MATTIA (#1)
I loro limiti personali non combaciano con i patti che hanno stretto, con le promesse di cambiare, più volte tradite. Una lunga serie di inadempienze caratteriali ha progressivamente ridimensionato le loro aspettative nei confronti di un matrimonio fondato sull’intenzione di manipolarsi a vicenda. La situazione si è complicata drasticamente quando hanno scoperto di non poter avere figli. Mattia non ha accolto con entusiasmo l’idea dell’adozione, e F. si è detta contraria a ricorrere alla fecondazione assistita.
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MATTIA (#2)
La conversazione procede a stento, in una sorta di traduzione simultanea. Mattia e F. tentano di manipolarsi a vicenda, trasformando la frustrazione in argomentazioni condivisibili e i torti subiti in crediti da riscuotere. È una trattativa estenuante, portata avanti con grandi sforzi; ma senza risultati apprezzabili e rallentata dalla necessità di continue puntualizzazioni, in direzione di un compromesso che lascerà insoddisfatti entrambi. Poco disposti a negoziare uno sconto della pena per i crimini di cui sono chiamati a rispondere, rispetto ai quali hanno più volte ribadito la loro innocenza, si vengono incontro a scatti, parlandone malvolentieri, maneggiando nervosamente qualunque piccolo oggetto venga attratto nel loro campo gravitazionale, tormentando cerniere, capelli, occhiali ed evitando, per quanto possibile, di incrociare i loro sguardi, che puntano fuori fuoco su dettagli periferici, come se fossero appigli a cui tentano di aggrapparsi per rallentare la caduta.
In attesa della resa dei conti finale, perennemente posticipata, Mattia e F. consumano la cena a tarda sera, dopo lo scontro, divorando a grandi morsi le carcasse delle reciproche accuse. Ad un tratto, nell’appartamento salta la corrente, e restano al buio. La televisione si ammutolisce, proprio come loro due. Sollevano la testa dal piatto. L’insegna luminosa della farmacia lungo la strada, al piano di sotto, inonda la cucina attraverso la finestra. Le pupille si adattano in fretta all’oscurità, squarciata ad intervalli regolari dalla luce verde intermittente. Per qualche istante si fissano in silenzio. Dopo mesi di continui scontri, all’improvviso Mattia la riconosce di nuovo, quasi incredulo: è proprio lei.
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ALESSANDRO (#1)
Dopo la morte improvvisa di suo padre, Alessandro ne ha ereditato il ruolo, assumendo la guida dell’impresa di famiglia prematuramente. Consapevole di essere chiamato ad un compito superiore alle sue capacità, aspetta il momento in cui i nodi verranno al pettine, mostrando la sua inadeguatezza a sua moglie, a suo fratello minore, ai suoi collaboratori e consulenti, deludendo le aspettative che lui stesso ha contribuito ad alimentare. Talvolta Alessandro nutre il sospetto che quello delle illusioni sia un sonno pesante, da cui non si è mai risvegliato del tutto, portando avanti la sua vita come un sonnambulo. Si chiede se sia davvero il solo ad essere consapevole del lungo viaggio di ritorno che lo aspetta.
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ALESSANDRO (#2)
Durante la riunione di venerdì pomeriggio, Alessandro ha vissuto un altro di quei momenti di pericolosa euforia, in cui si ha l’impressione di disporre del completo controllo di sé e di incidere sull’ambiente circostante; di riuscire a tessere le fila di un progetto più grande, a lungo termine, fino ad intravedere il senso ultimo delle proprie azioni, scambiandolo per un qualcosa di duraturo. Uno di quei momenti in cui, quasi di
proposito, si cede alle illusioni, a cui si diventa disposti a credere ciecamente; non per fede, ma per necessità, per mancanza di alternative; sapendo di non essere in grado – anche volendo – di divincolarsi dalla morsa dei continui incoraggiamenti, spesi con leggerezza, che denunciano il bisogno di un più rigoroso realismo e tradiscono l’esigenza comune, quasi fisica e ormai incontenibile, di confidare in qualcosa.
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ALESSANDRO (#3)
Aver trascorso il weekend in famiglia, con sua moglie e suo figlio, interrompendo così un flusso continuo di viaggi e lavoro durato quasi tre settimane, lo ha distanziato dall’immagine che tenta di proiettare costantemente sui soci minoritari, sui collaboratori e sui clienti: progettualità, cauto ottimismo, risolutezza. Varcando la soglia del suo ufficio, Alessandro si rende conto di aver abbassato la guardia e si scopre sprovvisto delle sue difese, esposto agli attacchi di qualunque minaccia.
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ANNA (#1)
Fin dall’inizio della loro convivenza, Anna e R. hanno vissuto in simbiosi, cedendo quasi di proposito alla dipendenza reciproca e spesso traendo sicurezza da essa. Si conobbero intorno ai trentacinque anni, poco dopo la fine del primo matrimonio di lei, fondato su una relazione lunga ed estremamente conflittuale. Anche R. aveva divorziato, l’anno precedente.
A distanza di quasi dodici anni, a volte Anna non può fare a meno di pensare che il rapporto tra lei e R. sia stato segnato, fin dal principio, dal problema congenito di un amore difettoso: sufficientemente tenace come collante e abbastanza sereno per tenerli uniti; ma troppo involutivo per riuscire a non considerarlo, soprattutto nelle sue fasi calanti, come un matrimonio di ricambio. Da sempre ogni loro scontro si conclude con il pareggio, con uno spontaneo avvicinamento reciproco che, agli occhi di Anna, sembra essere causa diretta dell’immobilità della loro coppia. Il riguardo che hanno sempre avuto l’uno per l’altra ha instillato per molto tempo un senso di rinascita in lei e ha rappresentato una risposta eloquente al fallimento del suo primo matrimonio; ma ormai Anna fatica a liberarsi dalla sensazione che la paura che hanno in comune – il timore di deludersi a vicenda, irreparabilmente – sia l’ultimo legame rimasto ad unirli. Con un misto di senso di colpa e di sincera preoccupazione, si chiede se anche R. non la pensi così, almeno a volte; se anche lui non abbia cominciato a considerare la paura un collante universale.
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ANNA (#2)
Quel poco che ha scoperto, in modo accidentale, le è bastato appena a formulare delle ipotesi, ma è del tutto insufficiente per trarre una qualunque conclusione riguardo al sospetto di essere stata tradita, forse ripetutamente. Anna si chiede cosa le convenga davvero, sapendo di non essere in cerca di risposte che potrebbero aprire ulteriori interrogativi, decisamente più ineludibili. Rivelazioni che la libererebbero dall’inconsapevolezza solo per renderla prigioniera dell’indecisione, costringendola a scegliere tra un numero ristretto di contromosse, per lei tutte ugualmente svantaggiose. Poco desiderosa di rivivere il finale del suo primo matrimonio, decide di fermarsi finché è in tempo, determinata – questa volta – a trovare una via d’uscita dentro di sé, forse sopravvalutando il suo senso dell’orientamento e la sua resistenza a stenti ed intemperie.
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ANNA (#3)
Anna apre lo sportello della lavatrice e la svuota, trasferendone il contenuto in una bacinella. Si dirige verso il balcone che si affaccia sul cortile interno, e stende il bucato sui fili. Ad un tratto le scivola di mano una camicia. Istintivamente si sporge dalla ringhiera e tende un braccio per cercare di afferrarla al volo. Guardandola precipitare dal quarto piano, per un lasso di tempo che sembra dilatarsi all’infinito, Anna ha la
sensazione di cadere a sua volta. Le capita lo stesso quando si sveglia di soprassalto da un incubo ricorrente, in cui sogna di essere costretta a lanciarsi nel vuoto da una grande altezza. Nonostante non abbia mai sofferto di vertigini, un brivido le attraversa il corpo da capo a piedi. Anna sente le gambe cedere e, piegando le ginocchia, scivola fino ad accasciarsi sulle piastrelle del balcone, stringendo le dita intorno alle sbarre della ringhiera, come se all’improvviso si trovasse chiusa in gabbia. Un senso di panico l’assale, quasi avesse appena assistito al cedimento e alla caduta di una parte del suo corpo, un petalo, un arto mutilato per effetto di un’amputazione spontanea. Qualcosa di simile al meccanismo che permette ad una lucertola di liberarsi della coda, in caso di estrema necessità: una strategia difensiva fondata sulla capacità di automutilarsi, per trarre in inganno il predatore e tentare la fuga. Anna ripensa a tutte le parti di sé da cui è stata indotta a separarsi, a tutti i capisaldi e le aspirazioni che un tempo considerava particelle fondamentali e indivisibili di se stessa. Di recente ha scelto di mettere da parte i suoi sospetti su R. e in passato, ogni volta che si è sentita in trappola, ha preferito cedere a dei ricatti impliciti anziché far sentire la sua voce, imponendosi rinunce, facendo passare in secondo piano le sue esigenze e abbassando le sue aspettative per adattarsi alle circostanze. Anna si rende conto di aver fatto troppo spesso ricorso ad una sorta di autotomia interiore, procurandosi mutilazioni volontarie di organi vitali e risorse psicologiche non rinnovabili, che hanno progressivamente limitato la sua autosufficienza.
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ANNA (#4)
Anna sceglie d’istinto un momento poco adatto per fare chiarezza con R.. Inconsciamente, desidera chiudere la discussione nel più breve tempo possibile; come se si trattasse di un cunicolo sottomarino da attraversare in apnea, sperando di avere abbastanza aria nei polmoni per riaffiorare all’interno della grotta semisommersa a cui conduce. Anna esordisce ammettendo di dubitare della fondatezza dei suoi sospetti e – stupendosi delle parole che sente uscire dalla sua bocca – si sorprende a ridimensionare le sue scoperte, a smussare le sue accuse fino a deformarle, ripiegando su una serie di domande. Si comporta come se volesse evitare di incastrare R., di metterlo alle strette citando tutti i dettagli che ha saputo collegare tra loro.
R. controbatte con convinzione, e sente il panico defluire appena si rende conto che Anna non vuole affrontare davvero la questione, ma evidentemente non può più continuare a comportarsi come se non ne sapesse nulla e sente il bisogno di provare a parlarne per liberarsi di un peso, quasi fosse lei ad avere qualcosa da confessare. Almeno per il momento, sembra intenzionata a credergli e non chiede altro che una spiegazione soddisfacente, una serie di alibi capaci di confutare i suoi sospetti, facendo rientrare la sua preoccupazione al di sotto del livello di guardia.
Mentre R. sta ancora parlando, Anna si avvicina alla finestra, la apre e guarda fuori, verso il basso: l’alta marea si è ritirata dopo l’inondazione, lasciando la Calle Larga ad asciugarsi al sole. Tra poche ore anche loro due ripartiranno, per tornare a casa.
Notizia.
Jacopo Ramonda, nato nel 1983 a Savigliano (CN), scrive testi collocabili in un’area di confine tra racconto e poesia.
Le sue prose brevi sono state pubblicate su «Nazione Indiana» da Andrea Inglese, su «Nuovi Argomenti» da Maria Borio, su «Absolute Poetry» da Marco Simonelli, su «Le Parole E Le Cose» da Massimo Gezzi, su «Poetarum Silva» da Luciano Mazziotta, su «La Poesia E Lo Spirito» da Renata Morresi, su «Formavera» da Simone Burratti, su «I Poeti Sono Vivi» da Roberto Cescon; oltre che su varie riviste cartacee, tra cui «Atelier», «Tratti» e «Prospektiva».
Nel 2012 una selezione delle sue prime prose è stata inclusa nell’antologia collettiva Ho tutto in testa ma non
riesco a dirlo (Bel-Ami Edizioni), con una prefazione di Simone Giusti. Nel 2014 ha pubblicato Una lunghissima rincorsa (Bel-Ami Edizioni), con una prefazione di Andrea Inglese.