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Capitolo secondo

2.2 Il giuramento nella Grecia antica

2.3.7 Giuramento e discordia

134 Nonostante fin qui abbiamo dato forte risalto e centralità all’aspetto più violento del giuramento nel mondo greco, concludiamo questo capitolo ribadendo che anche nel mondo greco il giuramento rimane, comunque, il metodo cui si ricorreva per dirimere la controversia in caso di disaccordo tra le parti. L’idea secondo la quale i greci sarebbero poco sensibili al vincolo del giuramento è, a mio avviso, un cliché, un luogo comune. La società greca, infatti, è caratterizzata da una frequente applicazione dei giuramenti prestati, come hanno rilevato Erich Ziebarth, Rudolf Hirzel, Justus Herm Lipsius, Kurt Latte solo per citarne alcuni.

È ben noto, infatti, seguendo quanto affermato tanto dallo storico del diritto Ludovic Beauchet (1855-1914) in Histoire du droit privé de la république athénienne (1897) quanto da Gustav Glotz in Etudes, che il giuramento segnava i più importanti momenti nella vita del cittadino greco. Basti pensare alla tradizione omerica che ci ricorda consacrati dal giuramento solenne i rapporti fra gli dèi, fra i due eserciti in guerra, o fra gli stessi condottieri nemici. Si tratta, cioè, di un tipo di legame che è spesso realizzato in situazioni in cui uno o entrambe le parti hanno motivi per sospettare dell'affidabilità dell’altro, soprattutto nel caso in cui in precedenza c’è già stata un’ostilità che ha fatto sì che le parti in questione divenissero tra di loro acerrimi nemici, per cui si ricorre al giuramento, chiamando gli dèi a testimoniare e spesso esprimendo esplicitamente quanto avverrebbe nel caso in cui la parola data non verrà mantenuta253, per porre fine ad un conflitto o addirittura per diventare alleati.

Un episodio che testimonia come il giuramento sia un elemento cruciale e determinante nel porre fine alla discordia tra le parti è rappresentato dall’Iliade di Omero. In questo episodio si ricorre al giuramento come metodo per dirimere la controversia e dunque per porre fine alla discordia tra gli uomini ricorrendo alla sanzione divina. Ciò che emerge da questo passo è l’idea del riverberarsi della punizione divina su colui che spergiura, e quindi, su colui che non mantiene la parola data e l’emergere del giuramento come principio risolutore delle liti. Episodio che sembra illustrare in maniera perfetta quanto affermato da Glotz e ripreso da Loraux sul giuramento: «[il giuramento impedisce] agli uomini di essere in uno stato permanente di

253 É proprio questo elemento di auto-maledizione che distingue il giuramenti dalla pistis e, in generale,

135 ostilità reciproca254», di costituire la più efficace delle prevenzioni contro al discordia e la guerra:

«Anzi darò il giudizio io stesso e nessuno, ti dico, avrà a ridire fra i Danai, perché sarà retto.

Vieni qui, Antiloco, alunno di Zeus – questo è l’uso – dritto davanti al carro e ai cavalli, e la frusta

flessibile prendi in mano, quella con cui guidavi, e toccando i cavalli, per Ennosigeo scuotitore della terra

giura che non impedisti il mio carro volutamente e con dolo255».

In questo episodio dell’Iliade il giuramento risolve la lite tra Menelao e Antiloco sorta dalla gara dei carri. In questi versi Menelao accusa Antiloco di guida fallosa e perciò lo sfida a giurare secondo le formule in nome di Poseidone, toccando i cavalli con la frusta in mano, perché quest’ultimo ammetta le ragioni dell’avversario circa la scorrettezza del proprio comportamento nella precedente gara di carri, evitando così che la controversia degeneri in una lite senza fine256.

Analogamente in Tucidide i giuramenti che si scambiano le parti pongono termine ad un conflitto o addirittura le parti che prestano giuramento da acerrimi nemici diventano alleati. A questo proposito riportiamo gli episodi della guerra del Peloponneso in cui si prestano dei giuramenti.

Ecco il testo che sancisce il giuramento tra Ateniesi e Spartani:

254

Glotz, Le serment, cit. p. 100 in Loraux, La città divisa, cit. p. 223.

255 Omero, (720 a.C.) Iliade, libro XXIII, 262-650.

256 Stando alle analisi di Eva Cantarella in Norma e sanzione in Omero. Contributo alla protostoria del

diritto greco (1979), è possibile affermare con certezza che l’ordalìa, nei poemi, risulta attestata come

mezzo consuetudinario di risoluzione delle controversie internazionali, come nel duello internazionale Paride-Menelao. Si può parlare, dunque, di ordalìa, ossia, della credenza in un intervento divino nel momento della decisione per porre fine alle controversie internazionali, mentre per quanto riguarda le controversie interne, ad avviso della Cantarella, il problema è ulteriore e discutibile.

136 «Ateniesi e Spartani, con i rispettivi alleati, hanno concluso la pace alle seguenti condizioni, che le singole città hanno giurato di rispettare. [...]. Dall’una parte e dall’altra, pronunceranno il giuramento più solenne, secondo la tradizione, 17 cittadini di ciascuna delle due città; e il giuramento sarà così concepito: “Rispetterò queste condizioni e questi patti con giustizia e lealtà”. Allo stesso modo, Spartani e alleati presteranno agli Ateniesi il giuramento, che dovrà poi essere rinnovato ogni anno da ambo le parti. Esso sarà inciso su dei cippi in Olimpia, a Delfi, sull’Istmo, in Atene sull’acropoli, e nel tempio di Amicla presso Sparta. Se da una parte e dall’altra ci sarà stata qualche dimenticanza, su qualche particolare, senza violare il giuramento, facendo valere le buone ragioni, potranno sia gli uni che gli altri introdurre delle modificazioni, purché su ciò siano d’accordo tanto gli Ateniesi quanto gli Spartani».

Pace che, come è bene noto, non durerà molto. Ci sono, infatti, molti passi in Tucidide in cui gli Spartani non tengono fede ai giuramenti. Gli esempi in cui gli Ateniesi si trovano in grave disaccordo con gli Spartani sono, infatti, innumerevoli.

Un esempio di falsa testimonianza da parte del re Spartano Archidamo è rintracciabile nell’episodio del 429 a. C. in cui gli Spartani invadono Platea. I Plateesi protestano contro questa violazione dei giuramenti da parte degli Spartani ma questa volta non invocano al pace dei trent’anni che ormai è diventata lettera morta ma attraverso lo speciale giuramento di Platea del 479, che garantiva autonomia alla città e protezione nel caso in cui qualcuno marciasse ingiustamente contro di loro per ridurli in schiavitù.

Gli episodi narrati da Tucidide rivelano come i giuramenti prestati, come ad esempio quello che si scambiano ateniesi e beoti in seguito ad un contenzioso257, siano atti che derivano da uno stato di discordia, alludono cioè al fatto che decidono una discordia. Come ha notato la stessa Loraux, il quinto libro di Tucidide dedicato alla pace di Nicia presenta ventidue occorrenze di horkos sulle trentasei dell’intera opera.

Si tratta, cioè, di episodi che sembrano illustrare in maniera perfetta quanto affermato da Gustave Glotz e ripreso da Nicole Loraux sul giuramento: «[il giuramento impedisce] agli uomini di essere in uno stato permanente di ostilità reciproca258», di costituire la più efficace delle prevenzioni contro la discordia e la guerra. Anche nelle

Eumenidi (letteralmente “le benevoli”) eschilee si giunge ad una risoluzione delle

257 «Una volta, infatti, in seguito a contesa sorta per questa località fra Beoti e Ateniesi, avevano giurato

che nessuna delle due città avrebbe abitato da sola quel luogo» (Tucidide, V, p. 34).

137 controversie e all’instaurarsi di una situazione di equilibrio e di armonia; equilibrio ed ordine che si ottengono grazie all’istituzione dell’Aeropago, il tribunale ateniese competente a giudicare i crimini di sangue, una nuova forma di giustizia che è sotto il controllo di Zeus e che non agisce più direttamente attraverso le Erinni che sono la personificazione della vendetta e vengono spesso identificate con maledizioni, ma piuttosto attraverso Dike, la giustizia, ossia la dea che tiene l’equilibrio dell’universo, ponendo così un punto d’arresto alla serie infinita, alla catena inarrestabile ed infernale di vendette, uscendo da una situazione tribale, caratterizzata da aggressività e violenza. Come abbiamo già anticipato nei precedenti paragrafi il tentativo da parte del giuramento di addomesticare la violenza, come nel caso appena citato in cui le Erinni da dee della vendetta diventano benevoli, dee della giustizia, non riesce mai a neutralizzare definitivamente le tensioni proprio a causa di questa sua costitutiva ambivalenza, per cui anche le Eumenidi possono sempre tornare a vendicarsi, hanno cioè un carattere “perturbante” come direbbe Freud: ciò che è benevolo può diventare malevolo. Questi aspetti distruttivi prevalgono, per esempio, come abbiamo esaminato in precedenza, nelle prime due tragedie dell’Orestea e nella Medea di Euripide.

La vita greca, dunque, conosceva la minaccia della punizione stabilita dalla ἀρά o execratio, come quella riportata anche nel discorso di Demostene e ripreso da Crosara insieme al giuramento degli Eliasti, di fedeltà alle leggi, alla libertà, agli obblighi dei cittadini, che ordinava: «Giuri per Zeus, Posidone, Demetra, e imprechi il malanno a sé stesso, alla casa sua, se trasgredirà alcune di queste cose, a chi resterà fedele al giuramento vangano molti beni259».

La ἀρά, la maledizione, ritorna anche in un altro giuramento, rimasto celebre nella storia dell’umanità: quello di Ippocrate, espresso per le varie divinità della medicina: «Medicorum iusiurandum. Per Apollinem medicum et Aesculapium Sanitatemque et Panaceam iureiurando affirmo et deos deasque omnes testor260».

Quello che nelle sue analisi Crosara vuole dimostrare è che c’è un duplice aspetto del giuramento greco: quello pubblico, consacrato in alcune circostanze da

259 Crosara, Jurata voce, cit. p. 62. 260 Ibidem.

138 esempi famosi di lealtà e di sacrificio che resero gloriosa la storia della Grecia261, e quello privato che poteva dar ragione alle considerazioni negative sulla πíστις greca.

A mio avviso, preoccupato di determinare l’efficacia o meno del giuramento greco Crosara trascura, e quindi nega, il campo all’interno del quale questa determinazione è resa possibile e praticabile; nello specifico Crosara trascura, a mio avviso, la particolare situazione linguistica di questo tipo di enunciato, riducendo il giuramento ad un’analisi delle sue formule. Alle precisazioni ed osservazioni di Crosara viene, dunque, quasi naturale fare un appunto la cui semplicità ha davvero del sorprendente; è possibile a tale proposito servirsi ad esempio delle parole di Verdier: «Le serment est un acte de langage». Come non essere d’accordo? Lo stesso Benveniste lo è, ed infatti esprime lo stesso pensiero quasi con le stesse parole: «”giurare” consiste appunto nell’enunciazione je jure. [...] L’enunciazione si identifica con l’atto stesso262

». Osservazione, che ho anche ricordato nella prima parte della tesi, tracciando i punti più salienti del ragionamento, indicando sommariamente la differenza tra io giuro, che è un atto, ed egli giura, che è solo un’informazione. Su questo problema, quello del giuramento inteso come atto linguistico, tornerò anche nell’ultimo capitolo.

Prima però di concludere questa analisi del giuramento nel mondo antico e di passare alla descrizione del giuramento nella contemporaneità facendo riferimento ancora una volta ad Agamben, in particolare alla terminologia utilizzata in Opus dei, al fine di chiarire l’equivocità, il malinteso che è alla base della concezione del giuramento nel nostro tempo, vorrei fare un breve cenno all’importanza del giuramento per i romani.