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Le forme più diffuse di Child Labour

2.5 Il traffico minorile in Europa

In Italia, per esempio, sono migliaia i casi di bambini, spesso provenienti da altre parti del mondo, che vengono attratti con l’inganno in Italia da un padrone, inconsapevoli di esser stati venduti dai propri genitori. Un dato di fatto sottolineato da molti ricercatori sociali infatti risiede nella speranza (fittizia) che i piccoli migranti nutrono nei confronti di una loro migrazione in paesi esteri.

Ciconte e Romani in Le nuove schiavitù raccontano la storia di Daniel, un ragazzino Serbo di 14 anni con una malformazione fisica alla gamba sinistra62:

Daniel

Daniel viveva felicemente in Serbia con la madre e i fratellini, lontano dal padre che con il suo comportamento violento gli aveva provocato non pochi problemi; questo fino a quando in Serbia non sopraggiunse la guerra. La madre di Daniel a quel punto perse il lavoro e il giovane sventurato fu costretto a lasciare la famiglia e a tornare dal padre, il quale, lo obbligò a lasciare la scuola per dedicarsi all’accattonaggio.

Il padre sapeva che con quella malformazione alla gamba il guadagno sarebbe stato sicuramente più cospicuo. In questo periodo Daniel visse momenti tragici, la fame, il dolore, il freddo e non ultima l’umiliazione di farsi vedere in giro a chiedere l’elemosina dalla madre e dai fratelli; l’unico punto di riferimento possibile era proprio

62E. Ciconte-P. Romani, Le nuove schiavitù. Il traffico degli esseri umani nell’Italia del XXI secolo,

55 suo padre, il quale lasciava intendere a Daniel la possibilità di guadagnare e vivere un futuro più dignitoso; approfittando di questa speranza il padre di Daniel, con menzogne e raggiri convinse il figlio a migrare in Italia con un suo amico che gli avrebbe permesso di guadagnare molto ed in poco tempo.

La speranza di Daniel risiedeva proprio nel poter mettere da parte i soldi guadagnati in Italia utili per il suo ritorno in famiglia. Il viaggio estenuante cominciò dal porto di Bar da dove Daniel raggiunse (su un affollato gommone) la costa Brindisina. Si riposò in una casa abbandonata e all’indomani prese il treno per Brescia, prima tappa del suo viaggio.

Da qui iniziò la sua vita da schiavo: egli mendicava davanti a chiese e centri commerciali per 10 ore al giorno sette giorni su sette, ma un pensiero costante lo sollevava, la consapevolezza che con la somma pattuita con il padrone un giorno sarebbe potuto tornare a casa. Un giorno il giovane Serbo però scoprì che l”amico” del padre lo stava truffando; la somma reale da lui incassata giornalmente era assai superiore rispetto a quella che il padrone gli comunicava. A questo punto Daniel pretese di parlare al telefono con il padre e gli disse che era stato truffato, che stava male e che il suo desiderio era quello di tornare a casa; la risposta del padre fu:

«Devi lavorare e fare quello che ti viene ordinato, altrimenti vengo lì, ti spacco le ossa e vedrai come lavorerai»63.

Fu in quel momento, ci spiegano Ciconte e Romani, che Daniel capì di essere stato venduto dal padre, di essere merce di scambio e soprattutto, di esser solo. È proprio quest’ultima sensazione, “la solitudine” che accompagna la vita di nuovi-piccoli schiavi; soli senza famiglia ne volti amici, in luoghi che non conoscono, soli poiché l’indifferenza delle persone può far più male di qualsiasi altra ferita. Piccoli lavavetri, accattoni e girovaghi sono sotto i nostri sguardi ogni giorno, hanno ormai trovato una loro logica nella nostra vita, tanto che spesso non ci facciamo più caso.

In molti casi invece basterebbe un gesto per “aprire un mondo” e cambiare la vita di questi piccoli sventurati, a testimoniare questo proprio l’esito della disavventura di Daniel che un giorno, dopo aver ricevuto in dono da un vigile urbano un paio di pantaloni ed una giacca, riuscì a

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ripartire da questo gesto di umanità per denunciare alle autorità la sua situazione. Il suo padrone fu arrestato e Daniel poté inserirsi in una comunità per minori.

Daniel nutriva la speranza di tornare a casa, aveva lasciato la propria famiglia per necessità ed era consapevole che in Italia lo avrebbe comunque atteso una vita di accattonaggio e sofferenza. L’inganno del padre, reo di averlo venduto, è sicuramente il fatto più aberrante della vicenda, ed un elemento trasversale a moltissime storie di infanzie violate.

In molti casi i giovani scoprano “il mestiere che dovranno svolgere” quando ormai sono lontani dalle famiglie, soli e costretti dai padroni. Ancora Ciconte e Romani raccontano la storia del piccolo Imer, bambino Albanese attratto da una proposta di lavoro onesto in Italia:

Imer

Un volta arrivato a Cosenza Imer, apprende dal padrone che la sua attività dovrà esser quella di rubare; Imer non ci sta ed ad una prima reazione seguirono botte con una spranga di ferro ed un intero giorno di digiuno. Un giorno il piccolo albanese decise di tentare la fuga verso Trieste in modo poi da poter raggiungere la Yugoslavia. Purtroppo il suo padrone, grazie ad informazione di alcuni nomadi suoi amici, riuscì a rintracciare Imer e nel viaggio verso Cosenza fu nuovamente picchiato.

La storia di Imer si concluse positivamente, con la sua liberazione, ma ciò che interessa sottolineare da questa storia, è quanto spesso per questi giovani non esista una vera via di fuga: esiste infatti un’enorme rete organizzata per la quale i fanciulli appartenenti ad un padrone possono essere poi venduti a qualcun altro, una fitta rete di informazioni e contatti che permette al padrone di rintracciar il bambino fuggito in qualsiasi parte del mondo.

La storia di Daniela, una ragazzina rumena di 14 anni mostra proprio quanto bambine e bambini, una volta entrati a far parte di questo oscuro mondo, diventano merce di scambio da vendere da aguzzino ad aguzzino.

57 Daniela

La giovane Rumena venuta in Italia per avere un futuro migliore fu convinta da Bodiu (colui che diventerà il suo padrone) a migrare in Italia per lavorare in un lussuoso ristorante dove avrebbe guadagnato molto. Una volta in Italia però, Bodiu informa Daniela che il suo lavoro sarebbe stato quello di rubare nei supermercati, da qui la giovane ragazza capì «di essere stata ingannata e che il suo eroe, in realtà era un moderno schiavista, uno che, come accertarono successivamente i Giudici, era avvezzo ad adescare ragazze per condurle in Italia e sfruttarle trasformandole in piccole ladre»64.

La storia di Daniela ha molto in comune con le altre tragiche storie d’infanzia: dopo un rifiuto iniziale a divenire una ladra, la paura di ricevere ancora botte e violenze prese il sopravvento sulla ragazza. Da li Daniela cominciò a rubare (soprattutto cosmetici) in ogni supermercato del nord dell’Italia, la tecnica era la seguente: Jesmina (la ragazza del padrone) rubava cosmetici e ad altre merci per poi consegnarle a Daniela che avrebbe dovuto portare all’esterno del centro commerciale; in questo modo, visto la giovane età di Daniela, la polizia non avrebbe potuto arrestare o trattenere a lungo Daniela in quanto minorenne. Un giorno la giovane quattordicenne rimase a casa, dove vivevano molti altri rumeni colleghi del padrone; uno di loro, Augustin, la violentò ripetutamente e quando la ragazza raccontò l’accaduto a Bodiu egli non ebbe nessuna reazione. Dopo essere rimasta in cinta per ben due volte (con relativi aborti), Daniela, aiutata dall’autista del suo padrone, riuscì a scappare in Spagna dove per un po’ di tempo cominciò a intravedere luce e speranza: lavorava come cameriera, lavoro che le permetteva di mandare parte dei guadagni a casa. Proprio a riprova di quanto dicevo precedentemente, la fuga non basta a svincolare i bambini dalle morse dei propri padroni. Augustin, il quale aveva in precedenza comprato Daniela dal suo vecchio padrone, riuscì a rintracciare la famiglia di Daniela in Romania, mandando dei sicari a picchiare il nonno materno della ragazza. Terrorizzata dalle ripercussioni che la sua latitanza poteva creare nei confronti della propria famiglia, la ragazza rumena tornò ad essere schiava di Augustin il quale, una volta avuto l’occasione, non esitò a perpetrare nuove violenze sessuali sulla ragazza.

L’alternativa di queste ragazzine, raccontano ancora gli autori, è la prostituzione. Attività che per i padroni è ben più remunerativa e per le

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piccole schiave implica maggior libertà. Schiave sessuali a vita ad appena quattordici anni65.

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Capitolo III

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