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Regola e produttività

22 funzioni costanti: aggiunta mia

5.4. I tratti della regola

5.4.4. Regola e produttività

Un concetto spesso collegato alla regolarità è la produttività. In questo paragrafo cercheremo in primo luogo di chiarire la natura della produttività e determinare, in secondo luogo, il suo rapporto con la regolarità linguistica. Si dice che una regola morfologica è produttiva quando può essere utilizzata liberamente per ogni lessema che rispetta le condizioni per le quali tale regola può essere applicata.

Un’altra prova della produttività della regola è costituita dal fatto che può essere applicata non solamente alle parole già possedute nel lessico del parlante. Quest’ultimo è in grado di usare una forma in una funzione regolare, anche se non ha mai udito la forma risultante: per esempio può pronunciare una forma come foxes, per esempio, anche se non ha mai udito prima questo plurale, in particolare. È, invece, in grado di usare una forma in una funzione irregolare, solo se l’ha sentita usare proprio in quella funzione: infatti, la forma

oxen è usata soltanto da chi l’ha sentita pronunciare da altri parlanti. Nella descrizione di una lingua, quindi, le funzioni regolari valgono per l’intera classe formale. Hocket (1958) afferma:

The productivity of any pattern-derivational, inflectional or syntactical- is the relative freedom with which speakers coin new grammatical forms by it.

Per capire questo concetto, passiamo ad un esempio empirico anch’esso tratto dall’inglese. L’inglese utilizza, nel suo sistema, una varietà di modi per marcare il plurale dei sostantivi. Per dimostrare ciò Bauer (2001) ha scelto un gruppo di parole come: cats, dogs, horses,

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oxen, deer, mice, hippoptami, cherubim ecc. Il modo produttivo di formazione del plurale inglese è considerato quello con la realizzazione dell’esponente -s- alla radice. L’aspetto produttivo di questa formazione flessa è dimostrato dal fatto che i parlanti nativi inglesi hanno la capacità di pluralizzare i sostantivi, mai incontrati prima, a partire della forma singolare. Berko Gleaso (1958) dimostra che bambini, di età inferiore a cinque anni, hanno potuto produrre accuratamente la forma plurale di una parola come wug cioè wugs

utilizzando l’allomorfo appropriato /z/. Bauer mise in prova la produttività di questo morfema inventando una serie di parole sul modello dei tipi di plurale descritte sopra. Si assume allora che un parlante nativo inglese incontra le parole seguenti. Si tratta di parole non note ai parlanti inglesi.

argaz, “specie di cestino”

brox, “parte del disco rigido del computer”

ceratopus “tipo di dinosauro”

La domanda che si pone è come il parlante inglese realizzerà la forma del plurale: ci si aspetta di trovare argazzes, smicks, broxes, ceratopuses, e cheppies. Il sostantivo argaz è di provenienza ebraica e in ebraico prende il suffisso -im come marca del plurale. In inglese è usato raramente questo tipo di plurale, per esempio in cherubim, seraphim, kibbutzim.

Quindi l’utilizzo del suffisso -im presuppone che la parola argaz sia connessa con l’ebraismo e che il parlante sa riconoscere il suffisso -im come marca del plurale in ebraico. Tutto ciò richiede uno status cognitivo che va oltre la competenza linguistica del parlante; per questo motivo ci si aspetta che il parlante utilizzi la forma regolare in -s. Per quanto riguarda la parola brox, ci si potrebbe aspettare anche una forma analogica con ox, ma il parlante inglese preferisce il modello offerto da box, cox, fox. La parola ceratopus è di origine latina. Queste parole formano il plurale con il suffisso -i e per questo si trovano in inglese alumni, foci, fungi, gladioli, nuclei, stimuli ecc. Si trovano, però, anche parole come campuses, choruses, isthmuses polyanthuses, viruses, ecc. dove il plurale è stato regolarizzato sul modello inglese. In questi casi il plurale in -i è una probabilità.

Come si intravede da questa analisi, solo il plurale in -s è normalmente utilizzato nelle parole nuove, anche se non è l’unico. Benché si possa sostenere che il suffisso -s è la marca (più) produttiva per formare il plurale in inglese, risulta troppo semplicistico affermare che le forme consuete sono formate tramite regole, mentre marche non produttive risultano elencate nel lessico (Bauer: 2-5). Esistono, infatti, sistemi linguistici di maggiore complessità.

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Per comprendere meglio l’affermazione appena fatta, consideriamo un caso tratto dalla lingua italiana. In italiano, come in inglese, ci sono diversi modi per formare il plurale. Da una ricerca ultimata da Paolo D’Achille, risulta che in italiano esistono almeno sei modi per formare il plurale.

Tabella 5.1. Classi flessive nominali in italiano (D’Achille/Thornton 2003, con integrazioni)

Classe Forma (sg./pl.) Esempio Genere prev.te

Classe 1 -o/-i libro/libri M

Classe 2 -a/-e casa/case F

Classe 3 -e/-i fiore/fiori

cantante/cantanti m/f

Classe 4 -a/-i poeta/poeti M

Classe 5 -o/-a uovo/uova sg. m, pl. f

Classe 6 varie; inv.le rè, grù, città, virtù ecc. m/f

La situazione italiana, infatti, è diversa da quella inglese. In inglese sembra che ci sia solo una classe produttiva, in italiano ci sono tre classi le quali, da quanto appare dalla stima quantitativa della tabella 5.2., sono tutte abbastanza produttive.

Tabella 5.2. Percentuale di nomi in ciascuna classe (types e tokens)

Classe Forma (sg./pl.) BDVDB

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(types/4500) Corpus (tokens/5000)

Classe 1 -o/-i 37.7% 33,8

Classe 2 -a/-e 34.4 32,1

Classe 3 -e/-i 20.8 24,6

Classe 4 -a/-i 1.3 1,2

Classe 5 -o/-a 0,3 1,1

Classe 6 varie; inv.le 5,4 6,1

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Dai dati esposti nelle tabelle precedenti sembra che non sempre ci sia una divisione netta tra regola produttiva e regola non produttiva, ma che ci siano livelli diversi di produttività. Infatti, le prime tre classi sono percentualmente vicine e non sembra che ci sia una distinzione netta tra classe attiva e classe non attiva (Pike 1967: 170) parla di flessioni semi- attivi:

There may, in fact, be a progressive gradation from higly active to completely inactive, with a number of stages between.

Matthews (1974: 52) usa, invece, il termine semi-produttivo: occorre puntualizzare che la frequenza non è la definizione della produttività ma è un fattore che determina l’alta produttività e bisogna chiarire che non esiste un accordo tra gli studiosi sulla domanda di che cosa sia produttivo. Alcuni studiosi affermano che sono alcuni suffissi ad essere produttivi. Per altri, sono i processi morfologici (Anderson 1982: 585) o le regole (Aronoff 1976: 36). Le differenze di questi punti di vista sono abbastanza sottili. La regola, per esempio, altro non è che la formalizzazione delle modalità di un processo.

Per quanto riguarda il rapporto tra regola e produttività, la maggior parte degli studiosi è d’accordo che ogni vasta generalizzazione, chiamata anche default, è produttiva. Esistono anche forme grammaticali costruite tramite regole che, però, possono non essere produttive. Per esempio, la terza coniugazione dei verbi italiani, che è completamente regolare, non è più utilizzata per costruire forme nuove. Inoltre, la produttività di una Regola non può essere identificata semplicemente sulla base della frequenza con la quale essa si applica. È necessario prendere in considerazione le restrizioni morfologiche sulle parole che possono costituire la base di una certa Regola. A volte, le regole produttive non possono essere applicate in tutti i casi. Per esempio, il prefisso produttivo un-, in inglese, è applicato agli avverbi e aggettivi con valore positivo; unwell, unloved; se si tenta di applicare la stessa regola agli aggettivi con valore negativo, l’output è malformato (*unill

*unhated). Di conseguenza, non si può parlare di produttività in senso assoluto, ma piuttosto della produttività di una regola relativa ad una classe di basi. Quindi la possibilità di applicazione ad una grande varietà di basi non rende necessariamente produttiva la regola.