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Quel sol, che alluma gli elementi e ’l cielo, prego ch’aprendo il suo lucido fonte

mi porga umor a la gran sete eguale.

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Nel sonetto proemiale Vittoria Colonna traccia le linee del proprio percorso esistenziale: dopo le rime amorose composte per fama (v. 2, del marito, certo, ma soprattutto propria), la poesia assume ora una materia sacra (vv. 5-7) a servizio del prossimo (v. 8). Il Signore non è solo oggetto dei versi (v. 8), ma diviene fonte d’ispirazione (vv. 9-11) e persino materia scrittoria (5-7).

Nei componimenti d’apertura dei canzonieri di Petrarca e dei petrarchisti un elemento peculiare era il ravvedimento – nel presente – di una passata condizione di peccato, e il testo della Colonna non fa eccezione. Eppure, la poetessa non rinnega un’antica passione, perché il suo amore era casto (v. 1), ma si pente piuttosto della ricerca di gloria che ha nutrito dentro di sé il seme del male (vv. 2-3).

L’invocazione tradizionale alle Muse, a cui nemmeno Dante si era sottratto (Par., II, 7-9: «L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; / Minerva spira, e conducemi Appollo, / e nove Muse mi dimostran l’Orse»), viene qui recuperata al negativo: «chiamar qui non convien Parnaso o Delo» (v. 9). La poesia della Marchesa, infatti, non avrà niente da spartire con quella di ispirazione pagana, ma sarà la risposta ubbidiente alla grazia divina, che sola permette di raggiungere le nuove vette a cui la Colonna tende (v. 11).

Nel testo si trova più di un richiamo ai Fragmenta, ma la poesia della Marchesa è al pari intessuta di richiami scritturali. Sin dal suo principio, dunque, la raccolta vaticana mostra il proprio volto bifronte: da una parte la matrice petrarchesca, con le sue formule linguistiche, le sue immagini e i suoi topoi compositivi, dall’altra il sostrato scritturale, che dona una nuova vita a quel linguaggio secolare. 1. casto amor: l’amore coniugale che antepone le virtù dell’animo a quelle del corpo, come esplicitato in A1:62, 6-8: «…il nostro casto e vero / parrebbe forse amor falso e leggiero / se non fosser l’interne [doti] al cor più care». Il sintagma, che apparteneva già a Rvf, CCCLI 1-2 («Dolci durezze, et placide repulse, / piene di casto amore et di pietate»), torna significativamente a S1:146: Vittoria afferma che l’amore terreno è uno strumento nelle mani di Dio, che lo utilizza per attrarre a sé («Or veggio che ’l gran Sol, vivo e possente, / […] col mortal casto amor l’alma conduce / a la divina Sua fiamma lucente», vv. 1-4).

2. fama: il commento di CORSO 1543 registra una lezione assai differente per i vv. 1-2: («Il cieco honor del mondo un tempo tenne / l’alma di fama vaga»). Dando credito a questa variante, sembra che la fama a cui aspirava la Colonna fosse la propria (di poetessa e di amante fedele) piuttosto che quella del marito defunto. angue: il serpente, dalla Genesi in poi simbolo del peccato che cresce dentro l’animo.

3. nudrìo: il verbo (passato remoto con epitesi) rimanda – inevitabilmente – a «quei sospiri ond’io nudriva il core» del sonetto proemiale di Petrarca (Rvf, I 2).

4. volta al Signor: anche nel sonetto conclusivo della raccolta si ricorderanno gli «spirti […] in Dio volti ed accesi» (CIII 3-4), a indicare come la cifra della fede di Vittoria coincida con la direzione del

suo sguardo (cfr. VI 11 e il par. La fede). rimedio: la redenzione dal «peccato originale, attraverso il sacrificio del Salvatore» (PRANDI 1998).

5-8. I santi… sostenne: i chiodi, il sangue e il corpo esangue alludono a Cristo crocifisso. «La serie

penne-inchiostro-carta è già in Petrarca, CCCIX 8 (“Ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri”), sullo sfondo di 2Gv 1,12 (“per chartam et atramentum”) e di 3Gv 1,13 (“per atramentum et calamum”). Paolina la metafora (“epistola estis Christi, ministrata a nobis, et scripta non atramento, sed Spiritu Dei vivi: non in tabulis lapideis, sed in tabulis cordis carnalibus” [2Cor 3,3; cfr. anche la nota a LXXVIII, 12-14]), che sarà poi ripresa da Bernardino Ochino: «Christo adunque, trenta tre anni, continuamente spirando lume, & amore, & particularmente in su la croce, scrivendo sempre in spirito, usò per carta el core delle persone: per inchiostro lacrime, sudore, & sangue: per penna li chiodi, la lancia, & la croce» (Sermones, 1543, “Omnis qui confitebitur me”, Sermone 9, c. E3 v.)» (BARDAZZI 2016). La metafora aveva conosciuto una certa fortuna: si trova per esempio in una quattrocentesca

Canzona che fa uno Fiorentino a Carnasciale, sempre a descrivere un mutamento di materia poetica («Han

mutato un’altra cera, / penna, carta e fine inchiostro»; cit. in Canzona d’un piagnone 1864, p. 13). 5. le mie penne: le penne usate per scrivere.

6. prezïoso sangue: il sintagma appartiene a 1Pt 1,19 («Scientes quod non corruptibilibus, auro vel argento, redempti estis de vana vestra conversatione paternae traditionis: sed pretioso sanguine quasi agni immaculati Christi, et incontaminati»; PRANDI 1998), ma si trova anche in due inni molto diffusi nella liturgia: l’antico Te Deum laudamus («Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, / quos pretioso sanguine redemisti») e il Pange lingua attribuito a Tommaso d’Aquino («Pange, lingua, gloriosi / corporis mysterium, / sanguinisque pretiosi»). Viene poi ripreso per esempio nel Laudario Urbinate (O core mio dolloso, 98: «ke ’l sangue pretïoso») e nell’Imitazione di Cristo, IV IX 3 («salva animam meam, quam pretioso sanguine redimisti»). La Colonna lo utilizza anche nella Meditatione del Venerdì Santo: «Como non viene a lavarsi del puro pretioso sangue quella che con solo toccar la sacra fimbria fu monda de l’immonda infermità del sangue suo?» (p. 426).

7. vergata carta: COX 2013 osserva che il verbo descrive la carta in quanto ‘rigata’, pronta per la scrittura, ma anche in quanto ‘battuta’ a colpi di verga, come il corpo martoriato di Cristo.

7-8. e puro… esangue: due termini chiave di questi due versi compaiono anche in due madrigali di Michelangelo composti certamente per la Colonna (in vita il primo, in morte il secondo): «Porgo la carta bianca / a’ vostri sacri inchiostri» (162, 7-8); «Né metter può in oblio / benché ’l corpo sia morto, / i suoi dolci, leggiadri e sacri inchiostri» (265, 11. 11-13). L’inchiostro – cioè, per metonimia, la poesia – diventa esso stesso sacro in virtù del divino che ne è l’oggetto.

8. ad altrui: la variante del manoscritto vaticano (in luogo di nel cuore dell’edizione del 1538 e di per

me della Valgrisi) è indicativa della nuova posizione poetica della Colonna: da una dimensione

personale i suoi versi si aprono a un destinatario indefinito (il «gentil core» di CII, 12-14), rivolgendosi a lui implicitamente e assumendo un compito missionario (par. Le varianti). quel… sostenne: ‘sopportò’ (per la tradizione letteraria di questo verbo si veda la nota a LXXXVIII 3); quel che Cristo

sostenne fu la stessa Croce.

9. Chiamar… convien: «è inserto petrarchesco (LVI 14 [«huom beato chiamar non si convene»]), ma in un contesto che piuttosto richiama Dante e le sue invocazioni: “Or convien che Elicona per me versi” (Purg., XXIX 40)» (BARDAZZI 2016). Parnaso o Delo: il monte abitato dalle Muse e l’isola nativa di Apollo, dio della poesia – immagini dell’ispirazione pagana –rivelano la propria inadeguatezza nel sostenere la nuova poesia cristiana che la Colonna intende comporre.

10. ch’ad altra… monte: il medesimo concetto è ripetuto – con espressioni analoghe – a S1:2, 1-8: «L’alto Signor […] / prego che sia il mio Apollo, e gli occhi e ’l petto / mi bagni omai del Suo celeste fonte / sì che scopra altre muse ed altro monte / la vera fede al mio basso intelletto / e spiri l’aura sacra altro concetto / che renda al cor l’eterne grazie conte». BARDAZZI 2016 nota che la Colonna si richiama forse a Dante, Inf., III91-93 («Per altra via, per altri porti / verrai a piaggia») e Par., XXV 7 («con altra voce omai, con altro vello / ritornerò poeta e in sul fonte / del mio battesmo prenderò ’l cappello»), dove a tema è proprio un mutamento di poetica ed è esplicitamente chiamata in causa l’acqua battesimale, fonte di una nuova vita e di una nuova poesia. In altro contesto, anche Petrarca aveva utilizzato un lessico simile: «Altr’amor, altre frondi et altro lume, / altro salir al ciel per altri poggi / cerco, che n’è ben tempo, et altri rami» (Rvf, CXLII 37-39; SAPEGNO 2009). Ancora BARDAZZI 2016 ricorda le parole di «Joan Francesco Caracciolo, sestina Quella mia lieta dolce et blanda lyra, Amori, c. LXVIIIr (“Con altro stile ordire hogie le rime / con altra voce amor con altre tempre / chiamar lasso me lice il freddo lume»), o sonetto a c. LXXIVv: “Con altri remi hormai con altri venti / Per altro mar

convien solchar toa barca / con altre vele et d’altro peso carca”». altra acqua: «non l’acqua delle fonti Castalia, Ippocrene e Aganippe sul Parnaso, ispiratrici di poetico furor, ma quella del battesimo, che simboleggia la liberazione dal peccato» (PRANDI 1998). Anche Dante, per annunciare l’avvento di una nuova poesia, era ricorso alla metafora dell’acqua: «Per correr miglior acque alza le vele» (Purg., I 1; SAPEGNO 2003). altro monte: più che il monte Calvario (CHEMELLO 2104), si tratterà del Purgatorio, il monte a cui, dantescamente, l’uomo non può giungere per sé, essendo necessario che «de l’alto scenda virtù» (Purg., I 68), come la Colonna ribadirà in più occasioni; o forse, più genericamente, potrebbe essere il monte dove Dio abita, secondo una metafora cara all’Antico Testamento (Ps 23,3: «Quis ascendet in montem Domini?»; Is 2,3: «Venite, et ascendamus ad montem Domini»; Is 14,13: «In caelum conscendam, super astra Dei exaltabo solium meum; sedebo in monte testamenti»).

11. si poggia: ‘si sale’. u’: ‘dove’. per sé non sale: l’emistichio proviene da Rvf, CCCLIV 6: «dammi, signor, che ’l mio dir giunga al segno / de le sue lode, ove per sé non sale» (: eguale, come la Colonna al v.. 14); Boiardo ne ripete l’uso in campo poetico, ribadendo l’impossibilità di cantare le lodi della donna amata: «Chi troverà parole e voce equale / che giugnan nel parlare al pensier mio? / Chi darà piume al mio intelletto ed ale / sì che volando segua el gran desio? / Se lui per sé non sale, / né giugne mia favella / al loco ove io la invio, / chi canterà giamai de la mia stella?» (Am. Libri, I XV 1-8, anche qui in rima con equale). Bembo, invece, se ne serve per indicare il luogo in cui la sua amata lo sta conducendo: «la via di gir al ciel con fermo passo / m´insegna, e ’n tutto al vulgo mi ritoglie. / Legga le dotte et onorate carte, / chi ciò brama, e, per farsi al poggiar ale, / con lungo studio apprenda ogni bell’arte; / ch’io spero alzarmi, ove uom per sé non sale, / scorto dai dolci amati lumi, e parte / dal suono a l’armonie celesti equale» (Rime, CXXXVII 7-14, in rima con equale; si nota la presenza del verbo

poggiar). La Colonna, dunque, si rifà a entrambe le linee, quella letteraria di Petrarca e Boiardo e quella

più spirituale di Bembo, promuovendo la tematica religiosa a protagonista della sua poesia. Nelle rime spirituali, l’espressione si ritrova a S1:126, 1-4: «Lume del Ciel, che ne’ superni giri / Te ’n porti il cor per non vedute scale / ove nostro sperar per sé non sale, / né dassi ad uom mortal che a tanto aspiri» (PRANDI 1998); e il concetto è ribadito a S1:45, 9-11: «Non giungon l’umane ali a l’alto segno / senza il vento divin, né l’occhio scopre / il bel destro sentier senza ’l gran lume».

12. Quel sol… cielo: la Colonna fonde due passi petrarcheschi: «Voi, con quel cor, che di sì chiaro ingegno, / di sì alta vertute il cielo alluma» (Rvf, CCXL 9-10) e «Le stelle, il cielo et gli elementi a prova / tutte lor arti…» (Rvf CLIV 1-2). Per la metafora del sole-Dio si veda il par. Le metafore.

13-14. prego… eguale: la Colonna compone questi versi «sul fondamento scritturale di Gv 4,13 (“qui autem biberit ex aqua quam ego dabo ei, non sitiet in aeternum”) e 15 (con l’esplicita preghiera della Samaritana: “Domine, da mihi hanc aquam, ut non sitiam”). Analoga richiesta in S1:2, 1-4: “L’alto Signor […] / prego che sia il mio Apollo, e gli occhi e ’l petto / mi bagni omai del Suo celeste fonte”» (BARDAZZI 2016). Ma si veda anche Ps 41,2-3: «Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te, Deus. Sitivit anima mea ad Deum fortem, vivum; quando veniam, et apparebo ante faciem Dei?».

13. lucido fonte: l’immagine di Dio e della sua grazia come sorgente d’acqua viva attraversa l’intera Bibbia ed è frequente nelle rime della Colonna (lucido: ‘limpido’).

14. umor: ‘acqua’. sete: cfr. nota a VIII 6. L, Pa1, R; 38-39, 39Fi, 40-42/44-46G, 43, 46V

5 sian le mie] sieno mie; 8 ad altrui] per me; 14 eguale] equale

CORSO 1543,n. 3;CORSO 1558,p.398;BENRATH 1876,p.49;MAZZONE 1897,pp.45e104;WYSS 1916,p.210;CICINNATI 1929,p.85; CROCE 1931,p.28;SARRI 1947,p. 81; BARDAZZI 1991, p. 22; VECCE 1992,p.104;WEND 1995,pp.66,88,205 e 232;FERINO-PAGDEN SILVIA 1997,p.385;BARDAZZI 2001,p.85;SCHURR 2001, p. 71; CASAPULLO 2003,p.345;SAPEGNO 2003,pp. 37-39; ALBANELLI 2004, p.81;BARDAZZI 2004, pp. 85-86 e 101;JUNG-INGLESSIS 2004,pp.61e68;TOMASI 2004,p.616;BRUNDIN 2005,p.141;FORNI 2005, p. 82; SCARPATI 2005, p. 130;BASSANESE 2007,p.272;LO SAURO 2007,p.194;BRUNDIN 2008,p.82;PRANDI 1998,p.802;FORNI 2009,p. 222;LAURENTI 2009,pp.574-575;MORONCINI 2009,p.51;GIRARDI 2010,pp.151-152;SAPEGNO 2009,p.170;COX 2013,p.192; MUSIOL 2013, p. 235; COPELLO 2014,pp.104-106;CHEMELLO 2014,pp.112-113;MARTINI 2014, p. 160; BARDAZZI 2016;SAPEGNO 2016;GIRARDI cds.

II (S1:5)

Con la croce a gran passi ir vorrei dietro