II.2 Un’ontologia dell’immagine?
II.2.2 La memoria metallica del re
Il desiderio di assoluto che anima il potere può esigere il riconoscimento, oltre che dei viventi, anche dei posteri e così la
rappresentazione del potere – fin qui limitata alla sfera dialogica di due o più interlocutori: il corvo e la volpe nel discorso di adulazione, gli abitanti dell’isola e il naufrago in quello di investitura – farsi opera, divenire cosa tra le altre al fine di sopravvivere alla memoria personale del vivente. Dobbiamo allora vedere quale rapporto intercorra tra la rappresentazione del potere e la sua iscrizione, tra l’immagine e la sua istituzione in un monumento. “Come istituire”, si chiede Marin, “la gloria del principe se non costituendogli una
memoria propria?” [PR, p. 151]. Richiamandosi ad una produzione
artistica e ad una letteratura critica piuttusto diffuse nel XVII secolo, Marin individua nelle medaglie storiche fatte coniare dal potere regio quel genere di “rappresentazione perfetta – ovvero compiuta, senza mancanza né difetto in quanto è per intero iscrizione, ritratto e nome” [PR, p. 153] – in cui il potere e la gloria a futura memoria del monarca devono iscriversi. Infatti, ciò “che la distingue da ogni altro oggetto” legittimandone l’“uso pubblico” – cioè l’“impiego fatto da una stessa comunità” – è quella “autorità” conferitale dalla marca del sovrano che essa porta impressa nella sua materia: “è questa impronta che conferisce al pezzo di metallo prezioso, medaglia o moneta, la sua autenticità e la sua verità” [ibidem]. Certo, se su una delle due facce la “medaglia-moneta porta in effetti la marca del principe, la figura della sua effigie” [PR, p. 154] sul suop rovescio, a differenza delle monete, le medaglie portano non l’emblema o il simbolo “sempre identico” del monarca ma “la rappresentazione di un evento, iscrizione differente da una medaglia all’altra, dell’atto regale al quale ogni avvenimento momorabile si riconduce” [PR, 157]. Così la medaglia riunisce, in un piccolo oggetto portabile messo in circolazione, il racconto storico delle gesta memorabili così come l’effigie, il titolo legittimo e il nome del principe. Meglio di un sepolcro che si limiterebbe a consacrarne la morte come “passaggio definitivo nel passato”, la medaglia è la
“vivente e presente memoria” del monarca non tanto perché, “nel futuro che si apre” grazie alla sua circolazione presso i posteri, essa lo farebbe “ritornare in rappresentazione”, quanto perché “è la posterità che il «monumento» di gloria e di memoria farà pensare come assente
dal tempo e dal luogo del principe…” [PR, 152]. La medaglia deve
diventare per la posterità ciò che propriamente “la autorizza a concepirsi nel tempo e nello spazio specifici della propria storia” [ibidem]. Rileviamo con Benvenitste che, se per poter condividere uno stesso “tempo cronico”, oltre alla possibilità di inscrivere il tempo soggettivamente vissuto da ognuno all’interno della propria enunciazione, è necessario anche che l’enunciazione si riferisca implicitamente ad un “momento assiale, […] un avvenimento così importante che viene reputato dare alle cose un nuovo corso (nascita di Cristo o di Budda; avvento del tale sovrano, ecc.)” e in rapporto al quale sia possibile quindi definire “la nostra situazione” [PLG, pp. 87- 8], allora la medaglia storica e gli avvenimenti in essa narrati sarebbero chiamati a svolgere la medesima funzione della nascita di Cristo. Marin ritiene di leggere nel programma politico sotteso alle rappresentazioni del potere di Luigni XIV ed elaborato dai consiglieri del monarca – non solo le medaglie storiche, ma anche il progetto di narrazione storica che Pellisson presenta a Luigi XIV, la realizzazione della reggia di Versailles nonché delle sue decorazioni e dei giardini – una diffusa intenzione rifondativa del tempo, grazie alla quale “fondare in tutta legittimità la presenza del presente e del vivente” [PR, 152]. In questo senso, relativamente alla medaglie che ora ci interessano, il primo passo è quello di fare di ogni “documento un monumento” [PR, 155], avvallando quegli avvenimenti storici che, soli, hanno avuto l’imprimatur del monarca:
È così che l’iscrizione come impronta è più che un segno la cui relazione referenziale e quella aléthica (aléthique) siano passibili di essere interrogate; l’iscrizione è per sempre l’indice di una presenza irrecusabile. [ibidem]
L’approccio della storiografia pre-positivista che parla per bocca degli autori a cui Marin dà voce per ricostruire il contesto storico che avrebbe portato al ripristino, nel XVII secolo, dell’istituto del conio delle medaglie regali, conserva, nella lettura di Marin, un significato che anche il dibattito storiografico contemporaneo ha dovuto riconoscere. È vero, infatti, che una distinzione troppo semplicistica tra documento e monumento, com’è quella che si è cercato di praticare nella storiografia contemporanea, rischia di pedere quel valore di documento contenuto, benché suo malgrado, nel monumento, non al
di là, ma alla superficie delle sue stesse intenzioni:
Il mistero della medaglia nasconde un segreto che è al tempo stesso astuzia politica e un rituale giuridico, il segreto di una magia razionale in cui il potere di Stato costituisce la sua memoria nella rappresentazione e lo istituisce nell’autorità della verità. [PR, 157]
È vero, cioè, che proprio nella versione esplicita dei fatti che il monumento vuole trasmettere alla posterità si nasconde il segreto di una relazione, tutta superficiale, tra rappresentazione e potere che sfugge proprio per la sua estrema evidenza. L’effetto-potere che emana immediatamente da quei monumenti che sono le medaglie o le monete fatte coniare dal monarca, deriva certamente dall’ambiguo statuto ontologico dell’oggetto in questione, al tempo stesso “indice, icona, simbolo e cosa” [PR, p. 154]: oltre a portare la traccia o l’indice del potere che si imprime nella loro materialità di cose, esse, infatti, esibiscono sia l’immagine che il nome del monarca. Ma, in realtà, tra i tratti semiotici che essa presenta, è proprio il carattere di indice, come
abbiamo già cominciato a vedere, a rivestire una sorta di primato in quanto, appunto, “fonda l’universale accettazione della medaglia- moneta nell’uso” [ibidem]. È come se il volto, di solito di profilo, e il nome del monarca, si rifondessero nella materia preziosa che accoglie l’imprimatur del monarca:
La medaglia, una rappresentazione-potere nel senso primitivo in cui, portando nella sua materia (e non sulla sua superficie come per le mani di colore o le tracce d’inchiostro), come impronta, incisione e iscrizione, la marca di un’autorità sovrana – e indicando con ciò la presenza legittima di questa autroità, autorizzando questa autorità – la medaglia-moneta si fonda e autorizza essa stessa: essa è in se stessa verità e legge. [ibidem]
Questa autolegittimazione – come abbiamo visto tratto caratteristico di ogni rappresentazione – è ciò che conferisce valore alle monete-medaglie coniate. Certo, a differenza della moneta, che “viene identicamente riprodotta”, nelle medaglie “il contenuto di questo valore e di questa identità è variato a causa della sostituzione operata sul [loro] rovescio”, così che “non si tratta più di un valore di scambio stabile e costante” ma ormai di “un evento storico singolare che vale tanto per se stesso, incomparabile, quanto per la sua
differenza da ogni altro”117 [PR, 158]. Eppure, se si ammette “che la
medaglia, come la moneta, ha un valore universalmente e identicamente riconosciuto” [ibidem] è perché “essa mostrerebbe come cosa, marcata nella sua stessa materia diventata forma incisa, ciò che essa significa come rappresentazione che racconta e dà a vedere” [PR, 155]. Chiediamoci, allora, che cos’è che conferisce valore alla medaglia se essa non può contare su quel valore stabile che è proprio
117
E da ciò consegue anche che, mentre la moneta, “come mezzo di transazione e di scambio, non è acquisita che in cambio di un prodotto […], la medaglia è un dono gratuito del re” [PR, p. 160].
delle monete? Il valore delle monete non è diretta emanazione del potere se non per quanto riguarda la loro autenticità, cioè per quanto riguarda, diciamo, la loro qualità ma non per quanto attiene alla
quantità di valore. La risposta che dà Marin è la seguente:
Avere una medaglia del re […], è dunque dover riconoscere il re come soggetto della storia, è dover riconoscere l’avvenimento come la manifestazione attuale della sua potenza, ed è dover avere della riconoscenza per la bellezza della maniera in cui egli è rappresentato e per il valore della sostanza in cui si manifesta. E in questo senso, la maniera nobile e ingegnosa di rappresentare e di dire la storia e la materia preziosa e inalterabile in cui la rappresentazione s’inscrive e che ne presenta il grande soggetto politico, tengono luogo della «materia-contenuto» politico e storico. [PR, p. 160]
La prima parte della citazione non fa che riconfermare quanto detto, in generale, di ogni rappresentazione in quanto si autolegittima: la medaglia assume il valore che ha perché le gesta e il nome del monarca che vi sono raffigurati – valore di icona e di simbolo – se da una parte sono autenticate dalla marca regale che la medaglia porta impressa – valore di indice – dall’altro danno corpo e sostanza di rappresentazione – legittimandola di ritorno – a quella stessa autorità. Ma la seconda parte dice qualcosa di più: lo statuto di cosa, di materiale prezioso, nonché la qualità estetica della sua fattura, sono fondamentali per il conferimento di valore alla medaglia, tanto quanto l’autorità che ne legittima l’autenticità. Non si tratta solo di perpetuare nel tempo la memoria del monarca, com’è sempre possibile fare scegliendo il supporto adeguato al tipo di significazione che si intende veicolare: il libro e la scrittura per un’opera storiografica e narrativa, il dipinto per l’immagine di un evento storico o per la figura del principe. Non si tratta neppure della sola qualità estetica dei fatti narrati o rappresentati, ma della loro qualità estetica secondo “il valore
della sostanza in cui si manifesta”. Il materiale della medaglia-moneta non offre alla rappresentazione solo un supporto duraturo nel tempo ma anche un valore a ciò che in essa viene rappresentato. Per approfondire questo punto bisognerebbe rileggere non solo le celebri pagine che nel Capitale Marx dedica al valore del lavoro, della merce e del denaro, ma anche quelle che Levi-Strauss dedica al Marx della
Critica dell’economia politica quando paragona la relazione che lega
segno e referente – arbitrarietà soltanto “a priori” perché motivabile “a posteriori” – a quella che lega “i materiali preziosi come campioni di valore” alle cose che, per mezzo di essi, vengono valutate. Ed emerge che, almeno a posteriori, possiamo riconoscere nelle “«proprietà naturali» dell’oro e dell’argento: omogeneità, uniformità qualitativa, divisibilità in frazioni qualsiasi che possono sempre essere riunificate dalla fusione, peso specifico elevato, rarità, mobilità, inalterabilità” quelle caratteristiche che fanno ormai dei metalli nobili dei campioni di valutazione. Ma il loro valore, come regole di riferimento, è in buona parte estetico – la loro stessa rarità in quanto risorse disponibili è passibile di estetizzazione – così come è estetico lo statuto di feticcio che sempre riveste le merci. Riprendendo le parole dello stesso Marx: “«D’altra parte, l’oro e l’argento sono, non soltanto negativamente, oggetti superflui ossia non necessari; ma le loro qualità estetiche ne fanno il materiale naturale di magnificenze, gioe, splendori, bisogni domenicali, in breve ne fanno la forma positiva della svrabbondanza e della ricchezza. Appaiono in certo qual modo come luce squisita scavata dal mondo sotterraneo, mentre l’argento riflette tutti i raggi di luce nella loro mescolanza originaria e l’oro riflette solo la potenza più elevata del colore, il rosso»”118. La medaglia del re, allora, mette in luce una relazione complessa di tipo arbitrario-motivato tra l’universo
118
Si veda C. Levi-Strauss, Antropologia strutturale, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992, pp. 108-113.
semantico-simbolico, la qualità estetica e materialità del supporto utilizzato.
L’iscrizione della rappresentazione su di un supporto cosale ha fatto fare un salto all’argomentazione, rimarcando non solo l’importanza del differimento temporale della rappresentazione che si rende possibile attraverso il suo utilizzo, ma anche l’importanza del valore economico dei supporti materiali della memoria, il quale dipenderà da una serie di fattori estetici, sociali e produttivi: la circolazione dei beni, la qualità estetica della loro fattura, l’organizzazione tecnologica di una società e così via. Ma quest’ultimo tratto, qui soltanto accennato, se venisse conseguentemente sviluppato ci porterebbe fuori dalla prospettiva dalla quale il nostro autore muove, aprendo su un terreno che è quello su cui si muove B. Stiegler, per il quale dobbiamo però rimandare alla seconda parte di quest’opera.