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Gli esordi della documentazione potenziata: Martha Graham

Martha Graham è considerata la madre della danza moderna. All’apice della sua carriera le viene proposta la realizzazione di una serie di documentazioni filmate di alcuni suoi lavori per il canale televisivo WQED di Pittsburgh, in collaborazione con la National Educational Television. L’obiettivo di Nathan Kroll, produttore di questa ambiziosa operazione, non è solo quello di dif- fondere l’arte coreografica di Graham a un pubblico più vasto delle sale tea- trali, ma di lasciare una memoria duratura del lavoro dell’artista americana. Inizialmente dubbiosa, Graham accetta di lavorare alla documentazione di due spettacoli, oltre a partecipare ad altre produzioni che si configurano più tradizionalmente come dei documentari sulla sua carriera e il suo metodo.

Realizzate in pellicola e in bianco e nero, queste documentazioni poten- ziate non sono solo degli strumenti preziosi di archivio di una memoria della danza, ma soprattutto l’inizio di una sperimentazione su come poter docu- mentare al meglio uno spettacolo di danza, contaminando il linguaggio del cinema con quello della coreografia33.

peter Glushnakov

Nel 1958 Peter Glushnakov, pittore, musicista e filmmaker, realizza

Appalachian Spring, documentazione di uno degli spettacoli più famosi di

Martha Graham. L’introduzione di un regista segna l’ingresso di un occhio esterno alla coreografia, di un punto di vista. Glushnakov inserisce la co- reografia originale in uno studio illuminato a favore di camera, mostra il più possibile le scenografie, segue gli interpreti con piccole carrellate che si fermano per comporre delle inquadrature che inevitabilmente potenziano il

33 Queste documentazioni sono raccolte nel Dvd Martha Graham Dance on Film, The

tradizionale “punto di vista frontale” del pubblico teatrale. Pur non facendo mai primi o primissimi piani, e mantenendo il più possibile l’interezza dei corpi all’interno dell’inquadratura, la prossimità della camera trasforma lo sguardo del pubblico in spettatore privilegiato, facendolo entrare in scena, accompagnandolo all’interno dello spettacolo stesso.

Il montaggio sottolinea l’ingresso o l’uscita dei personaggi in scena e pre- serva il più possibile l’integrità delle sequenze, usando raccordi sul movimen- to o sulla posizione dei danzatori, per offrire diversi punti di vista che ruotano su una sorta di asse semicircolare: sempre e comunque frontale, ma in grado di muoversi sui lati, in modo da individuare scorci che reinterpretano le po- sizioni nello spazio dei danzatori. Spesso Glushnakov inquadra per intero un danzatore sul lato dello schermo in modo tale che diventi il punto focale dell’attenzione, lasciando sullo sfondo gli altri, ricomponendo con l’inqua- dratura la formazione originale dei danzatori, e decidendo di volta in volta su quale elemento del gruppo concentrare l’attenzione.

L’illuminazione da studio televisivo, il gioco di inquadrature e di mon- taggio offrono allo spettatore, nonostante gli inevitabili interventi sul punto di vista, una visione filologica, quasi chirurgica e asettica dello spettacolo di Martha Graham. Per questo motivo acquista anche una sorta di surrealtà: lo spettacolo sembra inserito in una specie di bolla spazio-temporale sospesa. Il bianco e nero contribuisce a creare questa sensazione: come vedremo, l’assen- za di colore sarà una scelta molto sperimentata anche in esperienze future, e sicuramente contribuisce a creare una situazione temporalmente ambigua, a metà fra il presente e il passato, fra qualcosa di reale e di immaginario.

Nel momento in cui un evento coreografico diventa un film realizzato con un’articolazione di riprese e di montaggio si trasforma inevitabilmente in qualcos’altro: perde degli elementi originali per acquisirne degli altri, diventa, appunto, un ibrido fra un’esperienza performativa e un oggetto cinematogra- fico. Una documentazione potenziata.

Alexander Hammid (Alexander Siegfried George Hackenschmied)

Il secondo spettacolo che Graham accetta di consegnare alla pellicola è Night

Journey, la cui regia viene affidata nel 1961 a Alexander Hammid, il cinea-

sta sperimentale che è stato marito e collaboratore per alcuni anni di Maya Deren, e la cui filmografia personale non ha mai toccato il tema della dan- za. Evidentemente gli anni trascorsi con Maya Deren hanno lasciato le loro

tracce: per uno strano gioco del destino l’anno di realizzazione di questo film coincide con la morte prematura dell’ex moglie. Se Appalachian Spring rac- conta l’epopea dei primi coloni in America, con Night Journey lo spettatore è catapultato nell’universo dell’Edipo re di Sofocle: forse per questo motivo il produttore di queste documentazioni sceglie come regista Hammid, un cineasta legato alle avanguardie.

L’autore segue la linea registica del cortometraggio precedente per mantenere una continuità stilistica evidentemente richiesta dalla produzione televisiva, ma accentua alcune scelte. L’illuminazione diventa meno “ingombrante” e lo spazio viene trattato come se fosse effettivamente circolare, tanto che a livello di inqua- drature Hammid “osa” effettuare dei campi articolati a controcampi, una scelta coraggiosa perché offre al pubblico due punti di vista, un “davanti” e un “dietro” che ovviamente spezzano la visione frontale mantenuta da Glushnakov, e che mo- strano più di una volta i danzatori di schiena, rivolti a un pubblico invisibile.

Questa maggiore libertà è anche dovuta al fatto, diversamente da Appala-

chian Spring, che i pochi oggetti scenografici sono posti al centro dello spa-

zio, per cui i danzatori si muovono intorno a questi elementi. Bisogna anche segnalare un altro elemento interessante, che proietta questa documentazione in una dimensione linguistica propria della finzione cinematografica: mentre lo spettacolo scorre sotto gli occhi dello spettatore in apparente continuità, gli oggetti in scena cambiano. Nel duo fra Giocasta e Edipo, la camera si muove per permettere (fuori campo) lo spostamento di gran parte della scenografia, e mostra, sempre in continuità, lo spazio praticamente vuoto. Con un taglio di montaggio l’azione prosegue nell’inquadratura successiva dove sono nuo- vamente visibili gli oggetti precedentemente svaniti. Un piccolo ma significa- tivo trucco possibile solo grazie al fatto che lo spettacolo si è trasformato in un cortometraggio.

Per quel che riguarda il montaggio Hammid cerca di intervenire di più rispetto al suo predecessore: i tagli si inseriscono all’interno delle sequenze evitando che queste vengano concluse. Il cineasta muove di più la camera, segue le azioni, ma anch’egli non usa primi e primissimi piani, privilegiando inquadrature di corpi interi.

Hammid, pur rispettando alcune limitazioni dovute a esigenze di produ- zione, usa il linguaggio cinematografico in modo più consapevole, evitando comunque di sovrapporre uno sguardo troppo interpretativo e mantenendo un approccio rispettoso e filologico all’evento coreografico originale.

La documentazione potenziata sta compiendo i suoi primi passi già piut- tosto maturi.