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19 L Geymonat, cit., p

4. Sören Kierkegaard: dall’Idea all’ ebbrezza.

Il filosofo danese nel suo scritto La Ripresa, dà una sorprendente e significativa interpretazione dell’Idea che appare molto vicina, seppur in visione filosofica ma non sistematica, alla dimensione totalizzante del pensiero vissuto come 4-d -attrazione irresistibile ed inspiegabile- e come naturale distacco dal 3-d:

“Io appartengo all’idea. Quando l’idea mi fa cenno da lungi, io mi alzo e la seguo, quando mi fissa un incontro io aspetto giorni e notti intere, nessuno mi chiama per il pranzo, nessuno mi attende per la cena. Quando mi chiama, io lascio tutto, o meglio dire io non ho niente da lasciare, io non deludo nessuno, io non rattristo nessuno con la mia fedeltà, né il mio spirito deve rattristarsi nella compassione. Quando io torno da questi incontri, nessuno legge nel mio volto,

93 Cfr. L. Wittgenstein, Pensieri diversi (Vermischte Bemerkungen), cit., p. 127,

L’intuizione poetico-musicale nello spazio quadridimensionale 101

nessuno scruta il mio aspetto, nessuno sollecita da me spiegazioni che io stesso non potrei dare, perché non saprei dire se io sulla vetta della più alta felicità o nell’abisso della miseria, non so se abbia vinto o perduto la vita. Ecco di nuovo mi si porge la coppa dell’ebbrezza, ne respiro il profumo, già ne sento la musica spumeggiante. […] Viva il volo del pensiero, viva chi rischia la vita nel servizio

dell’idea, viva il pericolo della lotta, viva la solenne felicità della vittoria, viva la danza nel vortice dell’infinito, viva l’ondata che mi trascina nel fondo degli abissi, viva l’ondata che mi lancia alle stelle! ” 94

Tali espressioni che sembrano precedere nel pensiero kierkegaardiano le concezioni del dionisiaco e dell’ebbrezza nietzscheani, così come alcune idee di Aleksandr Skrjabin, possono essere interpretate nella direzione di considerazioni più profondamente connesse al pensiero scientifico allargato in senso filosofico.

In tal modo anche le parole o gli atteggiamenti di alcuni artisti cessano di apparire come fenomeni visionari per assumere una diversa consistenza. Si cita, ad esempio, la testimonianza di George Sand in un passo de l’ Histoire de ma

vie che descrive come Fryderyk Chopin a Majorca, malato, preso nella morsa di solitudini inquietanti, creasse in uno stato di semi incoscienza:

“Egli stava suonando come annichilito, e quando li vide entrare, urlò con il viso stralunato: ’Ah! Lo sapevo che eravate morti!” Riavutosi mi confessò “ che, mentre ci attendeva, aveva visto tutto come in un sogno, senza più distinguere il sogno stesso dalla realtà”. Poi si era calmato, sonando, “persuaso di essere morto egli stesso. Si era visto annegato in un lago, mentre pesanti gelide gocce d’acqua gli cadevano a intervalli regolari sul petto; e quando gli feci notare che le gocce d’acqua cadevano effettivamente e regolarmente sul tetto, egli negò di averle sentite. Si adirò, anzi, perché io usai l’espressione ‘armonia imitativa’.[…]” “E aveva ragione” -ella scrive- poiché “il suo genio era pieno delle misteriose armonie della natura, tradotte, nel suo pensiero musicale, da sublimi equivalenze […]”.95

A conferma di quanto narrato dalla scrittrice, un passo simile si trova nell’Epistolario96 chopiniano in un breve messaggio inviato dal compositore a

94 Sören Kierkegaard, La Ripresa, Edizioni di Comunità, Milano 1954, p. 119 95 George Sand, Histoire de ma vie, IV, Paris 1926, Calamann Lévy, pp. 439-440

e G.Sand, Un hiver à Majorque, Paris 1869, Michel Lévy, pp.177-181. Cfr. inoltre G. de Pourtalès, cit., pp.112-113 e G. Belotti, Il problema delle date dei

Preludi di Chopin,, cit., pp. 235-237. Oltre al Preludio n..15, si è pensato anche al n.

6 in si minore, al n. 8 in fa diesis minore o al n.. 17 in La bemolle maggiore.

96 Cfr. Fryderyk Chopin, messaggio a Solange Clésinger da [Johnston Castle] [9

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Solange Clésinger a continuazione di una lettera a Wojciech Grzymała del 4-9 settembre 1848: come quella sera alla Certosa di Mallorca, anche ora, nel Johnston Castle, mentre suonava la Sonata in si bemolle minore, egli era stato turbato da analoghe visioni .

Questi passi sono stati vagliati attraverso analisi di tipo estetico, psicologico, psicoanalitico, ma nulla toglie al fatto che si possa porre l’accento su quelle

sublimi equivalenze quali fenomeni della vertigine creativa esperita in un’ altra dimensione.

L’artista percepisce il dolore del limite temporale anche oltre il naturale timore della morte umana: esso diviene motivo profondo dell’arte, quale tentativo, o modo vero e proprio, di trascenderlo sia nella creazione che nell’interpretazione. Nel creare artistico l’essere si manifesta come esserci ossia, traslando, il 4-d si rivela nel 3-d.

Riprendendo il pensiero di Schopenhauer, ne consegue che la musica

rimanda ad immagini e ricordi per “coesistenza”spazio-temporale, laddove la memoria assume il carattere della relatività nel più limitato significato galileo- newtoniano (come sistema di riferimento):

“Il godimento del bello, il conforto che l’arte può dare, l’entusiasmo dell’artista, che gli fa dimenticare i travagli della vita, unico privilegio del genio, il solo che lo compensi del dolore cresciuto di pari passo con la chiarità della

coscienza, e dalla squallida solitudine fra una gente eterogenea, -tutto ciò

poggia sul fatto che, come ci si mostrerà in seguito, l’in-sé della vita, la volontà, l’essere medesimo sono un perenne soffrire, in parte miserabile, in parte orrendo; mentre l’essere medesimo quale semplice rappresentazione, puramente intuita, o riprodotta dall’arte, libera da dolore, offre un significante spettacolo. Quest’aspetto del mondo puramente conoscitivo, e la riproduzione sua in un’ arte qualsiasi è l’elemento dell’artista. Egli è incatenato dallo spettacolo

dell’oggettiva volontà: vi si indugia, non si stanca di guardarlo e di riprodurlo, e talora ne fa egli medesimo le spese, ossia egli medesimo è la volontà, che in quel modo s’oggettiva e perdura in continuo dolore. Quella pura, vera e profonda conoscenza dell’essere del mondo gli si fa scopo di per se stessa: ed egli a lei si ferma.[…]” 97

Nella II delle “Considerazioni Inattuali” Nietzsche esprimeva l’angoscia del tempo, la possibilità di obliare il passato:

Parigi, recante l’indicazione (Iniziata il) 4 settembre, Johnston Castle, a 11 miglia da Glasgow (finita il 9 settembre 1848), in Fryderyk Chopin, Lettere, (a cura di Va- leria Rossella), Il Quadrante Edizioni, Torino 1986, pp. 266-270.

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“L’uomo, invece, ricorda, -e questo è forse il suo carattere ontologico più specifico-. Un carattere, che è una condanna -o almeno una gravissima minaccia. Obbligato a ricordare (a fare storia), l’uomo rischia infatti di essere schiacciato dal passato. La sensazione del tempo -del tempo che passa e cambia e distrugge- può divenire una paralizzante ossessione. L’esistenza

umana può configurarsi come ‘un essere stato senza interruzioni, una cosa che vive del negare e del consumare se stessa’ ”. 98

Valore negativo quindi del passato rispetto al tempo infinito: si vive nel tempo solo perché ancorati a Mnemousine, in quanto, tramite la memoria, capaci di proiettare un futuro immaginario dandogli tuttavia un senso già compiuto (3- d); ma, tramite la potenza dell’oblio, se svincolati dal passato, è possibile essere in un presente infinito?

L’individuo nella sua dimensione umana stenta ad accettare razionalmente l’ineluttabile declino fisico; la riflessione si sposta allora sull’entità del pensiero che si corrompe solo nella sua parte materiale come 3-d (nelle sue patologie e nella sua deterministica dissoluzione). In tale consapevolezza sorge nel grande

artista la volontà di una rottura col normale modo di percepire gli eventi e di reagire ad essi ed è dalla base etica, massima fonte dell’aspirazione all’assoluto, che scaturisce l’esigenza dell’alterazione indispensabile della coscienza: ne deriva al genio, attraverso il dolore della mente, la possibilità dell’ innesto in un’altra visione dimensionale.

Con un passo ulteriore nel mondo della poesia, appare il valore della metafora: secondo Samuel Taylor Coleridge, nell’originarsi della creatività, il poeta inventa espedienti immaginari; il dinamismo del sentimento conduce sia alla visione individuale dell’artista che a quella filosofica dell’Assoluto in sé, dividendosi quindi tra soggettivo e oggettivo. Nella “visione” della mitologica allegoria poetica di John Keats, ad esempio, la metafora compare emblematicamente nella poesia in tutta la sua potenza di astrazione ad esprimere una sintesi di intuizione-conoscenza:

“Al che sorse / in me una facoltà di conoscenza immane / [facoltà] di vedere come vede un dio, e di cogliere l’essenza / delle cose con la rapidità con cui l’occhio corporeo / discerne dimensione e forma. L’alto tema / a quelle poche parole si stese ampio alla mia mente, / con il [solo disegno] a metà spiegato. Mi

98 Sergio Moravia, Introduzione in Friedrich Nietzsche, Considerazioni Inattuali

(II) “Sull’utilità e il danno della storia per la vita [UD] 1874“, Newton & Compton editori, Roma 1993, pp. 85-86, F. Nietzsche, [UD], pp. 99-101.

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misi all’erta / come un’aquila, per poter vedere, / e, una volta veduto, mai dimenticare”.99

Ma proprio perché il passato in quanto tale più non ci appartiene, si è costretti ad immaginarlo o ad interpretarlo storicamente alla luce dei fatti. Nel nostro vissuto esso esiste solo come riflesso della memoria, a carattere istantaneo o in diverse dimensioni di tipo onirico: laddove appare un filo conduttore, inevitabilmente entra anche l’interpretazione narrativa necessaria a ricrearlo nella coscienza del finito. Riandando in tal senso al pensiero creativo di Marcel Proust, sovviene quanto egli afferma nella Recherche in riferimento al passato che non si potrà attualizzare “qu’après l’avenir” ed inoltre a quella memoria che apporta “quelque chose qui, commun à la fois au passé et au présent, est beaucoup plus essentiel qu’eux deux…un peu de temps à l’état pur”.100

“Lungo il suo fluire, -scrive il Magnani- la narrazione proustiana, non diversamente da una melodia, tenderà a sollevarsi sul puro divenire, a spogliarsi degli elementi secondari, a lasciar intravedere l’alveo in cui scorre, la struttura ideale ed armonica che le soggiace, gli elementi della sintesi che gradualmente si renderà manifesta nel tempo e sul tempo”.101 La musica infatti, “isolando il Narratore da ogni suo rapporto con la vita e col mondo, suscita in lui una gioia che più di ogni altra assomiglia a quell’entusiasmo che, sottraendolo al tempo, collocandolo nell’intemporale, gli dà la prova che esiste qualcosa d’altro che il

99 John Keats, Poesie, Introduzione di Vanna Gentili, Giulio Einaudi editore,

Torino 1983, cfr. p. XXXI.

100 Marcel Proust, da La prisonnière (1923), I, p.117 e dal Temps retrouvé, II, p.

15. Cfr. Luigi Magnani, La Musica in Proust, Giulio Einaudi Editore, Torino 1978, pp. 5-8, ss e p. 97.

101 In relazione alla narratività proustiana, al suo svolgersi come la musica nel tem-

po e quindi all’integrarsi di temi contrastanti in una totalità coerente, per affinità il Magnani cita un’osservazione di Paul Hindemith nell’ambito della fenomenologia sonora; il compositore sostiene infatti essere soltanto nel corso della sua stessa du- rata che “sarà dato di percepire il Zentralton , il tono fondamentale di una composi- zione musicale. L’orecchio non può anticipare gli eventi, ma soltanto stabilire e de- terminare dei fulcri armonici, delle precarie zone di influenza, destinate a lor volta a cedere e a dissolversi di fronte alla nota fondamentale, verso cui tutto converge, all’affermazione cadenzale della tonica.” Cfr. P.Hindemith, Unterweisung im Ton-

satz, Schott, Mainz 1937, Theoretischer Teil, Abschnitt v: Melodik, pp. 197 ss. Inol- tre: L. Magnani, cit., p. 6 e L. Magnani, Poetica di Hindemith, in “Le frontiere della musica, Ricciardi, Milano-Napoli 1957, pp. 154 sgg.

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nulla in cui aveva sempre urtato, accende in lui la speranza in una realtà metafisica”.102

L’arte quindi esiste tra simbolo e ratio. Riferendosi alla musica, se nel pensiero tridimensionale ci si può chiedere di cosa sia metafora essa stessa, tale quesito si risolverebbe nella dimensione 4-d, laddove l’estrema e sublime sensibilità del continuum si sostituirebbe agli stadi del percepire, prefigurare, rammentare.

La narratività musicale, in particolare, si svolge in un tempo che il compositore ha pensato e trascritto secondo diversi parametri del linguaggio scelto e varie configurazioni sensibili dell’astrazione spazio-temporale.

Nella grande arte si manifesta la duplice valenza della musica connessa alla quintessenza seppur raramente compresa. La dimensione del riconoscere, non è forse l’intuizione del conoscere illimitato? Se attingere l’esperienza dal passato per dirigerla verso il futuro, può rappresentare la ricerca di una certezza proiettata verso l’incerto, il genio, differenziandosi dagli altri, possiede già in sé quella certezza ed è consapevole, se non della sua origine, della sua essenza e del suo valore.

Ciò introduce alla già dibattuta ed inquietante questione dei viaggi nel passato sempre presente nella più antica mitologia, da Orfeo ad Ulisse, come esperienza del baratro tra i vivi e i defunti, memoria evocativo-simbolica delle loro visioni e aspirazioni, ponte tra le dimensioni 3-d e 4-d, fondamento di indagine per il “pensiero unico”.

Il riferimento va in tal caso all’ipotesi indicata da Stefano Fanelli ed alla risposta affermativa data dall’Autore ai tre quesiti posti e presenti nello sviluppo di questa trattazione:

1) Esistono nello spazio 4-d sostanze immateriali in grado di produrre

energia positiva o, addirittura, arbitrariamente grande.

2) Esistono nello spazio 4-d entità immateriali ‘eterne ed immutabili nel

tempo’, associate a soluzioni delle equazioni di Einstein, ovvero a possibili universi.

3) Nell’ipotesi di un viaggio nel tempo passato, è realizzabile una violazione

del principio di causalità” risolvendone il conseguente paradosso”103

Se, come anticipato, il mito e la concezione di esso nell’arte104 quale possibile visione a-temporale può essere considerato a fondamento

102 Ivi, pp. 6 e 7

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dell’aspirazione umana verso l’intuizione ultima o originaria, la dimensione onirica ne costituisce l’altra importante sponda. La relazione tra la dimensione onirica ed il viaggio nel tempo, pone vari aspetti della questione tra i quali:

4.1 Una definizione di “viaggio”. Inteso come esperienza esistenziale e

letteraria, come “wandern” spirituale e filosofico, sia in senso ontologico che fenomenologico, il viaggio, alla luce dei raggiungimenti scientifici, si deve anche prendere in considerazione nella dimensione dello spazio-tempo non solo verso il futuro, secondo la “relatività speciale”, ma anche nel passato, come può essere ipotizzato attraverso la “relatività estesa”. Ancora una volta, in tale ottica, si può fare riferimento al citato pensiero di Gödel su un possibile universo nel quale esistano curve chiuse spazio- temporali tali che, “viaggiando su di esse ad una velocità sufficiente, si possa arrivare nel passato pur viaggiando sempre in direzione del futuro.” Appunto “queste curve chiuse o percorsi circolari hanno un nome più familiare: viaggio nel tempo”.

Ma, sosteneva lo scienziato, “se in tali mondi è possibile tornare nel nostro passato, ciò significa in realtà che esso non è mai veramente passato” e non può, di conseguenza, essere considerato un tempo vero, intuitivo o soggettivo.

Quindi, nell’universo di Gödel, “la realtà del viaggio nel tempo” segnalerebbe la filosofica concezione dell’ “irrealtà del tempo”. 105

4.2 L’eterno ritorno. Esso è parte essenziale dei miti ancestrali, quelli dai quali non si può prescindere ed esige un continuo ricomparire di essi nelle multiformi visioni fenomenologiche legate alla storia temporale. I viaggi agli inferi, si può presumere, non sono avvenuti in un tempo 3-d, bensì nella “relatività” o nell’ a-temporalità, né per Orfeo, né per Eracle o Odisseo (che solo poté vedere l’aldilà)106. E’ in particolare la presa di coscienza reale