1.3. Gli scambi internazionali di vino
1.3.4. La globalizzazione nel mondo del vino
La globalizzazione ha caratterizzato molteplici aspetti di diversi settori negli ultimi decenni. Questo fenomeno riguarda ovviamente anche il mondo del vino, con alcune particolari implicazioni. Quest’ultimo rappresenta, nel panorama degli scambi agroalimentari mondiali, uno dei prodotti più globalizzati. Venduto e consumato ormai ai quattro angoli del mondo, il commercio di vino è passato da meno di 7 miliardi sul finire degli anni ’80 a quasi 30 miliardi di dollari – più di quanto è stato calcolato sia per le derrate agricole che sono alla base
dell’alimentazione umana (cereali, carne e latte) sia per i prodotti alimentari di lusso, nati sotto l’ondata della globalizzazione (banane, caffè) – nel 2008, l’anno in cui ha avuto finanziariamente inizio la peggior crisi economica che il mondo abbia conosciuto nel dopoguerra.11
Una spinta sostenuta, fondamentalmente, dal mutato scenario mondiale della produzione e dei consumi – come già affermato nel precedente paragrafo – dove si assiste ad un’avanzata dei paesi emergenti (in particolare Emisfero Sud e Asia) e una conseguente diminuzione del peso dei mercati tradizionali del Vecchio Mondo (Italia compresa).
È necessario inizialmente fornire una precisazione più puntuale a questo termine (“globalizzazione”) che è ormai diventato un diffuso luogo comune che infarcisce, spesso inopportunamente, il linguaggio quotidiano come quello più specialistico.
La globalizzazione è nota come il fenomeno dell’unificazione dei mercati a livello mondiale. Tale unificazione è consentita dalla diffusione delle
trasformazioni economiche, dalle innovazioni tecnologiche e dai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso modelli di consumo e produzione più uniformi e convergenti12.
Il focus va subito sull’innovazione, ovvero il motore dello sviluppo economico e sociale e la domanda sorge quasi spontanea: qual è stato, o meglio, qual è il ruolo dell’innovazione nel campo della produzione vinicola?
11 F. Piccoli, D. Pantini, “Il vino oltre la crisi”, Roma, Agra Editrice, 2011. 12 Enciclopedia Treccani.it, Dizionario di storia, 2010.
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Un’ impresa, un gruppo di persone o, nella fattispecie, un singolo viticoltore, creando innovazione mostrano la capacità di percepire le opportunità e fronteggiare i pericoli dell’ambiente di riferimento. Dal punto di vista economico, innovare è sinonimo di adattamento al mercato e di abilità nel comprendere, prima dei concorrenti esistenti o potenziali, le esigenze e i diversi bisogni reali e latenti del consumatore. Nel caso specifico della produzione del vino e della coltivazione della vite i progressi sono attribuiti «all’incontro della cultura orientale con quella occidentale magari con l’apporto delle innovazioni che derivavano dall’introduzione di qualche vitigno particolarmente produttivo. […] La cosiddetta fase della “innovazione permanente” ha inizio per il settore soprattutto enologico verso la fine del XVII secolo e alla base di questo
cambiamento si possono identificare tre fattori, la conoscenza, la concorrenza e il
capitale che vengono soprattutto applicati nella produzione dei vini pregiati da
invecchiamento e nei vino spumanti»13. Rispettivamente, la conoscenza è rappresentata dagli sviluppi della chimica; la concorrenza ha radici lontane che risalgono al Medioevo, quando nacquero dissapori tra i commercianti veneziani e i mercanti olandesi e guasconi. Infatti, i primi, avendo accesso al Mediterraneo a differenza dei secondi, esportavano i vini dolci, aromatici e alcolici – Malvasia e Vinsanto – nei mercati anglosassoni ai quali erano destinati, però, anche i vini dolci ottenuti nella viticoltura atlantica e tedesca in questo caso grazie alle forme larvate della muffa nobile. I Veneziani, oltre a importare vini a Venezia e nel Nord Europa, cercarono di fare un’analisi del mercato e dei consumatori
adattando i diversi vini ad altrettanti gruppi di potenziali acquirenti, facendo leva sul prezzo. Praticavano per esempio il famoso taglio “alla moda di Venezia” che consisteva nel blend di vini proveniente da annate diverse, tecnica non utilizzata da nessuna altra parte dell’Europa e che aveva l’obiettivo di ottenere un prodotto standard che prendeva origine da altri che geograficamente e per tecnica
enologica erano completamente differenti tra loro14; il capitale, infine, è
necessario per chi vuole acquistare e anche produrre vini da invecchiamento: la
13 A. Zanfi, “Italia del vino”, Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori, 2014. 14 Ibidem.
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dotazione economica per un produttore vinicolo consente di sostenere le spese di immobilizzo dei vini nelle cantine e di acquistare le bottiglie e i tappi prima di aver realizzato un profitto.
Ma caliamoci nel panorama attuale. Quello che occorre è una riconfigurazione del concetto di innovazione, ma anche di competitività, in un processo che vede l’Italia capofila e premiata dalla Commissione Europea 2011 “Small Business Act” (SBA) come un esempio di “buona pratica” tant’è che gli altri stati membri stanno cercando di adeguarvisi.15 Il riconoscimento deriva dall’emanazione da parte del nostro Paese del D.L. 5/09 convertito con L. 33/09 e successive modificazioni e integrazioni che, all’art. 3, prevede e disciplina un istituto
innovativo del nostro sistema produttivo sotto forma di strumento contrattuale di collaborazione e cooperazione tra imprenditori: il contratto di rete.
Così dispone ai commi 4-ter e seguenti il suddetto articolo: «[…] Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato […]» Qui risiede il nocciolo della questione ovvero il saper attribuire la giusta interpretazione al concetto di innovazione, intendendo quest’ultima non solo dal punto di vista dell’offerta dei prodotti, ma in senso culturale, andando ad abbracciare un senso ben più ampio: innovazione è passare dall'offerta di prodotti all'offerta sistemi. Questo sembrerebbe la più corretta e adeguata interpretazione di innovazione in chiave moderna, in questo momento storico globalizzato, senza dimenticare però il contesto ambientale di riferimento, quello italiano, costituito da piccole e medie imprese, forzieri di patrimoni inestimabili da valorizzare. Questa nuova configurazione di innovazione e competitività rappresenta un
15 Lo Small Business Act è un pacchetto di proposte adottato nel giugno 2008 dalla Commissione
europea per valorizzare le piccole e medie imprese che punta a creare condizione adeguate per la crescita e lo sviluppo delle PMI. Gli strumenti adottati mirano ad uno snellimento delle pratiche burocratiche necessarie per l’accesso a finanziamenti da parte delle imprese di minori dimensioni, alla semplificazione del quadro legislativo e amministrativo dell’Unione Europea e degli Stati membri. Lo SBA si fonda su dieci principi guida per le politiche comunitari e nazionali ed è inoltre basato su misure pratiche per la loro attuazione. I campi d’azione vanno dall’accesso al credito agli interventi fiscali, dall’innovazione tecnologica all’efficienza energetica ambientale, ecc. Lo SBA, insieme altri documenti ufficiali di analisi e valutazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico italiano, incarna la tendenza, ormai consolidata, di basare le scelte di politica strategica sul monitoraggio e sulla raccolta di dati di natura empirica.
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ulteriore passo in avanti presentando una soluzione alternativa all’individualismo ed egocentrismo che a tratti connota il tessuto imprenditoriale italiano. Questo è vero perché quando si passa da un prodotto ad un "sistema di offerta e servizi", il passaggio dalla singola unità alla rete è necessario in quanto diventa
indispensabile integrare e potenziare le offerte e le competenze. Un esempio sul vino: prendiamo una grande azienda vinicola integrata verticalmente e che quindi dispone, al suo interno, di risorse umane con tutti i profili di competenza
necessari (dalla campagna, alla trasformazione, al marketing fino alla vendita ed amministrazione) e confrontiamola con la maggioranza delle aziende vitivinicole italiane familiari. Purtroppo non c’è possibilità di successo a livello
internazionale per la seconda tipologia e questa sconfitta si accusa maggiormente se pensiamo che sono proprio le piccole e medie imprese vitivinicole a
racchiudere il patrimonio vitivinicolo puro della nostra Penisola e che per questo avrebbero molto da raccontare e divulgare al mondo. La soluzione è appunto immaginare la straordinaria potenzialità di tanti imprenditori piccoli e medi che si arricchisce di un rapporto di scambio quotidianamente nutrito da progetti da svolgere in rete: imprenditori che collaborano lungo la filiera oppure anche imprenditori dediti tutti allo stesso processo produttivo, quello del vino nel nostro specifico caso, dello stesso territorio o di territori diversi. Famiglie dalle
tradizioni millenarie che decidono di unire le proprie forze per innovare ed accrescere la loro competitività, consce di essere protettrici di un tesoro
inestimabile, di un territorio da sostenere e salvaguardare, ma anche sempre più consapevoli che solo costruendo un progetto di condivisione sarà possibile sopravvivere nel tempo, non snaturando la propria natura di family business. Nessuno si preoccupa della conquista della cosiddetta quota di mercato perché ogni prodotto è un pezzo unico. Poi, non si tratta di remare contro i colleghi italiani, ma di battere il resto della concorrenza mondiale e in questo l’unione fa sicuramente la forza. Da precisare che l’insieme non spersonalizzerà le singole realtà, ma, al contrario, darà loro la possibilità di avere maggior risonanza grazie all’appartenenza ad una rete più visibile e la stessa considerazione vale per i distretti.
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