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2.3.10 Il Libro XIII: una valutazione generale

Nell’ultimo libro Ruperto commenta Mt 27, 51-52. Il mistero che il monaco benedettino intende mettere a fuoco è la resurrezione di Cristo: dopo il colpo della lancia che squarcia il corpo di Gesù, il leone subentra al vitello ed emette il terribile ruggito contro il demonio e contro l’inferno. Dal momento della morte di Gesù, ogni presidio celeste abbandona Gerusalemme ed il popolo ebraico, a causa della sua superbia.

Il ruggito del leone rivela la gloria del Verbo di Dio, la verità stessa. All’opposto della verità, testimoniata da Cristo, si colloca la vanità del demonio, la cui intenzione era impedire all’uomo di conoscere il vero Dio e farsi adorare da tutta l’umanità; i santi e gli angeli hanno pianto per il triste destino dell’umanità fino al momento in cui Dio non ha voluto combattere contro il demonio. Il Verbo di Dio si è incarnato per dare testimonianza alla verità e donare la vita a quanti credono in lui.

Ruperto scorge in questo progetto di salvezza il dogma nascosto da secoli in Dio: Dio ha creato ogni cosa per mezzo del Verbo, l’unico mistero era il Verbo incarnato, nelle sue quattro diverse sembianze (l’incarnazione, la passione, la resurrezione e l’ascensione). Egli si interroga, inoltre, sulla possibile incarnazione divina a prescindere dal peccato di Adamo. Quando poi, alla fine dei tempi, Dio tornerà una seconda volta per giudicare, si sentirà ancora il ruggito del leone, per la salvezza degli eletti e la dannazione eterna dei maledetti; dopo il giudizio subentrerà il tempo della sembianza dell’aquila, ed i beati potranno vedere Dio con i propri occhi.

Similiter quis, nisi cui Deus revelaverat per spiritum suum, existimare vel sperare posset quod homo mortalis per omnia nostrae naturae in Deum

in ipsa sui conceptione assumptus in hoc nasciturus, et ad hoc esset in mundo venturus, ut tale testimonium perhiberet veritati251.

Ruperto utilizza spesso, nel testo, la categoria dell’assumptus homo per esprimere l’unità delle due nature in Cristo, secondo un modello che giunge fino a lui evidentemente dalla tradizione dei Padri. La motivazione della scelta effettuata dal monaco benedettino in favore di questo modello cristologico è ovvia. Le altre due teorie a disposizione in quell’epoca, la Subsistenz-Theorie e l’Habitus- Theorie sono nate in contesti suscettibili dell’accusa di novitas, caratterizzati dall’uso della dialettica e delle categorie filosofiche esse non potevano, perciò, essere congeniali alla sensibilità rupertiana. L’Assumptus-theorie, invece, per il vasto retroterra patristico e per la sua antiquitas, si prestava ad essere accettata molto più facilmente dall’ambiente monastico. L’Assunzionismo o teoria dell’assumptus homo fu una delle prime teorie che cercò di addentrarsi nel problema dell’unità dell’uomo-Dio. Secondo questa teoria, la persona divina assume in sé l’uomo, composto di anima e corpo. Questa assunzione è così intima e potente da produrre una perfetta identità tra l’uomo assunto e la persona divina assumente. L’incarnazione di Dio consiste allora nel fatto che il Verbo di Dio si fa corpo nell’uomo. L’uomo Gesù assunto è uno e identico con il Dio assumente. Cristo è nello stesso tempo aliud et aliud: egli è utrumque. Cristo non consta di corpo, anima e Divinità, ma solo di corpo e anima; entrambi gli elementi della natura umana sono uniti all’Io-Logos. L’uomo- assunto possiede tutto quanto la persona divina ha per sua natura, cioè l’Onnipotenza, l’Onniscienza, non in virtù della sua natura, ma in virtù della grazia, cioè dell’assunzione della persona del Verbo divino. La teoria dell’assumptus homo, che ha dei fondamenti biblici (Gv 8,40 e Tm 2,5), si fece strada soprattutto nella tradizione patristica. Contro le prime eresie cristologiche, i Padri della Chiesa hanno combattuto vittoriosamente servendosi di questa teoria252.

251

Cfr. RUPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 408, ll. 423-429.

252

L’uso della categoria dell’assumptus homo viene interrotto da Cirillo di Alessandria, che la rigetta inserendone la condanna dell’ottavo dei suoi dodici anatematismi, perchè credeva che

La categoria dell’assumptus homo è stata usata dai Padri per assicurare l’integrità e la concretezza della natura umana di Cristo, contro il docetismo e l’apollinarismo; ciò spiega, forse, come mai l’assumptus homo sia usato specialmente prima del concilio di Efeso, ma venga proscritto in seguito alla controversia di Nestorio, perché si presta ad equivoci di matrice nestoriana. La concezione dell’assumptus homo è suscettibile, dunque, di due interpretazioni; una è ortodossa ed esprime la natura perfettamente umana di Cristo e fu utilizzata dai Padri della Chiesa; l’altra è eterodossa o equivoca ed insinua l’idea di un individuo umano, cioè di una vera e proria persona, coesistente prima e con il Verbo. Ruperto sembra si schieri a favore dell’assumptus homo, intendendo alludere alla prima interpretazione, grazie ad essa il monaco benedettino esprime l’unità delle due nature di Cristo, nella persona del Verbo, e la sua solidarietà con il genere umano. L’assumptus homo è esplicitamente usato da Ruperto nel Super Matthaeum almeno quattro volte; dall’analisi dei passi in cui Ruperto fa appello a questa teoria, l’assumptus homo sembra dare adito ad una oscillazione tra due concetti differenti: a volte, esso indica il Figlio dell’uomo, cioè il Verbo di Dio incarnato; altre volte la natura umana di Cristo, presa nella sua pura umanità, cioè a prescindere dall’unione con il Verbo.

Quod, ut lucidius pateat, iam de dispensatione eiusdem sacramenti dicendum est: Et

illuminare, inquit, omnes, quae sit dispensatio sacramenti absconditi a saeculis in Deo qui onmia creavit (Ps 32,9). Eorum quae precipua sunt in

dispensatione sacramenti, id est causae secretae, propter quas Deus omnia creavit, scilicet Verbi Dei, Filii Dei, eiusdemque Filii hominis, propter

l’espressione potesse favorire il nestorianesimo. Di fatto, l’assumptus homo non viene condannato né al concilio di Efeso, né ai due concili di Calcedonia, né al secondo e terzo concilio di Costantinopoli. In queste stesse sedi, tuttavia, esso non viene nemmeno utilizzato. L’assumptus- theorie si trova citata, invece, in altri documenti, come per esempio i concili di Toledo I, VI, e XI. Ma è Tommaso, nel XIII secolo, che rigetta l’assumptus homo nei termini di eresia, Cfr. THOMAS DE AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 2, a. 6; q. 4, a. 3, in PL 196.

quem omnia et per quem omnia, sicut iam dictum est, eorum, inquam, primum est opus incarnatio, secundum passio, tertium resurrectio, quartum ascensio, de quibus quattuor sacramentis ad aeternam salutem necessariis, nam absque horum fide nemo potest salvari, hic nobis sermo est scribendus De gloria et honore Filii hominis. Sic namque accipimus unum sacramentum quod erat in absconsione illa, et quattuor sacramenta, quae apparuerunt in dispensatione ista, sicut in visione prophetica, de qua in hoc opere iam saepe dictum est, unum animal et quattuor accipimus facies, sive quattuor animalia253.

Questi passaggi appaiono, nel loro insieme, di straordinaria importanza. Il mistero di Dio si è svelato nel Figlio dell’uomo. Ciò significa che, secondo Ruperto, il Figlio dell’uomo è stato da sempre pensato nei suoi misteri di incarnazione, passione, resurrezione e ascensione. Il mistero, pensato dall’eternità in Dio, ha sempre compreso in sé il momento redentivo della croce; esso ha sempre, dunque, compreso in sé il peccato dell’uomo e l’incarnazione del Verbo e la redenzione per mezzo della croce del Figlio dell’uomo. Il piano di Dio non ha mai considerato una realtà diversa da quella che realmente si è concretizzata nella storia della salvezza254.

253 Cfr. R

UPERTUS TUITIENSIS, Super Matthaeum cit. (alla nota 5), p. 410, ll. 518-533.

254

Questa posizione rupertiana lascia intravedere in controluce l’affermazione di Ambrogio, il quale asserisce che il peccato di Adamo è una «felix ruina», perché in esso era già stata prevista la redenzione: «Deus non dixerat Adae Mecum eris, quia sciebat illum esse casurum, ut redimeretur a Christo. Felix ruina, quae reparatur in melius. Ideo iam prius pastor, bonum negotiator gregem suum et mercem propriam non relinquit. Erit quidem et adhuc in paradiso cum angelis pugna serpenti, donec deiciatur, sed qui cum Christo est timere non poterit»; Cfr. AMBROSIUS

MEDIOLANENSIS, In psalmum David Expositio, in PL 15, col. 1312. Si nota anche l’affinità con Tertulliano, che scrive: «Quodcumque enim limus exprimebatur, Christus cogitabatur, homo futurus, quod et limus, et sermo caro, quod et terra tunc. Sic enim praefatio Patris ad Filium: faciamus hominem ad immagine et similitudinem nostram (Gn 1,26). Et fecit hominem Deus, id utique quod finxit, ad immagine Dei fecit illum, scilicet Christi. (…) Ita limus ille iam tunc

Salva igitur omnipotentia, salva benevolentia Dei, ruente diabolo et homine decepto, malum accidit, propter quod Deum sapientem laudabiliter hominem fieri, et pro omnibus mori oportuit, aliterque homo salvari non potuit, et hoc nimirum sensu fidelis animus non segnior, immo citatior fit ad occurrendum, et gratias agendum charitati Dei, quia necessario propter nos tantum se humiliavit255.

Ruperto ha mantenuto l’onnipotenza e la volontà buona di Dio, che non ha voluto il peccato. Esso avvenne, infatti, per la volontà del diavolo e dell’uomo, ed a causa del male prodotto furono necessarie l’incarnazione e la passione. Il monaco benedettino intende affermare che, una volta commesso il peccato, la croce era l’unica via di salvezza per l’uomo. Ma ciò non nega la possibilità dell’incarnazione anche senza il peccato. Ciò che risulta chiaro è che per Ruperto, una volta accaduto il peccato, la croce fu necessaria per salvare l’umanità: non c’era altro modo per manifestare l’amore di Dio per l’uomo e per realizzare il suo piano di salvezza.

Hic primum illud quaerere libet utrum iste Filius Dei, de quo hic sermo est, etiam si peccatum, propter quod omnes morimur, non intercessisset, homo fieret, an non. Nam de eo quod mortalis homo non fieret, quod mortale corpus non assumeret, nisi peccatum accidisset, propter quod et nos omnes facti sumus mortales,

immagine induens Christi futuri in carne non tantum Dei opus erat sed et pignus», cfr. TERTULLIANUS, De resurrectione mortuorum, VI, in PL 2, coll. 902-908.

255

nulli dubium est, nulli nisi infideli incognitum est256.

In queste frasi, Ruperto pone evidentemente la questione in una forma ipotetica e, apparentemente sembra proporre una teoria dell’incarnazione incondizionata. La sua risposta, tuttavia, è più complessa e sfaccettata di quanto possa apparire ad una prima lettura. Se si interpreta, infatti, mortale corpus

assumere257 come una parafrasi per indicare l’incarnazione, si deve concludere come Ruperto sostenga che l’incarnazione tout court dipenda dal peccato, il che sarebbe difficilmente conciliabile con quanto lo stesso Ruperto afferma poco dopo, quando sostiene apertamente che l’incarnazione è indipendente dal peccato. Se si interpreta, invece, l’espressione mortale corpus assumere in senso letterale come semplice acquisizione di un corpo umano e dunque di per sé mortale, si attribuirebbe a Ruperto l’idea che il peccato dell’uomo abbia reso necessario che il Verbo assumesse un corpo mortale, cioè che sperimentasse la morte. L’assunzione di un corpo umano, che prima del peccato non sarebbe stato mortale, era già stata stabilita da sempre in Dio. Il peccato dell’uomo non determina l’assunzione di un corpo umano, ma l’assunzione di un corpo umano mortale. Il peccato non determina l’incarnazione, ma la passione e la morte dell’uomo Gesù. Questa seconda interpretazione appare più coerente con il resto della narrazione rupertiana.

Illud quaerimus utrum hoc futurum, et humano generi aliquo modo necessarium erat, ut Deus homo fieret caput et rex omnium, ut nunc est, et quid de hoc respondebitur? Nimirum de omnibus sanctis et electis certum est, quia nati

256

Cfr. ibid, p. 415, ll. 684-689.

257

fuissent omnes, et soli, si non accidisset illud peccatum primae praevaricationis258.

Allargando la sua prospettiva cristologica, Ruperto si chiede se il Figlio di Dio doveva diventare anche il capo ed il re di tutta l’umanità, e se era necessario che il Figlio dell’uomo dovesse essere coronato di gloria ed onore. In definitiva, l’interrogativo riguarda ora la glorificazione di Cristo: la gloria e l’onore, con cui è ora coronato il Figlio dell’uomo, sarebbero stati attribuiti a Cristo anche senza il peccato? Ruperto cerca di dimostrare che il piano di Dio non è determinato o modificato dal peccato. In ogni caso, infatti, il Verbo incarnato sarebbe stato oggetto della glorificazione degli uomini. Il peccato non ha ostacolato il raggiungimento di questo progetto; esso ha, invece, consentito di aumentare la gloria e l’onore attribuiti a lui.

Tantae charitatis propositum, quo proposuerat Deus Dei Verbum deliciari cum filiis hominum, formam habendo circumscriptam ex natura humana in medio angelorum et hominum, mirum et adoratione dignum259.

Il Figlio di Dio, dunque, si sarebbe incarnato in ogni caso, anche senza il peccato, per ricevere la carità in mezzo agli uomini. Il peccato originale ha solo posto la necessità della sua morte e della sua passione ma non la necessità dell’incarnazione, che era già stata prevista da sempre nel piano di Dio.

È proprio questo il passaggio chiave che viene citato nello specifico per asserire che Ruperto è un sostenitore dell’incarnazione incondizionata.

258

Cfr. ibid, p. 415, ll. 689-694.

259

Ergo impii et scelerati causa fuerunt ei ut coronaretur et sederat a destri Dei, coronatus gloria regni, honore pontificii. Multum igitur debet impiis per fidem eius conversis, multum debet inimicis per ipsum Deo reconciliatis260.

Ruperto offre la parola all’uomo-assunto che ringrazia l’umanità peccatrice, poiché è grazie al peccato dell’uomo che il Verbo di Dio si è incarnato ed ha assunto l’uomo-Gesù. Seppure in un linguaggio che non è strettamente teologico, ma poetico ed esortativo, il dialogo descritto da Ruperto dà l’idea dell’esistenza di una natura umana, preesistente all’incarnazione, che il Verbo ha assunto ed ha elevato ad una dignità del tutto unica. Questa natura umana ringrazia l’uomo peccatore perché è per il tramite del peccato dell’uomo che ora essa si trova coronata di gloria ed onore. L’ambiguità di Ruperto a questo punto è duplice. Da un lato, sembra che esista una natura umana di Cristo precedente l’incarnazione, che viene presa e assunta dal Verbo. Dall’altro lato, il semplice fatto che Ruperto faccia parlare l’uomo assunto, nella sua natura umana, suggerisce l’idea che in Cristo ci sia quasi un’altra persona accanto a quella del Verbo, cioè quella della natura umana. Per un verso, dunque, l’uomo-assunto ringrazia il peccatore, perché è grazie al suo peccato che egli è stato assunto dal Verbo. In tal caso, l’incarnazione, la passione e la gloria tributata all’uomo-assunto è il ringraziamento per il coronamento di gloria, ottenuto grazie alla passione e resurrezione. Per un altro verso, anche senza il peccato il Verbo avrebbe assunto un uomo, ma la sua glorificazione non sarebbe stata così come è stata in forza del peccato. L’uomo- assunto, allora, ringrazia il peccatore perché il suo peccato gli ha tributato maggior gloria. Questa seconda interpretazione presenta, essa pure, delle difficoltà, perché i

260

termini usati da Ruperto non suggeriscono univocamente l’idea di un surplus di gloria proveniente dalla passione, bensì quella dell’incarnazione in quanto tale, ut

quid enim homo nullo praeunte merito in Deum assumptus est.

Adde quod tertio loco dictum est, qui

multos filios in gloriam adduxerat (Jo 1,3). Unus

enim et solus ipse Dei Filius erat, sed noluit solus remanere, immo voluit multos frates habere, quo set ante omnia saecula sibi conformes facere, id est, in gloriam filiorum Dei adducere praedestinaverat261.

Anche la creazione dell’uomo è stata pensata in Gesù Cristo, poiché l’uomo è stato creato per poter partecipare alla figliolanza adottiva in Gesù Cristo. Ruperto sottolinea così la centralità di Cristo nel piano salvifico di Dio e pone l’uomo in una posizione originaria. L’uomo, infatti, non è stato creato per rimpiazzare gli angeli decaduti, ma è stato pensato dagli inizi perché potesse partecipare in Gesù Cristo alla comunione con Dio Padre.

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