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Giulia Pretell

Nel documento ISLL Papers Vol. 9 / 2016 (pagine 75-78)

Cosa hanno in comune giuristi e musicisti? Apparentemente nulla, si potrebbe pensare, ma in realtà i punti di contatto tra queste due figure professionali sono molti.

A parlarne sono due grandi professionisti di questi settori, avvicinati dall’amore comune per l’arte musicale: Gustavo Zagrebelsky, giurista italiano tra i più illustri, già presidente della Corte Costituzionale, e Mario Brunello, violoncellista conosciuto in tutto il mondo, soprattutto per aver portato la musica in luoghi inusuali, come le vette alpine o il deserto. Nel loro libro Interpretare. Dialogo tra un musicista e un giurista, edito da Il Mulino (Bologna 2016), i due sviluppano un tema caro agli studiosi che si interessano di Law and Music, il settore interdisciplinare dedicato alla comparazione tra il diritto e la musica, all’interno della più ampia corrente denominata Law and Humanities, che si occupa del rapporto tra il diritto e le diverse espressioni artistiche dell’umano, quali la letteratura, il cinema e, appunto, la musica.

Il testo è strutturato in tre parti: un capitolo a disposizione di ciascun autore e infine un dialogo tra i due. Le leggi tra le note di Brunello e Le note tra le leggi di Zagrebelsky sono i due capitoli iniziali, suddivisi negli stessi paragrafi, all’interno dei quali gli autori affrontano in modo parallelo i medesimi argomenti, come ad esempio l’interpretazione, l’esecuzione, il virtuosismo, i divieti di interpretazione, il rapporto con la tradizione e l’approccio ai testi “sacri” delle due diverse materie. Successivamente si apre un dialogo dinamico, che ruota intorno ad alcuni argomenti principali (il bello e il giusto, la perfezione, il senso del limite, l’importanza e le caratteristiche del tempo e dello spazio nelle diverse performance), per poi ampliarsi ulteriormente, dando una dimostrazione pratica della possibilità di affrontare il tema dell’interpretazione in modo coordinato tra i due ambiti del sapere. Lo scambio di battute è inoltre reso ancor più interessante dalle caratteristiche dei due protagonisti, grandi esperti dei relativi settori, ma allo stesso tempo aperti a nuovi spunti di riflessione.

Zagrebelsky e Brunello sviluppano la loro conversazione intorno al tema centrale dell’interpretazione, che convengono nell’identificare con «la funzione di chi prende dal passato, pone nel presente e propone al futuro». Tale attività si rivela di fondamentale

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diritto, e nella ricerca del bello, che caratterizza la musica, ci si rapporta immancabilmente con un linguaggio fatto di segni mai completamente chiari. Non a caso è proprio su questo stesso argomento che si è concentrata l’attenzione della maggior parte degli studiosi che si sono occupati di Law and Music, quali, ad esempio, Balkin, Levinson, Betti, Frank, Manderson.

Oltre ad aiutare gli operatori nello svolgimento della loro professione, l’interpretazione si rivela un fondamentale punto di incontro tra i due settori anche perché permette di recuperare l’umanità, l’elemento umano delle due discipline, che, come afferma Zagrebelsky, «è garanzia della nostra libertà contro il formalismo, il fondamentalismo, il filologismo esasperati». L’interpretazione, infatti, consente di mantenere vivo il rapporto tra la pagina scritta e la cultura, permettendo alla legge di essere diritto e non violenza.

Dialogando sull’attività ermeneutica, i due autori si interrogano poi su quale sia il margine di libertà a disposizione degli interpreti, soprattutto qualora vengano a contatto con testi fondamentali per il loro settore di appartenenza, talmente importanti da poter essere definiti “sacri”, quali ad esempio la Costituzione o una partitura di Beethoven.

Se nella musica, come suggerisce Brunello, il limite all’interpretazione sembra essere il limite tecnico dell’eseguibilità del testo, nel diritto l’unico valore oggettivo sembra coincidere con i segni scritti. Zagrebelsky, difatti, respinge con decisione l’idea secondo la quale interpretare vorrebbe dire ricostruire l’intenzione originaria del legislatore o addirittura cercare di capire come egli avrebbe agito se avesse operato in un diverso contesto storico, considerando tale meccanismo un mero artificio retorico che inoltre porterebbe alla cristallizzazione del testo, impedendone l’evoluzione, elemento fondamentale nel diritto come in musica. L’interpretazione “corretta” sarà allora quella che farà rivivere il testo, proiettandolo verso il futuro, senza rimaneggiarlo o stravolgerlo, quella che riuscirà a rinnovarlo senza cambiarne «un solo iota». In ogni caso dunque, i segni fissati sulla pagina saranno una «possibilità» per l’interprete, un punto di partenza da osservare con rispetto, coscienza e precisione, per poi far rivivere il testo, grazie anche alla propria creatività. Un concetto simile di interpretazione si ritrova, tra l’altro, nel pensiero di Salvatore Pugliatti (L’interpretazione musicale, Edizioni Il secolo nostro, 1940), celebre giurista ma anche musicologo, che considerava il testo come un riferimento imprescindibile, nel rispetto del quale l’interprete avrebbe comunque potuto raggiungere risultati autonomi, frutto di una sintesi creativa, libera ma allo stesso tempo legata ad una conoscenza ed esperienza precedente.

Come il diritto, inoltre, la musica è una risorsa umana e al pari delle altre può essere impiegata anche per finalità di sopraffazione, oltreché di resistenza e liberazione. Con una riflessione molto interessante, anche perché riguardante un aspetto spesso tralasciato nelle dissertazioni dedicate a questo tipo di comparazione, Brunello e Zagrebelsky concordano dunque sul riconoscere anche alla musica un vero e proprio valore sociale. La musica può, infatti, essere intesa come una dimensione della convivenza, un fatto sociale: oltre allo studio e al piacere personale, l’arte in genere è fatta per essere diffusa e condivisa, al di là della limitatezza della dimensione individuale. Come suggerisce Brunello, si può addirittura parlare di legalità nella musica, da individuarsi nell’onestà intellettuale nei confronti di se stessi, del proprio strumento e dell’oggetto del proprio lavoro, ovvero la partitura. Onestà intellettuale che, come del resto non può non avvenire nel diritto, presuppone che il procedimento ermeneutico non perda di vista il contesto all’interno del quale viene condotto. Non a caso, sia in musica che in giurisprudenza, si possono individuare quei criteri argomentativi dell’interpretazione detti logico e sistematico,

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compongono un testo e tra il testo e il suo contesto di riferimento. L’idea di una legalità musicale e del rispetto di un contesto ravvisabile come un vero e proprio ordinamento, sembra non stupire molto i due autori. Del resto, come giustamente ricorda Zagrebelsky, non dovremmo ridurci a pensare che l’unico strumento per regolare le relazioni sociali e politiche sia il diritto. Esistono infatti altri sistemi di norme efficaci per la convivenza, sistemi guidati dalla ricerca dell’armonia e della bellezza, come ad esempio le regole che aiutano a tenere efficacemente insieme un quartetto d’archi. Il rimando alla musica è allora quanto più utile e appropriato per non far sì che il “troppo diritto” prosciughi l’umanità, come afferma Zagrebelsky, ricordando ai giuristi di non limitarsi a concepire le persone come mere persone giuridiche, «litigiosi aridi fantasmi».

Senza scadere in una trattazione semplicistica o acritica, gli autori dimostrano con questa discussione che «pur con tutte le loro differenze, diritto e musica possono tendersi la mano». Il risultato è un testo scorrevole, accessibile anche a chi non fosse esperto di comparazione, interpretazione, musica e diritto. Brunello e Zagrebelsky, inoltre, affrontano i vari temi sempre in modo parallelo, fornendo giustificazioni e argomentazioni provenienti dai due ambiti, senza correre il rischio di cadere in un’argomentazione a senso unico, che non tenga conto delle diverse prospettive di osservazione degli argomenti considerati. Inoltre, cosa non meno importante, un dialogo tra due figure così autorevoli nei loro ambiti professionali aiuta ad allontanare i pregiudizi nei confronti della comparazione, rafforzando l’idea che non solo un confronto tra diritto e musica sia possibile, ma soprattutto che tale approccio sia proficuo e possa aiutare gli operatori di entrambe le materie a svolgere il proprio compito in modo più consapevole, senza rimanere relegati nei confini (talvolta troppo stretti) del proprio settore.

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