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104 Grandi scrittori, filosofi e musicisti ne sono stati emblematici nella storia

della cultura, da Herder, a Hölderlin, da Nietzsche a Wagner ed in particolare al suo “Tristano”.

105 Cfr. a tal proposito la teoria di Kurt Gödel (nota come l’ universo di Gödel )

relativa alla scoperta da parte dello scienziato, di un “universo relativisticamente possibile [in realtà un insieme di tali universi] nel quale la geometria del mondo è così estrema da contenere percorsi nello spazio- tempo impensabili in universi più familiari come il nostro” ; in P. Yourgrau, Un mondo senza tempo, cit, pp. 139-140

106 Cfr. sull’argomento: Robert Graves, I miti greci, Ed. Longanesi & C , Milano,

1963, pp. 645- 652, 913-923. Dell’ultima e più ardua fatica di Eracle, quella di catturare il cane cerbero nel Tartaro, scrive nel commento esplicativo Clara Gallini: “la versione che ci è giunta è la logica conseguenza della divinizzazione di Eracle:

L’intuizione poetico-musicale nello spazio quadridimensionale 107

tridimensionale simbolizzata nel mitico ‘voltarsi’, che fa perdere Euridice ad Orfeo, così come il risveglio distrugge il sogno o lo sforzo di dar forma reale all’intuizione tormenta umanamente l’artista. Che Euridice sia viva agli

Inferi non è realmente plausibile, e, se ipoteticamente il tutto avviene in una dimensione “relativa”, non è solo, eticamente, l’atto della disobbedienza al dovere della fede a farla svanire per sempre alla vista di Orfeo, ma il richiamo temporale 3-d insito nell’idea di inesorabilità del limite, in quella subita

dementia, improvviso furor, follia che nella narrazione di Virgilio107 coglie l’amante ormai all’uscita dalle tenebre. Viene anche da chiedersi se, in quell’attimo fatale, egli avesse interrotto il suono della lira, guida di Euridice lungo l’oscura voragine, perché starebbe a significare un ulteriore elemento di permeabilità della musica tra il 3-d e il 4-d: al tacere del medium musicale scompare il contatto 4-d: a perdurare per l’uomo, sarà solo l’idea mitica. Diverso il viaggio dantesco, sogno o piuttosto viaggio della mente, non dimentico dell’umano (3-d) e rivolto alla contemplazione di Dio; Dante è presente nella fase 3-d, le anime che lo attendono sono in una dimensione 4-d, ma non scompaiono: esse infatti vivono in uno spazio di eventi coesistenti e l’incontro con il sommo Poeta è perciò interpretabile come un’intersezione nella geometria dello spazio-non euclideo einsteiniano tra la traiettoria 3-d del Poeta e il loro eterno fluire quadridimensionale.

E’ comunque simbolico che nel mondo degli antichi miti situati in vari tempi e spazi, ogni qualvolta compare la morte, sorga un canto, segno del sottile filo avvertito fin dai più lontani recessi dell’umanità di un’unità tra la musica e il non “esserci”: “Il cigno canta prima di morire”.108

4.3 Il sogno. Esso appare all’artista come fuga dalla realtà, rifugio o

possibilità di un’esistenza alternativa, avvicendandosi sovente alla follia, reale od apparente, vista ambiguamente come stato immaginario: ne sono divenuti emblematici artisti quali Pedro Calderón de la Barca con La vida è sueño,

un eroe doveva rimanere nell’Oltretomba, ma un dio ne sarebbe fuggito portando con sé il suo carceriere[…]”, p. 649 (1). Quanto ad Odisseo, veleggiò verso l’isola di Eea, luogo ove la morte tesse e canta, fu guidato dalle parole magiche di Circe che al suo ritorno gli disse: “Quale ardire hai mostrato visitando la terra dell’Ade! […] Una sola morte spetta alla maggior parte degli uomini, ma tu ora ne avrai due! “. Nella nota l’Autrice avverte ancora che se gli uomini trasformati in animali fanno pensare alla teoria della metempsicosi, tuttavia, essendo il porco (animale in cui sono trasformati i compagni di Odisseo) particolarmente sacro alla dea della Morte e poiché essa li nutre con le corniole di Crono, rosso frutto dei morti, è probabile che si trattasse solo di ombre. Cfr. p. 923 (5).

107Virgilio (Georgiche, IV)

108 Claudia Colombati – ParteII-B

William Shakespeare della cui grandezza fantastica ebbe a dire il filosofo che “mostra la danza delle sofferenze umane (non naturalisticamente)”109; e così ancora Caspar Friedrich nei suoi estatici notturni pittorici, Friedrich Hölderlin tra anelito e presentimento, Luigi Pirandello nell’Enrico IV, Marc Chagall nello charme misterioso e onirico di alcuni suoi quadri, base di un incontro tra reale e irreale che diverrà surrealismo.

In tale concezione sembra rifluire la relatività del mondo percettibile, come Schopenhauer riconosce nella visione orientale del velo della Maja posato sugli occhi dei mortali110, un mondo che è come un sogno e del quale non si può dire

né che esso sia né che non sia: esistenza effimera, apparizione, rappresentazione. Nietzsche, accostandosi al pensiero schopenhaueriano, ma inserendo nell’impostazione del filosofo tedesco le due componenti dell’apollineo e del dionisiaco, entrava nella complessa questione del sogno e dell’arte contemplando uno sdoppiarsi della realtà nella dimensione dell’illusione rappresentativa:

“Se noi ci raffiguriamo colui che sogna e vediamo come egli, in mezzo all’illusione del mondo del sogno e senza turbarla, dica a se stesso: ‘ è un sogno, voglio continuare a sognarlo’, se dobbiamo dedurre da ciò un profondo, intimo, piacere nell’intuizione del sogno, se d’altra parte, per poter comunque sognare con questo piacere interiore della contemplazione, dobbiamo aver completamente dimenticato la veglia e il suo terribile assillo, allora possiamo forse, con la guida di Apollo, interprete dei sogni, spiegarci tutti questi fenomeni nel modo seguente. Sebbene delle due metà della vita, quella della veglia e

quella del sogno, la prima certo ci sembri senza paragone la privilegiata, la più importante, più degna, più meritevole di essere vissuta, anzi la sola vissuta, io vorrei tuttavia, nonostante ogni sospetto di paradosso, affermare proprio l’opposta valutazione del sogno, riguardo a quel misterioso fondo del nostro essere di cui siamo l’apparenza. Quanto più scorgo nella natura quegli onnipotenti impulsi artistici e in essi un fervido anelito verso l’illusione, la liberazione attraverso l’illusione, tanto più mi sento spinto alla supposizione metafisica che ciò che veramente è, l’uno originario, in quanto eternamente soffre ed è pieno di contraddizioni, ha nello stesso tempo bisogno, per liberarsi continuamente, della visione estasiante, della gioiosa illusione: illusione che noi, completamente dominati da essa e di essa consistenti, siamo costretti a sentire come ciò che veramente non è, ossia come un continuo divenire nel tempo e nello spazio e nella causalità, in altre parole come realtà empirica. Se dunque