170 L Wittgenstein, cit., p
6.4 Tempo-metronomo: cenni ed esempi storic
Venendo a quanto trasmesso da grandi musicisti e teorici della storia, come ad esempio Johann Joachim Quantz, all’epoca ci si regolava, per l’esecuzione musicale, sul battito del cuore (= 80 pulsazioni al minuto). Se durante l’epoca barocca si concepì, accanto ad un sistema musicale di tipo architettonico- polifonico (fuga-contrappunto), anche un’espressività del canto collegata alle categorie estetiche degli affetti, in quella classico-romantica si predilesse,
176 Cfr. Henri Bergson, Essai sur les données immédiates de la conscience, Paris,
Alcan 1924 - Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), trad. it. di F.Sossi, Raffaello Cortina, Milano 2002 ; Gisèle Brelet, Esthétique et création musicale, P.U.F., Paris 1947, Le temps musicale , 2 vol. P.U .F ., Paris 1949, L’Interprétation
créatrice, 2 vol. P.U.F., Paris 1951. Susanne Langer, Sentimento e forma, trad. it di Lia Formigari, Feltrinelli, Milano 1965. Ernst Ansermet, Les Fondements de la
Musique dans la conscience humaines, Langage, A la Baconnière, Neuchatel, 1961.
177 Il riferimenti è alla “musica delle sfere” o armonia delle sfere, teoria attribui-
ta nell’ antichità già a Pitagora, a Platone e ad Aristotele. In essa l’indagine filoso- fica sull’origine e sull’ordine dell’Universo era intesa nell’unione con il simbolismo attribuito al numero e con la teoria matematica delle proporzioni armoniche. In que- sto sistema persistente nei suoi significati, seppur con mutate valenze, durante i se- coli, il presupposto consisteva nella convinzione che i suoni venissero prodotti dagli astri con il loro moto rimanendo tuttavia non percepibili all’udito umano. Famose testimonianze si hanno ad esempio in Platone (celebre “visione di Er ” nell’ultimo libro de La Repubblica) o nel “De Repubblica” di Cicerone [VI Libro] ove nel So-
gno di Scipione, attraverso una visione veniva esposta la dottrina dell’immortalità dell’anima. Se si considera che concezioni affini si possono riscontrare in analoghe teorie orientali, appare probabile la presenza di una predisposizione innata nell’uomo ad una comprensione dell’universo nella quale filosofia e scienza, unita- mente alla potenza della musica, sono state potenzialmente ritenute atte ad una com- prensione spazio-tempotrale.
138 Claudia Colombati – ParteII-B
invece, una forma-struttura di tipo eidetico-narrativo che poteva anche condensarsi in sintesi connesse a precisi τóποι espressivi (o categorie estetico- psicologiche) rapportate all’idea.
Teoricamente si può ad esempio situare nello stile barocco un concetto di tempo giusto oggettivo inserito in un sistema storico-epocale, ossia sistema concepito nel fluire del tempo musicale secondo una convenzione stabilita o comunque entrata in uso.
Nei Classici la questione del tempo rientra nella concezione stessa dell’architettonica contribuendo a quella visione astratta “forma-tempo” di cui si tratta in questo specifico contesto. Va tuttavia considerata ancora a quell’epoca, l’imperfezione del metronomo come strumento così come è da tener presente che si proveniva dal sistema barocco e che quindi potevano essere meno evidenti, o comunque diverse, le questioni espressive agogiche, soprattutto nei tempi ‘Lenti’. Sembra certo che Beethoven sia stato il primo compositore ad usare indicazioni metronomiche e che, non appena lo strumento di Mälzel fu reso pubblico, volle indicare i tempi delle sue sinfonie;178 sono di grande interesse le opinioni di Beethoven stesso su tale fondamentale argomento dovute soprattutto al mutare della sensibilità ed in particolare di quella musicale, laddove pareva essere più consona l’indicazione del tempo voluto rispetto alle denominazioni in uso. Scriveva ad esempio ad Ignazio von Mosel nel 1817, ancora preso dall’entusiasmo per questo nuovo strumento:
“Sono molto contento che Ella condivida la mia opinione sulle attuali denominazioni dei tempi musicali che risalgono alla barbarie della musica. Per esempio che cosa c’è di più illogico che ‘Allegro’ che significa gaio in quanto spesso siamo lontani da questo concetto, così che non di rado il pezzo stesso significa il contrario. Rinunziamo volentieri a queste denominazioni dei quattro tempi principali […], non possiamo però omettere le parole che determinano il carattere del pezzo, poiché il ritmo è come il corpo del pezzo e che ne spiegano già lo spirito stesso. In quanto a me ho spesso pensato di abbandonare le illogiche denominazioni di Andante, Adagio, Presto, Allegro; il metronomo di Maelzel ce ne offre l’occasione migliore. Le do la mia parola che nelle mie nuove composizioni non userò più quei termini […]”.179
178 Cfr. per l’argomento Allgemeine musikalische Zeitung, 1817, in (voce)
Metronomo, Il Lessico, III, cit., p. 132.
179 Ludwig van Beethoven, [ A Ignazio v. Mosel ] (1817), in Alfredo Casella,
Beethoven intimo, Ed. di stato, segretario di corte poi consigliere di stato nel 1818; fu fatto nobile nel 1821; vicedirettore del teatro di corte, nel 1829 conservatore della biblioteca di corte, dilettante di musica, ma di molto gusto sia come teorico che come compositore. Scrisse, tra l’altro, la biografia di Salieri e provò l’autenticità del Requiem di Mozart. Alfredo Casella scrive che in questa lettera, Beethoven già
L’intuizione poetico-musicale nello spazio quadridimensionale 139
Come si sa, Beethoven non mise poi in pratica la sua idea, limitandosi a completare le indicazioni di tempo della tradizione italiana con altre tedesche ormai però relative all’espressione del brano. Non si esclude, tuttavia, che in seguito egli avesse consapevolezza delle imperfezioni dello strumento e che forse anche questo elemento fu all’origine dei dubbi e quindi causa sia delle correzioni successive che del suo stesso abbandono del metronomo, soprattutto con l’avvento della sensibilità espressiva romantica. Se ne ha conferma nelle sue stesse lettere; scriveva a Ferdinando Ries nel 1825:
“Ora parliamo dei suoi desideri. Segnerò volentieri i tempi di Cristo al monte
degli uliveti col metronomo, per quanto incerta sia questa determinazione del tempo […]”.180
Ed ancora nell’ultima lettera indirizzata con commovente dedizione ad Ignazio Moschelès e con un atto di gratitudine per la Società Filarmonica di Londra che aveva risposto alle sue estreme preghiere di aiuto e comprensione:
“La prego di consegnare alla Società la nona Sinfonia coi tempi del metronomo. Unisco la nota.”. 181
Di come inoltre Egli avesse potuto dare indicazioni metronomiche diverse a seconda della sua sensibilità del momento anche a distanza di poco tempo si rileva da alcune documentazioni contenute nei vari scritti. Beethoven, peraltro, si era già così espresso:
“Niente può essere proibito quando è per il ‘schöner’ ”. 182
Come si vedrà già negli anni Trenta dell’Ottocento -e precisamente dal 1836- lo stesso Chopin, con analoghe motivazioni, abbandonerà il metronomo.
Nel periodo romantico, infatti, il concetto di tempo metronomico andava scomparendo non solo come definizione teorica, ma poiché assumeva valore soggettivo in quanto, soprattutto nelle grandi opere, ormai al di fuori delle convenzioni o norme generali. L’uscire dalle “regole” diviene simbolo di raggiungimenti migliori o ideali: Chopin ancora negli anni giovanili di Varsavia scriveva a proposito dell’ Adagio del Concerto in mi minore op.11:
precorre Strawinsky ed altri moderni, “suggerendo di sostituire l’indicazione metronomica ai vecchi vocaboli agogici italiani.” Cfr. A. Casella, cit., p. 137.
180 L.van Beethoven, [ A Ferdinando Ries ], (1825), in A. Casella, cit., p. 184. 181 L.van Beethoven, [ A Ignazio Moschelès ], Vienna, 18 marzo 1827, in A.
Casella, cit., p. 200.
182 Cfr. A. Cortot, Alcuni aspetti di Chopin, Ed. Curci Milano 1950, p. 73; Cortot
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“L’Adagio del mio nuovo Concerto è in mi maggiore. Non ho inteso cercarvi la forza; ha piuttosto il carattere di una romanza, calma, melanconica. […] Si tratta di una fantasticheria, al bel tempo di primavera, ma con la luna. Perciò l’accompagnamento è in sordina, cioè con i violini attutiti da una specie di pettine, che circondando le corde dà loro un certo tono nasale ed argentino. Forse questo è male, ma perché vergognarsi di scrivere male, visto che conosco le regole, solo l’esito mostrerà un eventuale errore. […]”183
Ad ulteriore esempio si ricorda come, per l’interpretazione delle
Kinderszenen op. 15 184 di Robert Schumann, del 1838, possano essere prese in considerazione in tutti i brani che compongono il ciclo, due diverse indicazioni metronomiche (tranne nel primo in cui è segnata la stessa), quella indicata dal compositore e quella dell’amata moglie e pianista Clara Wieck; si porta l’esempio di Träumerei dove il compositore scrive (semiminima=100) e la Wieck (semiminima=80). Anche se non si conosce la data dei metronomi apposti dalla celebre pianista, si presume che lo strumento usato non fosse differente; è comunque da tenere in considerazione come nei primi decenni dell’Ottocento la tendenza fosse ancora quella di stampo classico nel concepire, in particolare i tempi lenti, con un movimento più fluido-andante, caratteristica che mutò soprattutto nella seconda metà del secolo a favore di un rallentando dettato da un diverso modo di ricezione e ciò fino ad oggi. E’ chiaro che la scelta appartiene in questi casi ad una cosciente, ineludibile ed imperiosa tendenza ad un’elevazione intuitiva ben oltre la norma vigente.
E’ ancora tuttavia nel riferimento al pensiero di Beethoven sulla questione del tempo e quindi sul suo stesso conseguente uso dei metronomi, che si ha testimonianza sia in alcuni passaggi della Corrispondenza che nei colloqui con Schindler pubblicati nei Quaderni di conversazione,185non solo dell’uso
metronomico, ma di aspetti inusuali e sintomatici di quel suo fondamentale mirare agli eventi naturali, in cui si nasconde un problema del battere e del levare; alle erudite questioni postegli da Schindler:
183 Fryderyk Chopin, Lettera a Tytus Woyciechowski, Poturzyn, sabato, 15
maggio [1830] Varsavia, in Fryderyk Chopin, “Lettere”, (a cura di V. Rossella), cit., p. 68
184 Cfr. Robert Schumann, Kinderszenen op. 15, Wiener Urtext Edition –
Schott/Universal Edition (UT 50006), 1973; il nr. 7 ,Träumerei è del 24 febbraio 1838, p. 8
185 Cfr. Luigi Magnani, Beethoven nei quaderni di conversazione, Ed. Laterza,
L’intuizione poetico-musicale nello spazio quadridimensionale 141
“I Greci definivano il ritmo un rapporto reciproco delle parti di un tutto; che il tutto sia nel tempo, nello spazio, in ambedue insieme. Il ritmo è incontestabilmente l’elemento più necessario alla intelligenza della musica”186
Beethoven risponde passando da concetti “generici e astratti” ad una fenomenologia del ritmo “riportato al palpito vitale da cui scaturisce”. Il Maestro -scrive il Magnani-
“gli deve aver fatto rilevare che il ritmo, ridotto alla sua espressione essenziale, è già contenuto nel motivo, costituisce la carica vitale della cellula tematica, da cui procede ogni ulteriore sviluppo in modo naturale […]”, 187infatti appunta:
“Si può cogliere il ritmo nel battito del polso…nel volo degli uccelli, ecc. Arsi e tesi. Molti uccelli cominciano il loro volo in arsi”, e menziona l’aquila nel suo librarsi in volo nello spazio.
“I ritmi prolungati nelle vostre opere non sono dunque calcolati -prosegue Schindler- ma nella natura della melodia e sovente dell’armonia.”188
Importante e necessario diviene riportare quanto evidenziato nei Quaderni per intendere le profonde riflessioni che stanno alla base del pensiero beethoveniano, relativamente al tempo in senso non tanto metronomico, quanto più essenzialmente eidetico. Il riferimento va al momento delle prove della
Nona Sinfonia, quando il compositore volle “tutti gli Allegri più lenti di quanto si era soliti eseguirli” estendendo tuttavia questa esigenza, a tutta la sua musica. La motivazione del compositore si intuisce ancora una volta dalla risposta di Schindler:
“Alle prove di Josephstadt era già evidente e sorprendente per molti, che voi voleste tutti gli Allegri più lenti di quanto li volevate prima. Ne ho ben compresa la ragione. Differenza immensa! Tutto ciò che nelle parti intermedie ora risalta, un tempo non si poteva quasi intendere, era spesso confuso”.189
186 Ivi, pp. 97-98. Come indica il Magnani, si confrontino sull’argomento i nn.
22 e 45 dei Problemata physica di Aristotele da cui Schindler ha tratto la citazione. Il testo greco è pubblicato anche in Aristotele, Problemi musicali, a cura di G. Manghi, Firenze 1957, pp. 46 e 76.
187 Ivi, p. 98 188 Ibidem
189 Ivi, pp. 99-100. Cfr. J.G. PROD’HOMME, Les Cahiers de conversation de
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Ma certamente non era soltanto la chiarezza dell’esecuzione a celarsi nelle esigenze di Beethoven, quanto la volontà di conseguire “una più intensa espressione drammatica; un rallentare del discorso musicale non solo per porne in evidenza la struttura polifonica, ma per rivelarne la tensione segreta”, “armonico conciliarsi […] dell’azione e della contemplazione, della vita e dell’arte”190, quell’unità presente sia nella sintesi “a priori kantiana che nella dialettica hegeliana. Un esempio fondamentale quindi di quanto nella musica possano coesistere dilatazione e contrazione spazio-temporale e di quanto al tempo stesso, nella visione creativa, possano succedersi tali momenti nello sforzo di raggiungere l’identità tra interiorità ed esteriorità. Aspetto che si ritrova poi nella difficoltà delle visioni interpretative tuttavia maggiormente esposte al divenire transeunte. Come riferisce il Magnani, Beethoven avrebbe voluto meglio precisare questa sua “agogica appassionata” nelle didascalie delle partiture “valendosi di frequenti indicazione di tempo rubato” inteso tuttavia ancora all’epoca come libero movimento e spontaneità del fraseggio. Dopo aver indicato nel manoscritto del Lied Nord oder Süd, il tempo metronomico, il compositore avverte:
“ 100 secondo [il metronomo] di Mälzel, tuttavia può valere soltanto per le prime battute, poiché anche il sentimento ha la sua battuta e questa non è del tutto espressa da questo movimento, cioè 100.” 191
Se nella lettura dei Quaderni si trovano testimonianze di “quelle improvvise illuminazioni dell’idea”, è nel lungo travaglio, compagno dell’ispirazione, che, come conclude il Magnani, è possibile seguire l’artista “tra i meandri dell’oscuro mondo della materia sonora, ove, come Faust nel Regno delle Madri, s’immerge per poter dare concretezza alle pure immagini della forma, esistenza alla pura essenza dell’idea”. Come a dire, dall’intuizione 4-d al tremendo lavoro per conservarne l’identità nel 3-d.
L’ inizio della Sinfonia N .5 in do minore192 può essere preso ad esempio sia per l’aspetto strutturale compositivo, che per il senso insito nella diversità delle sfumature interpretative fondamentalmente legate allo stacco del tempo. Proprio su questo emblematico inizio Wagner si sofferma nel suo saggio Über
das Dirigieren per trattare la fondamentale questione del Tempo tra concezione creativa ed interpretativa.193