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Parte II: UNA PROPOSTA INTERPRETATIVA PER IL PAESAGGIO CHIANTIGIANO

Capitolo 4. Il mondo delle immagini: figure paesaggistiche, metafore, topoi vis

4.1 Il paesaggio chiantigiano e toscano nell’occhio dei viaggiatori 1 Delimitazione del campo di ricerca

4.1.4 Nel giardino del Chiant

L’idea della campagna toscana come giardino ha origini antiche – le prime testimonianze risalgono al Quattrocento126 – si è diffusa grazie alle descrizioni dei viaggiatori (da Montaigne che attraversa la Toscana nel Cinquecento agli eredi del Grand Tour di fine Ottocento) ed è tuttoggi radicata nell’immaginario collettivo e nella cultura specialistica127. Nella sua accezione originaria questa similitudine, estesa dalla cultura contemporanea all’intero territorio regionale, si riferisce in realtà solo alla Toscana centro-settentrionale, gravitante attorno al bacino dell’Arno e dei suoi principali affluenti, dominata da Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia, città che hanno svolto una funzione genetica delle forme del paesaggio agrario attraverso l’investimento dei propri capitali sul contado.

Nel Chianti, conquistato quasi interamente da Firenze nell’alto Medioevo128, questo fenomeno di proiezione di risorse economiche e culturali di matrice urbana, che ha comportato l’innesco di intensi processi di appoderamento e la diffusione della mezzadria, ha conferito alla campagna l’aspetto tipico del “bel paesaggio toscano”: lo ha disseminato di case coloniche, per garantire la residenza del mezzadro sul podere; di ville-fattorie come quelle di Brolio, Meleto, Rentennano, Cacchiano, che inglobano agglomerati preesistenti e diventano centri direzionali dell’organizzazione produttiva; di nuovi insediamenti rurali “aperti” come Gaiole, Greve, Strada, Tavarnelle, poli di servizio per le campagne circostanti assieme ai già esistenti borghi murati (San Casciano, Radda, Castellina, Volpaia, Panzano) che ora mutano la loro funzione e crescono in misura considerevole perché posizionati lungo le direttrici viarie più importanti129.

Il paesaggio agrario assume una struttura complessa e articolata data dalla rete dell’appoderamento - con le sue strade vicinali, i fossi di scolo, le delimitazioni arboree o arbustive dei campi -, dalle sistemazioni di versante, dalla diffusione della coltura promiscua che per assicurare alla famiglia colonica l’autosufficienza alimentare associa le

125

B. Berenson, cit. in L. Mascilli Migliorini, op. cit., p. 150.

126

Giovanni Morelli nel 1411 scrive: “appresso vedrai il paese in quanto al terreno tanto vago e piacevole con tutti i diletti che saprai domandare. E prima egli è situato in un bellissimo piano dimestico e adorno di frutti belli e dilettevoli, tutto lavorato e adornato di tutti i beni come un giardino” (G. Morelli, cit. in A. Brilli (a cura di), Lo spirito della campagna toscana, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1992, p. 57).

127

Si veda la celebre descrizione di Henri Desplanques particolarmente interessante perché riassume molti dei “luoghi comuni” sul paesaggio toscano: “la campagna toscana è stata costruita come un’opera d’arte […] è questa la caratteristica, il tratto principale calato nel corso dei secoli nel disegno dei campi, nell’architettura delle case toscane. Questa gente si è costruita i suoi paesaggi rurali come se non avesse altra preoccupazione che la bellezza. La campagna toscana è sistemata come un giardino e da parte loro anche i pittori delle città hanno contribuito a idealizzare la campagna, soprattutto quella delle basse colline vicine ai centri urbani” (H. Desplanques, “I paesaggi collinari tosco-umbro-marchigiani”, in Capire l’Italia, I paesaggi umani, Touring Club Italiano, Milano 1977, pagg. 98-100).

128

La conquista del territorio chiantigiano da parte di Firenze avviene nel 1125 contestualmente con quella di Fiesole e del suo distretto. Circa cinquant’anni dopo, nel 1176, la linea di confine tra possedimenti fiorentini e senesi si allarga ulteriormente a favore dei primi. Il contado fiorentino si estende così fino a poche miglia da Siena al confine con la quale sorgono una serie di fortificazioni: Réncine, San Polo in Rosso, Monteluco a Lecchi, Tornano, Cacchiano, Rentennano, Brolio, Montecastelli e Montemarchi sono le roccaforti fiorentine, rinforzate dalla presenza alle loro spalle di borghi murati come Panzano, Radda, Castellina e fronteggiate da quelle senesi di Monteriggioni, Aiola, Pieve Asciata, Cerreto, Sesta e Cetamura (vd. L. Rombai, “Il Chianti ieri e oggi”, in R. Barzanti, A. Bianchini, L. Rombai, Immagini del Chianti. Storia di una terra e della sua

gente, Alinari, Firenze 1988, pag. 24).

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colture cerealicole a quelle legnose come l’olivo e la vite, spesso maritata agli olmi, ai gelsi, agli aceri campestri.

Doveva essere questo tipo di configurazione paesistica a spingere il Granduca Pietro Leopoldo in viaggio per la Toscana nel 1773 ad affermare che il Chianti, soprattutto nei pressi del castello di Ama – era coltivato “a meraviglia con terreni fertili a grani, ulivi e vigne bellissime, ben esposte, assolative, tutte tenute ottimamente e come giardini”130. Non è diversa l’impressione degli stranieri che, del territorio compreso tra Firenze e Siena, “un nuovo paradiso e una nuova terra”131 rispetto allo Stato della Chiesa dal quale spesso provengono, osservano quanto sia “riccamente coltivato, reso più vario da lindi villaggi, da fattorie, da ville”132, “la più dolce campagna del mondo”133.

Alcuni si spingono oltre la semplice rilevazione di un’atmosfera e individuano alcuni aspetti tipici del territorio, regole di disposizione degli insediamenti, dei coltivi, del corredo arboreo che si fisseranno nell’immaginario collettivo a definire l’identità estetica del paesaggio: i borghi e i castelli disposti sulla sommità delle colline, la terra coltivata abbellita dal paramento arboreo, i suoli più acclivi occupati dal bosco o dagli uliveti terrazzati mentre “le altre terre sono arabili e le culture più varie si alternano alle vigne”134, i cipressi a corredo delle strade che conducono alle ville o come segno distintivo della presenza di una pieve. A queste descrizioni topografiche possono fare riscontro le vedute, pure mediocri sul piano artistico ma significative come testimonianza storica, del disegnatore senese Ettore Romagnoli, che ritrae le ville del contado disposte sui poggi e lungo i crinali, raggiungibili tramite strade sottolineate da filari di alberi, immerse tra pendii coperti dalle coltivazioni a cavalcapoggio (figg. 7-8).

Fig. 7: Fonterutoli in un disegno di Ettore Romagnoli (da Vedute dei contorni di Siena).

130

F. Prontera, L. Rombai, R. Stopani, Chianti e dintorni. Territorio, storia e viaggi, Polistampa, Firenze 2006, pag. 70.

131

J.P. Grosely, cit. in A. Brilli (a cura di), Viaggiatori stranieri in terra di Siena, cit., pag. 198.

132

A. Brownell Jameson, op. cit., pag. 312.

133

H. Lynch Piozzi cit. in A. Brilli (a cura di), Viaggiatori stranieri in terra di Siena, cit., pag. 228.

134

Fig. 8: Ville del Chianti in un disegno di Ettore Romagnoli (da Vedute dei contorni di Siena).

Oppure gli appunti visivi di M.L. Amiet che fissa particolari architettonici e di paesaggio accennando il profilo di un crinale turrito o merlato di cipressi (fig. 10).

Figg. 9-10: Radda, litografia di Giovan Battista Ricasoli (XIX sec.) e M.L. Amiet, schizzi dal diario di viaggio.

Sono, in definitiva, l’intensità delle coltivazioni - “condotte con una cura e una precisione paragonabili solo a ciò che si vede nei giardini di Londra”135 - e la densità insediativa a conferire al paesaggio della Toscana centro-settentrionale e in particolare alla parte dominata da Firenze l’aspetto di un giardino, di un luogo dove la natura è stata sapientemente addomesticata e controllata dall’intervento antropico136. In particolare il territorio chiantigiano proprio nel lasso di tempo a cui si riferiscono le testimonianze qui

135

J.P. Cobbett, Journal of a tour in Italy and also in part of France and Switzerland, Mills Jowett, Londra 1830, pag. 105.

136

Per Mary Berry la campagna fiorentina “per colture e produzione è un vero e proprio giardino” (M. Berry,

Mary Berry. Un’inglese in Italia: diari e corrispondenza dal 1783 al 1823, a cura di B. Riccio, Ugo Bozzi

Editore, Roma 2000, p. 288), per Mabel Crawford Sharman il sistema di coltivazione adottato è simile al giardinaggio.

riportate, ovvero a partire dai primi decenni dell’Ottocento fino ai primi del Novecento, assume la sua fisionomia più compiuta di “paesaggio-giardino”.

Già nel 1829, circa un decennio dopo la grave depressione agraria che aveva investito la Toscana, gli osservatori dell’Accademia dei Georgofili registrano infatti una notevole espansione dei coltivi ottenuta grazie ai disboscamenti e alla messa a coltura di nuove terre nelle quali, in luogo del vecchio e diffuso sistema di coltivazione a rittocchino, si realizzano fosse livellari e terrazzamenti, oppure ciglioni nel caso di suolo meno pietrosi. L’estensione della maglia poderale porta alla costruzione di nuove case coloniche che punteggiano più intensamente di prima il paesaggio agrario. La gran parte dei poderi è coltivata a cereali, ma con una produttività superiore a quella abituale grazie ad un più moderno avvicendamento a ciclo quadriennale introdotto per primo da Bettino Ricasoli nelle sue terre; sulle prode di ciascun campo filari di alberi (olivi, gelsi e altri alberi da frutto) a cui si maritano le viti che tra l’altro sono ritenute piante bonificatrici poiché con le loro fosse regolano il deflusso delle acque rendendo più stabili i suoli.

Alla floridezza economica del territorio chiantigiano, dunque alla ricchezza del suo paesaggio agrario, contribuisce anche il complessivo miglioramento della viabilità che rende più agevoli i traffici commerciali in modo particolare verso il mercato fiorentino. La Chiantigiana è la strada che beneficia maggiormente di questi interventi volti ad un suo generale miglioramento e alla costruzione di un nuovo tratto di collegamento tra Castelnuovo Berardenga e Greve137.

Questo processo di intensificazione dell’appoderamento e delle coltivazioni, innescatosi tra 1820 e 1830 e situato alla base della costruzione materiale del paesaggio chiantigiano, prosegue pressoché ininterrotto fino agli anni venti del Novecento portando all’apice delle sue capacità produttive il territorio e il paesaggio agrario ai livelli di compiutezza formale noti.