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Gradito è a maggior gloria chi più amore ebbe a Dio in terra, né l’invidia offende

l’un perché l’altro abbia più grande onore.

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Il sonetto risponde esplicitamente alla domanda che Michelangelo aveva posto alla Colonna nel madrigale 162: «Ora in sul destro, ora in sul manco piede / variando, cerco della mie salute. / Fra ’l vizio e la virtute / il cor confuso mi travaglia e stanca, / [5] come chi ’l ciel non vede, / che per ogni sentier si perde e manca. / Porgo la carta bianca / a’ vostri sacri inchiostri, / c’amor mi sganni e pietà ’l ver ne scriva: / [10] che l’alma, da sé franca, / non pieghi agli error nostri / mie breve resto, e che men cieco viva. / Chieggio a voi, alta e diva / donna, saper se ’n ciel men grado tiene / [15] l’umil peccato che ’l superchio bene» (COPELLO cds). L’intero sistema di parole-rima

stanca:manca:bianca:franca ritorna al maschile (stanco:manco:franco:bianco), si ripetono i termini piede (v.

6) e core (v. 10), mentre il sostantivo grado (v. 14 di Michelangelo) è qui ricordato etimologicamente in

gradito (v. 12). Michelangelo (partendo da Lc 15,7) chiede se in paradiso è meno premiato chi

umilmente ha riconosciuto il proprio peccato rispetto a chi ha operato con una bontà sovrabbondante. Vittoria prova ad assumere la prospettiva dell’eterno, là dove tutte le incertezze e i dubbi dell’uomo vivo sulla terra, ancora in cerca della propria salvezza, sono risolti nella pace del cielo (vv. 1-8). Qui le anime beate sono ancora accese per il desiderio di Dio, di cui sono insieme eternamente assetate ed eternamente saziate (vv. 9-11). Nella terzina conclusiva, dunque in perfetta corrispondenza con gli ultimi tre versi del mittente, giunge l’agognata risposta, che ribalta il punto di vista del Buonarroti: non bisogna guardare al peccato, ma all’amore. In paradiso vi saranno, insomma, delle differenze, ma, come scrisse sant’Agostino, «Alia est enim gloria solis, alia gloria lunae, alia gloria stellarum: stella enim ab stella differt in gloria; sic et resurrectio mortuorum. […] Non erit itaque aliqua invidia imparis claritatis, quoniam regnabit in omnibus unitas caritatis» (Tractatus in evangelium Iohannis, LXVII 2).

1. Beati voi: l’incipit è identico a quello del madrigale 134 di Michelangelo («Beati voi», seguito da relativa), in cui identico è pure il sospiro con cui si guarda alla condizione paradisiaca (BARDAZZI 2004; COPELLO cds).

2. afflitto e stanco: la dittologia proviene da Rvf, CCLVI 5 («Così li afflicti et stanchi spirti mei»), ma aveva conosciuto un’ampia diffusione anche nel petrarchismo quattro-cinquecentesco.

3. né… manco: ‘e il giorno non viene mai meno a favore della notte’. Il paradiso è perennemente illuminato dal sole di Dio (v. 4) e non conosce ombre e oscurità.

4. né… nutrica: in cielo le anime godono di una visione facie ad faciem con Dio, loro vero nutrimento, mentre in terra la vista degli uomini risente ancora del velo dovuto alla vita nella carne e al peccato.

5. laberinti: il labirinto è metafora topica della lirica per indicare l’impossibilità di abbandonare la passione amorosa. La Colonna se ne serve in più occasioni, nelle rime amorose (A1:25, 3-3: Giove «dal divin soglio al terren labirinto / si mosse») e in quelle spirituali; si veda in particolare S1:2, 2-3

(durante la vita terrena l’uomo è «intorno cinto / da mille lacci in cieco labirinto»), in cui la clausola è prelavata da Rvf CCXXIV 4, a segnalare la consapevole riscrittura spirtuale di un’immagine lirica. Il termine compare anche a LXVI 12, S1:166, 10-11 («non consuma / se stesso e ’l tempo in laberinto vano») e S2: 9, 5-8 («del vero albergo a se medesma serra / la porta, e tanto scende quanto sale / mentre fra le fallaci inutil scale / del labirinto uman vaneggia ed erra»).

6. sicuro e franco: ‘sicuro e libero’, è nuovamente una dittologia frequente nella tradizione letteraria (per esempio in Serafino Aquilano, Rime, LV 10 e LXXXIV 10; o Boiardo, Orl. Inn., II V 22,8). 7. sta in porto: le anime del paradiso, giunte alla meta, stanno già in porto, al quale gli uomini tendono ancora nel loro viaggio attraverso il mare della vita (cfr. LXXIX 8).

7-8. né… amica: ‘la vecchiaia non vi rende pesante la vita né vi rende desiderabile (amica) la morte’. Il sintagma pelo bianco per indicare la vecchiaia si trova in clausola anche in Ariosto,Orl. Fur., IV XXVII 7 e XIX LXXIX 4.

8. la morte amica: altro sintagma ariostesco, da Orl. Fur., V LXIII 8(«che più che vita ebbe la morte amica»).La vecchiaia, oltre che rendere faticosa l’esistenza, può addirittura far desiderare la morte.

9.Un sol foco: è soggetto (desio è complemento oggetto). Come la Madonna già durante la vita

terrena (LII 1), le anime salvate hanno ora un unico punto di interesse, Dio stesso, che le nutre (v. 4) con la sua presenza senza mai saziarle di sé. Anche Dante aveva scritto: «l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta» (Purg., XXXI 128-129), sulla scorta di Sir 24,29, in cui è la Sapienza che parla: «Qui edunt me, adhuc esurient, et qui bibunt me, adhuc sitient».

10. ange: ‘affanna’. Il verbo compare in rima già in Petrarca, come azione del fuoco sul cuore: «non edra, abete, pin, faggio, o genebro, / poria ’l foco allentar che ’l cor tristo ange» (VLVIII 5-6).

11. sazietà: ‘eccessiva abbondanza’. La fame e sete di Dio è, in cielo, finalmente soddisfatta e insieme continuamente ridestata. Il pieno godimento di Dio, quindi, non può generare alcun senso di sazietà, come esplicita santa Caterina da Siena: «Tu, Trinitá etterna, se’ uno mare profondo, che quanto più c’entro tanto più truovo, e quanto più truovo più cerco di te. Tu se’ insaziabile, ché, saziandosi l’anima ne l’abisso tuo, non si sazia, perché sempre rimane nella fame di te» (Dialogo della

Divina Provvidenza, CLXVII).

12-13. Gradito… terra: il concetto deriva dal passo evangelico sulla peccatrice (identificata per secoli con la Maddalena, personaggio così caro alla Colonna): «remittuntur ei peccata multa, quoniam dilexit multum. Cui autem minus dimittitur, minus diligit» (Lc 7,47); si trova anche nelle rime amorose della Marchesa: «e chi più L’ama qui più onora in Cielo» (A2:34, 11).

12. Gradito: ‘accolto’ (come a Rvf XXXI 2: «se lassuso è quanto esser dê gradita»).

13-14: né… onore: similmente a LXXII 4. Vi è forse un’«eco del canto di Piccarda Donati», (SCARPATI 2005), in Par., III 70-78: ««Frate, la nostra volontà quïeta / virtù di carità, che fa volerne / sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. / Se disïassimo esser più superne, / foran discordi li nostri disiri / dal voler di colui che qui ne cerne; / che vedrai non capere in questi giri, / s’essere in carità è qui necesse, / e se la sua natura ben rimiri».

13. l’invidia: oltre al già citato sant’Agostino, anche Michelangelo si serve di questo vacabolo per descrivere la relazione di amore priva di rivalità che è propria del paradiso: «La nostra etterna quiete, / fuor d’ogni tempo, è priva / d’invidia, amando, e d’angosciosi pianti» (Rime, 134, 5-7). offende: ‘affligge’.

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2 può far] far può; 6-7 piede, ma sicuro e franco / sta in porto] pie’, ma sta sicuro e franco / in porto; 8 la vita grave o ver la morte amica]

vecchiezza, al vaneggiar nostro nemica; 12 è a maggior gloria] a maggior gloria è

VALERIO 1990,p.159;BARDAZZI 2001,p.88;SCHURR 2001, p. 76; BARDAZZI 2004,pp.88e104;BRUNDIN 2005,p.152;SCARPATI 2005, p. 142; MARTINI 2014, p. 212; COPELLO cds.

XXXVI (S1:113)

Potess’io, in questa acerba atra tempesta