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La nuova disciplina legislativa in tema di costruzione e recupero degli impianti sportivi

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La nuova disciplina legislativa in tema di

costruzione e recupero degli impianti sportivi

Relatore Candidato Fioritto Alfredo Angelotti Diego

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INDICE

Introduzione...Pag. 7

1 L'impiantistica sportiva in Italia...Pag. 11

1.1 Le origini...Pag. 11

1.2 Italia '90...Pag. 19

1.3 L'ordinamento sportivo...Pag. 27

1.4 Il Credito Sportivo...Pag. 43

2 Il modello inglese...Pag. 51

2.1 Le grandi tragedie degli anni '80...Pag. 51

2.2 Il rapporto Taylor...Pag. 63

2.3 I decreti Pisanu e Amato...Pag. 73

2.4 Gli stadi inglesi oggi...Pag. 91

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3 La norma...Pag. 101

3.1 La necessità...Pag. 101

3.2 Le precedenti proposte...Pag. 109

3.3 Il testo...Pag. 125

3.4 I primi casi di applicazione...Pag. 167

4 Il caso Roma...Pag. 177

4.1 Il progetto...Pag. 177

4.2 Le problematiche e le critiche...Pag. 191

4.3 Il pubblico interesse...Pag. 203

4.4 Il futuro...Pag. 215

Conclusione...Pag. 219

Referenze...Pag. 229

Ringraziamenti...Pag. 237

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INTRODUZIONE

Fin dall'antichità gli impianti sportivi sono stati importanti luoghi di benessere fisico ed aggregazione, ma simili alla nostra moderna concezione solo a partire dall'età classica. La culla dello sport è tradizionalmente la Grecia delle prime Olimpiadi e proprio in terra ellenica si registra la costruzione dei primi “stádion”, dal nome delle gare di corsa a distanza fissa, circa 600 piedi. Si componevano di tribune sui lati lunghi e spesso sfruttavano la naturale morfologia del terreno, con favorevoli rialzi ed avvallamenti.

I romani importarono questi modelli e li migliorarono, con vere e proprie strutture in legno o pietra e capienze sempre più elevate, dai 180mila spettatori dell'arena per carri del Circo Massimo agli 85mila del più grande e famoso anfiteatro del mondo, il Colosseo. Ci si inizia quindi ad accorgere dell'importanza e della multi funzionalità di questi impianti piccoli e grandi distribuiti capillarmente sul territorio, nei quali si tenevano competizioni sportive, funzioni religiose, comizi politici e rappresentazioni teatrali, caratteristica simile ai più moderni

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stadi contemporanei.

“Con il tramonto del mondo classico, tali tipologie, pur così raffinate

e consolidate, sembrano attraversare un lunghissimo periodo di oblio.

La causa principale è in larga misura collegabile all'avvento del

cristianesimo: lo spostamento dell'attenzione dal corpo all'anima

mette sostanzialmente in secondo piano l'attività fisica, generando un

clima culturale che non invita committenti, architetti e costruttori a

produrre fabbriche significative e permanenti di questo tipo. Questo

stato delle cose dura per molti secoli, attraversando per intero il

periodo romanico e quello gotico, ma proseguendo anche oltre.”1

Solo con l'avvento del Novecento e la ventata di ottimismo della belle époque lo sport da praticare ed al quale assistere si apre alle masse,

necessitando di un'impiantistica sportiva tutta da realizzare. Dopo la Grande Guerra i regimi totalitari si interessarono ad ogni ambito della vita dei cittadini e capirono subito l'importanza di innalzare grandi arene ispirate al passato, per ospitare manifestazioni sportive ma anche e soprattutto per oceaniche adunanze di partito.

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1 L'IMPIANTISTICA SPORTIVA IN ITALIA

1.1

LE ORIGINI

“Prima di educare virilmente gli italiani al culto delle discipline

fisiche, […] è egli stesso - come sempre - vivente e insuperabile

esempio dello sportivo di razza. Non temiamo accusa d'omaggio

servile se diciamo che Mussolini è il primo e più completo sportivo

d'Italia.”2 Il regime fascista fin dal principio si pose l'obbiettivo di

perfezionare la stirpe anche attraverso il miglioramento fisico degli italiani, con un duplice fine pratico. Da un lato quello di addestrare a partire dalla giovane età i soldati del domani; le truppe della Grande Guerra infatti si erano spesso rivelate non all'altezza della situazione. Ragazzi poco preparati che annegavano nei guadi di Tagliamento e Piave, alcuni erano descritti come poco inclini alla corsa e ai salti, altri che facilmente si ammalavano e morivano a causa delle infezioni e della poca igiene delle trincee. Dall'altro lato l'accentramento delle attività fisiche e ricreative permetteva al fascismo di indottrinare i

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giovani e soprattutto li sottraeva ad altri pericolosi antagonisti, come le organizzazioni operaie socialiste, quelle cattoliche o gli scout.

Il CONI nel 1925 venne fascistizzato e l'anno seguente toccò anche alla federazione calcistica con lo spostamento della sua sede nella Casa del Fascio di Bologna. Il calcio nel mentre prendeva sempre più piede nel paese, e si iniziavano a registrare le prime tensioni e le rivalità tra le compagini delle diverse città, alimentate da un campanilismo feroce che perdurava da un passato di un'Italia divisa per secoli in piccoli stati. Così il regime intervenne direttamente sulle società sportive calcistiche, spesso unificando diverse realtà cittadine per creare un'unica squadra che rappresentasse il territorio come nel caso della nascita di importanti realtà quali AS Roma e AC Fiorentina oppure imponendo il cambio delle denominazioni più stravaganti o anglofone; in tutti gli stemmi sociali per imposizione venne inserito il fascio littorio.

I successi della nostra nazionale ai mondiali di calcio nel 1930 e 1934 restituivano un'immagine di un'Italia virile, vincente e moderna; ma per poter crescere una nuova generazione di atleti e soldati dando lustro all'italianità tramite i loro trionfi servivano impianti sportivi

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all'altezza. L'ambizioso e costoso progetto fascista prevedeva di dotare ogni città di un campo sportivo polifunzionale dedicato alle discipline dell'atletica e soprattutto del calcio. “Tali stadi avrebbero messo definitivamente la squadra e la città sulla mappa d’Italia. Inoltre, la

popolarità del calcio cresceva enormemente durante il regime.

All’inizio il regime fascista era scettico su questo sport, perché la

variante moderna del calcio aveva un’origine anglosassone. La

popolarità del calcio faceva capire al regime che questo sport sarebbe

stato un mezzo perfetto per controllare il popolo italiano. Inoltre, gli

successi potevano essere usati come mezzo di propaganda.”3

Lo stadio Berta di Firenze (oggi Artemio Franchi) inaugurato nel 1932 e costruito con una inusuale e poco pratica pianta a forma di lettera D in onore del duce è il più fulgido esempio di costruzione fascista nello sport. Ma andando a studiare la storia degli impianti della attuale serie A scopriremo che praticamente tutti sono risalenti a quel periodo: lo stadio Littoriale (oggi Renato Dall'Ara) di Bologna del 1926, lo stadio Mussolini (oggi Grande Torino) di Torino del 1933, lo stadio di San Siro (oggi Giuseppe Meazza) di Milano nel 1926, lo stadio della Favorita (oggi Renzo Barbera) di Palermo nel 1932, lo stadio

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Brumana (oggi Atleti Azzurri d'Italia) di Bergamo nel 1928, lo stadio dei Cipressi (oggi Olimpico) di Roma nel 1927, lo stadio del Castelletto (oggi Ennio Tardini) di Parma nel 1928, lo stadio Cibali (oggi Angelo Massimino) di Catania nel 1937; e tanti altri così, con qualche rara eccezione di stadi risalenti al dopoguerra.

Tutti questi impianti rimarranno praticamente immutati fino alla fine degli anni ottanta quando interverranno i lavori del mondiale di calcio di Italia 90, probabilmente una grande occasione persa e la vera causa dell'attuale arretratezza del nostro paese in questo campo, tanto da necessitare di una legge ad hoc.

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1.2

ITALIA '90

Come anticipato per comodità passiamo direttamente dagli anni trenta al 1984 quando la FIFA (Fédération Internationale de Football

Association) assegnò all'Italia l'organizzazione del campionato

mondiale di calcio, celebrato come “un sogno per fare del mondiale

1990 una vetrina dell’Italia tecnologica e industriale proiettata verso il Duemila”4 e ancora “l’occasione più opportuna per dimostrare non

solo le nostre capacità organizzative ma anche l’alto livello tecnologico raggiunto in tutti i settori della vita nazionale.”5

Nonostante fossero malandati ed a volte fatiscenti all'epoca i grandi stadi erano sempre pieni poiché l'Italia era saldamente al centro del mondo del calcio globale, iconici giocatori come Platini, Maradona, Zico e Falcao giocavano nel campionato più bello del mondo. Ma gli stadi in mano ai comuni erano rimasti praticamente immutati dal passato salvo rare eccezioni, le poche differenze si limitavano spesso

4 CORDERO DI MONTEZEMOLO, L. - “Conferenza stampa del Comitato Organizzativo dei Mondiali di Calcio”. Roma. 1986.

5 CARRARO, F. - “Conferenza stampa del Comitato Organizzativo dei Mondiali di Calcio”. Roma. 1986.

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alle nuove intitolazioni a grandi campioni dello sport, giocatori e presidenti, un metodo economico e di grande impatto per cancellare definitivamente una pagina oscura come quella del fascismo.

Il mondiale del 1990 si concluse calcisticamente con una beffa, la sconfitta ai rigori in semifinale a Napoli contro l'Argentina, ma non è nulla rispetto all'occasione persa riguardo all'ammodernamento dei nostri impianti, diretta causa dell'attuale arretratezza del nostro paese rispetto al resto dell'Europa.

Dopo le costruzioni del ventennio fu la seconda volta che si mise mano in modo organico alle arene calcistiche italiane: vennero costruiti due nuovi stadi, a Bari e a Torino (impianto già abbattuto nel 2009) e ne vennero messi a norma altri dieci, a Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Napoli, Milano, Palermo, Roma, Udine e Verona. Ma praticamente tutti questi progetti nacquero già vecchi, figli di una visione di quel periodo storico che sarebbe già stata superata in pochissimi anni, rivoluzionata dalla positiva esperienza inglese. Il calcio moderno richiederà stadi con gli spalti vicini al terreno di gioco e invece, sotto pressione politica e contributi economici del CONI, si optò per inserire ovunque sia stato possibile una spesso inutile ed in

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quasi tutti i casi mai utilizzata pista di atletica: si salveranno solamente per questioni di spazio gli impianti di Milano e Genova. Richiederà stadi con ogni settore al coperto e quasi tutti non lo saranno. Richiederà capienze limitate rispetto al passato ed invece si sceglierà la via contraria di stadi sovradimensionati, talvolta con l'aggiunta di secondi o terzi anelli costruiti solamente in ferro, brutti e dopo poco tempo già pericolanti. Richiederà servizi per gli spettatori, stadi da vivere sette giorni su sette con spazi per attività commerciali ma nulla di questo verrà predisposto, al massimo qualche chiosco per i panini all'esterno. Richiederà stadi senza barriere, per motivazioni sociologiche e di sicurezza, saranno invece poste barriere di ogni genere: fossati, vetri, grate, reti ed addirittura filo spinato.

Nei cantieri ci furono 24 vittime tra gli operai, l’incremento medio dei costi rispetto ai preventivi fu dell’84 per cento (a Torino addirittura del 126 per cento) mentre l’86 per cento dei lavori fu affidato grazie a trattative private; di fatto quasi nove appalti su dieci sono stati senza alcun controllo.6 Il salasso economico fu grande ed i mutui accesi

all'epoca sono stati pagati fino al 2015: vennero spesi 7230 miliardi delle vecchie lire quasi tutti di provenienza statali, in euro 3,74

6 CONTE, C. - “Relazione in Parlamento sulle opere infrastrutturali nelle aree interessate dai mondiali di calcio del 1990”. Roma. 1990.

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miliardi ed al cambio attuale considerando la rivalutazione ISTAT

quasi 7,5 miliardi.“Oggi a poco meno di un decennio dallo svolgimento dei mondiali ci troviamo a dover constatare che ben poche di quelle promesse sono state mantenute. Molte opere che sarebbero state necessarie non hanno visto la luce, mentre ne sono state realizzate altre del tutto inutili.”7 Questa esperienza negativa

oltre ad un generale scetticismo dell'opinione popolare riguardo l'organizzazione di grandi eventi, sportivi e non, ha causato diffidenza ed un freno alla spesa pubblica italiana e all'investimento in materia di impianti destinati allo sport perdurato fino ai giorni nostri, dalle grandi arene ai piccoli campi o palazzetti.

7 DE LUCA, A. - “Commissione parlamentare d'inchiesta sulle opere pubbliche realizzate in occasione dello svolgimento in Italia dei mondiali di calcio del 1990”. Roma. 1999.

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1.3

L'ORDINAMENTO SPORTIVO

Qualsiasi considerazione che tratti rapporti giuridici riguardo allo sport come la legge 147/2013 che andremo ad approfondire non può però prescindere da una breve analisi preliminare sul rapporto esistente tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale. L'ordinamento sportivo convenzionalmente nacque nel 1894, due anni prima dei primi Giochi Olimpici dell'era moderna ipotizzati dal barone francese Pierre de Coubertin, padre della celebre citazione “L'importante non è vincere ma partecipare. La cosa essenziale non è

la vittoria ma la certezza di essersi battuti bene.” che aveva trovato

nell'inadeguata preparazione fisica del suo popolo la principale spiegazione della recente guerra persa contro la Prussia. Il suo secondo scopo era quello di favorire la conoscenza reciproca e l'armonia tra i popoli, la sua proposta al congresso istituito presso l'università Sorbona fu un successo e il 23 giugno 1894 vennero ufficializzati i Giochi Olimpici del 1896. Venne scelta Atene come sede della prima edizione e nonostante le insistenze greche, venne

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deciso sarebbe stata sempre differente ed itinerante appunto per portare lo spirito olimpico in tutto il mondo.

In quella sede nacque anche il Comitato Olimpico Internazionale, formatosi dai trentanove delegati giunti in rappresentanza delle dodici nazioni intervenute tra cui l'Italia, prima con il nome di Comitato Olimpico Interministeriale dei Giochi Olimpici, rinominato nel 1900 CIO (Comité International Olympique).

A partire da quell'anno l’ordinamento sportivo necessitò ovviamente di sempre più norme volte a disciplinarlo in modo dettagliato anche a fronte di un crescente interesse degli stati per lo sport, divenuto motivo di orgoglio ed un modo per dare divertimento ai propri cittadini, tutelandone anche la salute fisica e le buone abitudini alimentari.

Il CIO che per il diritto internazionale è una ONG (Organizzazione Non Governativa) decise che per far partecipare la propria rappresentanza ai Giochi Olimpici le nazioni avrebbero dovuto creare degli enti nazionali omologhi al CIO e ad esso aderenti. In Italia dopo l'esperienza del 1907 del CNO (Comitato Nazionale Olimpico) nel 1914 nacque il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), con lo

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scopo di promuovere lo sport nazionale, curarne l'organizzazione ed il potenziamento mediante le varie federazioni sportive e ovviamente preparare gli atleti per la partecipazione ai Giochi Olimpici.

Si vennero così a creare ordinamenti giuridici settoriali sportivi seguendo il principio di diritto della pluralità degli ordinamenti giuridici ma non prima di un lungo ed acceso dibattito durato decenni. Nella celebre teoria istituzionalistica, Santi Romano sosteneva che si configurasse l'esistenza di un ordinamento giuridico ogni volta si ravvisasse la presenza di un gruppo di soggetti organizzati in strutture predefinite e retti da regole certe. Per lui i requisiti dell’ordinamento giuridico erano la società (l’insieme dei soggetti), la normazione (il complesso delle regole organizzative), l’ordine sociale (il sistema delle strutture entro cui i soggetti membri della società si muovono) e così “ogni ordinamento giuridico è perciò un’istituzione e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico.”8

Lo schieramento opposto è ben rappresentato dal Furno per il quale il fenomeno sportivo pur rilevante nella società altro non è che “un complesso o un sistema di giochi” ed inoltre non si poteva “neppure

lontanamente configurare alcuna interferenza o collisione tra

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l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento tecnico sportivo” in

quanto “eterogenei e situati su piani differenti.”9

Fu il Cesarini Sforza il primo a parlare di “ordinamento giuridico sportivo”10 ma spetta al Giannini sancire che "Il gruppo organizzato

ed effettivamente produttore di norme proprie dicesi ordinamento

giuridico”11, individuando tre elementi generalmente riconosciuti

quali costitutivi di ordinamenti giuridici: la plurisoggettività (la presenza di persone fisiche ed entità associative che concorrono alla pratica sportiva), l’organizzazione (apparati incaricati di curare lo sport e di regolare con funzioni normative la disciplina e la risoluzione dei conflitti interni) e la normazione (complesso di norme destinate a disciplinare ogni fatto rilevante all’interno del sistema sportivo).

Indipendentemente da come lo Stato intenda esercitare la sua sovranità nei confronti dell’ordinamento sportivo nazionale la dottrina prevalente applica la tripartizione normativa riguardo l’attività sportiva messa a punto dal Giannini, che possiamo sintetizzare così: oltre ad un ambito retto da norme esclusivamente statali ed un altro retto da norme esclusivamente sportive ne esiste un terzo intermedio e

9 FURNO, C. - “Note critiche di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi”. 1952. 10 CESARINI SFORZA, W. - “Il diritto dei privati”. Milano. 1929.

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misto, nel quale le due normazioni vengono a contatto, sovrapponendosi, escludendosi, o addirittura contrastandosi. In questo ultimo ambito possono quindi crearsi dei conflitti nei quali dovrà prevalere ovviamente l’ordinamento statale in ossequio al principio della non autosufficienza dell’ordinamento sportivo.

Da questa situazione deriva una politica legislativa che tende ad evitare il più possibile conflitti e contrasti. Ogni ordinamento federale è dotato di norme che impongono la devoluzione alla giurisdizione domestica di tutte le controversie che coinvolgano singoli tesserati o società affiliate sotto la forma di un arbitrato oggi sempre di tipo irrituale, cosicché il lodo ai fini della sua esecutività non debba essere depositato presso il tribunale e perciò uscire dall’ambito sportivo. Frequente è l'imposizione ai consociati dagli organi dell’ordinamento sportivo di clausole compromissorie prevedendo l’impegno di non adire in giudizio presso autorità giurisdizionali ordinarie, a pena di sanzioni. Questo è una sorta di vincolo sportivo la cui violazione può comportare la revoca dell’affiliazione per le società sportive o la radiazione per atleti e tesserati.

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ritenere il vincolo di giustizia sportiva non idoneo ad inibire il sindacato giurisdizionale statale sugli atti federali: “Un limite alla possibilità di adire la magistratura non sembra in linea con le regole

costituzionali.”12

Per molti sarebbe così violato il diritto costituzionale di ogni cittadino di adire gli organi di giurisdizione statale ai sensi degli articoli 24 “Tutti possono adire in giudizio per la tutela dei propri diritti e

interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado

di procedimento”, e 102 “La funzione giurisdizionale è esercitata da

magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento

giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici

speciali.”

Per normare in modo chiaro la risoluzione dei conflitti ma soprattutto in risposta al clamore mediatico ed alle problematiche nate dal secondo “caso Catania”, il Parlamento il 7 ottobre 2003 promulgò la legge 280 modificativa del decreto-legge 220 del 19 agosto 2003, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva e provvedendo all’introduzione di riserve di competenza in determinate materie, poste a favore degli organi giurisdizionali sportivi.

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Questo intervento legislativo oltre che tardivo è in parte una codificazione dei principi già affermati da varie sentenze giurisprudenziali in materia, ovvero del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale e la definizione dei limiti di tale autonomia.

La legge riserva quindi all'organo giudicante sportivo la cognizione su questioni interne e predeterminate, mentre configura la giurisdizione al giudice amministrativo ed in particolare la competenza territoriale del TAR del Lazio sede di Roma (tranne riguardo controversie di carattere economico-patrimoniale) nei casi in cui questioni di origine sportiva assumano rilevanza anche per l’ordinamento giuridico statale. Permane, in alcuni casi specifici, anche la possibilità rivolgersi al giudice ordinario. Si mette quindi finalmente il punto, almeno in modo teorico, all’eterno dibattito di giurisprudenza e dottrina circa l’individuazione della natura giuridica del fenomeno sportivo, sulla sua autonomia rispetto all’ordinamento statale e sui relativi limiti, il “caso Genoa” del 2005 fu il primo vero test della norma e ha dimostrato l'efficacia della stessa.

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statali da parte di un tesserato di una federazione costituiva una violazione della normativa di settore dell’ordinamento sportivo come sottolineava il Cesarini Sforza “colui che in un controversie dello sport ricorre all’autorità dello Stato, agisce come membro della

comunità statuale, e non come membro della comunità sportiva, si

pone, quindi, automaticamente fuori di questa, e di tale secessione è

logico che subisca le conseguenze”13, oggi la proponibilità di un

ricorso al giudice statale anche di tesserati è prevista in modo chiaro da una legge, seppure nei limiti previsti. Così nei casi previsti di giurisdizione del giudice amministrativo l’ordinamento sportivo sarà di certo tenuto a seguirne le decisioni, senza dubbio quindi una conquista di civiltà e certezza del nostro stato di diritto.

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1.4

IL CREDITO SPORTIVO

Un particolare ente è quello dell'Istituto per il Credito Sportivo nato con la legge 1925 del 24 dicembre 1957, è un istituto di credito di diritto pubblico con personalità giuridica, gestione autonoma e sede legale a Roma.

Il Credito Sportivo è partecipato all'ottanta per cento dal Ministero dell'Economia e delle Finanze e principalmente concede mutui a medio e lungo termine a tasso agevolato per l'acquisto di terreni ed immobili per la pratica sportiva oltre alla costruzione, l'ampliamento, il miglioramento e l'attrezzatura di impianti sportivi.

L'istituto opera con soggetti pubblici o privati che perseguano finalità sportive, ricreative e di sviluppo dei beni e delle attività culturali anche se privi di personalità giuridica. Possono riceverne quindi i finanziamenti province, regioni, enti pubblici, Coni Servizi, federazioni sportive nazionali, società, associazioni sportive ed enti di promozione sportiva riconosciute dal CONI, associazioni culturali, enti di promozione culturale e dello spettacolo.

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Il Credito Sportivo promuove maggiori contribuzioni in conto interessi per interventi al sud, nei comuni minori di 3mila abitanti, in zone alluvionate o terremotate, in aree disagiate e maggiormente carenti di impianti sportivi.

Oltre ai contributi per la messa a norma di impianti sportivi o per opere relative all'abbattimento di barriere architettoniche e visuali, sono importanti i grandi impianti realizzati come centri di preparazione olimpica o le sedi di grandi eventi sportivi nazionali ed internazionali, casi esemplificativi recenti sono i mutui concessi per la realizzazione dello Juventus Stadium di Torino e della Dacia Arena di Udine. Si tratta solitamente di finanziamenti a 10 anni, se vi è richiesta possono essere estesi a 15 anni o addirittura a termine più dilatato per le regioni meridionali.

L'istituto amministra e gestisce due fondi speciali a titolo gratuito, il “fondo speciale per la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti all'impiantistica sportiva” ed il “fondo di garanzia ex lege 289/2002 per l'impiantistica sportiva”.

Il primo fondo speciale è previsto dall'articolo 5 della legge 1295 del 24 dicembre 1957 ed è finanziato dal versamento da parte

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dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di un'aliquota ad esso spettante, con i contributi concessi solo previo parere tecnico del CONI sul progetto presentato.

Il secondo è previsto dall'articolo 90, comma 12, della legge 289 del 27 dicembre 2002 e successive modificazioni, ed è “a garanzia per i mutui relativi alla costruzione, all'ampliamento, all'attrezzatura, al

miglioramento o all'acquisto di impianti sportivi, ivi compresa

l'acquisizione delle relative aree, da parte di società o associazioni

sportive, nonché di ogni altro soggetto pubblico e privato che

persegua anche indirettamente finalità sportive.” Viene gestito in base

a criteri proposti dall'istituto ed approvati dal presidente del Consiglio dei Ministri, o dall'autorità di governo con la delega allo sport, sentito il CONI e in base a criteri e modalità di gestione previsti dallo statuto. Possono esservi destinati nuovi apporti conferiti direttamente o indirettamente da stato ed enti pubblici.

La principale fonte di finanziamento del Credito Sportivo da parte dei Monopoli di Stato era il gioco del Totocalcio e la sua crisi degli ultimi anni ha avuto ripercussioni sulle finanze dell'ente come per gran parte del mondo sportivo.

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L'istituto una volta dedicato esclusivamente al mondo sportivo, nel 2005 per volere del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha allargato i suoi orizzonti includendo nella sua operatività l'ambito culturale con l'inserimento nel suo statuto della possibilità di erogare mutui per la riqualificazione di beni artistici e di immobili destinati ad attività culturali, prima non prevista.

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2 IL MODELLO INGLESE

2.1

LE GRANDI TRAGEDIE DEGLI ANNI '80

Il passato ci ha lasciato in eredità un lungo elenco di disastri legati al calcio, sempre causati dall'inadeguatezza delle regole degli impianti sportivi e spesso dalla cattiva gestione della specifica situazione di pericolo da parte dei responsabili della sicurezza. L'Italia è stata colpita direttamente prima con il dimenticato rogo del Ballarin di San Benedetto del Tronto del 1981, nel quale “due ragazze persero la vita sugli spalti in seguito ad un incendio divampato in Curva Sud mentre

sul campo i calciatori ancora lanciavano fiori verso il pubblico”14, e

poi dalla tragica notte dell'Heysel di Bruxelles del 1985, teatro della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool. Trentanove stelle d'argento inserite nella pavimentazione del piazzale attorno allo Juventus Stadium ricordano il caos senza precedenti di quella sera quando perirono 39 tifosi, di cui 32 italiani, e ne rimasero feriti oltre 600.

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Ad alcuni tifosi italiani non organizzati, quindi non certo tra i più facinorosi, venne assegnato il famigerato settore Z, separato dalla curva degli hooligans più temibili del Liverpool (ai quali si erano aggiunti anche frange violente dei tifosi del Chelsea) solo da due basse divisioni metalliche. Gli inglesi cercavano lo scontro fisico con gli ultras juventini, non sapendo che le tifoserie organizzate fossero situate solamente nella curva opposta e un'ora prima dell'inizio previsto della gara sfondarono le barriere divisorie tra i settori. I semplici tifosi non certo abituati e pronti a rispondere alla carica tentarono la fuga, ammassandosi verso il muro opposto alla curva inglese, con la polizia belga che a manganellate impediva di utilizzare il terreno di gioco come via di fuga. Alcuni si lanciarono nel vuoto per scampare a quella calca, altri caddero dalle scale, altri ancora rimasero schiacciati contro le recinzioni tanto che il muro crollò e moltissime persone rimasero sotto le macerie. “Bastò un click sull'interruttore a far svanire il calore di quel sole. A precipitarci nel gelo. Mani che di

colpo ora servivano a proteggersi. Canti tramutati in urla. E bocche

spalancate, nel settore Z, come respiratori d'emergenza. La curva, un

girone dell'inferno. Poi il silenzio.”15

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Il pubblico degli altri settori pur sconvolto non comprese le proporzioni della sciagura, alcune televisioni non raccontarono subito la verità e anche ai giocatori vennero date informazioni inesatte e frammentarie. Così con un'ora e mezzo di ritardo, sotto le pressioni di UEFA e polizia belga, la gara si giocò ugualmente e fu un rigore di Platini a stabilirne il risultato consegnando alla Juventus la coppa più amara della storia. Nei giorni seguenti la UEFA su proposta del governo britannico, visti i precedenti come il disastro di Bradford avvenuto soli 18 giorni prima, decise di escludere le squadre inglesi a tempo indeterminato dalle coppe calcistiche europee; il provvedimento fu applicato fino al 1990 anno seguente ad un'altra strage, quella di Hillsborough.

Allo stadio Valley Parade di Bradford in data 11 maggio 1985 si svolse l'incontro tra Bradford City e Lincoln City, valido per il campionato di terza divisione. Durante il quale al quarantesimo minuto di gioco a causa di una sigaretta divampò un grande incendio alimentato dal catrame e dal bitume utilizzati per impermeabilizzare la copertura della tribuna. L'aria divenne subito irrespirabile, e in due minuti il tetto crollò.

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Spettatori, giocatori, dirigenti e forze dell'ordine tentarono di spegnere l'incendio ma gli estintori all'interno dell'impianto erano stati tutti rimossi per evitare atti di vandalismo tra gli hooligans.

Sempre contro i tifosi violenti era stato eretto un muro di divisione con il campo che fortunatamente non era alto come in altri stadi del periodo e la gran parte degli spettatori fu in grado di superarlo e trovare rifugio sul terreno di gioco. Se il muro fosse stato invalicabile il disastro avrebbe avuto proporzioni ancora peggiori poiché in soli 4 minuti il settore andato a fuoco era completamente distrutto.

Morirono 56 spettatori mentre i feriti furono ben 265 e molti sostennero che si trattasse del più grave dramma della storia del calcio britannico, ancora peggio della terribile strage del 1971 all'Ibrox Stadium di Glasgow nella quale i morti furono 66 ed oltre 200 i feriti. Ma, per numero di vittime e per la svolta epocale che diede al calcio inglese, il momento cardine fu la semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forrest sul campo neutro dell'Hillsborough di Sheffield. “Hillsborough era conosciuto semplicemente come un sobborgo di

Sheffield e la casa dello Sheffield Wednesday Football Club. Dopo

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sempre per un'intera generazione e la data è ricordata come il

peggior disastro sportivo nella storia britannica.”16

I tifosi del Liverpool sono ancora protagonisti ma questa volta la tragedia avvenne non per aggressione da parte di facinorosi, ma per palesi inadempienze del servizi d'ordine. Venne assegnato ai tifosi del Nottingham Forrest in numero molto minore il settore più capiente dell'impianto, da 21mila posti e con 60 ingressi, mentre ai più numerosi tifosi del Liverpool un settore inadeguato da soli 14mila e con soli 6 ingressi.

Essendo a pochi minuti dall'inizio della gara ancora enorme la massa dei sostenitori che sarebbe dovuta entrare da questi pochi ingressi la polizia per accelerare l'afflusso decise con una mossa avventata di aprire un grande cancello in ferro che conduceva ad un tunnel, da dove era possibile accedere solo ad un settore di curva da 2mila posti. Ciò si rivelò catastrofico poiché la folla si riversò nella galleria e dopo poco si bloccò essendo il settore subito stivato, le persone intrappolate in curva e tunnel rimasero schiacciate contro le recinzioni e le pareti. Le divisioni con il campo non offrivano vie di fuga poiché dopo la tragedia dell'Heysel la normativa le prevedeva ancora più resistenti

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per sopportare eventuali cariche dei tifosi atte ad abbatterle. Qualcuno riuscì comunque a scavalcarle e venne accolto dalle manganellate della polizia presente sul terreno di gioco che non comprendendo il dramma che si stava consumando in quei momenti respingeva i tifosi, credendo si trattasse di un tentativo di invasione di campo a gara già iniziata. Dopo alcuni lunghissimi e tragici minuti le forze dell'ordine compresero l'accaduto ed aprirono le inferriate, rimasero esanimi 96 corpi ed oltre 200 furono i feriti. Ancora una volta si stavano piangendo anziani e bambini, si decise finalmente di analizzare con serietà cause e problemi e che nulla di ciò si sarebbe mai più dovuto ripetere in terra inglese.

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2.2

IL RAPPORTO TAYLOR

Immediatamente dopo la strage di Sheffield, la Camera dei Lord affidò al magistrato della Corte d'Appello inglese Peter Taylor il compito di indagare sulle cause della tragedia. Nell'omonimo rapporto che ne seguì furono evidenziate gravi incongruenze nell'organizzazione dell'evento e nel comportamento delle forze dell'ordine, aggiungendo alcune raccomandazioni su cosa fare per evitare che in futuro si ripetessero casi analoghi.

Questo è il famoso e rivoluzionario “rapporto Taylor”, quello dal quale seguendone le raccomandazione e recependone i consigli si partirà per migliorare le strutture dei fatiscenti stadi d'oltremanica. Il documento stila criteri di sicurezza e suggerisce novità riguardo al triplice rapporto tra forze dell'ordine, club e semplice spettatore, la maggior parte dei provvedimenti venne adottata già a partire dal 1990. Si decise innanzitutto che gli stadi delle due maggiori divisioni, le attuali Premier League e Championship si sarebbero dovuti dotare solamente di posti a sedere, stabilendo stringenti regole in materia di

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sicurezza per gli stadi delle divisioni inferiori che avrebbero potuto però mantenere le standing areas.

Venne sottolineata la fatiscenza della maggior parte delle strutture esistenti, auspicandone la radicale ristrutturazione tramite fondi concessi dal governo. Andavano principalmente adeguati i servizi igienici ed i punti ristoro, eliminando ogni barriera e recinzione sia tra i settori che con il terreno di gioco, fondamentale via di fuga della maggior parte degli spettatori per ogni potenziale situazione di pericolo. Con questo accorgimento nessuno sarebbe più potuto rimanere schiacciato dalla folla, principale causa di tutti i decessi nei disastri del passato.

Anche il rapporto spesso fortemente conflittuale tra polizia e tifosi era da sanare, gli agenti ricevettero un addestramento specifico che portò ad una maggiore comunicazione e collaborazione, diminuendo così la repressione. Le forze dell'ordine si sarebbero però occupate solo delle aree esterne mentre la sicurezza interna degli impianti fu affidata a stewards privati, stipendiati dai club che vennero così de facto responsabilizzati.

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prima e dopo le gare e ne venne impedito l'accesso a coloro i quali negli anni precedenti si erano resi protagonisti di episodi di violenza. Furono introdotte a fine dissuasivo le telecamere a circuito chiuso e vennero inseriti i tornelli di sicurezza agli ingressi per permettere un afflusso ordinato e mai troppo impetuoso.

Venne eliminato il cosiddetto biglietto nominativo, i tifosi non sarebbero più stati obbligati ad essere schedati forzatamente e a fornire la propria identità prima di acquistare un tagliando, venne di contro reso un reato penale il bagarinaggio.

Taylor chiese anche ai club un maggior dialogo con i propri sostenitori e si suggerì di ridurre il generale costo dei biglietti per permettere una maggiore eterogeneità sociale, forse l'unico aspetto che non venne preso alla lettera ed anzi si andò nella direzione inversa con le critiche e le proteste per tagliandi sempre più cari che si protraggono fino ai giorni nostri.

Il governo Thatcher stanziò subito un fondo di 200 milioni di sterline per la messa a norma degli impianti, accessibile da ogni squadra ma con precise scadenze temporali per le società o le municipalità proprietarie.

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Il rapporto Taylor condusse inoltre alla elaborazione di una “guida alla sicurezza degli impianti sportivi” redatta dal Ministero della Cultura, dello Sport e dello Spettacolo in concorso con il paritario organo scozzese. La guida, contenente le indicazioni dei compiti degli organi preposti a certificare e autorizzare gli impianti sportivi assistendoli a valutarne il grado di sicurezza, fu determinante per la rivoluzione culturale e sociologica attorno al gioco del calcio d'oltremanica.

Altri importanti interventi legislativi che hanno condotto alla creazione del modello inglese sono stati lo“Sporting Event Act” del 1985, che bandisce gli alcoolici dagli stadi, il “Public Order Act” del 1986, che rende reato il comportamento molesto o allarmante anche se non violento e istituisce la possibilità per il giudice alla condanna del cosiddetto “obbligo di firma” in questura, il “Football Offences Act” del 1991, che permette l'arresto immediato ed il processo per direttissima anche solo per violenza verbale come linguaggio osceno e cori razzisti, ed infine il “Football Disorder Act” del 2002, che conferisce addirittura la possibilità di sequestrare i passaporti agli individui sospettati per il tempo necessario da non consentirne la partecipazione a partite disputate all'estero.

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In definitiva il rapporto Taylor ha di certo dato il via ad una generazione di stadi più sicuri e moderni ma ciò ha comunque ricevuto aspre critiche da parte dei nostalgici del tifo più libero e genuino del passato. L'accusa principale è quella di aver tramutato un gioco popolare in uno sport televisivo, con gli stadi poco capienti e sempre pieni che accolgono la silenziosa classe media, mentre la violenza si è solo spostata nei parchi o nei parcheggi dei dintorni, dove si scontrano ancora talvolta le tifoserie.

Di certo la Premier League oggi ricchissima grazie alle televisioni ed ai facoltosi investitori stranieri ha perso parte dell'affascinante atmosfera folkloristica però a conti fatti a beneficiarne è stato tutto il calcio britannico. Dalle piccole alle grandi squadre tutti rispettano regole chiare e condivise con la maggioranza dei tifosi, mantenendo comunque intatte storia e tradizione del paese che ha inventato e diffuso questo sport. Ed è un successo enorme ma per nulla scontato, lo dimostrano i casi dei paesi che hanno provato a scimmiottare questo modello e copiandone solo alcune norme e non la sua filosofia più generale hanno miseramente fallito, tra i quali purtroppo l'Italia.

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2.3

I DECRETI PISANU E AMATO

L’omicidio Raciti al Massimino di Catania e la tragedia dello stadio Hillsborough di Sheffield si possono accomunare come eventi che hanno provocato una profonda mutazione della regolamentazione riguardo gli impianti sportivi dei rispettivi paesi. Il derby Catania -Palermo è da sempre una partita molto sentita e ad alto rischio che mette di fronte le compagini delle due più popolose città siciliane, da sempre rivali.

I tifosi ospiti per problematiche organizzative arrivarono quando la partita era già iniziata e dopo poco tempo iniziarono a registrarsi scontri all'esterno dell'impianto, qui alcuni sostenitori della squadra di casa cercarono il contatto con gli ospiti che risposero con un lancio di fumogeni e petardi, in mezzo la polizia, addirittura 1200 agenti mobilitati. Le forze dell'ordine replicarono con i lacrimogeni, due finirono all'interno della Curva Nord sede del tifo locale più acceso intossicando migliaia di persone, l'aria divenne subito irrespirabile tanto che la partita venne sospesa per ben 40 minuti. La maggior parte

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della gente cercò di fuggire ma tutte le vie di fuga erano sbarrate, creando una pericolosissima calca ed il rapido dilagare del panico. Da qui partirono gli scontri veri e propri con la polizia, ne nacque una sorta di guerriglia urbana che verrà sedata solo dopo diverse ore, il bilancio fu di circa 70 tifosi feriti, altrettanti agenti e si contò un morto, l'ispettore capo Filippo Raciti.

Come sempre solo dopo una grande tragedia si individua il problema e si propongono sull'onda emozionale del momento soluzioni anche molto drastiche. Subito tutti i campionati di calcio su decisione di FIGC e CONI vennero sospesi a tempo indeterminato e molte forze politiche chiesero almeno 12 mesi di stop od il termine della stagione con sole gare a porte chiuse. Ma il presidente della Lega Calcio Antonio Matarrese rispose che: “Noi siamo addolorati, ma lo spettacolo deve continuare. […] I morti del sistema calcistico

purtroppo fanno parte di questo grandissimo movimento che le forze

dell'ordine ancora non riescono a controllare. È stato necessarissimo

fermarsi. Ma adesso parlano in tanti, tutti saputelli, si vive un

momento di esaltazione. Tutti hanno la soluzione. Ma facciamo

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chiudere. È la regola principale: questa è un'industria che paga i suoi

prezzi. Si può pensare che un'industria chiuda i suoi impianti e poi li

riapra chissà quando?”17

Si criticò aspramente soprattutto il fatto che i due decreti legge Pisanu, il 28/2003 convertito dalla legge 88/2003, ed il 162/2005 convertito dalla legge 210/2005, recanti “Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive” fossero rimasti in larga parte inattuati. Questo poiché oltre all'inasprimento delle sanzioni pecuniarie e costrittive per i violenti prevedevano lavori strutturali da diversi milioni di euro agli impianti, da anni ovunque in deroga poiché motivo di contenziosi tra squadre ed amministrazioni comunali proprietarie che si rimpallavano a vicenda l'onere di queste spese, solo per mettere a norma San Siro necessitavano 25 milioni di euro. Principalmente erano previsti ove possibile maggiori spazi agli ingressi e nelle aree esterne degli stadi, una zona di prefiltraggio delimitata da grate per un miglioramento dei controlli, accessi regolati da speciali tornelli che permettono il passaggio di una sola persona alla volta e solo se in possesso di un biglietto nominativo, sistemi di illuminazione e ripresa a circuito chiuso interna ed esterna, recinzioni

17 TONACCI, F. - “Il calcio non può chiudere, i morti sono parte del sistema” da Repubblica del 05/02/2007. Milano.

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varie e locali interni attrezzati per il coordinamento delle forze della polizia, le cosiddette sale GOS (Gruppo Operativo Sicurezza).

Il governo intervenne con forza ed inusuale immediatezza con il decreto legge Amato 8/2007 convertito dalla legge 41/2007 contenente “Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche”. Il testo suddiviso in 12 articoli modificava ed inaspriva i due decreti legge Pisanu aumentandone di molto la repressione, venne poi seguito dal decreto legge Maroni 187/2010 convertito dalla legge 217/2010 che ne puntualizzerà alcuni aspetti dibattuti e controversi come la flagranza differita e la disciplina giuridica della figura dello steward.

Il decreto Amato in un primo momento riaprì gli stadi prima a porte chiuse e poi per i soli abbonati locali, i club privati dagli importanti incassi dei biglietti furono quindi costretti nella maggioranza dei casi ad adeguare gli impianti a proprie spese, cercando poi accordi economici con i comuni che in alcune città ancora ai giorni nostri sono da definire e motivo di battaglie legali da quasi 10 anni. Si stabilì che il biglietto non fosse più per un generico settore ma per un determinato posto a sedere e nominativo, acquistabile all'interno di un

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circuito gestito e controllato dalle forze dell'ordine e debba essere esibito contestualmente ad un documento valido di identità. “In una giornata di lavoro, 18 ore, gli addetti dell'aeroporto della Malpensa

verificano che a 80 mila biglietti aerei corrispondano 80 mila

persone. A San Siro ne entrano 83 mila, in un paio d'ore.”18 Si decide

che i DASPO, i divieti di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, vengano disposti dal giudice e non più dal questore con la possibilità dell'obbligo di firma in questura durante lo svolgimento delle partite. Vengono spesso vietate le trasferte delle tifoserie ospiti, a discrezione dell'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, organo di consulenza tecnico-amministrativa disciplinato dal secondo decreto Pisanu ma che fino ad allora aveva nei fatti scarsa rilevanza.

Sono inasprite le pene per il lancio e l'utilizzo di razzi, bengala, fuochi artificiali, bastoni ed oggetti contundenti. Si impose l'obbligo di chiedere un'autorizzazione puramente discrezionale agli organi di polizia per l'ingresso degli impianti sportivi di elementi innocui e di colore come coreografie, bandiere, striscioni, megafoni, tamburi, centraline ed ogni altro mezzo di diffusione sonora, mirando

18 ZUNINO, C. - “Stadi e sicurezza, caos biglietti, il decreto Pisanu non parte” da Repubblica del 24/08/2005. Milano.

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probabilmente a distruggere i gruppi ultras indiscriminatamente anche riguardo gli aspetti più inoffensivi e positivi.

Nulla incredibilmente venne disposto riguardo le barriere tra spalti e campo che la legislazione italiana prevede alte ben 2,20 metri e come abbiamo visto per l'Inghilterra non essendo facilmente scavalcabili in situazioni di pericolo sono la principale causa di stragi.

Nel 2009 venne introdotta anche la temutissima Tessera del Tifoso, un severo sistema di schedatura e sorveglianza unico nel panorama mondiale occidentale, così come molte delle appena elencate statuizioni. Senza la TDT corredata di nome, foto, un chip di controllo della posizione ed ovviamente usufruibile solo alle persone non sottoposte a DASPO i tifosi non possono in nessun caso abbonarsi o andare in trasferta, possono solamente acquistare i biglietti delle singole gare. Però ben attenti alle disposizioni dell'osservatorio che potrebbero limitarne la vendita in assoluto oppure solo alle persone residenti in determinate regioni, di solito quella della squadra ospitante, senza tenere tuttavia conto del fatto che non necessariamente la provenienza geografica corrisponde con il proprio tifo calcistico. Spesso si creano paradossi senza soluzione e a persone

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senza tessera viene negata la possibilità di assistere a delle partite solo perché non residenti nella regione o nella provincia di origine della propria squadra.

Ovviamente gli ultras e la maggioranza dei frequentatori abituali degli impianti sportivi si ribellarono a questa repressione senza quartiere, per anni si inscenarono proteste ed ancora adesso intere tifoserie hanno smesso in blocco di seguire la propria squadra in trasferta e di abbonarsi. Ma non si vede una luce in fondo al tunnel e nemmeno una apertura ad una discussione costruttiva sul tema da parte del mondo politico.

A quasi 10 anni dagli scontri di Catania ci rimane un panorama del calcio italiano e dei suoi impianti sportivi desolante. I vecchi stadi quasi sempre spogli dei colori festanti e del tifo abituale del passato sono militarizzati con grate, tornelli, barriere, fossati, vetri, recinzioni varie e addirittura fili spinati che fanno pensare di più ad una prigione che ad un luogo dove si assiste ad uno sport popolare e quindi di svago e divertimento. Le perquisizioni multiple prima e dopo i controlli di rito sulla nominatività del biglietto, che già di per sé provocano file, sono spesso invasive, non è raro doversi quasi

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spogliare o dover togliersi le scarpe in piazzali assolati o fangosi. Le procedure per l'acquisto dei tagliandi sono cervellotiche e poco comprensibili a chi non ne è avvezzo o particolarmente determinato nell'acquisto, facendolo desistere: vengono sicuramente allontanate le persone più innocue come i padri di famiglia e gli anziani, non certo i facinorosi.

Complice di tutto questo la non felicissima congiuntura economica del corrente decennio ammiriamo settimanalmente stadi sempre più vuoti in Serie A, senza considerare le categorie minori dove la situazione è ormai quasi ovunque tragica. Nel massimo campionato la scorsa stagione si è registrata la peggiore media stagionale di spettatori degli ultimi 50 anni, stabilmente al di sotto addirittura di quella della Bundesliga 2, il corrispettivo della Serie B in Germania, dove al contrario una radicale e ponderata politica di ammodernamento degli impianti e di calmieramento dei prezzi al botteghino sortisce effetti opposti.

Sono in costante calo soprattutto all'estero gli ascolti televisivi del nostro campionato, composto da squadre sempre più povere e quindi meno competitive, con la desolante e malinconica cornice dei nostri

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stadi vuoti, con i pochi tifosi lontanissimi e ostruiti nella visuale da barriere di vario genere. Molto più avvincente ed interessante per il consumatore neutrale seguire i tornei di Inghilterra, Germania, Spagna e Francia dove i più forti campioni del mondo si danno battaglia in arene costruite o ristrutturate negli ultimi 15 anni, piene di tifosi festanti seduti appena a bordo campo. E se non si agisce in fretta e si riesce ad invertire il trend negativo attraverso adeguate normative e strutture il nostro sistema calcio, attualmente basato solamente sulla vendita dei diritti TV ormai svalutati, sarà destinato ad implodere e vivere un futuro ancora più fosco del poco luminoso presente.

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2.4

GLI STADI INGLESI OGGI

L'evoluzione inglese nel campo degli impianti sportivi non è rimasta sulla carta. La cosiddetta prima generazione degli stadi inglesi, praticamente coetanei di quelli nostrani si chiuse nel 1988 con l'inaugurazione di Glanford Park, impianto del poco conosciuto Scunthorpe United. Erano ben 31 anni che nessun club trasferiva la propria dimora, una rivoluzione per una visione del calcio da sempre romantica e tradizionalista. Da lì in avanti grazie soprattutto al rapporto Taylor e all'organizzazione degli europei di calcio del 1996 partì una vera e propria rivoluzione.

Ogni singolo club fu dapprima obbligato e poi invogliato ad ammodernare e regolarizzare il proprio impianto, il fatto che quasi la totalità degli stadi fosse di proprietà e non in concessione dal pubblico snellì e facilitò non poco le cose, negli altri casi si ricorse al metodo diffuso oltremanica della Public Private Partnership. Utilizzando un “partenariato pubblico-privato basato sulla cooperazione fra un

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gli enti locali da un lato e il settore privato dall’altro, realizzano

progetti comuni con vantaggi reciproci, sfruttando il proprio

potenziale per il conseguimento di obiettivi non solo commerciali, ma

anche sociali, e garantendo così una migliore qualità dei servizi

prestati.”19

Negli stadi si ridussero le capienze puntando sulla sicurezza e la comodità. Nuovi seggiolini reclinabili fiammanti richiamavano le tonalità sociali e mettevano ordine dando colore agli spalti prima sempre grigi, la rimozione di tutte le barriere permetteva un'esperienza migliore allo spettatore ed una godibilità maggiore della partita.

Le strutture generarono presto un miglioramento dei ricavi del botteghino e delle attività collaterali come ristorazione, negozi di merchandising ed agenzie di scommesse. Modificando così la loro funzione storica e si trasformarono in strutture di intrattenimento e divertimento, divenendo fondamentali alla voce dei ricavi delle società. Le patrimonializzazioni di beni redditizi e moderni diedero la possibilità di più efficaci garanzie con le banche, ottenendo così ulteriori finanziamenti per la campagna acquisti ma prima ancora che sulla squadra l'interesse viene focalizzato sullo spettatore che è il

19 GRECO, M. - “Il Partenariato pubblico-privato (PPP): opzione o necessità?”. Diritto.it. 2009. http://www.diritto.it/docs/27237-il-partenariato-pubblico-privato-ppp-opzione-o-necessit

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cliente e merita i servizi migliori per essere fidelizzato al brand societario.

I proventi futuri che gli istituti di credito anticipano in questo sistema non sono quelli dei diritti televisivi o delle sponsorizzazioni troppo variabili nel tempo ma gli incassi del botteghino sempre in crescita e sicuri, il contrario insomma di quanto avviene oggi in Italia.

Addirittura l’Arsenal nel 2006 ha inaugurato la terza generazione degli impianti investendo 210 milioni di sterline per l'Emirates Stadium, raddoppiando di fatto la capacità a sedere rispetto al vecchio Highbury e quindi le entrate future connesse.

La terza generazione punta molto sui servizi ulteriormente migliorati in ogni settore e su spazi VIP sempre più estesi ed accoglienti. Nascono aree al chiuso ma con vista campo, i cosiddetti skybox, dotati di catering e destinati a privati o aziende a fronte di un abbonamento annuale o pluriennale o di una sponsorizzazione, all'Old Trafford di Manchester ce ne sono ben 4973. Questi box, veri e propri piccoli appartamenti, sono a disposizione degli utilizzatori tutti i giorni ed in ogni orario, durante lo svolgimento delle manifestazioni sportive ma anche per meeting aziendali o una serata tra amici.

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Le strutture giustificano le enormi spese di gestione cambiando radicalmente da posti frequentati due volte al mese a luoghi pubblici aperti 7 giorni su 7, con all'interno le più svariate attività sportive e commerciali come negozi, piscine, cinema multisala, ristoranti e palestre ed ospitando eventi come convegni lavorativi, grandi concerti ed esposizioni artistiche.

L'unico esempio simile in Italia, ispirato infatti al St James’ Park del Newcastle, è lo Juventus Stadium: può ospitare 41mila spettatori a partire da 7,5 metri dal terreno di gioco, le panchine sono integrate nelle tribune ed è concepito con i massimi standard di sicurezza, in caso di emergenza si può svuotare totalmente in meno di 4 minuti. L'impianto ha 4mila posti auto a pagamento, 8 aree ristorazione, 2 ristoranti, 21 bar, un megastore della squadra, un centro medico, un museo sulla storia della società, 64 skybox, 150mila metri quadri dedicati ai servizi, 34mila metri quadrati di aree commerciali, 30mila metri quadrati di aree verdi e piazze.

L'impianto è anche stato il primo nel nostro paese a vendere il proprio naming rights, il diritto di vendita e sfruttamento del nome per 12

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Premium e della metà dei palchi alla società specializzata francese Sportfive il club incasserà 75 milioni di euro, recuperando parte dei 155 milioni costo globale dell'operazione.

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3 LA NORMA

3.1

LA NECESSITÀ

Purtroppo gli impianti sportivi italiani anche se alcuni rimodernati per il mondiale di Italia '90 sono stati concepiti nell'ultimissimo periodo della prima generazione. Il “Conto Economico del Calcio Italiano” uno studio della FIGC realizzato in collaborazione con Deloitt e presentato alla Camera dei Deputati nel 2016 ci presenta un'età media elevata degli stadi, 64 anni per la Serie A, 68 per la serie B e 59 per la Lega Pro, la vecchia Serie C.

Le strutture sono senza comfort, con servizi obsoleti, posti lontani dal terreno di gioco, addirittura a volte proprio fatiscenti con settori a rischio crollo e chiusi al pubblico come ad esempio a Cagliari e Latina. Esistono imposizioni minime di capienza come i 20mila posti per la Serie A ormai anacronistici per le provinciali ma non ci sono regole che privilegino lo spettatore, come ad esempio l'imposizione di impianti senza piste e velodromi, con una distanza massima tra spettatori e campo da rispettare, con l'obbligo di avere settori tutti

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coperti e con seggiolini reclinabili per ogni posto.

La scarsa percentuale di riempimento degli spalti in Serie A, appena superiore al 50% è lontanissima da quelle superiori al 90% dei principali campionati europei come Premier League e Bundesliga, addirittura come già detto i dati sul numero di presenze globali collocano la Serie A al di sotto della Bundesliga 2, la Serie B tedesca. Seguendo quindi il modello inglese ed europeo a tutti i nostri club oltre che per una motivazione di immagine interesserebbero ricavi ulteriori rispetto alla vendita dei biglietti e dei diritti televisivi. Si sognano stadi all'avanguardia con tutta una serie di attività collaterali come cinema, centri commerciali ed aree hospitality, così fin dalla prima metà degli anni 2000 in qualsiasi città italiana si comincia a parlarne. Uno degli scogli primari per un investimento dei privati in materia è però la proprietà pubblica di tutti quanti gli impianti, nessuno investirebbe tanto denaro in una struttura non sua e soprattutto senza la garanzia di essere l'unico soggetto che potrà utilizzarla ed incassarne i ricavi.

Tuttavia la costruzione di nuove strutture da parte delle società in terreni di proprietà si è sempre scontrata con vincoli urbanistici,

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idrogeologici ed archeologici spesso insuperabili, talvolta richieste esagerate di cubature commerciali e residenziali, mentre la privatizzazione degli stadi preesistenti poiché non normata in modo chiaro non è stata possibile.

Quindi oltre alla disastrosa gestione dei mondiali del 1990 ed ai fallimenti delle campagne per l’assegnazione degli europei prima del 2012 e poi del 2016, la primaria causa dell'arretratezza in materia la possiamo ritrovare nell’apparato legislativo italiano.

In due soli casi dopo oltre un decennio di carte e autorizzazioni, lo Juventus Stadium di Torino inaugurato nel 2011 e la Dacia Arena di Udine inaugurata nel 2015 si è riusciti a sconfiggere la burocrazia, ma con tempi di investimento inaccettabili per una società privata. Ed in entrambi i casi senza un vero e proprio acquisto della proprietà ma garantendosi per 99 anni il diritto di superficie sul terreno, che al termine ipotetico dell'accordo tornerebbe nella disponibilità dei rispettivi comuni con tutto quello vi sarà rimasto costruito sopra.

Sono gli unici stadi di terza generazione, di proprietà e senza finalmente barriere della attuale Serie A, a questi si affianca in parte il Mapei Stadium del Sassuolo, che però ha una diversa storia. Questo si

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trova a Reggio Emilia ed è stato il primo stadio privato del nostro calcio addirittura nel 1995, si chiamava Stadio Giglio ed era della locale compagine della Reggiana, poi però fallita e perciò rilevato all'asta giudiziaria dai neroverdi. Ha comunque oltre 20 anni e pur di concezione moderna (per esempio è assente la pista di atletica e gli spettatori sono vicini al terreno di gioco), resta un cosiddetto stadio di seconda generazione carente di comfort e servizi, quasi unico esponente nel nostro paese in oltre un ventennio di immobilismo infrastrutturale insieme al San Filippo di Messina, al Rocco di Trieste e al Del Conero di Ancona.

Ci si trova quindi davanti ad una grande sfida, recuperare competitività internazionale trovando un modello di sviluppo e di intesa tra pubblico e privato capace di coniugare la sostenibilità ambientale, una burocrazia snella e chiara e le esigenze delle società e dei tifosi. Tutto ciò oltre ad offrire l'opportunità di risolvere un grande problema alle amministrazioni comunali, svincolandole dall'onere gravoso di investire grandi cifre negli stadi anche solo per mantenerli in modo decoroso ed adeguarli nel tempo alle nuove normative.

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3.2

LE PRECEDENTI PROPOSTE

La prima iniziativa parlamentare in materia è il disegno di legge del 6 novembre 2008 del senatore Alessio Butti (PdL) intitolato “Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione degli

impianti sportivi”20, da subito oggetto di acceso dibattito politico. Ci

si divide tra chi vede la legge come l'ancora di salvataggio del calcio italiano e chi la considera il grimaldello per grandi speculazioni edilizie in barba alle regole archeologiche, idrogeologiche ed ambientali, bollando come inopportuno stanziare risorse pubbliche nel settore in un momento di crisi economica. “La realtà, probabilmente, sta nel mezzo. Lo scontro tra diverse posizioni non mette in dubbio

l'impatto positivo, anche per l'economia nazionale, di una politica di

interventi sugli impianti sportivi: un rinnovamento degli stadi,

mediante ristrutturazioni o nuove costruzioni, potrebbe attivare

investimenti fino a 1,5 miliardi di euro, con una caduta occupazionale

importante durante la fase di costruzione e un'altra, numericamente

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inferiore ma stabile, nella successiva gestione.”21

Il contenuto delle disposizioni mira da un lato a snellire la enorme burocrazia dichiarando la realizzazione delle nuove opere dei privati di “preminente interesse nazionale, di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza” attribuendogli la natura giuridica delle opere pubbliche.

Dall'altro si sforza di regolamentare il modo di consentire un bilanciamento dell'investimento a livello economico inserendovi la possibilità di comprendere nel progetto attività commerciali e altre strutture di varia natura. I lavori sarebbero stati regolati “secondo criteri di sicurezza, fruibilità e redditività dell'intervento e della

gestione economico-finanziaria, in modo che sia garantita,

nell'interesse della collettività, la sicurezza degli impianti e degli

stadi, anche al fine di prevenire i fenomeni d violenza all'interno e

all'esterno dei medesimi, e sia migliorata, a livello internazionale.

L'immagine dello sport in vista della candidatura dell'Italia per

l'organizzazione di manifestazioni sportive di rilievo europeo o

internazionale.”

Per facilitare le operazioni sarebbero stati previsti soldi pubblici non soltanto per gli impianti sportivi, ma addirittura per i complessi

21 TARì, D. - “All'ultimo stadio. Il business del calcio. Verità, menzogne e numeri.” Informant. 2014.

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multifunzionali, per gli uffici privati delle società e per i complessi residenziali con un piano di intervento straordinario triennale e agevolazioni per l'accesso ai fondi dell’Istituto per il Credito Sportivo. Il progetto avrebbe dovuto prevedere esplicitamente “locali da adibire a palestra, servizi commerciali, spazi destinati ad attività

sociali ad uso della cittadinanza, anche mediante convenzioni con

istituti scolastici, associazioni sportive dilettantistiche, federazioni

sportive nazionali ed enti di promozione sportiva.”

Le squadre calcistiche, le società controllanti o qualsiasi altro soggetto privato o pubblico interessato avrebbero goduto di procedure speciali molto singolari. Infatti per la ristrutturazione delle strutture esistenti sarebbe bastata una “denuncia di inizio attività” a meno della necessità di varianti urbanistiche per le quali si sarebbe dovuto applicare il secondo tipo di percorso, quello per impianti di nuova costruzione. Per questi si prevedeva un iter burocratico della durata totale massima di 6 mesi: sarebbe bastata la presentazione di uno studio di fattibilità “comprensivo delle valutazioni di ordine sociale, ambientale e

infrastrutturale, degli impatti paesaggistici e delle esigenze di

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l'indicazione delle eventuali risorse pubbliche e degli eventuali

finanziamenti per la sua predisposizione” per avviare l’approvazione

del progetto. Poi entro 60 giorni presso il sindaco doveva essere promosso un accordo di programma allo scopo di “approvare le necessarie varianti urbanistiche e commerciali e per conseguire

l’effetto di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed

urgenza delle opere”, equiparandole a quelle pubbliche.

Il testo venne approvato all'unanimità il 7 ottobre 2009 dal Senato e trasmesso 6 giorni dopo alla Camera dei Deputati con il nuovo titolo di “Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell'Italia

a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale”22, ma da

qui il suo percorso lineare si interruppe bruscamente con alcune modifiche che ne determinarono continui rinvii tra Palazzo Madama e la Commissione Cultura della Camera, complice anche anche la sconfitta della candidatura italiana ad ospitare gli europei di calcio del 2016, assegnati alla Francia.

Uno dei momenti più controversi riguarda la significativa modifica presentata in commissione il 23 febbraio 2011, che incrinava il poco

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frequente consenso trasversale delle forze politiche che era riuscito a guadagnarsi il precedente testo e fu foriera di diverse critiche in particolar modo di Legambiente.

Nella definizione di impianto sportivo oggetto del testo normativo e più specificamente riguardo le attività ricreative, commerciali e di ristorazione era stata eliminata la precisazione finale “nel rispetto della normativa urbanistica vigente”.

Non solo, il disegno di legge infatti riguardava due tipologie di interventi possibili: quelli per costruire o ristrutturare i complessi sportivi veri e propri e renderli moderni e funzionali e quelli che invece riguardavano i “complessi multifunzionali” cioè “ogni altro insediamento edilizio ritenuto necessario ed inscindibile dal comune

ai fini del complessivo equilibrio economico e finanziario della

costruzione e gestione del complesso multifunzionale medesimo”.

Riguardo a questi oltre all'eliminazione della precisazione riguardo i vincoli urbanistici venne specificato che sarebbero potuti essere realizzati anche in aree non contigue allo stadio. In pratica vere e proprie cittadelle con insediamenti residenziali, attività ricettive, di svago, di servizio o culturali sarebbero potute essere paradossalmente

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