• Non ci sono risultati.

2.3.2 Struttura dell’opera: Quattuor facies sive quattuor animalia

Il Super Matthaeum non rappresenta un commento al Vangelo secondo Matteo costruito in base alla lectio continua in sacra pagina, Ruperto non intende leggere e commentare versetto per versetto l’intero Vangelo secondo Matteo; egli si prefigge piuttosto una lettura parziale di questo Vangelo, con il palese intento di soffermarsi su quelle pagine capaci di mettere maggiormente in evidenza l’immagine o l’idea che egli ritiene più significativa per la sua opera, vale a dire la contemplazione dei quattro fondamentali misteri di Cristo142. Come detto, egli instaura una relazione tra la visione di Ez 1,10, cioè la visione dei quattro esseri viventi con i quattro momenti della regula fidei, che ogni cristiano è chiamato a conoscere ed a credere. Il monaco di Deutz esprime così l’obiettivo del suo lavoro:

142 L’elemento visionario nell’opera è rilevante. Le visioni rupertiane vanno collocate non solo

all’interno della sua produzione esegetica e della sua vicenda personale, bensì anche nel panorama più ampio delle visioni medievali. La critica afferma che da XII secolo nel medioevo occidentale avviene un cambiamento, poiché con questo secolo si fa avanti un tipo di esperienza visionaria di un nuovo genere che non vieta più le visioni di Dio. In questo secolo si assiste ad un proliferare di visioni e di visionari, che dal XII secolo si diffonde nel XIII secolo e poi nei secoli successivi. (Tra i nomi di visionarie vissute tra XII e XIII secolo, oltre Ildegarda di Bingen si ricordi Geltrude d’Hefta, Angela di Foligno, Brigitta di Svezia.) Dopo aver richiamato uno studio di U. Berlière, il quale sostiene che nei chiostri del XII secolo ci sono delle vere antologie di racconti mistici e miracolosi, Haacke giunge alla conclusione che Ruperto sia stato un anticipatore in questo senso, sebbene ciò non gli sia stato sempre riconosciuto. Cfr. R. HAACKE, Die mystichen Visionen Ruperts von Deutz, «Sapientiae doctrina», Louvain, 1980, p. 72. Il confronto con i visionari di questo tempo aiuta a scoprire alcuni tratti comuni. Come altri visionari Ruperto accetta di raccontare le sue visioni solo in obbedienza ad un ordine di un superiore, nel suo caso addirittura imposto da un giuramento nel nome della Trinità. Più volte egli sostiene che quello che ha vissuto è impossibile da raccontare per iscritto, perché la sublimità delle rivelazioni e dell’esperienza spirituale non può essere espressa con parole umane. Con gli altri visionari, Ruperto dice che è l’homo interior che vede, non con gli occhi della carne, ma con quelli interiori. Nelle visioni del periodo, inoltre, ricorrono spesso i temi della Passione di Cristo e dell’Eucaristia. Occupandosi delle visioni della Trinità nel medioevo, Boespflug sostiene che la visione trinitaria di Ruperto, in base alle testimonianze in suo possesso, è una delle prime del medioevo occidentale che cerca di sganciarsi dal modello iconografico rappresentato dall’ospitalità di Abramo (Gen 18). Haacke sostiene che sebbene sia difficile ricercare quanto Ruperto e le sue esperienze possano aver influenzato le esperienze visionarie e mistiche successive, è fatto sicuro che in quel tempo: «dass mystische Frömmigkeit sozusagen in der Luft lag». Cfr. ID, p. 73.

Quattuor istas facies quattuor constat esse sacramenta, quae nescire non licet homini christianae professionis, scilicet incarnationem, passionem, resurrectionem atque ascensionem eiusdem Jesu Christi, quarum circa inspectionem facierum tota versatur intentio praesentis opuscoli143.

I quattro esseri viventi o le quattro sembianze di cui parla Ezechiele simboleggiano per Ruperto i quattro misteri fondamentali della fede del cristiano144: l’incarnazione, la passione, la resurrezione e l’ascensione; egli intende soffermarsi su quelle sezioni del Vangelo che sono più rispondenti alla sua intenzione e permettono di contemplare meglio questi quattro principali misteri della vita di Cristo145.

Il monaco dà ragione dell’interpretazione cristologica della visione di Ezechiele proprio nelle battute iniziali dell’opera, commentando il primo versetto del Vangelo secondo Matteo (Mt 1,1), nel quale l’evangelista afferma che Gesù è

filius David, filius Abraham. Ruperto sostiene fermamente che Cristo, uomo e Dio,

è anche discendente di un re e di un sacerdote e perciò in lui sono quattro i segni distintivi da contemplare:

Sunt igitur quattuor, ut iam dictum est, insignia praesenti titulo spectanda, quia Deus est et homo, rex atque sacerdos. Illic homo et in Sion

natus est, et ipse fondavit eam altissimus (Ps 86,5).

Iste sacerdos semetipsum obtulit, et sacrificatus est

143

Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit (alla nota 5), p. 39, ll. 164-169.

144

Sulla simbologia del numero quattro, cfr. H. MEYER- R. SUNTRUP, Lexicon der Mittelalterlichen Zahlenbedeutungen, München, 1987, in partic. pp. 332-402.

145

Cfr. R.HAACKE, Einleitung cit. (alla nota 142); p. X : «Rupert begründet seine Auswahl mit dem Hinweis auf sein Vorhaben, nämlich die vier Symbole Christi, wie sie in den vier Gesichtern bei Ezechiel vorgebildet sind, im Evangelium des Matthäus wiederfinden zu wollen.

tamquam vitulus. Iste rex tamquam leo sive catulus leonis, ad praedam ascendit, apertis in morte sua dormiens oculis, et spoliator inferno surrexit a mortuis. Hic Deus ut Aquila volans, super omnes caelos ascendit. Secundum quattuor ista naturae vel officii sui nomina, quattuor nobis sacramenta pietatis necessario credenda proposuit, scilicet incarnationis sive nativitatis, passionis, resurrectionis, ascensionis, quorum nullum christiano ignorare licuit umquam aut licebit146.

Ruperto congiunge così i quattro elementi costitutivi dell’identità di Cristo (Dio, uomo, re e sacerdote) alle quattro immagini degli esseri viventi ed ai quattro grandi misteri di Cristo. La divinità di Cristo è rappresentata dall’aquila, che a sua volta esprime il mistero dell’ascensione. L’umanità di Gesù è espressa dall’immagine dell’uomo, che richiama il mistero dell’incarnazione. La regalità di Cristo si manifesta nella sembianza del leone, che ruggisce nel momento della resurrezione, infine, il sacerdozio di Cristo è rappresentato dall’immagine del vitello che, sacrificando se stesso, richiama il mistero della passione. Poco oltre Ruperto si sofferma sull’origine delle immagini degli esseri viventi e motiva la connessione che ha descritto147.

La relazione tra le immagini degli esseri viventi ed i misteri di Cristo si trova nelle due visioni profetiche di Ezechiele148. La prima visione è quella di Ez 1,1-28

146 Cfr. R

UPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 7, ll. 102-110.

147

Cfr. ibid, p. 8, ll. 114-122: «Et quia talis exinde cognoscitur ecce quattuor unius animalis facies intuemur, ubi Hiezechiel propheta loquitur: Similitudo vultus animalium, vultus eorum facies hominis et facies leonis, facies vituli et facies aquilae desuper. Nam licet quattuor animalia dixerit, in primis tamen animal unum vult intellegi, quemadmodum longe infra, cum dixisset: Facies una facies cherub; et facies secunda facies hominis; et in tertia facies leonis; et in quarta facies aquilae; ipsum est, ait, animal quod vederam iuxta flumen Chobar (Ez 10, 14-15)».

148 L’interpretazione cristologica delle visioni di Ezechiele ha una lunga tradizione. Nei quattro

esseri viventi della visione profetica i Padri ed altri autori medievali hanno visto generalmente i quattro evangelisti: a quanto ci è dato di conoscere, tra i primi ad essersi soffermato sulla visione di Ezechiele ed a leggervi i quattro evangelisti è stato Ireneo di Lione, che tuttavia attribuisce a

nella quale il profeta si prostra dinnanzi alla Gloria del Signore, già in questa visione si narra dei quattro esseri viventi. Al di sopra dei quattro esseri viventi si trova il firmamento, nel quale è collocato il trono dalle sembianze umane. La seconda visione è quella di Ez 10, 9-22, anche in questo caso l’oggetto dell’apparizione è la Gloria di Dio, intesa come lo svelarsi di Jahvè al profeta. Si racconta ulteriormente di Cherubini dalle quattro sembianze, che Ezechiele riconosce essere le creature della prima visione. La Vulgata sembra suggerire che questi quattro esseri viventi non siano quattro realtà distinte, ma un’unica realtà149

:

ipsum animal, cioè lo stesso essere animato; perciò Ruperto si sente autorizzato ad

applicare a Cristo questa allegoria, scorgendo nei quattro esseri viventi i quattro aspetti peculiari dell’identità dell’unico Cristo. Egli si esprime con molta chiarezza:

Animal unum, unus est Jesus Christus; quattuor facies sive quattuor animalia, quattuor iam dicta sunt unius eiusdemque Jesus Christi sacramenta150.

Secondo Ruperto i quattro esseri viventi esprimono l’unica realtà, cioè Cristo, colto nei suoi quattro principali misteri (sacramenta) che ne rivelano l’identità più intima. L’oggetto dello studio di Ruperto è dunque, Cristo, il Figlio dell’uomo, il Verbo di Dio, che si è incarnato, è morto in croce, è risorto ed è asceso al cielo. Il Super Matthaeum è il tentativo di riflettere sul Figlio dell’uomo alla luce della storia della salvezza e della rivelazione. Il vero volto di Cristo non può essere altrimenti compreso se non attraverso la contemplazione dei suoi misteri, così come la rivelazione lì presenta. Ruperto è debitore alla tradizione dei Padri della Chiesa

Giovanni l’immagine del leone, a Luca quella del vitello, a Matteo quella dell’uomo, a Marco quella dell’aquila; Cfr. IRENEUS LEONENSIS, Adversus Haereses, III, «Sources Chretiennes» 211, p. 170. Con Girolamo si afferma invece la tradizione più nota, Cfr. HIEROLAMUS STRIDONIENSIS, Commentarii in Hiezechielem, I, CL 75, pp. 10-14.

149

Nella Vulgata si traduce, infatti, Ez 10,20 in questi termini: «Ipsum est animal quod vidi subter Deum Israel iuxta fluvium Chobar, et intellexi quia cherubim essent».

150

per l’accostamento della visione di Ezechiele ai quattro misteri di Cristo ed in particolar modo a Gregorio, il quale più degli altri si sofferma proprio su questi quattro misteri151. Gregorio afferma che Matteo è ben rappresentato dalla sembianza dell’uomo perché all’inizio del suo Vangelo si rifà all’origine umana di Cristo, Marco è invece simboleggiato dal leone a motivo del grido nel deserto del Battista, Luca dal vitello, perché esordisce con un sacrificio; Giovanni dall’aquila, perché comincia con l’affermazione della divinità del Verbo. Subito dopo Gregorio scorge nelle rappresentazioni dei singoli evangelisti Cristo stesso, il Verbo di Dio che si è fatto uomo e si è degnato di morire come vittima nel sacrificio della croce per la redenzione dell’umanità. Cristo, dice Gregorio, ha dormito come il leone con gli occhi aperti nel sepolcro attendendo la resurrezione, è salito al cielo come l’aquila, motivo per il quale il cristiano è chiamato a riprodurre nella propria vita i tratti del Signore: come Gesù, pienamente uomo, egli deve essere esemplare nella razionalità, deve astenersi, come vitello votato al sacrificio, da ogni piacere mondano, deve essere forte come un leone nelle avversità, deve essere deciso come un’aquila per l’acume della contemplazione:

Sed quia electi omnes membra sunt Redemptoris nostri, ipse autem Redemptor noster caput est omnium electorum, per hoc quod membra eius rigirata sunt, nihil obstat si etiam in his omnibus et ipse signetur. Ipse enim unigenitus Dei Filius veraciter factus est homo, ipse in sacrificio nostrae redemptionis dignatus est mori ut vitulus, ipse per virtutem suae fortitudinis surrexi ut leo. Leo etiam apertis oculis dormire perhibetur, quia in ipsa morte in qua ex humanitate redemptor noster dormire potuit, ex divinitate sua immortalis permanendo vigilavit. Ipse etiam post

151

Nella quarta omelia su Ezechiele, Gregorio commenta la visione di Ez 1,10-12. In accordo con l’interpretazione di Girolamo, il primo riferimento di Gregorio è ai quattro evangelisti.

resurrectionem suam ascendens ad caelos, in superioribus est elevatus ut aquila. Totum ergo simul nobis est, qui et nascendo homo, et moriendo vitulus, et resurgendo leo, et ad caelos ascendendo aquila factus est152.

Inoltre, in un passaggio tratto dal suo commento al libro dei Re, Gregorio riserva, come Ruperto, una dura condanna agli Ebrei che, per mezzo della loro interpretazione carnale della Sacra Scrittura, non si avvedono del significato spirituale che è racchiuso in essa e non comprendono i misteri del Redentore, ovvero l’incarnazione, la passione, la rerurrezione e l’ascensione:

Quid enim Sacra Scriptura cotidie Judaeies aliud quam caliginem sui erroris insinuat? Non equidem sic per latente set spiritales intellectus Redemptorem praedicat, ut eius incarnationem, nativitatem, passionem, resurrectionem atque ad caelos ascensionem non patenter ostendat153.

La struttura dell’opera consente però di affermare che Ruperto riesce solo in parte a mantenere fede all’impegno espresso nel Prologo. Il Super Matthaeum, di fatto, non è una lettura del Vangelo secondo Matteo in grado di mettere in luce in egual misura i quattro principali misteri della vita di Cristo. Alla contemplazione delle sembianze dell’uomo sono dedicati i primi nove libri che commentano versetto per versetto i primi dodici capitoli del Vangelo secondo Matteo; il decimo e

152 Il testo è ripreso integralmente in R

UPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 7, ll. 106-110.

153

Cfr. GREGORIUS MAGNUS, In librum primum Regum expositionum libri VI, CL 144, pp. 148- 149.

l’undicesimo si occupano della sembianza del vitello, soffermandosi sui capitoli XVI e XVII di Matteo; il dodicesimo è un’inserzione di carattere autobiografico prevalentemente dedicata alla narrazione delle visioni; il tredicesimo, infine, si occupa della sembianza del leone e in parte alla sembianza dell’aquila prendendo le mosse dagli ultimi versetti del capitolo XXVII di Matteo.

L’evidente sproporzione tra le diverse sezioni testimonia come il piano di Ruperto non si sia svolto esattamente come egli si era prefissato. Il Super

Matthaeum appare dunque come un’opera disomogenea, in cui si intrecciano i

generi letterari della lectio continua e del racconto autobiografico con quello della contemplazione dei quattro misteri di Cristo, che era lo scopo prioritario di Ruperto. Lo stesso monaco, nel decimo libro, confessa con disappunto all’amico Cunone che non era sua intenzione commentare con un’esposizione continua la profondità del Vangelo secondo Matteo. Egli si giustifica raccontando di esser stato colpito da un potentissimo colpo di vento che lo ha gettato in mare, volendo descrivere con questa immagine metaforica d’esser stato rapito dalla forza di altre finalità, e si ripromette di proseguire il lavoro, dedicandosi alla contemplazione delle sembianze del vitello154. Poco dopo, però, cioè agli inizi del dodicesimo libro, Ruperto interrompe nuovamente il progetto prestabilito, dedicando infatti gran parte di questo libro alla narrazione della sua vocazione, adducendo come motivazione di questo ulteriore cambiamento l’essersi ricordato di un giuramento fatto a Cunone155

.

154

Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 299, ll. 4-20: «Propositi modum supergressus esse videor reverende mi Cuno, praesul ecclesiae Ratisponensis, in opere isto De gloria et honore Filii hominis, quod tu a me magno caritatis imperio, quo circa me uti soleva, ut scriberem, vehementer exegisti. Hoc, inquam, proposueram, quotiamo pertinet ad intentionem operis consideratio haec, et praefixo congruit titulo: De gloria et honore Filii hominis. Nec erat in intentione, totum peragrare profundum huius pelagi, totum expositione continua pertractare textum huius Evangelii. Ecce autem cum ita proposuissem, volumen extendi seriemque evangelicam magna ex parte transegi, atque ita, quasi agente spiritu veementissimo, qui non longe a portu navigare decreveram, fere usque ad medium pelagi mea procelli vela permisi. Revocabo igitur sermonis cursum, modumque tenere urabo, et, omisso tractatu eorum quae in evangelio sequuntur, post illa quae, prout potui Domino adiuvante, dixi hactenus in contemplazione faciei hominis, accedam ad contemplandam faciem vituli, dignum aliquid fari desiderant promisso vel titulo cuius tu mihi auctor exstitisti, amator gloriae et honoris Filii hominis».

155

Cfr. ibid, p. 367, ll. 186-194: «Verum ubi iam dictam lectionem attigi, et post contemplationem faciei vituli, procedere volui ad contemplandam faciem tertiam, scilicet faciem leonis, recordatio tui sese obtulit, istantius atque vehemenntius, quam eatenus eam occurrisse senserim, et quasi manu me tenuit, quodammodo dicens mihi: Huc diverte, quia nisi rem, pro qua sic adiuratus es, prius effeceris, nusquam solita facultate uti poteris, ut commode progrediaris». Ruperto in altri

Alcuni studiosi hanno ritenuto che l’umiltà e la riluttanza più volte espressa da Ruperto nel momento in cui decide di parlare di sé e della propria personale vicenda sia, in realtà, una finzione letteraria156, poiché la sezione autobiografica, collocata appunto nel XII libro, sembra avere una propria logica. Secondo K. F. Fabrizius, Ruperto desidera parlare di sé e delle sue visioni sin dall’inizio dell’opera. Egli introduce infatti la sezione autobiografica agli inizi del libro XII ricorrendo alla visione di Ezechiele, sulla quale è costruita l’intera opera, e colloca la sua esperienza personale sullo sfondo della gloria e dell’onore del Figlio dell’uomo157

. W. Berschin osserva che la narrazione della propria vocazione viene collocata da Ruperto dopo i libri X e XI, che si sono occupati della passione di Cristo158. L’autobiografia è dunque una meditazione personale che nasce dalla contemplazione della passione di Gesù, in attesa della futura glorificazione.

passaggi del testo ricorda di aver narrato a voce a Cunone l’esperienza mistica che lo ha condotto a scrivere; ciò sembra confermare la supposizione che Ruperto non avesse dimenticato il giuramento fatto a Cunone, ma solo attendeva di collocare il racconto nel punto più appropriato della sua opera.

156

Secondo A. Magoga, ritenere che quella di Ruperto sia solo una finzione letteraria appare eccessivo. Esiste, dice Magoga, un una lettera del 1128 in cui Meingoz, canonico di San Martino, risponde a Ruperto, che gli aveva chiesto un parere sul libro XII del Super Matthaeum, Cfr. H. GRUNDMANN, Zwei Briefe des Kanonikers Meingoz von St. Martin an Abt Rupert von Deutz, «DA» 21 (1965), pp. 264-276. Il canonico rassicura Ruperto, non trovandovi alcun motivo di vanagloria o di superbia. Ciò suggerisce che Ruperto temeva davvero di aver raccontato troppo di sé nel libro XII del Super Matthaeum e di poter dare adito ad accuse di tal genere; Cfr. A. MAGOGA, Mite ed umile di cuore cit. (alla nota 141), pp. 37-38.

157

Cfr. K.F.FABRIZIUS, Rupert of Deutz on Metthew. A Study in Exegetical Method, Michigan, 1994, in partic. pp.121-122: «When Rupert takes up the autobiographical material in Book Twelve, he introduces it with Ezekiel’s vision, so that is own life is placed in the contextual framework of a prophetic vision and call. Thus, his own life is to be viewed as to the glory and honor of the Son of Man. Did Rupert really only turn aside at the last or was this turning aside part of the initial plan of the work? The evidence examined in this chapter suggests that Rupert’s plan was to include this autobiographical material from the very beginning. He is simply making a stylistic approach of humility and disclaimer to introduce the topic».

158 Cfr. W.B

ERSCHIN, Visione e vocazione allo scrivere. L’autobiografia di Ruperto di Deutz, in SM 18-19 (1997), pp. 205-209. Secondo Berschin ad un certo punto della sua vita, Ruperto opera una conversio formale dalla poesia alla prosa. Tale cambiamento segna, a suo avviso, il vero inizio della sua attività letteraria poiché abbandono della poesia lo affranca dai modelli clessici dandogli via libera nell’uso delle possibilità espressive di un latino biblico utilizzato con molto disinvoltura. L’avvenimento liberatorio coincide con l’ordinazione sacerdotale ed essa sarebbe, a sua volta, da vedere in relazione ad una serie di visioni. Di esse, dice Berschin, Ruperto parla malvolentieri, rendendosi conto che, probabilmente, quello che ha da raccontare potrà essere soggetto a fraintendimenti e malintesi.