropter, quia monebat hoc necessitas, longe aquam quaritabant et a IV miliariis vel V laboriose ad obsidionem in utribus suis cotidie apportabant.358

Il topos della sofferenza causata dalla sete ritorna spesso nella Jérusalem, in più punti durante l’assalto alla Città Santa: essere arrivati a Gerusalemme non porta alla fine delle sofferenze, ma solo ad un acuirsi della sete. I cristiani continuano ad essere costretti a bere l’urina dei cavalli, una privazione talmente forte che nessuno sarebbe in grado di narrarla.

De l’angoisse del soif i ot molt de pasmés: Le jor i ot del sanc maint des nos abevrés Et d’escloi des cevals les plusors asasés. A! Dex! tant i sofri cele crestïentés

Des grans fains et des sois et des caitivetés

Que nel vos poroit dire nus clers, tant fus letrés. (vv. 2338-2343)

355 Albert of Aachen: Historia Ierosolimitana, cit., p. 410. 356 Anonimo, Le Gesta dei Franchi, cit., p. 142.

357 Ivi, p. 144.

358Fulcherio di Chartres, Historia Hierosolymitana, in Karl Pomeroy Harringon, Medieval Latin: Second Edition,

De l’angoisse del soif en i ot des pasmis:

L’escloi de lor cevals boivent et des roncis. (vv. 2370-2371)

Addirittura i soldati cristiani si riducono, pur di sopravvivere, a bere il sangue dei caduti. L’autore della Jérusalem afferma che le pozze di sangue sul campo di battaglia furono letteralmente prosciugate dai soldati assetati.

Li sans qui jut a terre fu molt tos[t] recoillis –

Cil qui l’ot en bevoi volentiers, non envis. (vv. 2372-2373)

L’alterazione delle abituali pratiche alimentari sconvolge il tradizionale eroismo delle

chansons de geste, mettendo al centro della scena esseri fragilissimi e quasi disumanizzati.

Per questa ragione l’autore della Jérusalem insiste molto sul tema

dell’approvvigionamento, fondamentale sia per gli assedianti sia per gli assediati.

La Jérusalem si apre proprio con una scena di razzia perpetrata dai crociati appena arrivati a Gerusalemme.

Lors montent es caval, cascuns prent a l’arçon, Et acoillent la proie entor et environ (vv. 37-38)

Essa riprende un episodio storicamente accertato di razzia, presente, tra gli altri, nella

Historia Ierosolimitana di Alberto di Aquisgrana, secondo cui il protagonista dell’azione

guerriera sarebbe stato Gaston de Béarn.

Gastus de civitate Bederz, cum triginta viris, gnaris certaminis et insidiarum, clam subtractus ab exercitu, sicut erat providus, sciens vires appropinquantium peregrinorum adhuc latere cives et milites Iherusalem, per confinia ejusdem urbis cum suis frena laxat, praedas undique contrahit et abducit. Sed comperta illius audacia, a civibus et militibus Sarracenis praeda excussa est, Gastum vero ejusque socios usque ad ascensum rupis cujusdam insecuti sunt. (V 45)359

La razzia va a buon fine e l’autore elenca le prede che costituiscono il bottino franco: tra gli altri vi sono cammelli, asini e grassi montoni.

Tant fu grande la proie que nonbrer nel savon,

Des camels et des asnes et de maint cras monton (vv. 43-44)

Non vi è alcuna connotazione religiosa della scena: si tratta dell’espressione del desiderio di conquista da parte dei Franchi. Alberto di Aquisgrana, come l’autore della

Jérusalem, colloca tale episodio nel momento in cui i crociati sono prossimi alle mura della

Città Santa.

Visis autem predarum gregibus et reuersis fratribus requirunt uniuersi unde has predarum copias adduxerint. Qui has a campo Ierusalem rapuisse et abduxisse professi sunt.(V 45)360

Il bottino è ritenuto talmente prezioso dai crociati che essi preferirebbero morire piuttosto che lasciare ai propri nemici le pecore e i montoni che si sono procurati con la razzia.

Miux vauroient morir en la cité d’Arras

Que de cel camp ne facent Turs et Sarrasins mas

Et que paien en raient brebis ne motons cras. (vv. 98-100)

Lo stesso Goffredo ribadisce questo concetto agli altri capi crociati, invocando Dio nella speranza che le prede conquistate non tornino ai Turchi.

«Ja Dex» ço dist li dus «hui ne nos hace tant Que ja Turc de la proie soient mas jor tenant, Ne qu'il en aient mais .I. seul asne vaillant, Chamel ne mul ne mule, bugle ne olifant

Ne cievre ne moton, nes .I. aignel bielant.» (vv. 183-187)

Come abbiamo detto in precedenza, l’episodio del saccheggio viene poi raddoppiato dall’autore della Jérusalem con una seconda spedizione di razzia, questa volta guidata da Boemondo, a Ramla, che si conclude con la conquista di un ricco bottino di pecore, capre, montoni, bufali, cammelli ed asini.

Buiemons et Tangrés et tot lor compaignon A trestoute lor proie dont orent a fuison – De brebis et de kievres et de maint cras moton,

De camels et de bugles et si ot maint asnon. (v. 680-683)

Filippo Andrei sostiene che anche il secondo episodio di saccheggio sia ispirato da un episodio narrato di Alberto di Aquisgrana, che descrive una spedizione di razzia fallita nella piana di Ramla.361

Sed dum casu in finitimas oras Ramnetis urbis prenominate inciderent, predas comportarent, greges cogerent, ab insidiis Sarracenorum qui ab Ascalona ciuitate regis Babylonie descenderant, adtriti sunt, et preda retenta est. (VI 4)362

Altra scena di razzia è quella perpetrata ai danni di Garsien (sul personaggio torneremo in

360 Ivi, p. 402.

361Andrei, Le fonti storiche e letterarie della “Chanson de Jérusalem”, cit., p. 175.

§ 5.3). I crociati, nel pieno dell’assedio, a causa della grande sofferenza per la sete, decidono di procurarsi l’acqua necessaria presso un fiume vicino. Durante la spedizione ne “approfittano” saccheggiando gli accampamenti turchi, portando con sé circa 4000 animali da soma, tra cui cammelli e buoi, carichi di pane, vino e carne, oltre all’acqua raccolta in otri.

Grant soufraite ont de boire, nel vos quier a celer (v. 2415) Dont font aval par l'ost et banir et crïer

Que tot voisent al flun por de l'eve aporter, En bous sor les somiers les facent amener Quant Crestïen l'entendent, si se vont adouber. .XV. mile somiers font avant eux aler.

Li bons dus Buiemons i va por els garder, A .X. mil chevaliers qu'il fist o lui joster. Et si vont por vitaile serjant et baceler,

As casals sor les Turs s'il le pueent trover. (v. 2419-2427) .IIII. mile somiers fist devant lui mener,

Tot sont camel et bugle, grant fais pueent porter. De pain, de vin, de car les avoit fais torser

Et de bone eve douce les grans buires raser. (vv. 2431-2435)

Secondo Magali Janet, l’enumerazione di questi beni, che includono specie esotiche come i cammelli, esprime il sogno di abbondanza che i Franchi speravano di ottenere raggiungendo l'Oriente.363

La sete dei crociati può anche essere sfruttata dai musulmani per mettere a punto una strategia bellica. Alla vigilia dell’assedio di Gerusalemme da parte dei crociati, Cornumaran rassicura suo padre, il re Corbadàs: la mancanza di sorgenti d’acqua farà da deterrente alle volontà dei crociati, che a breve avrebbero tolto l’assedio.

François ne poront mie longement ostoier: La destrece de l’eve les fera eslongier,

Lor pavellons destendre et lor très desfichier! (vv. 1411-1413)

Le privazioni crociate fanno da contraltare ai rifornimenti dei musulmani: sempre Cornumaran rassicura il padre sulla presenza delle grandi scorte alimentari che possiede la città di Gerusalemme. I musulmani possono resistere per cinque anni grazie alle loro riserve di cibo e bevande.

Nos sommes bien garni dusqu’a .LX. mois

De pain, de vin, de car, de forment, de tremois. (vv. 1401-1402)

D’altra parte gli stessi musulmani prevedono la possibilità di una futura carestia a Gerusalemme, ma si mostrano disposti a mangiare carne cruda pur di non capitolare.

Ains mangerons car crue et ostoirs et girfaus

Que Jursalem soit prise, si n'ert mains François rals (vv. 1776-1777)

Ed è effettivamente ciò che poi accadrà: a causa dell’assalto dei crociati, i musulmani si ritrovano con poche risorse, destinati a patire la fame.

Mais nos avons petit vin et avainne et blé, Li camel et li ane nous en ont molt usé Et li autre biestaus, car n’ont pas pasturé.

Tout seromes par force cha dedens afamé. (vv. 2716-2719)

Gli stessi crociati sono a conoscenza dell’utilizzo strategico della loro stessa fame da parte dei musulmani: nell’episodio dei piccioni viaggiatori, che analizzeremo in maniera più approfondita in seguito, i cristiani, sostituendo il messaggio originario di Cornumaran indirizzato ai suoi alleati e correligionari, scrivono che i Franchi sono ridotti alla fame e per tale ragione sono prossimi alla sconfitta.

Ot que Cornumarans esetoit assëurés,

Qu’en Jursalem n’a garde car fors est sa cités Et que or gart sa terre, ses tors et ses fretés

Car les caitis François a ja tos afamés. (vv. 2894-2897)

Lo stratagemma funziona, ma la situazione dopo il secondo assalto non sembra essere mutata: Cornumaran continua a ritenere abbondanti le riserve di cibo e bevande, mentre i Franchi appaiono stremati.

Assés avés çaiens et pain et vin et blé, Et li François la fors sont auques agrevé – Li pluisor sont forment et plaiet et navré Et d'assaillir as murs sont durement lassé,

N'asauront mais a piece si seront respassé. (vv. 3827-3831)

Dopo l’assalto è il Sultano di Persia a dare il via ad una strategia bellica basata sull’affamare i Franchi per riavere indietro Cornumaran: essi devono essere privati del pane, del pesce e di qualsiasi tipo di bevanda; la strategia comprende anche privare i Franchi del riposo.

«Segnor,» dist l'amirals, «jo faç desfension Que François ne mangust de pain de ne poisson, Ne boive vin ne eve ne claré ne puison,

Ne ne siece ne voist ne ne gise en maison

Dusque Cornumarans soit jetés de prison!» (vv. 6229-6234)

La fame è comunque un elemento di secondo piano rispetto alla sete e, in generale, alle sofferenze legate alle condizioni atmosferiche.

L’autore dedica molti versi, all’arrivo dei crociati sulla collina di Monjoie, all’enumerazione di tutte le sofferenze patite dai crociati sino ad allora. Oltre ad essere un episodio importante per il nostro discorso perché riunisce in un unico punto tutte le difficoltà subite da chi aveva preso la croce, essa acquista un significato ancora maggiore perché collocata in quello che è il vero avvio della narrazione, perché l’impresa di Gerusalemme inizia soltanto ora.

Questo elenco, che precede immediatamente il discorso di Pietro l’Eremita sulla collina di Monjoie, fa da reale proemio alle vicende della Jérusalem, ed è significativo che l’autore voglia dare tale risalto ad un elemento che in altre chansons de geste sarebbe risultato in secondo piano, vale a dire le ferite e le sofferenze dei cavalieri franchi. L’autore ci fornisce, così, la chiave di lettura di tutto il poema, indicandoci come tali sofferenze siano un elemento centrale per comprendere il messaggio insito nella Jérusalem.

Analizziamo il passo, che copre l’intera lassa 34:

Segnor, cele fontaine, ele est forment salee Et est par escriture Silöé apelee.

A boucels et a buires fu a l’ost aportee, A soumiers et a asnes conduite et amenee. Li prince et li baron - verités fu provee – Le burent volentieri a molt grant desiree. N’i demandoient pas grant cambre tresserree Por boire les bons vins coiement a celee, Por mengier cras capons ne venison lardee : Mangüent car de buef mal quite et mal salee – Par paine, par travail, par mainte consiree Et par fains et par sois, par noif et par gelee Et par fieres batailles et par mainte mellee Dont li baron recivrent mainte dure colee ! Ains que la sainte vile fust prise et conquestee Mains haubers en fu rous, mainte targe effondree

Et mainte cars trencie et plaïe et navree,

Mains pis, mainte coraille, mainte teste colpee, Et des uns et des autres: verités fu provee! Or conmence cançons de bien enluminee,

C’ainc tele ne fu faite ne si bone cantee! (vv. 992-1012)

La lassa 34 inizia citando la fontana di Siloè, di cui abbiamo già parlato. Tale era la sete che i crociati sono costretti a berne l’acqua salata. L’autore precisa come i crociati non pretendessero di condurre uno stile di vita sfarzoso, ma si riducessero a mangiare carne di bue