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Parte II: UNA PROPOSTA INTERPRETATIVA PER IL PAESAGGIO CHIANTIGIANO

Capitolo 4. Il mondo delle immagini: figure paesaggistiche, metafore, topoi vis

4.1 Il paesaggio chiantigiano e toscano nell’occhio dei viaggiatori 1 Delimitazione del campo di ricerca

4.1.5 Il paesaggio come opera d’arte

La similitudine tra la campagna toscana e un dipinto e la trasmigrazione di modelli pittorici nella visione del paesaggio reale sono motivi costanti nella percezione degli stranieri. Se l’influenza esercitata da alcune tradizioni figurative ha da sempre costituito una prerogativa fondamentale per l’estetizzazione del territorio, nel contesto che stiamo esaminando questo fenomeno si carica di valenze ulteriori e apre la strada a un processo di invenzione del paesaggio, intesa in una duplice accezione: da un lato, secondo l’originaria valenza semantica del termine, come ritrovamento e codificazione di significati estetici storicamente incorporati nella realtà territoriale come il senso della misura, la regolarità, la simmetria; dall’altro come trasfigurazione del paesaggio in descrizioni e rappresentazioni dall’alto contenuto fantastico e immaginativo. Questo doppio movimento si realizza attraverso la mediazione di due diverse tradizioni figurative, ugualmente importanti per il viaggiatore ottocentesco e ben presenti nel suo bagaglio culturale.

La prima scuola pittorica che influenza la percezione dei viaggiatori è quella dei maestri primitivi e rinascimentali – Benozzo Gozzoli, Ghirlandaio, Beato Angelico, Piero della Francesca - come si è visto in precedenza rivalutati dalla cultura ottocentesca e ammirati nelle gallerie, nelle chiese, nei palazzi delle città visitate. Così quando gli stranieri si addentrano nella campagna riconoscono nelle sue variazioni cromatiche, nel suo aspetto quasi cesellato punteggiato di cipressi, ville, castelli, le rappresentazioni del paesaggio quattrocentesco che hanno imparato ad apprezzare attraverso le opere dei maestri di quella scuola (fig. 11).

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Fig. 11: Particolari di Il viaggio dei Magi di Benozzo Gozzoli, La Deposizione dalla croce di Beato Angelico, Gli Effetti del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti, Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano.

La campagna attorno a Siena, per citare una delle tante descrizioni declinate secondo questa cifra estetica, “ora digrada in valli cosparse di terra rossa e velate dalla grigia foschia degli ulivi, con cipressi che svettano cupi nel cielo, ora s’inarca in collinette dove le campane oscillano sui tetti dei bruni monasteri […]. Dopo il tramonto par quasi che un messale dipinto dagli artisti senesi sia stato innalzato tra la terra e il cielo, un cielo rosato, splendente d’oro e d’azzurro, con i profili delle colline nettamente disegnati contro uno sfondo dorato, nere masse tinteggianti di porpora, con profondità cromatiche che rifulgono nell’oscurità, ogni spigolo lumeggiato d’oro miracoloso”138. La stessa luminosità si riverbera nel paesaggio descritto da Edith Wharton e invade campi, siepi, cipressi per ricordare infine le increspature dorate della Nascita di Venere di Botticelli, mentre Maurice Hewlett riconosce gli scenari dipinti da Piero della Francesca, e Elizabeth Pennell quelli di Perugino e Raffaello.

Se per un verso i valori cromatici e luministici - del paesaggio dipinto e di conseguenza di quello reale - sono tra gli elementi più pregevoli per i viaggiatori, per l’altro è il suo aspetto ordinato, ricco, rifinito nel minimo dettaglio a riscuotere il loro apprezzamento. Un aspetto che gli è stato conferito nel corso di secoli da un processo di costruzione territoriale che prende le mosse dall’età comunale e rinascimentale e che la coeva tradizione figurativa ha ritratto. In questo senso il “bel paesaggio” toscano può essere letto, nei suoi elementi fondativi, come prodotto di quell’epoca storica sia sul piano della sua concretezza materiale che su quello estetico: è infatti l’esito dell’influenza della città sulla campagna - che ha tracciato strade, costruito case coloniche e ville di delizia, coperto le colline di coltivazioni e alberature ornamentali secondo principi di regolarità e armonia - ma anche

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di un processo di estetizzazione di questa realtà per mano degli artisti che l’hanno rappresentata. “Fu il primo Rinascimento a creare la Toscana – osserva Karel Čapek -; sullo sfondo le montagne azzurre e dorate, davanti ad esse colline, create solo perché su ognuna vi fosse un castello, una fortezza o una roccaforte, i pendii coperti di cipressi, boschetti di querce, boschetti di acacie, ghirlande di viti, trecce succose e azzurre della bottega dei della Robbia; esattamente così dipinsero Fra’ Angelico, Fra’ Lippi, il Ghirlandaio e Botticelli, Piero di Cosimo e tutti gli altri”139.

Di segno completamente opposto i ritratti paesistici, sia letterari che figurativi, che traggono alimento dalle opere dei paesaggisti seicenteschi - Claude Lorrain, Nicolas Poussin, Salvator Rosa - cui si ispira la categoria estetica del pittoresco codificata sul finire del Settecento in Inghilterra. A più riprese nel corso di circa cinquant’anni i filosofi inglesi William Gilpin, Uvedal Price e Richard Payne Knight sistematizzano questa categoria nel dibattito artistico contemporaneo e specificano le caratteristiche tipiche del paesaggio pittoresco: tra queste la varietà, l’irregolarità e la ruvidezza delle superfici, la scabrosità dei contorni, i contrasti chiaroscurali, elementi puntuali come “le eleganti vestigia dell’architettura antica, la torre in rovina, l’arco gotico, i resti di castelli e abbazie”140. L’occhio pittoresco, soprattutto, “si diletta soltanto della natura”141 e di questa predilige gli aspetti e gli oggetti più irregolari e accidentati, quelli che apparentemente non recano alcuna traccia dell’intervento antropico. Le ambientazioni dei quadri dei paesaggisti seicenteschi si prestano assai bene a rappresentare visivamente quanto viene formulato in forma teorica.

Per tutto l’Ottocento il pittoresco media l’incontro con la realtà e la percezione del paesaggio generando visioni venate di romanticismo, trasfigurate dalle facoltà immaginative e dall’interiorità. Il paesaggio chiantigiano non tarda a rientrare, per l’occhio di alcuni viaggiatori, in questa categoria estetica: nel tratto compreso tra Firenze e Siena “ci sono castelli davvero pittoreschi”142, il “percorso tra Poggibonsi e Barberino è romantico e collinare”143 soprattutto dove la campagna diventa montagnosa; nei pressi di Tavarnelle assume “un aspetto idilliaco, anche se con un tocco classico nel modo in cui i paesi sono collocati, ognuno esattamente sul proprio basamento” fino ad assomigliare alla “campagna tipica dei dipinti di Claude Lorrain e Nicolas Poussin: ninfe, capre, rovine, paesi arroccati a grappoli sulle colline e un velo di morbidezza su tutto l’insieme”144. Il paragone tra il paesaggio chiantigiano - a parte le estensioni boscate un paesaggio intensamente antropizzato secondo le modalità descritte in precedenza - e quello dei dipinti seicenteschi - luogo naturale proiettato in un passato mitico e classicheggiante di cui restano solo rovine - svela il contenuto in parte fantastico di questo genere di descrizioni. Occorre infatti ricordare che, in una delle sue declinazioni più tarde, la bellezza pittoresca è propria degli scenari in grado di esaltare la fantasia e l’immaginazione che diventa così una “camera oscura” attraverso la quale gli oggetti non vengono rappresentati “come effettivamente sono” ma ricomposti secondo “le regole dell’arte”145. In questa particolare chiave interpretativa il paesaggio assume le sembianze di un luogo mitico e idealizzato,

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K. Čapek, cit. in A. Brilli, “Le mutazioni del paesaggio nelle testimonianze dei viaggiatori stranieri”, cit., pag. 548.

140

W. Gilpin, “Tre saggi su il bello pittoresco, il viaggio pittoresco e su lo schizzo di paesaggio: ai quali è aggiunto un poema sulla pittura di paesaggio”, in La Diana, annuario della Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell'Arte dell'Università degli Studi di Siena, Siena 1996, p. 385.

141

Ivi, pag. 367.

142

J. Woods, cit. in A. Brilli (a cura di), Viaggiatori stranieri in terra di Siena, cit., pag. 253.

143

S. Rogers, cit. in A. Brilli (a cura di), Viaggiatori stranieri in terra di Siena, cit., pag. 251.

144

M. Hewlett, The road in Tuscany. A commentary, Macmillan & co., Londra 1904, vol. II, pag. 116.

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una sorta di Arcadia sottratta alle tensioni della contemporaneità. Una concettualizzazione, quest’ultima, funzionale ad un’esigenza di astrazione dal presente, avvertita dagli esponenti della cultura inglese che rimpiangono la bellezza della natura e i suoi aspetti pittoreschi messi al bando in patria dalla modernizzazione e dal progresso146.

Una consistente produzione figurativa influenzata dal paesaggismo seicentesco rende conto di questo slittamento tra la configurazione reale del paesaggio e la sua restituzione artistica. Si vedano per esempio i dipinti del primo Ottocento di François Xavier Fabre che ritraggono il paesaggio attorno a Firenze in una chiave fantastica e idealizzata dove la campagna coltivata viene soppiantata da uno scenario boscoso e naturale, abbellito da figure mitiche collocate in primo piano (fig. 12).

Fig. 12: F.X. Fabre, Veduta nei dintorni di Firenze (1815 circa).

L’influenza del paesaggismo di Claude Lorrain e degli altri maestri del Seicento non si stempera del tutto neanche quando la composizione pittorica deriva dall’osservazione reale della natura: attorno al 1850 i pittori della cosiddetta “Scuola di Staggia” - l’ungherese Carlo Markò e i suoi figli assieme a Lorenzo Gelati, Serafino De Tivoli, Saverio Altamura, in un secondo tempo Curio Nuti e Emilio Donnini – avviano un programma di ricognizione della campagna del Chianti senese da cui scaturiscono vedute che, se pure improntate ad un certo realismo nella restituzione degli elementi naturali, sono strutturate ancora secondo uno schema convenzionale147. I vari paesaggi dipinti nei pressi di Staggia, presentano cioè

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Cfr. A. Jameson, “Picturesque Italy”, in M. Pfister (a cura di), op. cit., pagg. 331-332.

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Telemaco Signorini, uno tra i più illustri pittori macchiaioli, definirà la pittura dei Markò “un’abilissima convenzione e non altro” (vd. scheda “Paesaggio con rovine di un castello”, di Carlo Markò figlio, in Schede

una scrupolosa attenzione al dettaglio naturalistico – le rocce, gli alberi, le figure umane e animali – ma al tempo stesso vengono composti ancora secondo i canoni romantici della “bella e scelta natura”148 sicché l’indicazione toponomastica che a volte recano – Motivo dal vero del Chianti, Motivo di San Marziale presso Colle Valdelsa149 e così via – accentua ancora di più il contrasto tra realtà territoriale e paesaggio dipinto, fatto di rovine, alberi spezzati, pastori e contadini inquadrati ora nella calma della stagione estiva ora sotto un più inquietante temporale (figg. 13-14).

Fig. 13: C. Nuti, Motivo dal vero del Chianti (seconda metà XIX sec.).

risalto queste caratteristiche nello stile di Carlo Markò padre: “sente insieme del fare di Claudio [Lorenese] e del Poussino” scrive Del Vecchio nel 1845 e autori successivi sottolineano il carattere idealizzante eppure analitico di questo tipo di paesaggio (vd. scheda “Paesaggio”, di Carlo Markò padre, in Schede dell’Archivio

fotografico della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti).

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Scheda “Paesaggio con rovine di un castello”, di Carlo Markò figlio, cit.

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Dipinti rispettivamente di Curio Nuti e Carlo Markò figlio. Per questa seconda opera il recensore di una mostra nel 1857 scriveva: “parzialmente guardati pezzetto a pezzetto questi quadri son quasi sempre belli; v’è uno studio del vero sì bene inteso, tanto amore a riprodurlo, tanta verità di tinta e di quei mille piccoli effetti della natura che incanta; ma tra tanta verità (e questo parrà assurdo) l’insieme finale di quelle parti non è più vero, non colpisce per un riflesso della semplice grandiosa natura; è la parola, non lo spirito” (“Rivista di Firenze”, anno I, tomo 1-2, cit. in scheda “Motivo di San Marziale presso Colle Val d’Elsa”, di Carlo Markò figlio, in Schede dell’Archivio fotografico della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti).

4.2 Il paesaggio per i pittori toscani dell’Ottocento