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Il giallolino nel XIV e XV secolo

I GIALLI DI PIOMBO, STAGNO E ANTIMONIO: DALLA “SEMANTICA” DEL COLORE ALLO “STATO DELL’ARTE”

3.6. I GIALLI DI PIOMBO, STAGNO E ANTIMONIO, LO “STATO DEL’ARTE”

3.6.1. Il giallolino nel XIV e XV secolo

Concordando con idati di letteratura (Künh H., 1968; Künh H., 1993; Martin e Duval, 1990), la disamina dei dati relativi all’impiego del giallolino sulle opere d’arte eseguite tra XIV e XV secolo (figure 40-41), mostra che in questo periodo gli artisti si servirono principalmente dei gialli di piombo e stagno, tipo I e tipo II, per la realizzazione di campiture gialle.

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Figura 40: i pigmenti gialli di piombo e stagno nei manufatti di interesse storico artistico del XIV e XV secolo esaminati in questo studio

Il diagramma a torta mostrato in figura 40, segnala che il 54% delle opere esaminate è caratterizzato dalla presenza del giallo di piombo e stagno di cui non è possibile una discriminazione a causa della mancanza di più specifiche indagini scientifiche. Di essi, il 19% è riconducibile al XIV secolo, mentre un 42% al XV secolo.

Laddove nei lavori esaminati era espressamente indicata una differenziazione tra le tipologie di gialli di piombo e stagno, è stato possibile riconoscere il tipo I nel 26% dei casi risalenti al XIV e XV secolo (figura 41). Inoltre, da un esame più approfondito delle tipologie di pigmenti in esame nella casistica di manufatti vagliata, è stato possibile rilevare un maggior impiego di Pb2SnO4 nei dipinti eseguiti nel corso del XV secolo.

L’inadeguatezza di alcune tecniche di indagine applicate allo studio dei manufatti policromi giustifica l’esiguo numero di casi (solo il 10%) nei quali è stata rilevata la presenza del composto PbSnO3. In proporzione è nel XIV secolo che il pigmento sembra avere maggiore diffusione. Il 3% dei casi studio in cui è stata riconosciuta la presenza congiunta di entrambe le tipologie di giallo di piombo e stagno è databile al XV secolo. La più antica, nonché unica testimonianza circa l’impiego di pigmenti gialli a base di piombo e stagno risale al XIII secolo ed è rappresentata della Madonna con Bambino tra i Santi Pietro

Figura 41: i gialli di piombo e stagno Tipo I e Tipo II nelle opere esaminate del XIV e XV secolo

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e Paolo e quattro storie della loro vita, conservata presso la pieve di San Leonino a Panzano

in Chianti, Firenze.

Si tratta di un dipinto a tempera su tavola, attribuito a Meliore di Jacopo e realizzato intorno alla metà del secolo (Ciatti M., 2012, pag. 44). Il pigmento giallo a base di piombo e stagno è impiegato dall’artista in miscela con il cinabro per rendere al meglio la tonalità aranciata che caratterizza l’impianto compositivo (Bellucci C., et. al., 1990; Seccaroni C, 2006).

Allo stato attuale delle ricerche sul rinvenimento dei pigmenti in esame sulle opere d’arte, è solo a partire dai primi anni del XIV secolo che essi sembrano comparire con maggiore sistematicità sulle tavolozze degli artisti.

Ai primi decenni del 1300 risalgono sette dipinti su tavola facenti parte di una dossale orizzontale di provenienza sconosciuta e attribuiti a Giotto142. Le tavole sono attualmente in deposito presso diversi musei d’Europa ed America (Billinge R., Gordon D., 2008). Su tre di questi dipinti, quali

L'ultima cena (inv n° 643) conservata presso la

Bayerische Staatsgemäldesammungen di Monaco, l’Adorazione dei magi del Metropolitan Museum di New York e la Pentecoste (NG 5360, figura 42) della National Gallery of Art di Londra, è stata identificata la presenza dei gialli di piombo e stagno (Gordon D. et al, 1985, pag 31; Kühn H., 1993, pag. 99). Nel primo caso non è stato possibile classificare la tipologia di pigmento impiegato dall’artista; l’applicazione della diffrattometria a raggi X a micro frammenti provenienti dalle tavole di New York e Londra, invece, ha permesso il riconoscimento del composto PbSnO3 (Gordon D. et al., 1985, pag. 31). Nell’Adorazione dei

magi il pigmento è stato identificato in corrispondenza di una delle vesti gialle; nella Pentecoste il suo impiego è riconosciuto nelle sfumature di tonalità giallo-verde del fondo

(figura 42).

L’impiego del giallo di piombo e stagno, non altrimenti specificato, è stato riscontrato da Diego Cauzzi e Claudio Seccaroni (Cauzzi D., Seccaroni C., 2009) nel Polittico di Bologna eseguito tra 1330 e 1334 e conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna (figura 43). Il pigmento è stato impiegato per la realizzazione delle campiture giallo brillante, di tonalità

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Roberto Longhi e Ferdinando Bologna attribuiscono a Giotto la paternità del dipinto. Cesare Gnudi, propone un’esecuzione delle tavole da parte di allievi della bottega di Giotto ed infine, Giorgio Bonsanti rirtiene possa trattarsi di un’esecuzione frutto di una diffusa collaborazione (Billinge R., Gordon D., 2008).

Figura 42: Pentecoste, Giotto, circa 1310-18, National Gallery of Art, Londra(inv n° 5360) Immagine tratta da Gordon D. et al, 1985

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verdi, talvolta ottenute miscelando lapislazzuli e giallo di piombo e stagno (verde dell'iscrizione basale, pannello dell'arcangelo Gabriele), e nei chiari. Per ottenere effetti marmorei (trono) e tonalità crema, Giotto lavora la biacca con piccole quantità di giallo di piombo e stagno che contribuiscono a rendere l’effetto naturale di alcuni particolari del dipinto.

Figura 43: Polittico di Bologna, Giotto e aiuti, 1330-34, Pinacoteca Nazionale di Bologna. Immagine tratta da Cauzzi D., Seccaroni C., 2009

Nell’arte del XIV secolo Giotto si configura come una figura poliedrica che, cogliendo dalle tecniche impiegate in toscana tra XIII e XIV secolo, esprime una sua tecnica artistica finalizzata a rendere al meglio la volontà espressiva e lo sguardo d’insieme del prodotto finale (Ciatti M., 2012, pag. 45), anche mediante la sperimentazione di nuovi prodotti. Il giallolino, che in base alle indagini scientifiche potrebbe essere associato al tipo II, grazie alle indiscusse proprietà cromatiche e alla brillantezza che ne caratterizza la tonalità, si sposò bene con la tecnica artistica di Giotto. Il pigmento, da solo o in miscela con altri, poteva contribuire a rendere la magnificenza, l’eleganza e la sacralità delle opere. Lo stile di questo artista ha indubbiamente influenzato la numerosa schiera di seguaci che in tempi diversi diede corpo alla bottega del maestro e che, con Giotto, lavorarono a stretto contatto in campo. Alcuni di loro, sotto la guida del Maestro, impiegarono il giallolino per la realizzazione di campiture e

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particolari decorativi dell’opera. Un esempio è rappresentato dalla decorazione della Cappella della Maddalena del Museo Nazionale del Bargello di Firenze (figura 44), già omonimo palazzo, eseguita tra 1332 e 1337 (Mariotti P.I., 2005, pag. 40).

La critica concorda nell’attribuire la progettazione dell’impianto decorativo143

della cappella ad un Giotto maturo, pur affermando che la realizzazione dei dipinti sia avvenuta ricorrendo all’aiuto dei suoi più dotati collaboratori quali Taddeo Gaddi, Maso di Banco, Stefano Fiorentino (Mariotti P.I., 2005).

In occasione di una campagna di restauri conclusasi nel 2004, un gruppo di ricercatori ha portato a termine uno studio di carattere interdisciplinare che ha contribuito a

svelare alcuni particolari dei dipinti fino ad allora sconosciuti oltre a fornire utili indicazioni circa l’impiego del giallolino. In particolare il pigmento è stato identificato parete del

Paradiso che, secondo un approfondito studio delle superfici dipinte e della tecnica esecutiva,

dovrebbe essere stata la prima porzione eseguita nella cappella e, con tutta probabilità, realizzata da Giotto o sotto la sua stretta sorveglianza (Mariotti P. I., 2005). Il pigmento a base di piombo e stagno144 si trova impiegato nella veste verde-chiaro del committente inginocchiato. La pellicola pittorica risulta costituita da azzurrite, giallolino, e radi grani di nero carbone applicati su una preparazione a terra rossa e calce. Lo stesso pigmento è stato impiegato a

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Il ciclo pittorico raffigura scene dedicate alla Maria Maddalena (Convito e casa del fariseo, Resurrezione di Lazzaro, Noli me tangere, Maddalena a colloquio con gli angeli, Comunione della Maddalena, Benedizione del vescovo Zosimo, Miracolo del figlio del principe di Marsiglia) e San Giovanni Battista, patrono di Firenze, (Imposizione del nome del Battista, Convito di Erode). Le pareti d’ingresso e di fondo rappresentano il Paradiso e l’Inferno, tutt’intorno sono invece presenti teste di santi, di Cristo, Agnus Dei, gigli di Firenze, San Venanzio e Stemmi del Potestà al quale inizialmente la cappella era dedicata (Danti C.e Felici D., 2005, pag. 31).

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Il pigmento a base di piombo e stagno è stato identificato mediante analisi delle stratigrafia e spettroscopia di riflettanza a fibre ottiche (FORS).

Figura 45: Maso di Banco, Storie di Silvestro Papa, particolare con il Battesimo di Costantino, 1329-1350, Cappella Bardi di Vernio, Santa Croce, Firenze. Immagine tratta dal web

Figura 44: Cappella della Maddalena, particolare, Giotto, 1332-1337, Museo Nazionale del Bargello, Firenze. Immagine tratta dal web

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velatura per la finitura del fogliame dei fondi in miscela con indaco (Mariotti P. I., 2005; Lanterna G., 2005).

Il modus operandi della Cappella della Maddalena impostato da Giotto e condiviso con alcuni suoi collaboratori di bottega, ha sicuramente influenzato stile e tecnica di alcuni di loro. Relativamente allo specifico impiego del giallolino, alcuni rimandi alle decorazioni della Cappella del Bargello si ritrovano in manufatti policromi di alcuni esponenti della tradizione giottesca che ivi lavorarono a stretto contatto con Giotto.

Il giallolino, nella forma di composto a base di piombo e stagno, è stato rilevato in alcune opere di Maso di Banco, uno degli allievi prediletti di Giotto. Il pigmento è attestato nelle campiture cromatiche dei dipinti murali raffiguranti le Storie di Silvestro Papa (1329-1350) nella Cappella Bardi di Vernio a Santa Croce, Firenze (Moioli P.et al, 1999, pp. 16-19; Seccaroni C., 2006, pag. 42). In questo ciclo pittorico particolarmente complesso a causa della struttura della cappella che si presenta stretta e lunga, l’artista rielabora lo stile del maestro mettendo a punto una tecnica finalizzata a rendere, mediante campiture cromatiche applicate a pennellate larghe e con colori vivi, una certa tridimensionalità ai personaggi raffigurati ed alla scena (White J., 1957, pp.105-113). L’impiego del giallo di piombo e stagno fornisce a Maso di Banco uno strumento chiave per esprimere al meglio il suo ideale compositivo e fornire alle decorazioni luminosità e profondità alle scene raffigurate (figura 45).

Spostandoci in Lombardia troviamo il giallolino in un altro esempio di pittura murale di derivazione giottesca rappresentato dagli affreschi dell’Abbazia di Chiaravalle Milanese. I dipinti realizzati entro la prima metà del XIV secolo, si configurano nell’ambito del fermento e del rinnovamento culturale che contraddistingueva la politica dei Visconti. Le decorazioni pittoriche, con tutta probabilità, sono state eseguite da due gruppi di artisti guidati da un anonimo maestro lombardo, meglio conosciuto come Maestro di Chiaravalle, e da Stefano Fiorentino, tra gli allievi più promettenti di Giotto (Bandera S. et al, 2005). Gli artisti facenti capo al maestro ed alla tradizione lombarda si dedicarono, probabilmente 1322 e 1354, alla decorazione degli Evangelisti della calotta e delle figure dei Santi nel tamburo. I seguaci di stampo toscano coordinati da Stefano Fiorentino realizzarono negli anni 50 del XIV secolo, , il ciclo pittorico con le Storie della Vergine (Bandera S., et al., 2005) al di sotto del tamburo. Il pigmento giallo di piombo e stagno di tipo II è stato identificato sulle campiture verdi delle palmette della scena dell’Annunciazione, in miscela con malachite. In altre zone del dipinto la stessa tipologia di pigmento sembra essere stata addizionata a terre verdi; in altre porzioni essa è stata impiegata per la realizzazione di campiture gialle (Bandera S., et al., 2005, pp. 807-811).

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Lo stile pittorico di Stefano Fiorentino e la sua attenzione alla resa cromat ica delle superfici, si riconoscono nei dipinti murali di Chiaravalle Milanese, come nel resto delle opere ad egli attribuite, nell’attenzione per i colori fusi ed immersi in un’atmosfera moderata. La tecnica dell’artista giottesco contribuisce a rendere ai suoi dipinti una visione d’insieme, organica ed omogenea, che giustifica la definizione per lui proposta da Vasari che afferma come l’artista si caratterizza per la messa in opera di una pittura dolcissima e tanto unita (cfr. Vasari G., 1568, pag. 69).

Rimanendo tra gli artisti legati alla produzione artistica di Giotto, il giallo di piombo e stagno è stato individuato in due dipinti su tavola realizzati da Nardo di Cione tra 1350 e 1365. In particolare un giallo di piombo e stagno, di cui non si specifica tipologia e punto di analisi è stato impiegato nei Cinque Santi, inv n° waf 1027, 1350 circa, conservato presso la Baayerische Staasgemäldesammlungen di Monaco (Kühn H., 1993, pag. 99). Nei Tre Santi, eseguito intorno al 1365, custodito alla National Gallery di Londra (n 581), Nardo di Cione si è servito del giallo di piombo e stagno tipo II in miscela con blu

oltremare e biacca per realizzare la veste verde cangiante del Santo a sinistra (Gordon D.,et al, 1985; figura 46).

In entrambi i casi, l’impianto compositivo dei dipinti è caratterizzato da figure drappeggiate con ampi tessuti e pieghe dorate ottenute mediante toni chiari che rimandano alle forme presenti negli affreschi giotteschi. Nardo di Cione ottiene l’effetto desiderato sfruttando pennellate pastose e giochi di luce ed ombre che, nel caso della veste verde contenente il giallo di piombo e stagno tipo II, sono eseguite calibrando i quantitativi dei tre pigmenti che costituiscono la miscela. In particolare si serve di maggiori quantità di oltremare per i mezzi toni e le ombre, punta invece al giallo di piombo e stagno ed alla biacca quando desidera fornire un aspetto più chiaro alla campitura di colore (Gordon D.,et al, 1985, pag. 31).

Per concludere il ciclo di artisti della scuola giottesca che fecero uso del giallo di piombo e stagno è da menzionare un altro allievo del maestro: Taddeo Gaddi. Il composto PbSnO3 è stato identificato nel San Francesco si offre al sultano per la prova del fuoco, della Baayerische Staasgemäldesammlungen di Monaco, inv n° 10677 eseguito nella seconda metà

Figura 46: Tre Santi, Nardo Di Cione, 1365 circa, National Gallery, Londra (n 581). Immagine tratta da Gordon D.,et al, 1985

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del XIV secolo (Kühn H., 1993, pag. 99). Nessuna tipologia di giallolino, invece, è stata identificata nella decorazione parietale raffigurante le Storie della Vergine nella Cappella Baroncelli della Basilica di Santa Croce a Firenze eseguita tra 1318-1328.

Agli ultimi decenni del secolo, infine, risalgono i dipinti realizzati da alcuni artisti appartenenti alla tradizione europea (si veda tabella 1 in allegato 2) e citati da Hermann Kühn, Elisabeth Martin e Alain Duval nei loro contributi allo studio dei gialli di piombo e stagno (Kühn H., 1993; Martin E. e Duval A.R., 1990). Il rinvenimento di Pb2SnO4e PbSnO3 in opere non italiane mette in evidenza che la diffusione di tali pigmenti nel XIV secolo, avvenne anche al di fuori del nostro territorio fors’anche grazie allo sviluppo di rapporti e scambi di artisti nelle corti.

La presenza del giallolino sui manufatti policromi del XIV secolo testimonia come il pigmento (giallo di piombo e stagno tipo I e II) cominci a comparire sulla tavolozza di alcuni artisti, sebbene prettamente legati alla cerchia di Giotto e legati alla tradizione Toscana, per la realizzazione di dipinti murali e su tavola.

A partire dal XV secolo, il numero di dipinti nei quali i pigmenti in esame sono stati identificati comincia ad aumentare, dimostrando una certa diffusione del pigmento in tutte le tecniche.

Tra i dipinti murali, uno dei primi esempi di impiego del giallolino nel XV secolo è rappresentato dalle pitture di Palazzo dei Trinci a Foligno, attribuiti a Gentile da Fabriano ed alcuni suoi collaboratori, grazie alla testimonianza di due documenti datati 1411 e 1412 secolo145. Le decorazioni interessano diversi luoghi del palazzo ed in particolare la Loggia, la

Camera rosarum, la Sala Imperatorum, la galleria di Prodi ed infine, il corridoio che unisce il

palazzo alle canoniche del duomo.

Il giallolino, nella forma chimica di stannato di piombo, è stato identificato nelle campiture verdi della vegetazione (figura 47) e di alcuni abiti applicato in miscela con malachite.

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I documenti sono menzionati in un taccuino redatto tra 1770-1780 probabilmente da un erudito locale, Antonio Prosperi. Si tratta di due ricevuta di pagamento che Gentile da Fabriano rilascia per l’esecuzione di alcuni dipinti. Nel primo documento si cita Ugolino Trinci, nel secondo vengono specificati anche i nomi di alcuni collaboratori che parteciparono alla decorazione delle sale del Palazzo. In particolare si fa riferimento a magistro Jacobo de Venetia, m. Paulo Nocchi de Fulgineo, m. Francisco Iamboni de Bononie, Battista de Dominico de Padua (cfr. Benazzi G., 2010, pag. 215).