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2.3.1 Il De Gloria et Honore Filii hominis Super Matthaeum

Il De gloria et honore Filii hominis. Super Matthaeum124 viene solitamente menzionato nei manuali di cristologia come il primo testo della riflessione teologica medievale in cui si afferma formalmente la teoria dell’incarnazione incondizionata, ripresa ed elaborata un secolo dopo da Duns Scoto125. In particolare si cita un passaggio del XIII libro nel quale, agli occhi dei teologi di matrice scotista, Ruperto delineerebbe espressamente l’idea secondo la quale Cristo si sarebbe incarnato a prescindere dal peccato dell’uomo126

. La scarsa diffusione di manoscritti127 a riguardo rivela lo scarso apprezzamento per essa. Nonostante però questo limitato interesse da parte degli studiosi, il Super Matthaeum rivela il pensiero maturo di Ruperto in ordine a diverse tematiche che hanno attraversato la sua riflessione128.

124

Cfr. ID., Super Matthaeum cit. (alla nota 5).

125

Tra i primi a considerare la relazione tra Ruperto e Scoto, va ricordato Risi il quale, commentando un passo tratto dal XIII libro del super Matthaeum, conclude: «Abbiamo in questo passo l’indipendenza dell’Incarnazione dal peccato di Adamo…»; Cfr. F. M. RISI, Sul motivo primario dell’Incarnazione del Verbo, ossia Gesù Cristo predestinato di primo intento per fini indipendenti dalla caduta dell’umano genere e dal decreto di Redenzione, Roma, 1898.

126 Oltre quella citazione, peraltro abbastanza circoscritta nell’insieme dell’opera, il Super

Matthaeum non è stato fatto oggetto di attento studio da parte della critica. Esso non ha conosciuto un grande successo né al tempo di Ruperto e nemmeno nelle epoche successive. Alcuni segni di recezione dell’opera rupertiana possono essere riscontrati, come già detto precedentemente, in due autori, particolarmente vicini alla mentalità dell’abate di Deutz, Onorio Augustudunense e Gerhoch di Reichersberg. Beinert esamina il rapporto esistente tra tre teologi e sostiene che: «Rupert war zweifellos einer der wichtigsten patres novi für Honorius und Gerhoch (…). Die Begegnung mit dem Deutzer Mönch ist für Honorius und Gerhoch fruchtbar gewesen»; cfr. W. BEINERT, Die Kirche Gottes Heil in der Welt, Berlin. Effettivamente il più volte citato Gerhoch, cononico di Augusta, si attenne alla teologia dell’assumptus homo, avversò le teorie cristologiche abelardiane e compose a sua volta un Opusculum de gloria et honore Filii hominis contenuto in PL 194, coll. 1073-1160; che riecheggia il contenuto dell’opera rupertiana in questione.

127 Contando infatti i manoscritti conservati e quelli andati perduti, sembra che non siano stati

prodotti più di dodici esemplari del Super Matthaeum, contro i cento del De divinis officiis, i sessanta dell’In Canticum Canticorum, i cinquantasette del De sancta Trinitate et operibus eius ed i quarantatrè del De victoria verbi Dei. Cfr. H.SILVESTRE, Les manuscrits des oeuvres de Rupert de Deutz, «Revue Bénédictine» 88 (1978), pp. 288-289.

128

Per quel che riguarda i documenti sui quali si fonda l’edizione critica del testo operata da R. Haacke, risulta che il curatore affermi che del Super Matthaeum sono a disposizione ben tre manoscritti integrali. Essi hanno permesso di migliorare e correggere il testo della prima edizione

L’autore stesso fornisce informazioni per determinare la data di composizione. Nel Prologo Ruperto afferma, infatti, espressamente che il Super

Matthaeum gli è stato commissionato da Cunone, quando questi era ancora abate a

Siegburg129. Nel commento al Vangelo di Matteo si colgono gli echi delle controversie precedenti: la controversia sull’Eucaristica e la teoria di Ruperto circa la comunione di Giuda130, la polemica con la scuola di Laon sull’onnipotenza e sulla volontà di Dio131, le accuse rivoltegli di non essere in grado di usare la dialettica e la filosofia, di non avere maestri132 e di scrivere i suoi commentari solo per vanagloria133; la polemica con Norberto di Xanten sullo Spirito Santo134, la polemica antigiudaica135.

(1526), redatto sulla base di un solo manoscritto non in ottime condizioni conservato nel monastero di San Lorenzo a Liegi. Questi tre manoscritti integrali sono: il manoscritto di Vienna, che si trova presso la Nationalbibliothek e risale agli inizi del XIII secolo, quello di Heilgenkreuz, conservato presso la Bibliothek des Zisterzienserstiftes, del XII secolo, il manoscritto di Göttweig, presso la Stiftsbibliothek, risalente al XII secolo. Altri manoscritti di riferimento, che però sono conservati nella loro integrità sono il manoscritto di Brussel, custodito presso la Kononklijke Bibliotheek, che risale al XII secolo ed è originario del monastero di San Lorenzo di Liegi, e quello di Graz, conservato presso l’Universitätsbibliothek, risalente ancora al XII secolo. Manoscritti così vicini all’epoca in cui Ruperto è vissuto e ben conservati sono una garanzia circa l’attendibilità del testo che Haacke ha prodotto. Cfr. RABAN HAACKE, Einleitung cit. p. IX.

129 R

UPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit (alla nota 5); p. 3, ll. 20-22: «Tute scis quam impatienter hactenus te hoc exigentem audierim, quam asper et paene intractabilis econtra fuerim». Sino agli inizi del libro VIII dell’opera Cunone è ancora abate del monastero di Siegburg. Qui si apprende che su ordine del vescovo di Colonia a Ruperto è stato commissionato un commento al libro dei Re; il monaco non si scoraggia per l’ardua impresa, pur riconoscendo la fatica di questo doppio lavoro. Nella primavera del 1126 Cunone viene eletto arcivescovo di Ratisbona, al neoeletto, Ruperto invia una copia del suo manoscritto giovanile, il De divinis officiis, accompagnato da una lettera di presentazione, nella quale scrive una lista delle sue opere fino ad allora composte; nominando tra le altre, il Super Matthaeum in fase avanzata di componimento. Altri elementi ci consentono di fissare il terminus ad quem della composizione dell’opera. Il libro XII descrive con dovizia di particolari l’elezione episcopale di Cunone e l’accoglienza trionfale che popolo e clero gli riservarono al suo ingresso a Ratisbona. Inoltre, Ruperto stesso, dà conferma del termine dell’opera e del commento al libro dei Re nella lettera di presentazione del De glorificazione Trinitatis che nel 1127 egli invia al papa Onorio III. Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Ad sedis Apostolicae Romanum Ponteficem epistula, in PL 169, coll. 11-12.

130 Cfr. ibid, Super Matthaeum X, cit. (alla nota 5), pp. 313-317. 131 Cfr. ibid, XIII, pp. 412-414. 132 Cfr. ibid, III, pp. 72. 133 Cfr. ibid, VII, pp. 196. 134 Cfr. ibid, I, pp. 23-24. 135

Il Super Matthaeum è pervaso da un’evidente polemica antigiudaica. Ruperto non si rivolge ad una comunità ebraica precisa e nemmeno a qualche ebreo contemporaneo. Il monaco, nell’opera, si riferisce a Iudei, generalmente identificati con gli Scribae et Pharisaei che non hanno creduto alle parole di Gesù. La sua valutazione, però, si allarga: dagli ebrei del tempo di Gesù sino al popolo ebraico di ogni tempo. Il quadro tipico dell’ebreo, che emerge dal testo del monaco benedettino, raccoglie in sé i principali luoghi comuni. Gli Ebrei sono una generazione dal cuore

Le principali tematiche che attraversano le opere scritte da Ruperto tra il 1124 ed il 1128 possono essere rintracciate proprio in questo commento: la storia dell’umanità intesa come lotta tra Satana ed il Verbo di Dio, la speciale attenzione ai profeti interpretati come la chiave di lettura privilegiata dell’unità dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento, le vivaci pagine di carattere apologetico indirizzate ai suoi detrattori, l’interesse di carattere pastorale, la lettura in termini trinitari del piano della salvezza. Il Super Matthaeum permette, inoltre, di comprendere anche il senso di altre opere rupertiane; è evidente, ad esempio, la relazione di questa opera con l’Anulus seu Dialogus inter Christianum et Judeum. Ruperto, secondo M. L. Arduini136, compose l’Anulus attorno agli anni 1125 e 1127, proprio nello stesso periodo del Super Matthaeum. Nello scritto si narra di una accesa discussione tra un cristiano ed un ebreo, entrambi profondi conoscitori

indurito, insuperbita dalle prerogative dell’antica Alleanza ed invidiosa della salvezza che viene donata a tutti i popoli. Non per ignoranza ma per mala fede essi non credono in Gesù e lo condannano a morte per odio. Ruperto non si ferma, però a questa valutazione esclusivamente negativa. Gli ebrei, infatti, non vengono abbandonati indefinitamente da Dio. Sulla scorta di alcune pagine paoline, Ruperto ha chiara coscienza del fatto che il popolo ebraico continua ad avere un ruolo all’interno del piano divino: è chiamato ad essere come una canna incrinata o un essere fumigante, in attesa di essere anche esso redento. In questo modo, gli ebrei assumono la funzione di non far dimenticare alla Chiesa le grandi opere compiute da Dio. Ruperto è convinto della vocazione di Israele a partecipare alla salvezza definitiva. Alla fine, quando tutti i popoli si saranno convertiti, allora anche Israele si convertirà. Inoltre Ruperto riconosce che almeno aliqui residui del popolo ebraico si sono mantenuti da sempre fedeli a Dio, come nel tempo dell’antica Alleanza così anche nel momento della venuta di Cristo. Il tono della polemica antigiudaica, che emerge dal Super Matthaeum, è favorito proprio dal testo matteano, che non lesina critiche ai farisei ipocriti. Il Vangelo secondo Matteo, infatti, più abbondantemente rispetto agli altri vangeli, cita l’Antico Testamento e si pone come risposta agli interrogativi suscitati dal mondo ebraico all’interno della prima comunità cristiana. In secondo luogo non va dimenticato che il genere letterario antiebraico ha un ampio retroterra negli scritti dei Padri della Chiesa e non lascia indifferenti gli autori del XII secolo. Le pagine rupertiane vanno perciò collocate nel contesto di questo genere letterario, che non manca di porre l’accento sulla distanza tra la fede cristiana e la fede ebraica. I temi principali addotti da Ruperto contro gli ebrei si possono ritrovare in molti scritti patristici e non solo.

136 Cfr. M.L.A

RDUINI, Ruperto di Deutz e la controversia tra cristiani ed ebrei nel XII secolo, cit. (nota 23). Nella Germania, soprattutto dell’area renana, dove visse Ruperto, nella seconda parte della sua vita, esistevano comunità ebraiche numerose e prospere, che intrattenevano rapporti commerciali e culturali con le altre città della Germania. In quest’ottica l’apologia rupertiana muove parallelamente su due versanti: da un lato l’esegesi rupertiana mira a dimostrare come tutto l’Antico Testamento sia finalizzato, allegoricamente e storicamente, all’avvento di Cristo; dall’altro, l’affermazione della tesi dell’incarnazione incondizionata rende il progetto di Dio unitario e non modificato dal peccato dell’uomo, sebbene questo sembri un aspetto marginale nella riflessione del monaco benedettino.

della Scrittura137. La disputa riguarda il modo di intendere l’Antico Testamento, che l’ebreo legge in senso storico e letterale, mentre il cristiano interpreta in senso spirituale. Questa tematica apologetica è riscontrabile proprio nel Super

Matthaeum138.

Qualche accenno di continuità si può cogliere nella relazione dell’ opera con il commento al Cantico dei Cantici. Nel Super Matthaeum ricorrono spesso citazioni del Cantico, e nelle prime pagine il monaco benedettino si sofferma con devozione su Maria, modello di ogni credente nella fede e nell’obbedienza139

. L’affinità notevole del Super Matthaeum con le opere maggiori della precedente produzione si trova nel tentativo di leggere la Scrittura, e nella fattispecie il vangelo di Matteo, a partire da un’immagine o da un concetto che assume una posizione centrale. Nell’opera questa immagine centrale è rappresentata dai quattro misteri di Cristo che Ruperto ritiene fondamentali: l’incarnazione, la passione, la resurrezione, l’ascensione di Cristo; questi quattro misteri sono messi in relazione ai quattro esseri della visione di Ezechiele: l’uomo, il vitello, il leone e l’aquila, che solitamente rappresentano i quattro evangelisti. Ruperto non intende scrivere un semplice commentario, ma un’opera che illustri gli aspetti essenziali del mistero di Cristo a partire da un testo biblico ritenuto particolarmente rilevante per il fine proposto.

Questa intenzione unitaria è ravvisabile anche in altre opere di Ruperto. Nel

De sancta Trinitate et operibus eius, l’opera rupertiana più voluminosa, egli intende

rileggere l’intera Sacra Scrittura alla luce delle opere delle persone della Trinità. Il

De glorificatione Trinitatis et processione Spiritus Sancti si propone di dimostrare

che la Trinità è profetizzata dagli scritti dell’Antico Testamento e che la processione dello Spirito Santo, come è intesa dai cristiani, è coerente con il Nuovo Testamento. Il De victoria Verbi Dei rilegge l’Antico Testamento nel tentativo di giustificare le guerre e gli spargimenti di sangue della storia del popolo ebraico. L’In Canticum

Canticorum offre, come abbiamo visto, un’ interpretazione in chiave mariana del

137 A riguardo cfr. G.D

AHAN, La disputa antigiudaica nel medioevo cristiano, (trad. it.), Genova 1993.

138

Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum, IV, cit. (alla nota 5), p. 106.

139

Cantico dei Cantici. Il De divinis officiis è una sapiente interpretazione cristologica della liturgia. In tutte queste opere si coglie, dunque, la medesima intenzione di rileggere uno o più libri della Scrittura utilizzando come criterio ermenueutico un’unica idea o immagine forte140

. Il Super Matthaeum si rivela interessante anche per le notizie sulla storia personale di Ruperto. L’amicizia con Cunone è rilevante, come è importante il racconto delle visioni che Ruperto descrive con trepidazione e fierezza nel libro XII141, interamente dedicato alla propria biografia. Nell’insieme l’opera è uno squarcio sul mondo del XII secolo, descritto con l’intensità di un monaco benedettino, innamorato della Parola di Dio e della Chiesa.

140

Beumer ha visto in questa capacità sintetica di Ruperto un tassello chiave nel passaggio dalla teologia prescolastica alla teologia scolastica. Secondo tale ipotesi, quella di Ruperto sarebbe una sorta di teologia di collegamento tra le due teologie ed effettuerebbe una mediazione in merito a tre coppie di concetti apparentemente divergenti: ratio e auctoritas, mistica e scolastica, tradizione progresso. Cfr. J. BEUMER, Rupert von Deutz und seine Vermittlungstheologie, «Münchener Theologische Zeitschrift» 4 (1953), pp. 255-270. Da notare che la tesi di Beumer è formulate a prescindere dal concetto di teologia monastica.

141

A tal proposito risulta molto interessante il lavoro critico e di traduzione di A. Magoga sul XII e XIII libro del super Matthaeum. Cfr. A.MAGOGA, Mite ed umile di cuore, I libri XII e XIII del De gloria et honore Filii hominis. Super Matthaeum, Milano, 2004.