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I giorni avvenire.

Nel documento ISLL Papers Vol. 9 / 2016 (pagine 103-108)

1 «Ohi vita americabella».

13. I giorni avvenire.

Buon giorno. Per tutti gli Oppressi della Terra, siano buoni i giorni avvenire. E portino sole agli extracomunitari, nei Campi Nomadi, nelle case dei clandestini per vita e lavoro, sulle strade dove ci si prostituisce e si vende cannabis per pochi soldi, un pranzo e una cena a rischio di galera.

E portino sole nei cuori induriti dall’egoismo e dal cinismo tra le spregiudicate manovre finanziarie in guanti bianchi, tra il rumore di numeri gridati nelle Borse o scritti in conti bancari che traboccano e si prosciugano nel giro di ore, tra le vendette di chi il diritto usa nei tribunali per umiliare il proprio debitore o per deporre su roghi l’uccisore del proprio figlio, della propria moglie, del proprio fratello, del proprio amico.

E portino sole ai carcerati in carcere e ai carcerati che hanno già scontato la loro pena in processi lunghi e faticosi, e dietro le sbarre, quadrati di cielo, sulle brandine venti ore su ventiquattro, letti di abbrutimento, assistenza medica scarsa, niente metadone nelle crisi di astinenza, calci e pugni degli agenti di custodia, calcestruzzo di omerta, non si rieducano, s’incattiviscono, entrano per furto e quando escono è rapina.

E portino sole ai gay e alle lesbiche, che sanno amare, e ai margini della costa dei monti, ai bordi delle banchine sugli oceani, amano.

14. Oggi.

Sulle dentiere della globalizzazione, al povero meno di un dollaro al giorno, con Yeats «il male delle cose deformi è un male troppo grande a dirsi», a volte il letto dei poveri è un pezzo di cartone sul marciapiedi, le loro coperte un pezzo di cartone, «che bella cosa na jurnata ’e sole» canticchia qualcuno, il pane quotidiano non manca agli uccelli nel cielo o sotto il tetto, ai pesci nei mari nei fiumi nei laghi, e nei fossi dove l’acqua ingrigia, alle gallinelle nell’aia a passi rari, ai lupi nei deserti e nella Sila, ai grilli e alle coccinelle nella calanca, e manca a chi piange sull’asfalto, tra le quadre di un crocicchio a smalto, vieni tu, brunelleschina, vieni agli strilli, specchiera da toletta, vedetta in blu, fru-fru, siluetta, e oggi 19 febbraio mille958 ore 2:10 è morto il mio papà, e oggi 19 febbraio mille958 ore 15:30 siamo usciti con la bara dalla chiesa, e un picchetto di soldati dell’esercito è sbucato da non so dove per il presentatarm al suono di trombe e tamburi a lutto, e da non so dove sono apparse bandiere listate a nero, mamma, che succede, dico, il tuo papà finì la guerra con il grado di capitano e dopo l’8 settembre non si unì a Badoglio, mi risponde, non lo sapevo, dico, non ci teneva a farlo sapere, tu e tuo fratello avete giocato con la sua croce di partigiano, regalò la sua pistola d’ordinanza a quel mio cugino ufficiale dell’Esercito, la teneva sull’armadio, per non farvela vedere, mi risponde, e oggi pomeriggio 26 febbraio duemila4 mia mamma ha lasciato la sua casa di Pisa, Via Della Pura 4a, direzione Ospedale Santa Chiara, e oggi 19 marzo duemila4, all’Ospedale di Cisanello, Clinica di Chirurgia Generale, si è svegliata da un intervento chirurgico che a causa dell’anestesia era dato a meno dell’1% di riuscita, e oggi 20 marzo duemila4, in sala di rianimazione e terapia intensiva, leggere scorrevano le sue piccole mani sul mio viso, mi ha corretto su un verso di Carducci, non «mal cavallo mi portò» ma «mal cavallo mi toccò», ha detto per La leggenda

di Teodorico, e sentendola il medico l’ha fatta tornare al reparto, piano secondo, stanza 14,

letto centrale tra altri due letti, e oggi giovedì 1 aprile duemila4 le hanno detto che il sabato l’avrebbero dimessa, e oggi 6 aprile duemila4 ore 14:30, le sue condizioni essendosi aggravate, stanco il suo cuore di novantenne, mente ancora da ragazzina, capelli a coda di rondine, gonna un po’ al di sopra delle ginocchia, come le foto di un tempo la ritraggono, mi ha chiamato, pensa ai tuoi figli e non lavorare troppo e vestitemi con l’abito che tengo nel primo cassetto dell’armadio e con quella sciarpa al collo che mi regalasti un Natale e così il tuo papà mi vedrà elegante, e oggi 7 aprile duemila4 ore 23:20 ha chiesto un bicchiere d’acqua, ha chiuso le palpebre senza un lamento, madre perché mi hai abbandonato? e oggi, nella smania dei gabbiani alle onde navigabili, nel levarsi delle aquile alle timpe memorabili, il sole dura ancora in Lusitania abbagliando lame, un passero becca pigolando, un povero cerca bacche nel fogliame, saremo la barca che salverà i poveri, sentiremo il loro cuore inchiodarsi al nostro, e con Hegel «nessun signore nessuno schiavo – nessuno schiavo nessun signore», lo giuriamo, tu mia chitarra d’acqua.

Giotto18

Edvard Munch19

18 Giotto, Il dono del mantello, 1295-1299 circa, affresco cm 230 x 270, Basilica Superiore Assisi. 19 Edvard Munch, Skrik L’urlo,1893, olio, tempera, pastello su cartone, cm 91 x 73,5, Galleria

La prima e la seconda poesia sono di Millosh Giergj Nikolla-Migjeni, Poema e

mjerimit, Kanga e të burgosunit, in Vepra, a cura di Skënder Luarasi, Cetis, Tiranë 2002, pp.

15-18, 26, trad. di Domenico Corradini H. Broussard. La terza è di Giulia Benvenuti, Cuore

di fiori, pro manuscripto, Fucecchio (Firenze) 2015, p. 73. Nella prima poesia «mjerim» e

«skam» sono tradotti con «povertà», anziché con «miseria» e «indigenza».

Poema di povertà

Povertà boccone duro, fratello, fermagola. E ti assale tristezza, volti sbianchi con occhi verdognoli ti guardano e tendono mani stecchite,

5 tese dietro te rimangono finché non si spezzano, su loro, aria indifferente,

fendono il cielo croci e minareti impietriti, brillano profeti e santi in fuochi multicolori.

10 Povertà sente il tradimento. Povertà marchio tremendo, disgustoso perfido sconcio, fronte e occhi annunciano, bocca fatica a nascondere.

15 Figli d’ignoranza e sprezzo, sul tavolo resti verdastri, vi ha mangiato un cane crudele, pancia secolare insaziabile. Povertà ha per abito brandelli,

20 bandiere di speranza lacere per inganno.

Povertà in amore infuocato, angoli bui tra cani topi gatti,

su stracci muffiti fetidi sudici bagnati,

25 si spogliano carni giallite sporche, si intrecciano sensi con forza bestiale, si mordono e divorano labbra crepate, non più fame né sete,

si soffoca in un intreccio infuocato,

30 si generano folli servi mendicanti, domani affolleranno le strade. Povertà in occhi di neonato, trema la fiamma smorta di candela, soffitti fumicati e ragnatele,

il neonato piange sofferente, seno asciutto di nera madre, incinta, maledice Dio e Satana, maledice il frutto in gestazione.

40 La creatura sua non ride, langue. La madre non l’ama, bestemmia. Triste culla di povertà,

il bambino da lacrime cullato. Povertà in bambini presso palazzi,

45 là non voce di mendicante, non turbate la quiete dei signori, col signore dormono felici. Povertà nel bambino già adulto, insegna a evitare il pugno minaccioso,

50 in sonno pugno afferracollo,

cominciano lamenti di fame e febbri, il viso del bambino spettro di morte, gioiello nero invece di sorriso. Del frutto maturo si sa la fine,

55 il bambino finisce in pancia di terra. Povertà a lavoro giorno e notte, bolle di sudore su petto e fronte, striscia nel fango fino alle ginocchia, di nuovo la pancia di fame diventa

60 un compenso ridicolo, per mille fatiche quotidiane tre o quattro soldi e march. Povertà in guance lucide,

labbra rosse e zigomi dipinti, il corpo in statua di commercio,

65 dannato a compagnie di letto, prezzo qualche spicciolo,

chiazze su lenzuola volti coscienze. Povertà anche in eredi,

non denaro in banca e immobili,

70 ossa torte e ricordi strazianti, un giorno il tetto crollò a pezzi per marcio di tempo e peso di cielo, da viscere infernali una voce

di maledizioni e preghiere,

75 voce d’uomo morente sotto travi. Così sotto il grave piede di Dio irato, il prete dice, muore chi in peccato vive. E con questi ricordi e disgrazie

riempie il bicchiere di veleno antico.

80 Povertà in consolazione, il bicchiere.

Caffè straccioni, lerciume vomitevole su tavoli, anima assetata tracanna il bicchiere

per dimenticare novantanove guai, e il bicchiere torbido, bicchiere diabolico,

85 accarezza la gola a morsi di serpente, e quando l’uomo cade, grano da falce, sotto il tavolo piange e ride tragicomico. Povertà affoga i guai nel bicchiere, uno dopo l’altro centinaia.

Nel documento ISLL Papers Vol. 9 / 2016 (pagine 103-108)