Il mercato del vino in Italia
2.3. Import – export
L’Italia pur essendo uno dei maggiori Paesi esportatori a livello globale, tende con molta frequenza a intraprendere percorsi intricati e svantaggiosi, andando ad operare all’estero con una strategia tutt’altro che ben delineata, in modo
disgiunto, e finendo per operare di rincalzo rispetto a politiche commerciali e di marketing decise da altre nazioni. Se da un lato questo può essere positivo, in quanto rende l’offerta più variegata ed originale agli occhi dei clienti, dato che vi è una varietà ampelografica unica e migliaia di produttori che amano interpretare il percorso strategico secondo la loro visione, dall’altro lato questo può essere un vero e proprio pericolo, perché si tralascia l’idea di un sistema e di un Paese forte e unico al mondo. E’ doveroso cominciare a ragionare sempre più in un’ottica nazionalistica, facendo in modo che le singole regioni, le singole aziende, non intraprendano il cammino verso i paesi stranieri da soli ma adottando una
strategia di paese in grado di comunicare prima di tutto il valore del brand Italia. Nonostante l’andamento in forte crescita delle esportazioni di vino,
accompagnato dall’incremento della qualità e del prestigio della produzione enologica degli ultimi 20 anni, l’Italia ha fatto registrare una contrazione dei consumi. È proprio per questo che bisogna considerare ,sicuramente,
l’importanza dell’export (e gli operatori hanno ormai imparato ad affrontare le diverse problematiche riscontrate nelle attività estere), ma le problematiche interne non sono da meno: le imprese, pertanto, hanno l’obiettivo di trovare il giusto equilibrio tra i due mercati.23 Le aziende italiane sono ben consapevoli del fatto che il mercato nazionale sia importante sia dal punto di vista economico che strategico, poiché viene considerato lo zoccolo duro del loro fatturato e, allo stesso tempo, un trampolino di lancio per il mercato estero, in quanto
quest’ultimo risulterà molto più reattivo nel momento in cui il mercato domestico riesce a garantire un alto grado di visibilità che poi viene spesa sulle piazze internazionali: un prodotto deve per prima cosa avere fama nel proprio paese per poter poi esplodere altrove. Per far ciò e valorizzare l’autenticità del vino, le
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aziende devono innanzitutto cercare di conservare il forte legame con il territorio d’origine, con una diffusione capillare del prodotto, soprattutto nella regione di produzione.
La crisi finanziaria degli ultimi anni ha avuto un impatto negativo sul consumo interno di vino, ma dopo il 2009, i dati indicano un leggero miglioramento. Sebbene vi sia stata una ripresa dopo gli effetti della crisi, il mercato nazionale risulta essere ancora troppo debole rispetto al mercato estero e tutto ciò è ancor più marcato dal continuo miglioramento della bilancia commerciale, poiché all’ incremento dell’export si contrappone un calo delle importazioni di vino. Nel mercato domestico, però, è possibile rinvenire grandi potenzialità e importanti margini di crescita volti a cambiare tale andamento nel futuro, specialmente per le cantine che producono vini bianchi e spumanti che rispondono meglio sia al cambiamento di gusti dei consumatori, sia alla continua ricerca di vini non troppo impegnativi, dalla piacevolezza immediata e dalla disponibilità di prodotti dal rapporto qualità/prezzo molto equilibrato. Rispetto a ciò, i produttori stanno lavorando sul marchio e sulla sua diffusione, con investimenti mirati e un
affinamento dei rapporti commerciali interni per poi attrarre anche gli acquirenti esteri; indubbiamente, è molto improbabile che un importatore straniero decida di acquistare un prodotto che non sia presente e riconosciuto nel mercato d’origine e non goda della giusta appetibilità. L’Italia, oggi, è un Paese che sta
consumando meno, ma i dati ci dicono che lo sta facendo meglio rispetto al passato, inquadrando la qualità come l’opportunità su cui puntare partendo
proprio dal mercato domestico frutto di numerosi territori unici, diverse tipologie di prodotti e capacità di andare incontro ai gusti e alle esigenze del consumatore. Guardando con occhio critico gli indiscussi risultati intrapresi in ambito
internazionale, ciò che rimane da capire è se l’Italia, sia in grado di sopravvivere di solo esportazioni, sebbene la circondi un deterioramento del commercio nazionale, e con i rischi rappresentati dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei nuovi paesi produttori e dalle fluttuazioni monetarie. Considerando il fatto che, negli ultimi anni, quello del vino è diventato un mercato mondiale a tutti gli effetti, come tale è necessario
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affrontarlo; in tal senso sembra perciò inevitabile guardare ai mercati esteri come i soli da esaminare e prendere in considerazione, trascurando così il mercato domestico. Allo stesso tempo, ricordando che gli Usa detengono il primato come più grande mercato di consumo del vino, come comparto vinicolo italiano
pensare esclusivamente o principalmente in un’ottica di domanda nazionale, tralasciando opportunità di mercato come queste, potrebbe essere piuttosto
limitante. Detto questo, però, considerando che negli anni ‘80/’90 Francia e Italia da sole rappresentavano oltre il 75% dell’export mondiale di vino, ed oggi
faticano a raggiungere il 50%, secondo Lamberto Vallarino Gancia, presidente Federvini, intervistato presso il Salone internazionale del vino, nel 2012, diventa difficile ragionare esclusivamente in un’ottica internazionale per il paese:
l’export può rappresentare un valore aggiunto importante, ma non l’unico business del settore enologico capace di trainare un paese. I produttori italiani, che continuano a produrre tanto, forse anche troppo, vendono sempre meno nel mercato d’origine, accumulando sempre maggiori giacenze da smaltire a tutti i costi e a qualsiasi prezzo. Rispetto a questa situazione urge trovare soluzioni immediate per migliorare il mercato domestico poiché, senza una valida strategia si rischia di rimanere in balia della speculazione e della volatilità, dei cambi, che oggi premiano un paese e domani ne premiano qualche altro, e della
distribuzione che, visto tale contesto, ha un potere commerciale fortissimo e può così permettersi diverse politiche di prezzo. Anche i numeri confermano il fatto che una struttura vitivinicola come quella italiana non può certo vivere di solo export. Le aziende vitivinicole in Italia sono 383.645, pari al 23,5% del totale delle aziende agricole, per un totale di 632mila ettari coltivati, mentre, ad
esempio, in Cile su 120 realtà vinicole quasi 100 lavorano solo sull’esportazione. Vista la struttura molto più complessa, per iniziare la risalita è essenziale attivare una forte comunicazione volta a promuovere il valore che è racchiuso
nell’autenticità del vino e nel suo legame con il territorio, affinché rimanga la bevanda millenaria per eccellenza del paese.
Detto questo, il mercato interno non può in alcun modo considerarsi
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base alla quale l’evoluzione e il successo del primo può diventare un trampolino di lancio per una forte affermazione internazionale. Le aziende hanno ben chiaro che il mercato italiano ricopre un ruolo chiave proprio quando l’obiettivo sono i mercati internazionali. È il caso di quelle cantine che, controcorrente e con l’export che resta il loro driver fondamentale, crescono con numeri confortanti anche nel mercato interno. Al contrario, la corsa all’esportazione ha indotto molte aziende a “tirare i remi in barca” nel mercato originario, lasciando qualche spazio libero a quelle cantine che, invece, hanno continuato a ritenere importante il ruolo delle vendite entro i confini nazionali. Una parziale conferma arriva anche dai dati Assoenologi (2014) secondo i quali, dal lato dei produttori, la forbice tra vino esportato e vino venduto sul mercato domestico resta
tendenzialmente larga con, in media, tra il 70 e l’80% delle etichette destinate all’export. Nel mercato interno proprio per questo fatto, i margini di crescita non mancano. In Italia, la situazione è ancora incerta e i segnali, benché positivi, sono ancora troppo timidi. Ma il mercato italiano in termini numerici resta sempre un mercato fondamentale e se le vendite calassero in modo incontrollato,
diventerebbe assai difficile garantirsi un recupero con le pur positive
performance oltre confine. Si tratta, nel caso di queste tipologie, anche di una risposta ai gusti dei consumatori che stanno cambiando e che, sempre più chiaramente, privilegiano vini dal rapporto qualità prezzo equilibrato. Molto spesso la colpa della contrazione dei consumi interni, o una parte di essa, viene attribuita ai produttori, dimenticando però che questi sono i primi a soffrire la depressione del mercato di casa. D’altronde essi sono parte integrante del successo raggiunto a livello internazionale costruito con fatica, sacrifici e molti investimenti; il tutto fatto non oggi, che il vino italiano miete successi, ma ieri, quando l’immagine del vino tricolore era ancora debole, e il mercato parlava quasi esclusivamente francese. Per questo i numeri dell’export raggiunti, fino a qualche anno fa, non erano affatto scontati, a testimonianza di una qualità produttiva e soprattutto imprenditoriale delle aziende italiane che hanno dimostrato di sapere sfondare in mercati lontani e difficili, rimanendo in una situazione di staticità in casa propria. Nonostante la capacità di lavoro e di
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investimento spesa all’estero sia la stessa utilizzata in Italia, il differenziale di risultati esiste ed è anche abbastanza marcato. Sono state già evidenziate alcune delle cause principali quali crisi economica e cambiamento degli stili di
consumo, nonché l’immagine del prodotto che con il tempo ha subito profonde trasformazioni, ma non è possibile ridurre solo a questi aspetti il motivo di un gap del genere. Difatti se per i progetti internazionali sono stati stanziati
numerose risorse comunitarie, lo stesso non è stato fatto per il mercato italiano. I fondi Ocm sono crescenti da diversi anni e dal 2012 hanno toccato quota 100 milioni l’anno, grazie ai quali sono stati conquistati nuovi paesi aumentando le quote nei mercati consolidati, a differenza di quanto avviene nel comparto interno dove l’assenza dei fondi dedicati alla promozione del vino italiano è piuttosto marcata. Le risorse nazionali spese fino ad oggi, non hanno ancora portato a nessun risultato tangibile, vista la depressione del mercato; è necessario monitorare tali fondi e capire in che modo vengono impiegati, dando maggiore libertà di investimento agli imprenditori italiani che sono i primi a conoscere le azioni da mettere in campo per supportare lo sviluppo commerciale. A detta di Domenico Zonin, presidente dell’Unione Italiana Vini, presente all’edizione 2014 di Vinitaly, per dare uno slancio al mercato interno è nata l’idea di implementare una strategia volta a far nascere una nuova alleanza con i distributori, che ha come obiettivo principale quello di ravvivare i consumi, rafforzando i rapporti tra ristoratori, enotecari, dettaglianti, grande distribuzione, al fine di creare un’unica grande filiera capace di affrontare la crisi e generare nuove strategie in grado di proporre in modo innovativo il vino al consumatore di oggi, puntando su fattori quali territorio, tradizione, eccellenza, innovazione e ricerca. Operando come un’unica grande filiera si può pensare di riportare il vino in una moderna quotidianità di consumo e con modalità distributive che
contengano i costi, in modo da mantenere i prezzi finali concorrenziali. La buona riuscita di tale attività dipende anche dal contributo di produttori e istituzioni, convinti dal fatto che la forza sui mercati esteri è tutta basta sul radicamento in patria.
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Detto questo, andiamo a vedere con maggior dettaglio i numeri riferiti all’import e all’export del mercato vinicolo italiano.
➢ Import
La maggiore disponibilità di vini da tavola generata dalle ultime due ottime vendemmie, in termini quantitativi, ha permesso all’Italia di registrare un netto calo delle importazioni di vino nell’intero anno 2016. I rallentamenti registrati nei primi mesi del 2016 sono continuati nei mesi scorsi: così, nel giro di un anno l’Italia ha ridotto di ben 1 milione di ettolitri le importazioni, da 2.7 a 1.7 milioni, dei quali circa 550mila nel primo semestre e 450 nel secondo.
Non si tratta però di importazioni di vino di bassa qualità, e quindi seppur con volumi in forte calo, come appena accennato, la spesa in euro per le importazioni è calata decisamente di meno, del 5% circa (confrontando i dati con il 2015) a 302 milioni di euro. In linea di massima si può parlare di un incremento più deciso delle importazioni di vino imbottigliato sia dalla Francia che dalla Spagna, i due principali nostri mercati.
In questo contesto, la bilancia commerciale del nostro vino resta ampiamente positiva e continua a crescere fino a toccare quota 5.28 miliardi di euro, il 5% in più rispetto al 2015.
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Fig.15 Importazione di vino in Italia a valore e volume
Fonte: dati ISTAT, I numeri del vino, 2016.
Nel 2016 l’Italia ha importato 1.68 milioni di ettolitri di vino, il 38% in meno del 2015, per un valore di 302 milioni (-4.6%). Il calo dei volumi è stato
concentrato nel segmento dei vini fermi e in particolare dei vini sfusi, -42% a 1.37 milioni di ettolitri, anche se una riduzione dell’11% si è registrata anche nei vini imbottigliati, a 226mila ettolitri. In leggera crescita invece, soprattutto per effetto del primo semestre dell’anno, le importazioni di vini spumanti, 77mila ettolitri.
Il quadro è dunque di un forte incremento del prezzo medio di importazione, che cresce del 54% a 1.80 euro al litro. In particolare, si registra un +30% per i vini sfusi a 0.67 euro, +20% per i vini imbottigliati a 2.70 euro e un incremento del 6% dei vini spumanti, quasi 20 euro al litro.
Dando una rapida occhiata ai principali mercati da cui importiamo, nel
segmento dei vini imbottigliati è stato un buon anno a valore per i vini francesi, +9% nell’anno a 25 milioni e +5% nel solo secondo semestre, mentre sono in crescita più marcata i vini spagnoli in bottiglia, +19% a 11 milioni, con un deciso balzo del 50% nel secondo semestre dell’anno. Seguono Germania e Portogallo,
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la prima in calo del 30% a 6 milioni, il secondo in crescita del 6%, stesso valore. Tra i vini del nuovo mondo sembra finalmente succedere qualcosa ai vini cileni, +227% ma ancora su valori veramente marginali (2 milioni di euro).
Fig.16 Importazione di vino sfuso in Italia
Fonte: dati ISTAT, I numeri del vino, 2016.
Ma il focus va certamente sui vini sfusi, dove lo scenario invece cambia radicalmente. Importiamo 1 milione di ettolitri di meno dalla Spagna e circa 70mila ettolitri in meno dagli USA. Unico mercato da cui importiamo più vino è il Sud Africa, sempre parlando di volumi (46mila ettolitri). Se passiamo dunque ai valori, la Spagna diventa il secondo mercato, calando da 55 a 29 milioni di euro, mentre gli USA diventano per la prima volta il maggior mercato di
importazione di vino per l’Italia, con circa 38 milioni di euro, pur in calo del 6%. Anche l’Australia scende del 24% a 11 milioni di euro, in un contesto di calo del valore importato di vino sfuso del 25% a 92 milioni di euro.
Sugli spumanti c’è poco da dire: è la Francia il Paese da cui continuiamo ad importare, come facilmente intuibile. Le importazioni sono cresciute del 9% a
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149 milioni di euro. Di questi, 100 milioni sono stati importati nel secondo semestre: esclusivamente dai cugini d’oltralpe.
➢
Export
L’Osservatorio del Vino rilascia i dati definitivi sull’export 2016 del vino italiano. Anche questo è un anno da record: le esportazioni, al loro massimo storico, hanno raggiunto quota 5,6 miliardi di euro, per una crescita del 4,4% sul 2015, che risulta inferiore, però, rispetto a quello del 2015 sul 2014 (+5,3%).
Fig.17 Esportazione di vino italiano a valore e volume
Fonte: dati ISTAT, I numeri del vino, 2016.
I dati di chiusura del 2016 sono 4001 milioni di vini imbottigliati, stabili (ma in
ripresa negli ultimi mesi), 385 milioni di vini sfusi, +7% sul 2015 e 1196 milioni per i vini spumanti, forse i veri protagonisti di questo successo, con +22%
rispetto all’annata precedente. Per queste ultime due categorie, un andamento opposto in dicembre rispetto a quanto visto in precedenza, calo per gli spumanti, crescita forte per i vini sfusi.
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Ne esce un quadro globale di una crescita del 4.4%, con un incremento dei
volumi del 2.9% a 20.6 milioni di ettolitri. Si può quindi affermare che la crescita è soprattutto nel valore, più che nei volumi di vino esportato.
Tra i vini imbottigliati le esportazioni sono sostenute dai mercati minori (+3.8%), che valgono circa 1.3 miliardi dei 4 miliardi totali, mentre nel 2016 sono stabili sia USA che Germania, rispettivamente a 1059 e 757 milioni di euro (con segni di risveglio sul fine d’anno).
Nel segmento degli sfusi abbiamo assistito a un boom finale d’anno. Nel 2016 abbiamo esportato 5.5 milioni di ettolitri, +9%, per 385 milioni, +3%. E’ tornata a crescere la Germania, +8% a 127 milioni di euro, ma anche Svizzera e Francia a 27 e 23 milioni cominciano a diventare importanti. Probabilmente si tratta di una tendenza destinata a crescere vista l’ottima produzione delle ultime due vendemmie.
Passando agli spumanti, dire che i dati sono confortanti è decisamente poco: l’Italia raggiunge un valore di quasi 1.2 miliardi di euro – come ampiamente atteso – una crescita pari a 21,4% e un volume scambiato di 3.4 milioni di
ettolitri, (+19,9%). Da notare che dei 200 milioni di esportazioni in più realizzati nel 2016, 91 sono nel Regno Unito e 60 sono negli USA.
In particolare, il Prosecco guida la domanda degli spumanti con un incremento del 23,9% a volume (quasi 2,3 milioni di ettolitri) e del 32,3% a valore (circa 885 milioni di euro).24
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Fig.18 Esportazione spumanti italiani
Fonte: dati ISTAT, I numeri del vino, 2016.
Il fenomeno Prosecco va sostenuto con ogni mezzo affinché prosegua la brillante corsa iniziata da qualche anno, ma sarebbe opportuno non fare affidamento solo su questo prodotto per migliorare le performance del vino italiano fuori dai confini nazionali. Un dato che potrebbe preoccupare, è quello relativo ai vini fermi in bottiglia: Il -4,5% fatto registrare dalle consegne oltre frontiera in questo segmento, accompagnato da un lieve arretramento dei valori dello 0,7%, deve essere motivo di riflessione per il nostro Paese.
A conferma che la cultura del consumatore sta cambiando e la richiesta del vino è sempre più orientata verso prodotti di qualità, i dati sull’export del vino italiano a Denominazione: +10,5% in valore (3,3 miliardi di euro) e del 7% in volume (8 milioni di ettolitri).
Sono gli Stati Uniti il primo mercato di sbocco, per un valore di 1,35 miliardi di euro, ovvero un incremento del 5,5% rispetto al 2015, e in volume +3,2%, raggiungendo 3,3 milioni di ettolitri. La Germania, secondo Paese d’interesse per il nostro export, torna a crescere sensibilmente rispetto al 2015, con un +1,7 in valore (977 milioni di euro) e un +0,5 in volume (5,56 milioni di ettolitri). Nel
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Regno Unito, una leggera crescita in valore (+2,3% per un corrispettivo di 764 milioni di euro) e un deciso arresto nei volumi (-7,4% con 3 milioni di ettolitri), evidenziano la propensione del consumatore a scegliere vini di maggiore qualità, pagando un prezzo/bottiglia mediamente maggiore rispetto al 2015. Proprio questi tre Paesi (Stati Uniti, Germania e Regno Unito) rappresentano attualmente oltre il 55% del valore delle esportazioni di vini e mosti del nostro Paese. Inoltre, la Francia si rivela quest’anno un buon cliente, acquistando 1 milione di ettolitri (+15,2%) per un valore di 155 milioni di euro (+8,8%). In Cina il vino italiano cresce in valore del 13,8% (101 milioni di euro) e in volume dell’11,4% (299mila ettolitri). La Russia evidenzia un trend positivo con un +10% in valore (78
milioni di euro) e un +15% in volume (335mila ettolitri). La Polonia rappresenta l’incremento più alto in termini percentuali sia dei volumi ( +43,6%), sia del valore del vino importato dall’Italia (+27%).
Fig.19 I principali Paesi clienti dell’Italia di vini e mosti
Ettolitri Migliaia di euro
2015 2016 Var.% 2015 2016 Var.% Stati Uniti 3.188.054 3.290.839 3,2% 1.280.222 1.350.732 5,5% Germania 5.536.920 5.563.923 0,5% 961.704 977.942 1,7% Regno Unito 3.231.210 2.991.928 -7,4% 746.513 763.807 2,3% Svizzera 692.836 723.822 4,5% 323.580 338.591 4,6% Canada 698.709 729.402 4,4% 299.011 305.575 2,2% Francia 886.110 1.020.962 15,2% 142.950 155.489 8,8% Paesi Bassi 435.033 437.851 0,6% 128.989 140.036 8,6% Austria 454.833 524.468 15,3% 91.285 101.349 11,0% Cina 268.912 299.628 11,4% 88.942 101.177 13,8% Russia 292.088 335.068 14,7% 71.088 78.172 10,0% Polonia 159.439 228.940 43,6% 37.651 47.823 27,0% Australia 96.011 105.712 10,1% 40.602 46.160 13,7% Spagna 226.609 246.718 8,9% 40.979 41.085 0,3% Altri 1.410.329 1.537.089 9,0% 338.166 357.084 5,6% Mondo 20.077.910 20.636.174 2,9% 5.347.554 5.582.532 4,4%
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Analizzando le esportazioni per singola regione – secondo i dati di
WineMonitor su base ISTAT – le esportazioni di circa 5.6 miliardi di euro, sono state spinte dal Veneto, +9% a 2 miliardi di euro (soprattutto per merito del Prosecco), dalla Puglia, +21% a 122 milioni e dalla Sicilia, +14% a 115 milioni. Le due altre regioni importanti per le nostre esportazioni sono la Toscana, +1,5% a 917 milioni, con un andamento leggermente migliore del primo semestre e il Piemonte, -4% a 923 milioni di euro, anch’esso in leggero recupero rispetto al primo semestre (-7%).
Fig.20 Le esportazioni di vino italiano per singola regione
Fonte: WineMonitor su dati ISTAT, 2016.25
Allargando l’orizzonte al medio termine, la progressione del Veneto (e Friuli Venezia Giulia) è evidente, +8/9% annuo dal 2011 a questa parte, come lo è la crescita delle esportazioni delle aziende toscane, +7% annuo. La crisi dell’Asti ha invece tarpato le ali ai dati del Piemonte, meno dell’1% annuo.
25 Il dato “Totale Italia” è superiore alla somma dei valori regionali in quanto comprende anche i dati
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La situazione attuale,26 quindi, inquadra un netto predominio della regione