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2.2.1 Il Commentaria in Canticum Canticorum de incarnatione

Domini

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Il Cantico dei Cantici è il libro dell’Antico Testamento che fu più spesso commentato nei monasteri medievali, soprattutto nel XII secolo41. Abelardo, nella prefazione al suo In Hexaemeron42 rifacendosi ad Origene, ricorda che il commento al Cantico dei Cantici, insieme all’inizio della Genesi e alle visioni di Ezechiele, era

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Il commento al Cantico di Ruperto reca, nell’edizione critica del CCCM 26 (1974) a cura di Raban Haacke, il titolo che abbiamo mantenuto, ma l’analisi degli incipit dei manoscritti consultati per realizzarla consente di riconoscere che si tratta di un titolo fittizio. Infatti essi presentano la più grande varietà di titoli e neppure le famiglie di manoscritti dipendenti rivelano in genere uniformità di titolo con il loro originale. La maggior parte dei titoli mettono in luce la tematica teologica, cioè il suo essere un vero e proprio trattato di teologia dell’incarnazione, con particolare attenzione ai risvolti mariologici dell’evento, cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, In Cantica Canticorum cit. (alla nota 8), in partic. pp. 5-9.

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È largamente attestato dagli antichi cataloghi delle biblioteche monastiche che questo libro e i suoi commentari erano letti con frequenza. A Cluny, al tempo di Pietro il Venerabile, si possedevano quindici commenti al Cantico dei Cantici, fra i quali tre esemplari di Origene e due di Gregorio. Così, fra i circa settanta manoscritti di Orval, tuttora conservati, non vi sono meno di sette commentti al Cantico, cioè un decimo del numero complessivo dei libri. Fin dal tempo di Benedetto, Cassiodoro aveva fatto raccogliere un corpus di commenti al Cantico, includendovi quelli di Origene. Più tardi Alcuino, facendo l’elogio del Cantico, scorgeva in esso un antidoto alle futilità di Virgilio: questo canto insegna i comandamenti che conducono alla vita eterna, sosteneva con fermezza. Non è fortuito che tra i capolavori della letteratura monastica del Medioevo ci sia un commento al Cantico: nei sermoni che gli ha dedicato, Bernardo ha fornito una espressione geniale ad una tendenza, ad una ricerca, ad una predilezione universalmente diffuse, cfr. C.DEZZUTO, Il Cantico dei Cantici nel XII secolo: una presenza davvero significativa, in «Studia monastica» 48, 2006, p. 63-64.

42 Cfr. P

ETRUS ABELARDUS, In Hexaemeron, in PL 178, col. 731: «Tria sunt Veteri Testamento loca quae ad intelligendum difficili ora esse sacrae Scripturae periti consuerunt. Principio scilicet Geneseos (…) et Canticum Canticorum, et prophetiam Ezechiel in prima praecipue visione de animalibus et rotis, et in extrema de aedificio in monte costituto. Unde apud Hebraeos institutum esse aiunt praedictorum scriptorum expositionem prae nimia difficultate sui nonnisi matures sensibus seniorem committendam esse, sicut et Origenes meminit prima in Canticum homilia dicens: Aiunt et observari apud Hebraeos quod nisi quis ad aetatem prefectam maturamque pervenerit, librum hunc in minibus tenere non permittitur, sed illud ab eis accepimus custodiri, apud eos omnes Scripturas a doctoribus tradi pueris, ad ultimum IV libros reservari, id est principium Genesis quo mundi creatura describitur, et Ezechiel prophetae principia in quibus de cherubim refertur, finem quoque in quo templi aedificatio continetur, et hunc Cantici canticorum librum. Hinc et illud Hieronymi in prologo Expositionis suae in Ezechielem: Aggrediar Ezechiel prpphetam, cuius difficultatem Hebraeorum probat traditio. Nam nisi quis apud eos aetatem sacerdotalis ministerii, id est trigesimum annum impleverit, nec principium Geneseos nec Canticum canticorum nec huius voluminis exordium et finem legere permittitur, ut ad perfectam sciantiam et mysticos intellectus plenum humanae naturae tempus accedat».

da sempre stato considerato il testo più oscuro di tutta la Scrittura tanto che, un’antica tradizione ebraica, riportata da Origene43

e Girolamo e quindi, tramite loro, conosciuta da Gregorio e da Isidoro44 e ripetuta lungo tutto il Medioevo, ne proibiva la lettura ai bambini per riservarne la spiegazione ai sapienti e ai saggi45.

Il Medioevo, dunque, in dipendenza dalle indicazioni dei grandi maestri dell’antichità, ritrova nel Cantico dei Cantici il punto di arrivo del cammino spirituale del cristiano, il testo era, inoltre, conosciuto ed amato in quanto utilizzato nella liturgia. Il Cantico dei Cantici è il poema della ricerca che costituisce tutto il programma della vita monastica: quaerere Deum. Esso è il dialogo dello Sposo e della Sposa che si cercano, si chiamano, si avvicinano l’uno all’altra e si trovano separati quando credono di essere vicini ad unirsi definitivamente46.

Nel VII secolo, con l’introduzione delle quattro grandi feste mariane (natività, purificazione, annunciazione e assunzione), si attuò nella Chiesa d’Occidente la scelta di utilizzare opere liturgiche tratte dal Cantico o ispirate ad esso in riferimento a Maria, testi che la Chiesa carolingia inizierà a corredare di forme tendenti al commentario e che giungeranno al XII secolo con abbondanza di commenti omiletici47. Lo sviluppo delle liturgie mariane aveva favorito l’applicazione e l’adattamento ad esse di testi tratti dal Cantico poiché nella figura

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Cfr. ORIGENES, Commentarium in Canticum canticorum, in PG 13, coll. 63-64.

44

Cfr. ISIDORUS HISPALENSIS, In libros veteris et novi Testamenti prooemia, de libris Salomonis, in PL 83, col. 165.

45

Cfr. A.M.PIAZZONI, L’esegesi neomonastica, in La Bibbia nel Medioevo (ed. G. Cremascoli, C. Leonardi), Bologna 1996, p. 232-233.

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Per la ricostruzione dei Commentari al Cantico dei Cantici fino alla fine del XII secolo cfr. C. DEZZUTO, Il Cantico dei Cantici nel XII secolo cit. (alla nota 41), in partic. pp. 82-86. I commentari latini al Cantico dei Cantici sono diversi, tra i quali si ricordano maggiormente il Sermo XVIII in assumptione beatae Mariae di Aelredo di Rielvaux in PL 195, coll. 309-316, il In Cantica canticorum ad laudem Deiparae Virginis Mariae elucidatio, in PL 210, coll. 51-110, il Sermones super Cantica Canticorum di Bernardo di Clairvaux in PL 183, coll. 779-1198, il Sermo XXVII in Assumptione Beatae Mariae “Quae est ista”, in PL 203, coll. 181-490, i Sermones super Cantica canticorum di Gilberto Porretano, i Brevis Commentatio in Cantica, Excerpta de libris beati Ambrosii super Cantica canticorum, Excerpta ex libris beati Gregorii super cantica canticorum, rispettivamente in PL 184 coll. 407-436 (ed. crit CCCM 87), in PL 15, coll. 1851- 1962 (ed. crit. CCCM 87), in PL 180, coll. 441-474 (ed. crit. CCCM 87), il Sigillum Beatae Mariae di Onorio di Autun in PL 172, coll. 495-518. Tra le presenze significative del Cantico dei Cantici nell’ambito del XII secolo, va ricordato certamente il costante riferimento ad esso nell’opera di Ildegarda di Bingen, sebbene la mistica non abbia mai scritto un commentario a questo testo.

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Cfr. G.FRÉNAUD, Marie et l’Eglise d’après les liturgies latines du VII au XI siècle, in «Études mariales» 9 (1951), pp. 54-55.

della Sposa si poteva riconoscere con una certa facilità Colei che era stata prediletta e amata da Dio sopra ogni altra creature per farne la Madre del Signore.

Accanto a questi elementi sembra chiaro che l’allegoria costituisca, come dottrina e come tecnica esegetica, un ulteriore elemento della metodologia esegetica rupertiana. Il benedettino sembra utilizzare, all’interno del suo percorso esegetico, l’allegoria quale procedimento tipologico che applica, al di là della lettera del testo, il valore simbolico delle realtà storiche che preparano e prefigurano i diversi contenuti del regno di Dio, la sua fede, la sua morale, il suo compimento finale. Nell’ottica rupertiana l’allegoria sembra essere la descrizione analitica di un’idea a partire dagli elementi, anche astratti, di un’immagine, in cui ogni dettaglio assume significato. Essa diventa il nerbo di una costruzione dottrinale per una teologia organica della Parola di Dio.

L’esegesi e l’interpretazione di un testo biblico sono, nell’orizzonte rupertiano, il supporto di una continua trasposizione verso realtà meta-storiche delle quali gli eventi terreni sono figura. I grandi elementi del mistero rivelato compongono una successione storico-profetica ma anche i piccoli dettagli e le stesse parole sono trasposte in un’allegoresi permanente. L’interpretazione allegorica della Scrittura non trovava difficoltà a giustificare queste trasposizioni che, l’immaginario della fede e della devozione richiedevano come nutrimento spirituale. Sono frequenti, anche prima del XII secolo, le omelie che applicano a Maria diversi versetti biblici; a partire da questa prassi della predicazione, prima, e poi, del commentario liturgico, si sviluppa lungo il secolo una tradizione indipendente e, per molti versi, originale, di interpretazione allegorica del testo del Cantico in senso mariologico, elaborazione che, nata dalla liturgia, a sua volta si rifletterà in essa, donandole preziosi contributi. Una lettura mariologica del Cantico conduce alla conferma di alcuni elementi già diffusi nella pietà mariana medievale: la Sposa di Dio, che ne è anche la Madre, può ben rappresentare la Chiesa e, insieme, l’anima individuale, in una fecondità di rapporto fra i tre elementi, a cui il metodo dell’allegoria offre fondamento, garanzie e sviluppo.

Ave, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus48. Queste parole di benedizione rappresentano l’espressione attraverso cui il Signore ha manifestato e comunicato la fedeltà del proprio amore al suo popolo e agli uomini, ha alimentato la gioia e la consolazione che i cristiani traggono dal mistero dell’incarnazione, dall’evento del Dio fattosi uomo in Maria.

In base a tali premesse l’abate di Deutz si sente autorizzato a compiere la sua lettura del Cantico dei Cantici, ed è tra i primi autori medievali a proporre un’interpretazione apertamente mariologica del Cantico condotta con originalità ed autonomia. Ruperto con la sua opera esegetica canta la lode di Maria e soprattutto di Dio che ha compiuto in lei cose grandi, e, inserendosi nella più autentica tradizione ecclesiale e assumendone in modo originale i contributi e gli apporti, offre una lettura dell’incarnazione come evento nuziale tra Cristo, ad un tempo Figlio e Sposo e Maria, figura della Figlia di Sion ed emblema della Chiesa di ogni tempo49. Alla luce di ciò si comprende come egli abbia potuto proporre un’interpretazione mariologica del Cantico: da una parte la centralità del mistero dell’incarnazione, posto come asse al centro del suo sistema; dall’altra una visione unitaria di Maria e della Chiesa quali realtà concentriche, che gli permette di passare dall’una all’altra e di segnare una nuova interpretazione nella storia dell’esegesi del Cantico. L’esegesi rupertiana raccoglie vetera et nova, le istanze della ragione emergente e i contenuti della Tradizione, unendoli in una originale proposta di senso permessa dall’accurato equilibrio raggiunto tra queste due componenti.

Ruperto, quando pronuncia il termine Chiesa, abbraccia la storia ed il tempo in tutta la sua estensione e durata. il tempo è, così, misurato dal primo all’ultimo istante, dalla realtà divina ed unica della Chiesa di Cristo; ed è sull’unicità della Chiesa che egli pone l’accento. Questa unione della Chiesa si cementa nell’umanità,

48 Cfr. Lc 1, 28. 49

Ruperto riserva queste parole a Maria nel Prologo dell’opera: «O domina Dei genitrix vera et incorrupta mater Verbi aeterni Dei et hominis Iesu Christi, non meis, sed tuis armatus meritis cu misto viro, scilicet cum Verbo Dei, cupio luctari, ut de Canticis canticorum opus extorqueam, quod non dedeceat vocari de Incarnatione Domini, ad laudem et gloriam eiusdem Domini, ad laudem et honorem tuae beatitudinis»; cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, In Canticum Canticorum cit. (alla nota 8). Si farà riferimento da ora in poi alle pagine dell’edizione critica curata da R. Haacke in CCCM 36, Turnhout, 1974, pp. 1-183.

nella carnalità del Cristo. Si può certamente asserire che, agli occhi del monaco benedettino, la Chiesa non è altro che il genere umano stesso, in tutte le fasi della sua storia, nel suo far capo a Cristo e nel suo essere vivificato dal suo Spirito.

Il Prologo si apre con l’immagine di un atleta-lottatore che necessita della forza corporale per raggiungere la corona della vittoria50. Di ben altro genere è invece la lotta con Dio, per la quale è necessaria la forza della mente: essendo Dio un essere spirituale, sono necessarie forze adeguate a tale “combattimento”. L’abate benedettino propone, così, un parallelo tra la vita di preghiera e l’indagine teologica:

Sicut eum qui adorant, adorare oportet in spiritu et veritate, ita (…) eum qui lutatura colluctari oportet in spiritu et veritate51.

Si rievoca, palesamente, l’episodio della lotta di Giacobbe con Dio al torrente Iabbok, che viene narrato dal benedettino eliminando alcuni particolari della contesa riducendo il dialogo a due battute. Si tratta di lotta, perché, nell’orizzonte rupertiano, avere la capacità cogliere nella Scrittura ciò che Deus

rationabiliter signavit52, non è facile né immediato e sebbene la lotta termini, nel testo sacro, con la vittoria di Giacobbe, non si giungerà mai ad una vittoria definitiva. L’abate invoca, a questo punto, l’alleanza con Maria Vergine, per riuscire a lottare proprio contro il Cantico dei Cantici53 e risultare vittorioso. Nelle pagine seguenti Ruperto mette a punto una preistoria dell’opera che riferisce di

50 Cfr. ibidem. 51 Cfr. ibid, p. 8, ll. 213-215. 52 Cfr. ibid, p. 21, l. 712. 53

Il benedettino per spiegare il numero plurale Cantica, pone l’accento sulla divisione del testo in quattro periochae ossia recapitulationes basate sulla ripetizione di un ritornello, cfr. ibid., p. 111.

ispirazioni e visioni, per attestare la cui verità egli chiama, quale testimone, la Vergine, regina dei cieli54.

Il regime visionario nel quale si inquadra il Prologo, il riferimento alla lotta con Dio, l’affermata consapevolezza dell’incolmabile ulteriorità della Parola di Dio, la costruzione del testo con continui riferimenti a brani biblici, il richiamo all’uso dell’umiltà, il contesto monastico di preghiera e liturgia, sono elementi che contribuiscono alla conferma di Ruperto come uno tra i maggiori rappresentanti del veteromonachesimo. Lo stare al cospetto di Dio per tendere ad un incontro esperienziale con Lui, all’unione mistica, in un atteggiamento recettivo prima che speculativo ritorna nella dottrina dell’abate di Deutz. In effetti, nell’ottica rupertiana, solo lo Spirito permette la retta comprensione del testo, per questo l’azione del teologo si deve porre necessariamente sotto il segno della Trinità, per mezzo della protezione di Maria. Ancora una volta emerge l’importanza del primato da riservare alla Scrittura quale luogo nel quale esperire l’intelligenza della fede. Si tenga presente, inoltre, la doppia presenza nel Prologo dell’avverbio rationabiliter55 e l’intenzione sistematica del Commentario come accostamento tradizionale alla Bibbia, allo scopo però di fondare un’opera razionale, di profonda intelligenza e di ricerca, dunque, di rationes da redigere non senza l’aiuto della ratio. Per realizzare tale intelligenza, Ruperto è convinto della necessità di adoperare tutti gli strumenti delle artes e della tradizione esegetica, ma con spirito che ne moderi le eventuali pretese autonomistiche o ne vivifichi le stanche ripetitività, la Fortitudo mentis56 deve essere unita alla Fortitudo verae et sanctae humilitatis57 per costituire il giusto armamentario dell’esegeta. Non è raro, trovare anche nel corso del Commentario al Cantico dei Cantici rupertiano, note di critica testuale e riferimenti all’uso delle scienze liberali in funzione dello studio della Scrittura, nella convinzione che esse siano state usate nella composizione del testo sacro e che sia, dunque, necessario

54 Ruperto qualche anno prima, aveva già avuto l’idea di uno scritto sull’incarnazione quando,

durante una veglia notturna, un’ispirazione passando velocissima da un orecchio all’altro, gli aveva ispirato un distico elegiaco sull’incarnazione. L’abate aveva presentato ad alcuni confidenti il frutto di tale ispirazione rivelandone anche l’origine misteriosa. Ne era, così, nata l’idea dello scritto. cfr. Ibid., pp. 37-38. 55 Cfr. ibid, p. 7- 9. 56 Cfr. ibid, p. 3. 57 Cfr. ibid, p. 8.

servirsene per meglio comprendere il testo, al quale, tuttavia, spetta sempre la preminenza58. L’esegesi rimane la lotta e lo sforzo per costruire su un solido fondamento ed il Prologo manifesta chiare intenzioni:

Colluctari in spiritu et veritate (…) donec extorqueat (…) verum et utilem intellectum mysterii vel Scripturae quam Deus rationabiliter signavit (…). Historiae sive rei gestae aliquod ponere fundamentum et super illud magnum, quod sub istis vocibus continetur, superaedificare mysterium (…). Quae expositio mystica firmius stat (…) si super historiam certi temporis vel rei demonstrabilis rationabiliter superaedificata continetur59.

L’uso del verbo extorquere richiama alcune immagini tradizionali usate anche altrove dall’abate benedettino per definire l’opera dell’esegeta60: un’azione di forza sulla lettura per giungere all’intelligenza del mistero, una ricerca del senso spirituale, allegoricamente nascosto sotto il solido senso storico e letterale del testo. Si tratta, dunque, per Ruperto, come si accennava, di indagare a fondo il livello storico del testo per costruirvi sopra l’edificio di una lettura spirituale, evitando gli eccessi di interpretazioni allegoriche azzardate, non pertinenti, non richieste dal testo. La convinzione di base che muove Ruperto è che la relazione lettera-senso interiore non sia di giustapposizione ma costitutiva e, soprattutto, che la Scrittura non possa che avere una lettura cristologica, con Cristo maestro, oggetto e chiave di

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Nello specifico il benedettino applica nell’esegesi gli strumenti della retorica; si legga in particolare un paragrafo rupertiano contenuto in: RUPERTUS TUITIENSIS, De Sancta Trinitate cit. (alla nota 18), p. 2054, nel quale Ruperto elenca le cinque parti classiche della retorica (inventio, dispositio, elocutio, memoria, pronuntiatio) sviluppandole con esempi tratti dalla Scrittura.

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Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, In Canticum Canticorum cit. (alla nota 8), pp. 8-9.

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lettura. In tal modo egli è convinto di contemplare la storia della salvezza nella sua realtà oggettiva.

Il benedettino ritiene che l’evento dell’incarnazione del Figlio di Dio non possa essere isolato dall’intera storia della salvezza61, così come Maria è inscindibile dall’intero evento salvifico e la stessa figura di Maria e la sua vicenda, per Ruperto, non sono collocabili nel piano divino se non alla luce della Parola di Dio che si è fatta storia e carne e che è annunciata e contenuta in tutte le Scritture, le quali testimoniano e narrano di lei e del Cristo62. Maria è secretarium omnium

Scripturarum sanctorum63 così come anche alla Chiesa ut nihil mihi desit de

Scripturis utruisque Testamenti, et ecce ubera mea sicut turnis64. Colui, infatti, che è il compimento di tutte le Scritture si è incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.

Ruperto sottolinea l’eminente dignità della Madre di Dio, Vergine fragile e dalla carne umana, ma portatrice di un privilegio unico al mondo, unico nel suo genere:

Sexaginta sunt reginae, et octaginta concubinae et adulescentularum non est numero. Una est columba mea, perfecta mea, una est matris

61 Nella prospettiva rupertiana, leggere il Cantico dei Cantici come un testo sistematico

sull’incarnazione non ha nulla di illegittimo, sulla scorta di tutta l’esegesi medievale, sull’esempio delle letture rabbiniche, si pone la Lettura sullo stesso piano rivelativo e normativo della Scrittura, quand’anche non la si ritenga addirittura superiore, in tal modo non si crea alcuna tensione fra esegesi e teologia sistematica, perché la prima viene posta a servizio della seconda in un processo di allegorismo sistematico particolarmente evidente in Ruperto, che, non trova innaturale leggere nell’Antico Testamento la presenza del Nuovo, cfr. M.D. CHENU, La teologia nel XII secolo, Milano 1986, p. 106.

62 In particolare sulla sua ispirazione Ruperto si esprime in tal senso: «Cum reversus ad me

versiculos taliter acceptos mente pertractarem et nonnullis, unde vel qual iter acceperim, secretius non sine admiratione denarrarem, atque ad multorum notitia versiculi pervenissent, qui tamen nescirent unde accepissem, ex multi set diversis quae audiebam, occasio se praebuit, ut scribere aliquid cuperem de incarnatione Domini, versaturus grande onus invalidis humeris. Circa idem tempus et hoc aliud accidit: Frater quidam innocentis vitae et mundae ac semplici adolescientiae retulit mihi, se vidisse Filium tuum Dominum nostrum Jesum Christum, sedentem super altare suum, et circa eum collegium sanctorum, meque assidentem cum quiete et tenentem Cantica canticorum». Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, In Canticum Canticorum cit. (alla nota 8), Prologus, p. 6.

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Cfr. ibid, II, p. 89, l. 165.

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suae, electa gentrice suae. Quid est hoc dicere, nisi quod si multae sunt fidelis et propter fidem, quae per dilectionem in eis operatur, laudabiles, nulla tamen earum tibi similis est, sicut veraciter praedicamus, quia nec primam similem visa es, nec habere sequentem65.