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Giuramento e voto: un’ordalìa anticipata

Capitolo secondo

2.2 Il giuramento nella Grecia antica

2.2.1 Giuramento e voto: un’ordalìa anticipata

174 Cfr. Patetta, p. 133. 175 Ivi, p. 134.

85

Dato che il giuramento è proprio una devotio: come abbiamo visto, il gr. horkos significa che ci si consacra in anticipo al potere di una divinità vendicatrice in caso di trasgressione della parola data176.

L’esigenza da parte di Benveniste di individuare un legame tra il giuramento e il voto, evidente soprattutto in greco, legato in particolare al consacrarsi in anticipo ad una divinità, è quanto mai valida e pressante per definire il giuramento un’ordalìa anticipata: «Allo stesso modo, non appena si formula il giuramento, si è in anticipo un essere “votato”177

».

Esempi efficaci sono dati dagli enunciati pronunciati nell’Iliade di Omero, che costituisce un testimone prezioso di questi usi, fino ad Esiodo.

Come ricorda Crosara, a proposito del giuramento in Grecia, gli inizi della civiltà greca, segnarono il culto dei giuramenti che si distinsero fra quelli “per la Terra il Cielo e lo Stige”, considerato il più sacro ed antico fra gli giuramenti178

, e quelli prestati più spesso per Zeus Ghe Helios, cioè “l’Aria la Terra e il Sole”, cui talvolta si aggiungevano i Fiumi e le Erinni, come emerge dai passi dei poemi omerici analizzati anche da Benveniste.

In Omero (1200-1300 a.C.) si trova il termine hórkos inteso non come un fatto di parola o atto di enunciazione ma come un oggetto, una materia, la sostanza sacra, con cui l’uomo si impegna, si mette in contatto, s’incarna, materia rappresentata nei passi citati da Benveniste dell’Iliade (XV, 36) dall’acqua dello Stige: «Che siano testimoni la Terra e il vasto Cielo al di sopra, e l’acqua dello Stige che discende (agli Inferi), e questo è il più grande e il più terribile giuramento per gli dei beati179».

Chi giurava, infatti, invocando gli dei veniva ad obbligarsi davanti ad essi quali testimoni nei riguardi di altri cui dava questa garanzia.

176 E. Benveniste, Il Vocabolario, 1976, p. 468. 177 Ibidem.

178

Si confronti in proposito G. Glotz, Etudes sociales et juridiques sur l’Antiquité Grecque, (1906), cit. p. 100: «Il associe les trois éléments dans synthèse supérieure et remonte aux plus lontaines origines des races humaines».

86 In modo analogo lo hórkos, ossia l’acqua dello Stige, compare nell’opera di Esiodo la Teogonia (400). Qui addirittura, Stige viene detta “il grande hórkos degli dei”, cioè il grande giuramento degli dei e, quindi, materia investita di potere malefico dal momento che contiene un potere che punisce ogni tradimento della parola data. Ossia, in Esiodo, il giuramento viene personificato nella divinità punitrice del falso e dello spergiuro.

Benveniste cita ancora altri esempi tratti dall’Iliade (I, 239) dove hórkos stavolta è inteso come scettro di autorità: «questo scettro sarà per te mégas hórkos» (ivi, p. 410).

Nell’età classica, il giuramento si compiva come una cerimonia religiosa: pronunziato in piedi, con le mani levate al cielo od appoggiate su un altare, si chiudeva nella ἀρά, l’invocazione di spaventosi castighi contro lo spergiuro e la sua stirpe, e di ogni benedizione per il fedele osservante ed i suoi, con un valore non solo religioso ma giuridico180. Uso che, come ho già messo in luce in precedenza, occupava una posizione assolutamente centrale anche nella civiltà mesopotamica.

Ossia, presso i Greci, lo hórkos porta l’impronta di un oggetto sacro «la più terribile che possa toccare l’uomo: il “giuramento” appare qui come un’operazione che consiste nel rendersi sacer sotto condizione. Ricordiamoci che l’uomo chiamato sacer poteva essere ucciso da chiunque181».

Il fatto che il giuramento sia legato ad un oggetto sacro, alla sacralità, ad un sacrificio, a volte persino la propria vita, o ad un luogo per garantire la veracità, sincerità dell’affermazione, e ciò che porterà lo stesso Benveniste a definire il giuramento come un’ordalìa anticipata.

Come si evince dagli esempi testé citati, Benveniste sottolinea come presso i Greci portare l’impronta di un oggetto sacro implica rendersi sacer che è considerata la più terribile impronta che possa toccare l’uomo in quanto significa entrare nella sfera delle forze religiose, le più terribili, cioè consacrarsi in anticipo al potere di una divinità vendicatrice in caso di trasgressione della parola data. Significa votarsi, mettersi in anticipo nelle mani della divinità. Un altro degli aspetti del giuramento su cui tutti gli

180 Si confronti ancora una volta quanto affermato da Glotz in Etudes, cit. p. 112: «Jurer, c’est s’imposer

une loi dont l’imprécation est la sanction».

87 autori, da Agostino a Benveniste, sembrano essere d’accordo è la presenza non solo della persona o del gruppo che giura ma anche l’invocazione della divinità, cioè il fatto di chiamare gli déi come testimoni, come garanti della verità/veracità di un’affermazione, ponendo in gioco la propria vita, mettendo in rischio lo stare al mondo.

Nei giuramenti gli dèi, che fanno da testimoni sorvegliando il pronunciamento efficace, vengono spesso chiamati in causa come sorta di pegno, simbolo ordalico del giuramento che si va a pronunciare.

Questa caratteristica del giuramento risulta rilevante in quanto lega il giuramento ad una pratica rituale curiosa che è quella dell’ordalìa, come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente, nella quale la verifica della sincerità o l’eventuale colpevolezza di colui che giura viene lasciata al giudizio di Dio.

Il ricorso all’ordalìa, ossia al giudizio di Dio, per capire l’innocenza o meno di colui che presta giuramento, così come la presenza di alcuni caratteri eterni, costanti e immutabili del giuramento-rito che nel primo capitolo abbiamo definito modello a- temporale, non è altro che un modello per vivere, un modello per-stare-al-mondo, un tentativo da parte dell’animale umano di mettere a bando quell’incertezza eccessiva e incontrollabile di cui a volte siamo preda non solo sul piano personale ma anche su quello storico-sociale, ammesso che si possa fare questa suddivisione, e che viene prodotta dal nostro stesso linguaggio verbale.