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SULL’USO DELL’IMPERFETTO NELLA COMUNICAZIONE VIA TWITTER

1. Giocare con le scritture brevi

Considerare cosa possa significare che una conversazione sia “seria” oppure un “gioco” mi sembra interessante per affrontare l’oggetto di queste riflessioni, un’attività dal nome «#imperfetti» che pare essere un gioco in cui molte cose vengono immaginate e raccontate, ma nella quale si parla anche di situazioni reali, talvolta con toni per nulla giocosi. È un’iniziativa nata da alcuni racconti in 140 caratteri proposti da un utente di Twitter, un tipo di «scrittura breve»(1) che molte persone hanno deciso di utilizzare a loro volta. Possiamo considerarlo un gioco? Di sicuro è un gioco linguistico(2) e ritengo utile analizzarlo in quanto esempio della complessità della comunicazione in un mondo sempre più digitale.

#imperfetti è iniziato nel modo seguente:

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Il suo promotore non chiama «gioco» questa attività di scrittura, inizialmente, bensì creazione di «microstorie»:

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Ma «#imperfetti» è il nome di un’attività che rimane inespressa: qual è questa attività? Che cosa pensa di lanciare Bergesio? Se facciamo riferimento alle intenzioni dell’autore e al contesto, la questione è presto risolta: rivolgendosi a Francesca Chiusaroli e utilizzando l’hashtag #scritturebrevi nei suoi tweet precedenti, Bergesio si colloca nel contesto di quelli che sono soprattutto una serie di giochi legati alla scrittura. Anche nel primo appello rivolto in modo aperto a tutti gli utenti di Twitter (o perlomeno a quelli che seguono le iniziative di #scritturebrevi) si cita l’hashtag:

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Si tratta, dunque, dell’inizio di una nuova attività ludica, il cui scopo è di creare «microstorie». Accanto alla riflessione sul giocare col linguaggio, sorge dunque un’altra questione: queste enunciazioni sono storie, narrazioni? Bergesio sta invitando altre persone ad un gioco e/o ad una qualche forma di narrazione collettiva? Inoltre, se osserviamo il tweet 4 è possibile sollevare anche un quesito di tipo diverso che riguarda l’invenzione e la finzione. Si nota infatti che, mentre nei primi tre tweet si descrive la postura e l’espressione del volto del dormiente, nel quarto enunciato l’autore sembra riportare le intenzioni della persona che descrive: ma come può l’autore sapere che chi dorme sta scherzando e non prende sul serio i propri sogni? Tre ipotesi che possiamo fare sono: 1. lo suppone dall’espressione del volto o da qualche parola nel sonno che qui non viene riportata; 2. finge di conoscere i pensieri della persona di cui sta scrivendo; 3. scrive di se stesso al passato e in terza persona, ricordando uno stato di parziale consapevolezza durante il sogno. Tutte e tre le ipotesi chiamano in causa una questione abbastanza spinosa, quella della finzione.

Prima di entrare nel merito della narratività e della finzionalità di questi micro testi, è opportuno introdurre anche un terzo concetto: ci troviamo di fronte ad una forma di letteratura? La domanda non è così fuori luogo come potrebbe sembrare e, per dimostrarlo, mi basti citare tre esempi:

(8)

(9)

I tweet 7 e 8 sono rispettivamente la traduzione di un’epistola in versi latini di Petrarca e un brano di un romanzo di Baricco. Che le fonti originali siano opere letterarie è fuori discussione, non è invece irrilevante soffermarsi a considerare ciò che avviene citando passi letterari nel contesto del gioco #imperfetti e attraverso un mezzo digitale come Twitter. Il tweet 9 è una poesia concepita come tweet e successivamente pubblicata su un blog(3). Ritmo, cura dell’impaginazione e ricorso a figure retoriche di stampo poetico (anastrofe, iperbato, enjambement) sembrano essere elementi sufficienti quantomeno per far nascere il sospetto che effettivamente vi sia qualcosa di letterario(4). Le questioni sul tavolo sono dunque tre. In questa sede non le affronterò in generale, bensì in relazione all’uso del tempo verbale indicativo imperfetto, quello scelto da Bergesio per il gioco. Questa decisione metodologica non è casuale: infatti, l’uso dell’imperfetto è un dato grammaticale che vari linguisti hanno considerato essere un segnale linguistico per tutte e tre le qualità: c’è l’imperfetto narrativo, l’imperfetto fantastico e l’imperfetto che regola la «logica della letteratura»(5). L’uso dell’imperfetto, dunque, è un caso di studio particolarmente interessante per

avviare alcune riflessioni sui temi della narratività, finzionalità e letterarietà e, come si vedrà in seguito, le variabili che guideranno le mie considerazioni riguardano principalmente la dimensione temporale del discorso e l’atteggiamento degli individui coinvolti nella comunicazione.

Prima di affrontare le domande poste, però, vorrei accennare all’impostazione adottata nel presente lavoro, per dare alcune indicazioni che possano guidare la comprensione delle affermazioni che seguiranno.

2. Premesse

L’oggetto del presente studio è l’uso del tempo verbale imperfetto, il contesto più ampio in cui me ne occupo è quello della comunicazione via Twitter, e le correlazioni che andrò ad osservare sono quelle fra i verbi e la narratività, finzionalità e letterarietà del testo. Ma allora perché sono partito dal gioco?

Apparentemente, giocare potrebbe avere qualcosa in comune con il fare finta, non tanto con la narrazione e la letteratura(6), ma la ragione per cui ho accennato al gioco è un’altra: perché ritengo sia un tema che è stato affrontato nello stesso modo in cui vorrei provare a interrogarmi riguardo alla narratività, finzionalità o letterarietà di un discorso. Giocare, narrare, fare finta e scrivere letteratura non sono necessariamente attività dello stesso tipo logico – cioè non coinvolgono necessariamente lo stesso tipo di elementi o relazioni fra lo sesso tipo di elementi(7) – ma chiedersi se un testo è narrativo, di finzione, o letterario sono domande la cui risposta può essere cercata nello stesso modo. Anzi, farlo può essere molto utile per darci un ordine mentale che ci permetta di confrontare le risposte, indagare i punti di contatto, le diversità e le eventuali incompatibilità. Cioè può aiutarci a capire meglio le relazioni fra narrazione, finzione e letteratura, evitando generalizzazioni inopportune e facendo luce sulle nostre presupposizioni.

Ma cosa vuol dire fare lo stesso tipo di domanda? Che tipo di domanda è? Vuol dire focalizzarsi su come usiamo il linguaggio e sulle relazioni che istituiamo tramite di esso. Relazioni con il mondo e con gli altri, mettendo in gioco emozioni, credenze, processi cognitivi, conoscenze. Relazioni che sono istituite sempre in un contesto specifico. Non sto dicendo nulla di nuovo ma mi preme essere esplicito sull’impostazione della mia ricerca: «tutto dipende da come “usiamo” gli oggetti, e i testi, con cui veniamo in contatto: un oggetto, o un testo, si colloca in una dimensione estetica solo nel momento in cui noi ce lo mettiamo, disponendoci a guardarlo in un certo modo»(8). Questo vale per la letterarietà, ma anche per la narratività e la finzionalità, le quali non necessariamente hanno a che fare con una dimensione estetica. Chiedersi se un testo è un gioco, vuol dire chiedersi non solo come è il testo, ma soprattutto che cosa stiamo facendo con esso: stiamo giocando? Allo stesso modo possiamo domandarci che cosa stiamo facendo quando raccontiamo o facciamo finta. Porsi in una prospettiva pragmatica, cioè guardare cosa facciamo con le parole, vuol dire entrare nel regno della prassi, dell’azione, e l’agire è sempre una relazione che istituiamo con il contesto e con gli altri. Di conseguenza, dovremmo cercare le ragioni del nostro agire tenendo conto dell’interazione fra tali elementi. In quest’ottica la questione del gioco è rilevante anche in quanto fattore contestuale che dovrà necessariamente essere preso in considerazione per interpretare i testi esaminati: l’atteggiamento che assumiamo giocando può chiarire alcuni usi linguistici, soprattutto nei casi in cui usiamo il linguaggio in modi apparentemente anomali (e di esempi simili ce ne sono numerosi in #imperfetti). Considerare gli usi linguistici nel loro contesto, cioè come parte del gioco #imperfetti, modifica il modo in cui li interpretiamo, perché decidiamo di attenerci a delle convenzioni così da segnalare la nostra partecipazione al gioco.

Ma perché voglio fare questo tipo di domande? Perché ciò mi porta ad adottare una prospettiva globale che permette anche di osservare cosa succede localmente: posso osservare proprietà grammaticali e avere un criterio per metterle in relazione con gli effetti retorici che essi hanno in uno specifico contesto(9). Se da un lato è stimolante riflettere focalizzandosi sulle singole enunciazioni, applicando concetti, modelli e teorie generali che ci permettano di descrivere un fenomeno linguistico, dall’altro lato è talvolta opportuno porre un limite alla pratica analitica, limite stabilito dalla ragionevolezza delle domande che ci facciamo(10). Resta il fatto che è altrettanto interessante per chi si occupa del linguaggio – degli usi linguistici – proseguire la riflessione critica

e il confronto fra diverse forme di prassi, interrogandosi sulle somiglianze, sulle diversità e sulle specificità di ciascun tipo di gioco linguistico.

Ultima avvertenza per il lettore:

– Narratività, finzionalità e letterarietà sono tre proprietà scalari: un discorso può essere più o meno narrativo, finzionale o letterario(11). Quindi, affermando che un tweet sia narrativo intendo dire che esso possiede un certo grado di narratività, e così vale anche per finzionalità e letterarietà.

– Narratività, finzionalità e letterarietà sono tre proprietà che non coincidono fra loro, e talvolta non sono nemmeno correlate.

Un discorso con un certo grado di narratività non è necessariamente anche finzionale o letterario (ad esempio, un documentario o una cronaca giornalistica). Un discorso finzionale non è necessariamente narrativo o letterario (ad esempio, la descrizione del leggendario mostro Tarrasque nel manuale del gioco di ruolo Dungeon&Dragons). Un discorso letterario non è necessariamente finzionale o narrativo (ad esempio, una poesia lirica).

Nel presente lavoro non voglio proporre una teoria o delle definizioni di narratività, finzionalità e letterarietà ma riflettere su alcuni casi limite che coinvolgono questi tre concetti e sull’influenza che il mezzo digitale può avere sull’uso del linguaggio.

3. #imperfetti narrativi, letterari e di finzione

Il gioco #imperfetti è durato quasi un anno, dal 27 novembre 2014 fino al 2 ottobre 2015. I verbi proposti quotidianamente sono spesso alla terza persona singolare, coniugazione che riflette l’intento di Bergesio di evocare esperienze di ascolto di storie: «perché le storie più belle sono quelle che ci hanno raccontato all’imperfetto…»(12). Tuttavia, le scritture brevi generate da #imperfetti sono molto varie e costituiscono una casistica di una complessità che va ben oltre la dimensione del «c’era una volta». Fin dai primi tweet si può notare come in 140 caratteri sia possibile condensare la forza drammatica di storie più ampie e articolate:

(10)

(11)

E se consideriamo un contesto comunicativo più ampio, cioè se leggiamo il tweet insieme ad altri dello stesso autore cronologicamente vicini, ci accorgiamo come anche in questi casi emerga una complessità espressiva notevole:

(12)

Se assumiamo che il soggetto dei degli enunciati dei tweet 11 e 12 sia lo stesso – un’inferenza plausibile ma non necessariamente vera – ci troviamo a dover interpretare due messaggi in parte contrastanti, che senz’altro tratteggiano una psicologia sfaccettata e alludono ad una condizione esistenziale difficile, magari inducendoci anche ad immaginare un contesto in cui interpretare ciò che leggiamo: perché vuole fuggire dalla realtà? Chi è la persona al suo fianco: un uomo, una donna, un genitore? Quali paure ha? Queste sono domande che sorgono tipicamente quando abbiamo a che fare con narrazioni, cioè in contesti in cui si innescano dinamiche di suspense e curiosità dovute allo sfasamento fra tempo degli eventi e tempo del racconto(13). Inoltre, potremmo essere portati a provare empatia per il soggetto (il personaggio?) di questi enunciati, magari perché a volte ci siamo sentiti così anche noi. E queste sono dinamiche tipiche dei contesti letterari, cioè dei discorsi di ri-uso, testi particolarmente adatti a far vivere a noi e ad altri delle esperienze emozionalmente intense o particolarmente significative(14).

Non sono solo i temi evocati ad essere interessanti, lo è anche la cura prestata alle possibilità offerte dal linguaggio. Ad esempio, l’insoddisfazione per il modo in cui sta partecipando al gioco porta questa utente ad un intervento metalinguistico che sposta l’attenzione dal contenuto proposizionale all’atteggiamento autoironico dell’autrice/giocatrice:

(13)

Inutile ricordare che strategie metalinguistiche sono tipiche dei contesti letterari, vale invece la pena sottolineare che non sembra esserci alcuna componente finzionale nel tweet appena citato: l’autrice fa riferimento alla propria giornata e alla propria partecipazione al gioco #imperfetti. Per comprendere il testo e la rilevanza della proposizione metalinguistica non è necessario ricorrere all’immaginazione per fare delle inferenze che la rendano rilevante(15), è sufficiente la conoscenza del contesto ludico segnalato dagli hashtag.

Giocare non vuol dire necessariamente fare finta, ciò non toglie che fra i tweet #imperfetti vi siano anche forme del discorso che comunemente riterremmo di finzione, come, ad esempio, riportare i pensieri di un animale:

(14)

Credo che gli esempi citati mostrino la pertinenza delle riflessioni su narratività, finzionalità e letterarietà, ma è importante sottolineare anche un altro tratto abbastanza ricorrente fra i testi #imperfetti, cioè la creazione di un contesto conversazionale, talvolta con allocuzioni in seconda persona:

(15)

Questa sembra essere la risposta ad una domanda fatta in un'altra situazione comunicativa. Gli hashtag #Volevodirtiche e #Viconfido suggeriscono l’intenzione di comunicare qualcosa che finora è rimasto inespresso ma si ritiene importante far sapere; al di là del contesto di #imperfetti, infatti, sono utilizzati e seguiti da molte persone per segnalare e scoprire su Twitter aforismi e pensieri “segreti” (ma questa è un’altra storia, un altro gioco). L’allocuzione presente nel tweet 15 rende evidente un tipo di comportamento che è emerso fin da subito come uno dei tratti più ricorrenti di #imperfetti: i partecipanti vogliono far sentire la propria voce, sia per esprimere opinioni, sia per comunicare le proprie emozioni, per sfogarsi, per cercare il contatto con altre persone. È stato osservato che questa è anche una delle funzioni della letteratura, poiché essa implica una certa misura di empatia, «incentivando l’intesa con i nostri simili», e «l’opportunità di esperire certe emozioni insieme»(16). Ma nella dinamica offerta del mezzo tecnologico c’è di più: non vi è asimmetria comunicativa come nel rapporto autore-lettore (forse siamo più vicini ad una situazione rituale di narrazione orale). Inoltre, il meccanismo dei cuori (ex stelline) – che permette di esprimere il proprio gradimento per un tweet – ci fa sentire ascoltati e meno soli, e i retweet accrescono la nostra sensazione di appartenenza ad un gruppo, perché indicano che la nostra voce è stata amplificata, che qualcuno condivide le nostre parole, pensieri, emozioni, a tal punto da essere disposto a farli giungere ad altre persone. Giocare su Twitter ci fa sentire apprezzati.