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2 IL MODELLO INGLESE

2.4 GLI STADI INGLESI OGG

L'evoluzione inglese nel campo degli impianti sportivi non è rimasta sulla carta. La cosiddetta prima generazione degli stadi inglesi, praticamente coetanei di quelli nostrani si chiuse nel 1988 con l'inaugurazione di Glanford Park, impianto del poco conosciuto Scunthorpe United. Erano ben 31 anni che nessun club trasferiva la propria dimora, una rivoluzione per una visione del calcio da sempre romantica e tradizionalista. Da lì in avanti grazie soprattutto al rapporto Taylor e all'organizzazione degli europei di calcio del 1996 partì una vera e propria rivoluzione.

Ogni singolo club fu dapprima obbligato e poi invogliato ad ammodernare e regolarizzare il proprio impianto, il fatto che quasi la totalità degli stadi fosse di proprietà e non in concessione dal pubblico snellì e facilitò non poco le cose, negli altri casi si ricorse al metodo diffuso oltremanica della Public Private Partnership. Utilizzando un “partenariato pubblico-privato basato sulla cooperazione fra un

gli enti locali da un lato e il settore privato dall’altro, realizzano

progetti comuni con vantaggi reciproci, sfruttando il proprio

potenziale per il conseguimento di obiettivi non solo commerciali, ma

anche sociali, e garantendo così una migliore qualità dei servizi

prestati.”19

Negli stadi si ridussero le capienze puntando sulla sicurezza e la comodità. Nuovi seggiolini reclinabili fiammanti richiamavano le tonalità sociali e mettevano ordine dando colore agli spalti prima sempre grigi, la rimozione di tutte le barriere permetteva un'esperienza migliore allo spettatore ed una godibilità maggiore della partita.

Le strutture generarono presto un miglioramento dei ricavi del botteghino e delle attività collaterali come ristorazione, negozi di merchandising ed agenzie di scommesse. Modificando così la loro funzione storica e si trasformarono in strutture di intrattenimento e divertimento, divenendo fondamentali alla voce dei ricavi delle società. Le patrimonializzazioni di beni redditizi e moderni diedero la possibilità di più efficaci garanzie con le banche, ottenendo così ulteriori finanziamenti per la campagna acquisti ma prima ancora che sulla squadra l'interesse viene focalizzato sullo spettatore che è il

19 GRECO, M. - “Il Partenariato pubblico-privato (PPP): opzione o necessità?”. Diritto.it. 2009. http://www.diritto.it/docs/27237-il-partenariato-pubblico-privato-ppp-opzione-o-necessit

cliente e merita i servizi migliori per essere fidelizzato al brand societario.

I proventi futuri che gli istituti di credito anticipano in questo sistema non sono quelli dei diritti televisivi o delle sponsorizzazioni troppo variabili nel tempo ma gli incassi del botteghino sempre in crescita e sicuri, il contrario insomma di quanto avviene oggi in Italia.

Addirittura l’Arsenal nel 2006 ha inaugurato la terza generazione degli impianti investendo 210 milioni di sterline per l'Emirates Stadium, raddoppiando di fatto la capacità a sedere rispetto al vecchio Highbury e quindi le entrate future connesse.

La terza generazione punta molto sui servizi ulteriormente migliorati in ogni settore e su spazi VIP sempre più estesi ed accoglienti. Nascono aree al chiuso ma con vista campo, i cosiddetti skybox, dotati di catering e destinati a privati o aziende a fronte di un abbonamento annuale o pluriennale o di una sponsorizzazione, all'Old Trafford di Manchester ce ne sono ben 4973. Questi box, veri e propri piccoli appartamenti, sono a disposizione degli utilizzatori tutti i giorni ed in ogni orario, durante lo svolgimento delle manifestazioni sportive ma anche per meeting aziendali o una serata tra amici.

Le strutture giustificano le enormi spese di gestione cambiando radicalmente da posti frequentati due volte al mese a luoghi pubblici aperti 7 giorni su 7, con all'interno le più svariate attività sportive e commerciali come negozi, piscine, cinema multisala, ristoranti e palestre ed ospitando eventi come convegni lavorativi, grandi concerti ed esposizioni artistiche.

L'unico esempio simile in Italia, ispirato infatti al St James’ Park del Newcastle, è lo Juventus Stadium: può ospitare 41mila spettatori a partire da 7,5 metri dal terreno di gioco, le panchine sono integrate nelle tribune ed è concepito con i massimi standard di sicurezza, in caso di emergenza si può svuotare totalmente in meno di 4 minuti. L'impianto ha 4mila posti auto a pagamento, 8 aree ristorazione, 2 ristoranti, 21 bar, un megastore della squadra, un centro medico, un museo sulla storia della società, 64 skybox, 150mila metri quadri dedicati ai servizi, 34mila metri quadrati di aree commerciali, 30mila metri quadrati di aree verdi e piazze.

L'impianto è anche stato il primo nel nostro paese a vendere il proprio naming rights, il diritto di vendita e sfruttamento del nome per 12

Premium e della metà dei palchi alla società specializzata francese Sportfive il club incasserà 75 milioni di euro, recuperando parte dei 155 milioni costo globale dell'operazione.

3 LA NORMA

3.1

LA NECESSITÀ

Purtroppo gli impianti sportivi italiani anche se alcuni rimodernati per il mondiale di Italia '90 sono stati concepiti nell'ultimissimo periodo della prima generazione. Il “Conto Economico del Calcio Italiano” uno studio della FIGC realizzato in collaborazione con Deloitt e presentato alla Camera dei Deputati nel 2016 ci presenta un'età media elevata degli stadi, 64 anni per la Serie A, 68 per la serie B e 59 per la Lega Pro, la vecchia Serie C.

Le strutture sono senza comfort, con servizi obsoleti, posti lontani dal terreno di gioco, addirittura a volte proprio fatiscenti con settori a rischio crollo e chiusi al pubblico come ad esempio a Cagliari e Latina. Esistono imposizioni minime di capienza come i 20mila posti per la Serie A ormai anacronistici per le provinciali ma non ci sono regole che privilegino lo spettatore, come ad esempio l'imposizione di impianti senza piste e velodromi, con una distanza massima tra spettatori e campo da rispettare, con l'obbligo di avere settori tutti

coperti e con seggiolini reclinabili per ogni posto.

La scarsa percentuale di riempimento degli spalti in Serie A, appena superiore al 50% è lontanissima da quelle superiori al 90% dei principali campionati europei come Premier League e Bundesliga, addirittura come già detto i dati sul numero di presenze globali collocano la Serie A al di sotto della Bundesliga 2, la Serie B tedesca. Seguendo quindi il modello inglese ed europeo a tutti i nostri club oltre che per una motivazione di immagine interesserebbero ricavi ulteriori rispetto alla vendita dei biglietti e dei diritti televisivi. Si sognano stadi all'avanguardia con tutta una serie di attività collaterali come cinema, centri commerciali ed aree hospitality, così fin dalla prima metà degli anni 2000 in qualsiasi città italiana si comincia a parlarne. Uno degli scogli primari per un investimento dei privati in materia è però la proprietà pubblica di tutti quanti gli impianti, nessuno investirebbe tanto denaro in una struttura non sua e soprattutto senza la garanzia di essere l'unico soggetto che potrà utilizzarla ed incassarne i ricavi.

Tuttavia la costruzione di nuove strutture da parte delle società in terreni di proprietà si è sempre scontrata con vincoli urbanistici,

idrogeologici ed archeologici spesso insuperabili, talvolta richieste esagerate di cubature commerciali e residenziali, mentre la privatizzazione degli stadi preesistenti poiché non normata in modo chiaro non è stata possibile.

Quindi oltre alla disastrosa gestione dei mondiali del 1990 ed ai fallimenti delle campagne per l’assegnazione degli europei prima del 2012 e poi del 2016, la primaria causa dell'arretratezza in materia la possiamo ritrovare nell’apparato legislativo italiano.

In due soli casi dopo oltre un decennio di carte e autorizzazioni, lo Juventus Stadium di Torino inaugurato nel 2011 e la Dacia Arena di Udine inaugurata nel 2015 si è riusciti a sconfiggere la burocrazia, ma con tempi di investimento inaccettabili per una società privata. Ed in entrambi i casi senza un vero e proprio acquisto della proprietà ma garantendosi per 99 anni il diritto di superficie sul terreno, che al termine ipotetico dell'accordo tornerebbe nella disponibilità dei rispettivi comuni con tutto quello vi sarà rimasto costruito sopra.

Sono gli unici stadi di terza generazione, di proprietà e senza finalmente barriere della attuale Serie A, a questi si affianca in parte il Mapei Stadium del Sassuolo, che però ha una diversa storia. Questo si

trova a Reggio Emilia ed è stato il primo stadio privato del nostro calcio addirittura nel 1995, si chiamava Stadio Giglio ed era della locale compagine della Reggiana, poi però fallita e perciò rilevato all'asta giudiziaria dai neroverdi. Ha comunque oltre 20 anni e pur di concezione moderna (per esempio è assente la pista di atletica e gli spettatori sono vicini al terreno di gioco), resta un cosiddetto stadio di seconda generazione carente di comfort e servizi, quasi unico esponente nel nostro paese in oltre un ventennio di immobilismo infrastrutturale insieme al San Filippo di Messina, al Rocco di Trieste e al Del Conero di Ancona.

Ci si trova quindi davanti ad una grande sfida, recuperare competitività internazionale trovando un modello di sviluppo e di intesa tra pubblico e privato capace di coniugare la sostenibilità ambientale, una burocrazia snella e chiara e le esigenze delle società e dei tifosi. Tutto ciò oltre ad offrire l'opportunità di risolvere un grande problema alle amministrazioni comunali, svincolandole dall'onere gravoso di investire grandi cifre negli stadi anche solo per mantenerli in modo decoroso ed adeguarli nel tempo alle nuove normative.

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