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Meninos de Rua: Un’esperienza di osservazione e documentazione nelle strade di Rio de Janeiro.

4.7 Giorno di Riflessione e lavoro nelle favelas

L’indomani, unico giorno di riposo dell’Associazione, decido facendomi un po’di coraggio confesso, di provare a fare gli stessi giri per le strade di Rio per vedere da solo il fenomeno e farmi un’idea personale avulsa da ciò che ho studiato e osservato con l’Associazione . Cosa fanno questi bambini quando gli educatori sono assenti sul territorio?

Come nei giorni precedenti scorgo bambini organizzati in piccoli gruppi muoversi dalle spiagge di Copacabana e Ipanema verso la zona

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più centrale, movimento che non comprendo inizialmente visto che ero stato informato direttamente da educatori e bambini che nel periodo in questione era meglio per essi rimanere il più lontano possibile dalle zone del centro senza farsi notare dalle forze dell’ordine. Cerco di seguirne gli spostamenti: i più piccoli si raggruppano attorno ai chioschi che vendono acqua di cocco e altri frutti, ad ogni bancarella, chiosco, ricevono qualcosa dai commercianti e questo mi colpisce molto. Il senso di solidarietà in Brasile è molto forte ed enfatizzato da un attaccamento alla Religione Cattolica forse unico nel mondo. Prima di ricevere il cibo il rituale è sempre lo stesso, un cerchio, mani nelle mani dell’altro e preghiera di circa due minuti, azione che svolgono quotidianamente gli educatori con i bambini prima di erogare loro pasti. Dopo poco essi si disperdono in gruppi di due-tre bambini e decido dunque di rovinare l’unico giorno di riposo di uno dei due educatori che ormai considero amico, per cui mi accingo ad andare a casa di Giorgio, un educatore di 25 anni molto in gamba con i bambini. Egli mi accoglie come uno di famiglia che non vede da anni; dopo aver rifiutato diversi drink riesco a chiedere delucidazioni sugli spostamenti dei minori. Egli parla bene inglese e mi racconta che i bambini, solo essi, sentono i veri umori della città, sono come delle antenne recettive che captano segnali positivi o negativi, e che organizzano la loro giornata in base a questo. Non mi sorprendo dunque quando al crepuscolo passeggiando sul lungo mare scorgo molte pattuglie della polizia, probabilmente informate che le spiagge nell’ultimo periodo erano divenute il rifugio dei meninos de rua. Prima di ciò però riesco a strappare qualche notizia sulla vita di Giorgio e sulle attività di Amar . Già conoscevo le risposte in linea di massima, ma non l’intensità delle stesse, il loro bagaglio passionale ed emotivo espresso dal mio interlocutore, la padronanza degli strumenti e della situazione che egli esprime. Rimango piacevolmente sorpreso.

Sono passati 6 giorni e decido che adesso l’osservazione del fenomeno dei bambini di strada può svolgersi solo la mattina, quando

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posso vedere con i miei occhi dove si trovano i minori, in che condizioni sono e conoscerne le motivazione dagli educatori. I pomeriggi invece decido di dedicarli alle ispezioni nelle favelas e agli incontri prefissati con alcuni Prefetti, figure di controllo delle stesse. Mi viene sconsigliata questa attività in quanto nel giro di pochissimi giorni molte favelas erano in rivolta e a farne le spese sono stati soprattutto turisti e personaggi famosi, persone che avrebbero attirato l’opinione pubblica sulla protesta degli abitanti.

Mauro Furlan insieme ad un prefetto della favela Morros do Macacò mi spiega la storia di questa grande favela a pochissimi chilometri da Garajau, dove risiedo. Questa favela fu teatro nel 2009 di uno dei più sanguinosi scontri tra narcotrafficanti e polizia militare. Una vera guerriglia urbana dovuta al fatto che la polizia accetta tacitamente la presenza dei narcotrafficanti nelle favelas, tutelando l’organizzazione criminale che vi abita; quando però altri gruppi legati sempre al narcotraffico cercano di entrare, oppure quando la stessa polizia scorge delle armi nelle favelas il tutto si trasforma rapidamente in una vera e propria mattanza: la polizia dopo un avvertimento alle popolazioni delle

favelas entra all’interno della stessa con mezzi corazzati ed artiglieria

pesante spara alla cieca a chiunque si trovi sulla strada degli stessi; a farne le spese sono quasi sempre bambini e donne. Quel giorno furono uccise 14 persone, non si sa bene se civili o appartenenti al narcotraffico e due poliziotti; oltre 3000 unità della polizia militare furono mandate in tutte le favelas di Rio de Janeiro per evitare possibili rivolte di una popolazione, quella delle favelas che da sola costituisce circa un terzo della popolazione dell’intero Stato di Rio e che quindi per la sua vastità demografica potrebbero rappresentare per la polizia e lo Stato un grosso problema. Il racconto diretto di chi era a lavorare per i bambini di questa favela mi emoziona molto e la conversazione procede in modo stimolante. Chiedo delucidazioni sull’organizzazione interna delle favelas e del ruolo della polizia in merito. Prima di vedere con i miei occhi le

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baraccopoli mi viene quindi spiegato che ognuna di esse, ad eccezione di alcune, sono totalmente gestite da narcotrafficanti, essi sono i veri legislatori della popolazione, fanno leggi e puniscono chi non le rispetta. La polizia militare non interviene in quanto il fenomeno da una parte rimane marginale rispetto al centro e alle zone turistiche di questa splendida città, dall’altra essi prendono accordi economici con i narcos. Quando però una delle poche regole tra narcos e polizia viene infranta, come la presenza di armi nella favela o l’insediamento di un altro gruppo criminale, la polizia interviene, prende con la violenza il controllo della

favela e “Pacificandola”, termine che poco ha a che fare con il concetto di

pace e che invece significa che da quel momento la polizia ha il controllo su chi entra ed esce dalle favelas, senza però interferire con gli affari dei

narcos. La polizia presidia il luogo, controlla che il traffico di droga non

entri in conflitto con altre realtà criminali esigendo, mi spiega Mauro, una parte dei proventi che i narcos ottengono dalla droga. Questa è un esempio di favela pacificata mi spiega ancora l’educatore e responsabile del progetto AMAR. Alle ore Alle 15:00 entro assieme a Mauro dentro la

favela di Morro do Macacò. La polizia ci accoglie con un sorriso, la gente

invece è diffidente; impossibile scorgere un volto bianco, le case sono pericolanti, minuscole (5x4) ed ospitano dalle 4 alle 8 persone, pur tuttavia il comune di Rio de Janeiro garantisce loro acqua ed energia elettrica. La classica favela, come ho avuto modo di vedere presenta uno spazio “lussuoso” in bella vista, televisori e stereo di grande valore, mentre il resto dell’alloggio si presenta in condizioni igieniche allarmanti soprattutto per i bambini. La musica Tecno è altissima dalla mattina alla sera, mi viene spiegato per ottenere una sorta di privacy, nascondere rumori e quant’altro. Nonostante la favela sia Pacificata il clima è molto teso, anche Mauro Furlan non capisce il motivo. Veniamo avvicinati da due ragazzi che dopo averci chiesto il motivo della nostra presenza ci invitano a non fare foto. Capiamo che è il momento di andar via, ma insisto con Mauro sul fatto che per adesso non avevamo visto neanche

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un minore. Un po’scocciato il mio Virgilio di Rio mi porta proprio in cima alla collina, fino all’ultima baraccopoli; scorgo che ogni favela ha una struttura che va a salire adagiandosi a montagne e colline. Arrivati alla fine della zona troviamo un gruppo di 10 bambini di ogni età, supervisionati da 2 adulti. I bambini di quella favela non sentono il bisogno, mi spiega Muro, di uscire dal contesto ghetto, essi non lo percepiscono come tale, hanno giochi, protezione, case in cui vivere, campetti di calcio costruiti dal comune e la protezione dei narcos. Facendomi coraggio e facendo arrabbiare successivamente il mio tutor mi avvicino ad un adulto che supervisionava il gruppo di minori. Faccio una sorta di goffo inchino e con un Portoghese molto incerto ma ai fini efficiente chiedo:

Desculpe, eu sou Fulvio, pesquisador da pedagogia. Eu estaria muito interessado em saber se a polícia ajuda em momentos de necessidade ou são os únicos interesses econômicos146.

La domanda è fuori luogo capisco, ma vedendo tanti bambini muoversi in un contesto così chiuso dove i rischi sono dietro l’angolo: (fili elettrici a cielo aperto, droga, strutture traballanti e rischio di contrarre malattine endemiche varie) mi è sorta quasi spontanea, così come perentoria e sintetica la risposta del mio interlocutore

Aqui você pode morrer para a polícia, eles ajudam apenas em troca de dinheiro ou de outro, aqueles que precisam de alguma coisa, alimentos, medicamentos, drogas, álcool, documentos deve voltar-se para quem está no comando147.

Uscendo dalla favela parlo con Mauro chiedo un ultimo favore, parlare con il prefetto della favela. È questione di 5 minuti, in quanto lo stazionamneto della prefettura si trova a pochissimi metri fuori da questa grossa baraccopoli. Riporto al Prefetto la stessa domanda posta all’uomo precedente, la risposta è la stessa. Anzi, vengo informato che il capo

146Traduzione: Mi scusi, sono Fulvio, un ricercatore di Pedagogia. Sono molto interessato a sapere se la

polizia vi aiuta nel momento del bisogno oppure si trova a Morro do Macacò solo per interessi economici.

147 Traduzione: Qui possiamo morire per la Polizia, ti aiutano solo se dai in cambio denaro o altri favori,

chiunque ha bisogno di qualsiasi cosa: cibo, droga, medicine, alcol e documenti deve parlare con chi comanda (i narcos).

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trafficante provvede anche a dare protezione ed è l’unica persona di cui le famiglie si fidano.

Immagine n.9. favela di Morro do Macacò. Fulvio Matteucci

Tornando a casa ripenso all’sperienza fatta e dedico che dedicherò il resto della mia permanenza in Brasile a capire se ci sono legami tra bambini di strada e bambini delle favelas, sempre più nel mio immaginario figli di due povertà diverse. Mi torna poi in mente la frase di Mauro relativa ad uno strano nervosismo e stato di tensione che egli in quanto educatore esperto ha subito percepito nella nostra ispezione nella favela. Cerco informazioni su alcuni notiziari brasiliani on line e comprendo che in serata, sarebbe stato dato un segnale da un gruppo di narcotrafficanti nei confronti della polizia e della popolazione. L’assasinio del famoso ballerino Brasiliano Douglas nella favela Pavao- Pavaozinho nella zona turistica di Copacabana, segnale che si riferisce secondo i giornalisti alla poco gradita presenza della Coppa del Mondo a Rio. Stesso motivo per cui i bambini si sono spostati dalle spiagge? La

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stessa notte mi addormento con il rumore di spari di matriglie dalle favelas in segno di protesta. Contradditoriamente a quanto sentito dai media il motivo dell’omicidio del giovane brasiliano mi viene giustificato l’indomani dal Prefetto della favela Villa Canoa come un escamotage forse della polizia per creare disordini e potersi insidiare in tutte le favelas non ancora pacificate. L’arrivo della polizia nelle favelas mi spiega il prefetto, significa morte certa per buona parte della gente che vi vive.

Villa Canoa è una favela non pacificata e per questo a rischio di incursioni sia da parte dei narcotrafficanti, fino a quel momento assenti, sia della polizia che usa la presenza dei primi per inediarsi. La situazione mi viene presentata è molto delicata ma sento comunque l’esigenza di capire in che modo i bambini vivano in una favela libera, libera dai narcos e dalla polizia come mi viene garantito dal Prefetto. Prima di potervi entrare io ed un collega dottorando in archittettura chiediamo un cartellino della prefettura che ci viene negato. Entriamo in punta di piedi armati di carta e penna e veniamo accolti con molta educazione dalla popolazione che, fino a quel momento lavorava per i ricchi signori del Golf Villa Canoa.

Riesco a fare qualche foto dentro una casa chiedendo mille volte scusa per il disturbo e ringraziando la persona anziana.

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Immagine n. 11. Bagni favela di Villa Canoa. Fulvio Matteucci. Dopo questa breve escursione in una abitazione della favela di Villa Canoa, abusiamo per l’ultima volta della pazienza del nostro interlocutore, chiedogli dove sono i minori e come vivono. Prendo l’iniziativa ed un po’ impacciato chiedo

“meninos come viver aqui? “

La risposta gela subito il sangue a me ed il mio collega. “eles estão escondidos”.

I bambini si sono nascosti, capiamo subito che a Villa Canoa qualcosa stava per succedere, forse, penso, gli abitanti temono, dopo le rivolte della notte precedente, l’arrivo del narcotraffico, il Commando Vermilio148, e peggio ancora della polizia miliare.

Una volta usciti dall’abitazione di questo anziano signore veniamo netteralmente placcati da due ragazzi sulle ventina. Ci invitano ad andarcene o a comprare droga. Ce ne siamo andati via di buona lena.

Una volta riferito questo al Prefetto e alla responsabile informale della favela, nel loro ufficio, non veniamo presi troppo sul serio fino a quando la signora Milze (rappresentante informale e quindi vera cittadina e punto di riferimento della popolazione della favela), dopo

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Mi viene spiegato che in Brasile vi sono 4 grandi potenze del Narcotraffico, la più sanguinaria, estesa e potente si fa chiamare Commando Vermiglio.

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essersi addentrata nella stessa viene subito bloccata dagli stessi trafficanti di prima che le sussurrano qualcosa nell’orecchio destro. Scoppia a piangere e quando trona in ufficio capiamo il perchè. Il Commando Vermilio si era insediato anche la, “dal paradiso all’inferno” intuisco dalla sua esclamazione in portoghese; ella ha ricevuto minaccia di morte dei propri figli dei quali i malviventi conoscevano nome ed età. L’invito era quello di non farsi più vedere la a Villa Canoa perchè da quel momento avrebbero comandato loro. La vera tragedia, spiega Milze in lacrime, si consumerà quando la polizia userà il pretesto del narcotraffico per entrare e sparare sulla popolazione in un contesto, cme quello di Villa Canoa, dove c’è una sola via d’uscita, avendo i signori del Golf alzato alti muri invalicabili per nascondere “le vergogne” della povertà.

L’indomani sarei tornato in Italia e ad oggi non ho ancora notizie della situazione attuale a Villa Canoa ma so che Milze ha dovuto lasciare la sua casa il giorno stesso.

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