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5.1. Disputa storica e grammatica tradizionale
5.2.2. Grammatica normativa
La descrizione linguistica più antica che possediamo è quella del sanscrito classico (IV sec. a.C.). Pānini utilizza, per la sua descrizione, fonti scritte della lingua classica e propone
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questa come norma linguistica (bhasa), anche se, all’epoca, la lingua si era già ben allontanata dalla sua forma classica. Per Pānini qualsiasi altra forma linguistica che non rientrava in questa norma era considerata sbagliata.
La tradizione grammaticale greca seguiva la stessa evoluzione. Nel periodo alessandrino veniva, infatti, composta da Dionesio Oraca (100 a.C.) la grammatica del greco classico, proposta come prototipo linguistico. Questa grammatica nasceva dal desiderio di creare uno strumento per lo studio filologico della lingua greca classica, mentre si diffondeva l’idea di farla rivivere. Successivamente, Dionisio Trace (170-90 d.C.) distinse le otto parti del discorso e fondò la morfologia. In Italia, la grammatica di Prisciano (300 d.C.), “Institutiones Grammaticae”, si rifaceva sul modello greco e, in seguito, sarà considerata come grammatica esemplare, non solo nel Medioevo ma anche per il Rinascimento e oltre. Nel Medioevo e nelle epoche successive, la grammatica latina diventò il punto di riferimento d’ogni considerazione sulla lingua.
Queste grammatiche erano ideate sulla base della tesi aristotelica secondo la quale il linguaggio rispecchiava il pensiero e il pensiero è uguale in tutti gli uomini. Il filosofo affermava che al di sotto delle particolarità delle varie lingue, esiste la “sostanza”, cioè una struttura di base comune per tutte le lingue. Una volta individuata questa, bisogna determinare le caratteristiche particolari di ogni lingua. La cosiddetta Grammaire di Port- Royal, pubblicata nel 1660, riprende e sviluppa l’idea di Aristotele secondo cui il linguaggio umano è del tutto sottomesso al pensiero. La stessa idea è alla base dell’analisi logica usata ancor oggi comunemente nell’insegnamento delle lingue. Questo tipo di grammatica è chiamato “razionale”. Su questa linea si tende a credere che la lingua scritta letteraria sia più corretta della lingua parlata e a lungo si è concepito come compito del grammatico quello di preservare questa forma linguistica dalla corruzione. Di conseguenza, le grammatiche sono tradizionalmente strutturate sulla base di regole prescrittive che, in pratica, prescrivono o impongono al parlante il modo in cui si presume che la lingua debba essere scritta o parlata. Le norme individuate non sono altro che un tentativo di concretizzare (o mettere per iscritto) ciò che fa parte del nostro pensiero. È anche vero che si tratta comunque di un tentativo del tutto umano. Quindi s’immagina solo la sua esistenza e c’è sempre la possibilità d’errore. L’irregolarità linguistica in questo periodo era considerata in maniera seguente:
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Tutto ciò che non rientra nella norma, ma è considerato allo stesso tempo corretto costituisce anomalia linguistica, irregolarità o eccezione, comunque non si cerca di dare nessun tipo di interpretazione.
Le regole prescrittive sono, in realtà, piuttosto regole di stile che di grammatica. Sebbene questa definizione contenga una certa verità, bisogna sottolinearne alcuni limiti. La descrizione grammaticale era basata sulla lingua scritta non parlata, infatti, nella lingua parlata si tende a regolarizzare, ma ci vuole un periodo perché questa regolarizzazione sia accettata dal codice linguistico ufficiale. Infine, questa grammatica non prende in considerazione il cambiamento linguistico. La linguistica diacronica, ovviamente, non può spiegare le forme irregolari in un dato momento sincronico, ma è utile per spiegare come siano state tramandate, dal punto di vista storico. La grammatica normativa, o prescrittiva, è quindi quella che stabilisce come si deve dire e come, invece, non si deve dire (o scrivere). Quello che la grammatica normativa vieta è di grande interesse per il linguista, perché ciò che è vietato rivela le tendenze spontanee e naturali della lingua, che il grammatico normativo ‘condanna’ per scopi di eleganza o di regolarizzazione dei paradigmi, o degli schemi sintattici. Quello che interessa al linguista è la descrizione della lingua così com’è, nella convinzione che quello che appare ‘irregolare’ nasconde regolarità meno evidenti cioè prima di dare una definizione del genere, bisogna accertare se veramente si tratta di forme anomale non prevedibili, oppure se rientrano a qualche tipo di (sotto) regola, ancora da definire.
La linguistica nel XIX sec. ha dato la possibilità di affrontare i fenomeni linguistici sotto altri aspetti, e rompere così certe credenze tradizionali. Ci si è resi conto che la conoscenza e l’analisi linguistica vanno oltre la costituzione arbitraria della norma. La linguistica storico- comparativa, poi, mette in rilievo un tratto importante comune a tutte le lingue, e cioè il cambiamento. Le lingue sono paragonate a organismi viventi che cambiano secondo i principi e, quindi, la norma linguistica non è una cosa fissa e stabile, ma ha un carattere piuttosto dinamico. Questo fa sì che le forme linguistiche siano in continua trasformazione. Questa posizione porta un nuovo contributo alla definizione dell’irregolarità:
Le forme linguistiche non previste dalla norma non costituiscono né anomalia né irregolarità ma sono una procedura del tutto naturale che porta le lingue da una fase di evoluzione all’altra (Lyons 1971:47).
Questa definizione non contraddice la definizione tradizionale della regola e dell’anomalia, ma cerca di dare un’interpretazione storica alla presenza dell’anomalia linguistica. L’anomalia
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si attribuisce, infatti, alla natura stessa del linguaggio e alla sua tendenza a cambiare attraverso il tempo. Nonostante sia vero che esistono delle forme considerate residui di un sistema linguistico precedente, l’anomalia non può essere spiegata solo in termini storici, perché non è un fenomeno che persiste, ma è un fenomeno che può anche emergere. Inoltre la linguistica storica non può fornirci delle spiegazioni di tipo sincronico, dal momento che il parlante non conosce la storia della propria lingua.