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II.4 Excursus sul sublime kantiano

II.4.1 Il giudizio di gusto e il giudizio di sublime

Se, dovendo discutere del sublime, ci soffermiamo un istante sul rapporto che esso intrattiene con il bello, è solo perché vogliamo farne emergere più direttamente i tratti caratteristici. Delle differenze tracciate da Kant prenderemo in considerazione solo la “più importante”, perché da questa conseguono tutte le altre:

 

La bellezza della natura comporta una conformità a scopi nella sua forma […]; mentre ciò che suscita in noi il sentimento del sublime, senza fare ragionamenti, soltanto nell’apprensione, può sembrare, sì, secondo la forma contrario a scopi per la nostra facoltà di giudizio, inadeguato alla nostra facoltà di esibizione e quasi violento per l’immaginazione, e tuttavia, proprio per ciò, viene giudicato tanto più sublime.126

Alla già problematico principio di una conformità “soggettiva” della natura127, il giudizio di sublime aggiunge un ulteriore motivo di

perplessità, quello cioè di “sembrare […] secondo la forma contrario a scopi per la nostra facoltà di giudizio…”, tale per cui andrà considerato “non tanto un piacere positivo, quanto piuttosto [con] ammirazione e rispetto, vale a dire merita di essere detto piacere negativo” [§ 23, p. 81]128. Se il bello “riguarda la forma dell’oggetto,

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I.KANT, Kritik der Urteilskraft, ed. it. a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della

facoltà di giudizio, Einaudi, Torino 1999, § 23, p. 81, da cui d’ora in poi citeremo

continuando ad indicare tra parentesi quadra (nel corpo del testo) il simbolo “§” seguito dal numero del paragrafo e dal numero della pagina.

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La conformità “soggettiva” della natura a scopi non è altro che la formulazione verbale o intellettuale di quel sentimento di piacere molto particolare che nella terza Critica Kant considera come principio costitutivo dei puri giudizi estetici di gusto, nonché come principio

regolativo dell’esperienza effettiva, comprese le leggi empiriche che formuliamo per portare

unità tra i fenomeni naturali. Che un presupposto della conoscenza possa essere un sentimento di piacere, lo stesso che ritroviamo a fondamento dei giudizi sulla bellezza della forma di un oggetto; che tale compiacimento sia universale senza dipendere da un concetto; che tale piacere debba essere disinteressato; che possa avere una conformità a scopi senza scopo e godere di una necessità soggettiva e, infine, che possa essere attribuito ad ognuno come un “senso comune” senza che però possiamo essere sicuri di averlo già in nostro possesso e non di presupporlo invece come una facoltà ancora da acquisire… tutto questo non poteva non scuotere dall’interno l’architettonica del trascendentalismo kantiano. Sono note le discussioni, ancora non sopite, che tale principio ha suscitato nella ricezione della terza Critica, ma è indubbio che in esso si riassuma il tentativo di ripensamento, o almeno di riassestamento, della filosofia trascendentale per come Kant l’aveva sviluppata fino a quel momento.

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Come ricorda H. Hohenegger, siccome nella terza Critica del principio del “sublime però non si dà una deduzione”, ci si aspetterebbe che esso condividesse il proprio principio con quello che rende possibili i giudizi di gusto, ma “poiché la finalità a cui è legata l’apprensione dell’oggetto che suscita il sentimento del sublime è controfinale (zweckwidrig)” allora “non è

 

che consiste nella limitazione”, il sublime invece “è da trovare anche in un oggetto privo di forma, purché sia rappresentata in esso, o occasionata da esso, la illimitatezza e però vi sia aggiunta nel pensiero la totalità” [§ 23, p. 80]. Perché si dia giudizio sublime sembra necessario che alla mancanza di forma sia abbinata l’illimitatezza, che diventa condizione del sublime solo in quanto il pensiero vi aggiunga la totalità. Per questo, come vedremo, risulterà “davvero necessaria” la clausola che vuole l’esperienza del sublime condizionata, oltre che dal modo di rappresentarci sensibilmente i fenomeni della natura, anche dal nostro “modo di pensare” e di pensarci129.

Per il bello di natura dobbiamo cercare una ragione fuori di noi, per il sublime invece solo in noi stessi e in quel modo di pensare che introduce la sublimità nella rappresentazione della natura. [§ 23, p. 82, corsivo nostro]

Dovremo quindi precisare come questo sentimento sia legato alla ragione senza essere con ciò determinato da essa – come avviene, secondo Kant, in campo pratico per il sentimento di rispetto suscitato dalla nostra libera sottomissione alla legge morale – e come si riconfermi, in forza di ciò, quella conformità soggettiva a scopi che è propria del sublime e che pareva minacciata dalla mancanza di forma attraverso la quale, talvolta, ci si rivela la natura:

       chiaro quale sia il principio a cui faccia riferimento [Kant] per la propria possibilità”; si veda Id., Note per un’interpretazione dell’analitica del sublime matematico di Kant, in «Il Cannocchiale», 3, 1990, pp. 155-188

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Col che si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che sia per questo motivo che l’esperienza estetica del sublime si sia affermata nella pratica artistica in un momento preciso della storia della nostra cultura – non prima della seconda metà del settecento – cioè con la comparsa di un certo modo di pensare e di intendere la natura e l’uomo.

 

…la natura suscita maggiormente le idee del sublime nel suo caos, o nel disordine e nella devastazione più selvaggia e sregolata, quando si può scorgere solo grandezza e potenza. [§ 23, p. 82]

Grandezza e potenza sono manifestazioni della natura che mettono

in movimento il nostro animo, il quale si sente così spinto a ricorrere alla propria ragione per ritrovare in se stesso quell’intima conformità alla natura che i suo fenomeni sembrano negargli. Grandezza e potenza sono anche, com’è noto, i concetti che definiscono i due profili sotto cui Kant decide di indagare il giudizio estetico del sublime, nel momento stesso in cui l’animo è mosso o spinto da tale esigenza: il profilo “matematico” e quello “dinamico”130.

Concentrando le nostre analisi sul sublime matematico, che pone le basi per una comprensione del sublime in generale, cercheremo di capire, indagando come il nostro modo di giudicare sublime qualcosa possa risultare conforme a scopi, fin dove sia possibile mettere in luce le condizioni di possiblità per la produzione di un tale giudizio.