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2.3.9 Il De gloria et honore filii hominis Super Matthaeum di Ruperto di Deutz ed il Cur Deus homo di Anselmo d’Aosta nel

dibattito cristologico del dodicesimo secolo

La critica ha spesso indicato in Ruperto un oppositore di Anselmo d’Aosta231. Nel voler discutere dell’approccio cristologico dei due teologi, non appare possibile operare un confronto tra il Cur Deus homo ed il Super Matthaeum poiché le due opere sono state scritte con finalità e metodologie diverse. Si può però asserire che la riflessione rupertiana può essere correttamente intesa come una continuazione ed un completamento della riflessione anselmiana232. Come suggerisce Arduini, si può individuare una certa affinità tra i due autori nel ricorso al concetto di ratio e nell’intento apologetico, che nel caso del Super Matthaeum risulta chiaro in alcuni passi233.

231

Dai testi di cristologia emerge una diversa valutazione dell’opera rupertiana. Maioli considera il monaco di Deutz come: “uno degli esponenti di quel filone interpretativo che si discosta dalla linea anselmiana”, cfr. G. MAIOLI, Cristologia. Proposta sistematica, Milano, 1989, p. 61. Amato accenna a Ruperto come ad «uno dei precursori della posizione scostista», cfr. A.AMATO, Gesù il Signore, Bologna, 1988, pp. 347-348. Bordoni scorge in Ruperto colui che «anticipa il quadro cristocentrico della storia in cui l’incarnazione si colloca come l’evento culminante e che poi ritorna nei grandi teologi del tempo», cfr. M.BORDONI, Gesù di Nazareth, presenza, memoria, attesa, Brescia, 2000, p. 347. d’Onofrio contrappone Ruperto ad Anselmo, poiché secondo l’abate di Deutz «far derivare l’intervento di Dio nella storia e la sua incarnazione dalla necessità di riparare ad errori dovuti alla debolezza umana costituiva un’indebita riduzione della gloria divina», cfr. G. D’ONOFRIO, Storia della teologia cit., p.127.

232

«Dass Rupert Anselms Cur Deus Homo angreifen wollte, ist historisch nicht nachweisbar und wohl nicht anzunehmen. Indirekt bildet sein opus eine glückliche Ergänzung», cfr. R.HAACKE, Rupert von Deutz zur Frage: “Cur Deus homo”, in Corona Gratiarum, s. Pietersabdij, 1975, p.145.

233

Cfr.M. L.ARDUINI, Ruperto di Deutz e la controversia cit. (alla nota 22), p. 68-71, 78-80. Arduini sostiene una duplice affinità tra l’Anulus rupertiano ed il Cur Deus homo anselmiano. Da un lato entrambe le opere tentano di giustificare la plausibilità dell’incarnazione agli infedeles, in particolare agli Ebrei. Dall’altro Ruperto ed Anselmo ricorrono ad un analogo concetto di ratio, che muovendosi a partire dalla fides, non riporta semplicemente le auctoritates, ma crea un ragionamento nuovo ed originale, capace di convincere in forza della sua stessa verità. Una certa affinità tra i due autori era stata avvertita anche da Magrassi, il quale scrive: «L’espressione anselmiana (fides quaerens intellectum) ritorna anche altrove a sintetizzare il suo metodo esegetico-teologico: fides quaerens intellectum Scripturarum (…) insieme a quella equivalente di intellectus fidei. I due monaci si trovano d’accordo nella funzione assegnata alla fede, se non nel procedimento e nelle tecniche da seguire per giungere all’intelligenza del suo contenuto, cfr. M.

È rilevante notare che le obiezioni all’onnipotenza ed alla sapienza di Dio fatte emergere da Ruperto dalla figura dei sapientes nel libro XIII del Super

Matthaeum richiamano quelle degli infedeles di cui parla Bosone, l’interlocutore di

Anselmo234. Una serie di analogie si possono individuare anche attorno al nucleo tematico della morte di Cristo. Nel Cur Deus homo Anselmo indaga sulle rationes

necessariae della croce di Cristo, sostenendo che solo la morte di un uomo-Dio

avrebbe potuto redimere l’umanità peccatrice. Ruperto non attinge alla ricchezza delle complesse argomentazioni anselmiane sulla necessità di quella morte. Egli sostiene, più semplicemente, che la morte di Cristo, il quale accoglie su di sé tutto il peccato del mondo, avviene propter nos, e riconosce il carattere vicario di essa. Dio trattò da colpevole l’uomo-Gesù, che portò su di sé la colpa del primo uomo e di tutta l’umanità:

Dominus Deus hunc hominem secundum, quem de ventre virgineo formaverat, tulit, sive ut alius evangelista scripsit, expulit in desertum (Mc

1,12), expulit, inquam, tamquam reum, et illius

primi hominis portantem reatum, quia ipse posuit

in eo iniquitates omnium nostrum (Is 53,6), ut

inciperet vapulare ieiunando quid quid in illo uno comedente omnes peccaverunt (…). Verumtamen

MAGRASSI, Teologia e Storia cit. (alla nota 1), p. 69. Queste affinità non ci consentono, tuttavia, di determinare con certezza quale conoscenza avesse Ruperto dell’opera anselmiana.

234 Si citano i due passaggi nei quali si mette in dubbio l’onnipotenza o la sapienza di Dio e si

esprime l’obiezione ebraica all’incarnazione, il fatto, dunque che non sarebbe degno di Dio assumere un corpo umano: cfr.ANSELMUS CANTUARIENSIS, Cur Deus homo, I, IV, Opera omnia S. Anselmi, a cura di F. S. Schmitt, Stuttgard, 1968, pp. 53-54, «Si dicitis quia facere Deus haec omnia redemptionem hominum non potuit solo iussu, quem cuncta creasse iubendo dicitis, repugnatis vobismetipsis, quia impotentem facitis illum. Aut si fatemini quia potuit sed non voluit nisi hac modo: quomodo sapientem illum potestis ostendere, quem sine ulla ratione tam indecentia velle pati asseritis?». Cfr. ID, I, VIII, p. 59: «Anselmus: Quid tibi videtur repugnare rationi, cum Deum ea voluisse fatemur quae de eius incarnatione credimus? Boso: Ut breviter dicam: Altissimum ad tam humilia inclinari. Omnipotentem aliquid facere cum tanto labore». Queste citazioni richiamano la polemica sull’onnipotenza e sulla bontà di Dio, cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 412.

quoniam non solum illud originale peccatum, verum etiam actuales Deus posuit in eo iniquitates

omnium nostrum (Is 53,6)235.

L’umanità di Cristo ha subito i flagelli del digiuno non perché avesse peccato, ma perché aveva preso su di sé i peccati della nostra gola236.

Et sub ipso passionis articulo, cum dixisset orans a Patrem: Santifica eos in veritate, subinde,

et pro eis, ait, santifico meipsum, ut sint et ipsi sanctificati in veritate (Gv 17,17-19). Quid enim

sanctificari ipsum sanctum sanctorum, nisi sanctificari pro peccatis omnium et auferri illi quas posuerat in eo Deus iniquitates omnium nostrum? In illo sanctificationis actu, o Deus Pater, sanctificatum est nomen tuum, quia per effusionem sanguini set aquae de latere eius santificati sunt, et remissionem peccatorum acceperunt hi super quos invocatum erat nomen tuum237.

Secondo Ruperto le parole di Gesù, che afferma di santificare se stesso per i suoi discepoli, indendono dire che il Santo dei Santi doveva esser reso tale non per i propri peccati ma per quelli di tutti, in quanto portava via da sé le iniquità umane, che erano state poste in lui da Dio. Ruperto riconosce, inoltre, che la morte di Cristo è una necessità; solo il sangue di Cristo poteva santificare e salvare l’umanità, solo

235 Cfr. ibid, p. 83, ll. 204-210. 236 Cfr. ibid, p. 85, ll. 102-103. 237 Cfr. ibid, p. 163, ll. 43-48.

la croce di Gesù poteva donare all’uomo il settiforme Spirito e la remissione dei peccati.238.

La concezione rupertiana della redenzione ruota attorno ai medesimi nodi concettuali dell’opera anselmiana: Cristo espleta al posto dell’uomo peccatore. Emerge, così, una duplice consapevolezza nell’opera del monaco di Deutz: da un lato l’incarnazione è profondamente legata alla redenzione; dall’altro l’incarnazione era necessaria, proprio nell’accezione anselmiana, poiché solo la morte dell’uomo- Dio avrebbe potuto salvare l’umanità decaduta. Ruperto intuisce che l’incarnazione non può essere intesa come un re medium inaspettato, dettato dal peccato umano. L’originalità rupertiana consiste nell’aver intravisto che l’onniscienza di Dio e la volontà buona di Dio non possono essere condizionate dal peccato dell’uomo. In questa ottica, tra Ruperto ed Anselmo non c’è alcuna contraddizione; le due posizioni vanno intese come una sottolineatura di due aspetti complementari o di due letture dell’unico mistero della redenzione; Ruperto richiama la teologia all’assoluto primato di Cristo.

Per ricostruire, dunque, il quadro cristologico del XII secolo, è opportuno partire proprio da Anselmo, grazie al quale il discorso teologico si affina. La dottrina tradizionale intorno all’unione ipostatica è riprodotta in sintesi nell’Epistola

de Incarnatione Verbi239 al capitolo undicesimo e nel Cur Deus homo240 ai capitoli sette, otto e nove, del libro II. Anselmo ripete energicamente tre affermazioni: Una è la persona in Cristo, un solo e medesimo soggetto è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, il Verbo ha assunto una natura umana, non una persona umana. In Anselmo l’espressione assumptus homo non ha nulla di nestoriano ed indica la realtà concreta ed integra della stessa natura umana.

Dopo la morte di Anselmo, si accese una lotta tra due orientamenti teologici, che fanno capo rispettivamente ad Abelardo e Bernardo di Chiaravalle. Il XII secolo vede, infatti, l’emergere di nuove tendenze nella cristologia, che hanno come oggetto di discussione la modalità dell’unione del divino e dell’umano in

238 Cfr. ibid, p. 302. 239

Cfr. ANSELMUS CANTUARENSIS, De incarnatione Verbi, XI, Opera omnia S. Anselmi, a cura di F. S. Schmitt, Stuttgart, 1984, vol.II.

240

Cristo; tramite, però, le Sententiae di Pietro Lombardo è possibile ricostruire il dibattito intorno all’unione ipostatica, che egli riassume in tre proposizioni. La prima riporta in sintesi la posizione di chi ammette che il Verbo ha assunto un uomo perfetto in anima e corpo ed è rimasto unito alla Persona del Verbo, senza alcuna trasformazione della sua natura o sostanza, e afferma che Dio si è fatto uomo e l’uomo si è fatto Dio, pur rimanendo distinti l’uno dall’altro241

. La seconda proposizione sostiene che Gesù Cristo consta di tre sostanze, cioè anima, corpo e divinità, ma è una sola persona, quella del Verbo242. La terza, infine, suggerisce che l’unione tra il Verbo e l’umanità assunta è tale da scartare ogni unità propriamente sostanziale, fino a considerare l’anima e il corpo separatamente uniti al Verbo e, dunque, Cristo non si potrebbe dire veramente uomo243. La controversia espressa dalle tre diverse tendenze cristologiche viene ridotta al silenzio nel 1177 da un nuovo intervento di Alessandro III, che condanna, nuovamente, il nichilismo cristologico e richiama la formulazione tradizionale, secondo la quale: Christus

sicut verus Deus est, ita verus est homo ex anima rationali et humana carne subsistens.

Le tre proposizioni di Pietro Lombardo rivelano il triplice atteggiamento della cristologia dell’epoca. La prima proposizione esprime la tendenza ad accentuare l’umanità di Cristo: è la teoria che gli studiosi chiamano dell’assumptus

homo o assumptus theorie. La seconda proposizione, vicina al pensiero vittorino,

afferma la concreta umanità di Cristo, ma unendola profondamente al Verbo e personificandola in esso: la Subsistenz-Theorie. La terza proposizione minimizza l’umanità di Cristo, spezzando l’unità sostanziale per timore di farne persona: è la teoria dell’habitus o Habitus-Theorie. La riflessione cristologica rupertiana sembra collocarsi sulla scia della proposizione enunciata prima da Pietro Lombardo, quella dell’assumptus homo.

241 Cfr. P

ETRUS LOMBARDUS, Libri quattuor sententiarum, III, dist. VI, cap. II, Spicilegium Bonaventurianum, 1981, p. 50; in PL 192. Le Sententiae di Pietro Lombardo costituiscono il perfetto modello di un manuale di dottrina teologica cristiana fondato sull’insegnamento dei Padri, su Agostino, ed organizzato secondo una struttura completa articolata in quattro parti, che trattatno rispettivamente di Dio in sé, del creato, della condizione dell’uomo dalla caduta alla restaurazione e del ruolo di Cristo.

242

Cfr. ID., p. 52-53.

243

Per Ruperto, come per molti autori del XII secolo, l’ordo verborum et

factorum e l’intentio scribendi et agentis nelle Scritture rivelano e testimoniano

Cristo. Il senso spirituale dell’Antico Testamento è svelato dal senso cristiano: tutta la Scrittura, dice spesso Ruperto, è un’unica e coerente rivelazione da parte di Cristo. Agli inizi del XII libro del Super Matthaeum, Ruperto ricorda la visione di Ezechiele e usa un’immagine molto eloquente. I quattro esseri viventi sono muniti ciascuno di una ruota, che rappresenta la Scrittura244. L’unità della ruota, cioè l’unità della Scrittura, appare solo se si guarda ai quattro esseri viventi, ovvero ai quattro misteri del Figlio dell’uomo245. L’Antico Testamento diventa comprensibile solo se si ha fede nell’incarnazione, nella passione, nella resurrezione e nell’ascensione del Figlio di Dio. È, dunque, la fede in Cristo il principio che rende comprensibile la Scrittura ed elimina ogni oscurità del testo. Per mezzo di Gesù la Scrittura può essere compresa. Nell’opera gli esempi nei quali il benedettino rintraccia nell’Antico Testamento rivelazioni o testimonianze su Cristo sono continui; l’esegeta è chiamato a mettere in luce la concatenazione tra le narrazioni dell’Antico Testamento e le vicende del Nuovo, dal momento che tutta la Scrittura conferma ed attesta la verità della Parola e delle promesse di Dio.

Un secondo ed un terzo tratto della cristologia di Ruperto sono: l’insistenza con cui ribadisce l’umanità e la divinità di Cristo246 e l’unità delle due nature. Un quarto aspetto della cristologia è legato alla quotidiana vita benedettina. Nella vita di ogni monastero, infatti, tutto tende all’incontro con Cristo. La lettura della Bibbia, la liturgia e la teologia monastica sono in funzione dell’incontro con Cristo. Nel Super Matthaeum emerge con forza il desiderio di vedere Cristo che costituisce il motivo ed il fine della riflessione teolgica di Ruperto247.

Nel Prologo del Super Matthaeum, Ruperto sostiene di sentirsi come Zaccheo il quale, sebbene ostacolato dalla folla nel suo tentativo di vedere Iesum248, grazie alla perseveranza raggiunge il suo obiettivo e prepara all’ospite un magnifico

244

Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 363.

245 Cfr. ibidem. 246 Cfr. ID, pp. 3, 19-28, 68, 123, 145, 217, 307-308, 359. 247 Cfr. ibid, p. 237. 248 Cfr. ibid, Prologus, p. 5.

banchetto; perciò Ruperto conclude che chi ha avuto una speciale grazia dall’alto, perseverando in mezzo alle preoccupazioni del mondo ed alle offese dei nemici,

debet currere ad videndum Iesum, ad contemplandum salvatorem suum, per

accoglierlo nella casa del suo cuore e per ricevere da lui almeno il banchetto di un discorso buono e fedele249. Il desiderio di vedere Cristo spinge il fedele a cercare Gesù per imitarne, secondo Ruperto, la vita; la ricerca del Suo volto non è astratta speculazione, ma desiderio di imitazione di Cristo. In questa prospettiva di contemplazione si capisce meglio anche il percorso suggerito dal testo: i quattro misteri principali di Cristo sono contemplati per poter essere rivissuti dal credente, innanzitutto nella liturgia. Esiste, infatti, uno speciale legame con la liturgia, celebrata nella vita quotidiana del monastero. Le feste del Natale e della Pasqua, ma anche dell’Ascensione, erano particolarmente tenute in conto dall’ufficio monastico250. La meditazione rupertiana dei quattro sacramenta si muove dal piano della contemplazione del testo biblico al piano della celebrazione sacramentale, i misteri della vita di Gesù, espressi dal testo biblico, rivivono e sono ripresentati come sacramenta della liturgia, grazie allo Spirito, nella meditazione dei misteri della vita di Gesù si svela una legge fondamentale della vita del credente. Come Cristo si è incarnato, ha patito, è morto ed è stato glorificato con la resurrezione e l’ascensione, così anche per il cristiano è necessario il passaggio attraverso l’umiliazione per poter giungere alla glorificazione; ogni credente ed ogni monaco devono sapere che non può esserci gloria, secondo Ruperto, senza l’umiltà dell’obbedienza e senza l’accettazione dei sacrifici e delle sfide della vita terrena.

249

Cfr. ibid, p. 4.

250