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La gravidanza come dyadic body project: la negoziazione del progetto In questo paragrafo mi prefiggo lo scopo di analizzare come sia vissuta la gravidanza

5. Mamme di pancia, mamme di cuore

5.1 Desideri di maternità

5.1.2 La gravidanza come dyadic body project: la negoziazione del progetto In questo paragrafo mi prefiggo lo scopo di analizzare come sia vissuta la gravidanza

all’interno di coppie lesbiche. Per fare ciò, leggerò la gravidanza come dyadic body project, concetto teorico elaborato da Elly Teman (2009) ed utilizzato per comprendere i significati della gestazione nel processo di surrogacy tra madri di intenzione e surrogates a Israele. Teman aveva avviato l’analisi delle esperienze di

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gestazione partendo dai corpi. L’analisi del corpo come “shift body” considera la gravidanza come un “body project” (corpo-progetto) che le surrogates e le madri di intenzione si impegnano congiuntamente a costruire durante la surrogazione di gravidanza. Teman ha suggerito di osservare e prendere in considerazione il corpo, non nella sua individualità, ma come «type of mutual, collaborative, dyadic, intersubjective, embodied identity-work» (Teman E., 2009:50). In altre parole, per analizzare il percorso di surrogacy è importante osservare il corpo delle donne in gravidanza come corpo privo di confini netti, dal momento che la gestazione è vissuta nella sua interezza come atto condiviso da entrambe le parti. Nonostante i corpi siano due, ognuno dei quali caratterizzato da esperienze e storie che li hanno costruiti, prodotti e trasformati nei corpi presenti, essi subiscono una specifica lavorazione, seppur temporanea, che intreccia i vissuti accomunati dal progetto collettivo di surrogazione di gravidanza. In questo senso, il dydic body-project si configura come esperienza intersoggettiva e Teman suggerisce a più riprese di analizzare la gestazione non come esperienza puramente organica (biologica) che “naturalmente” inscrive la gestante all’interno della categoria materna, ma di osservare il corpo come sito in cui esso è lavorato da una pluralità di fattori (non solo biologici). Teman passa successivamente a descrive il significato della gravidanza rappresentato da entrambe le parti, sostenendo che le reazioni delle surrogates e delle madri di intenzione siano diamentralmente opposte. Se le prime tendono a distaccarsi completamente dall’esperienza di gestazione, le seconde, sono interessate a “sentire” la gravidanza come parte concreta del proprio corpo e quindi del “sentirsi madri”. Nelle rappresentazioni che ruotano attorno al percorso di surrogacy avviene una sostituzione delle parti: le surrogates dichiarano di sentire il proprio utero come altro da sé, come parte che accoglie un bambino, figlio delle madri d’intenzione che acquisiscono progressivamente lo status di maternità grazie al loro aiuto. Le surrogates “fanno sentire” la gravidanza alle madri di intenzione comunicanzo loro le sensazioni fisiche provate, distanziandosi così dalla gestazione in atto. Vi è, in altre parole, una situazione in cui una donna (la surrogate), compiendo una serie di azioni (preprarazione fisico-psicologica del transfer dell’embrione, distanziamento del proprio utero da sé, condivisione delle sensazioni emotive provate durante lo stato di gravidanza ecc.),

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inserisce un’altra donna (la madre d’intenzione) all’interno dell’orizzonte simbolico della maternità.

Il concetto di dyadic body-project può essere utile per cercare di interpretare la costruzione della gravidanza entro coppie lesbiche, esperienza portata avanti da una donna, ma “sentita” anche dall’altra madre d’intenzione. Ho difatti individuato alcune analogie e differenze con il concetto di dyadic body-project teorizzato da Teman. Nelle esperienze delle madri lesbiche incontrate non vi è sostituzione ma prossimità, non vi è una donna che si de-maternalizza a favore di un’altra, ma vi è la volontà da parte di entrambe le aspiranti madri di ricercare un equilbrio per vivere l’esperienza con la stessa intensità. La gravidanza è rappresentata e si configura come il primo passo di concretizzazione della genitorialità, materializzazione del desiderio che acquisisce progressivamente un significato più denso. Ho potuto raccogliere alcune testimonianze che si inseriscono in questo orizzonte riflessivo e che rappresentano l’immagine di “fusione corporea” tra le future ed aspiranti madri. Come messo in pratica dalle surrogates dell’etngrafia di Teman, le donne che portano avanti la gravidanza (madri biologiche), attraverso la condivisione delle sensazioni corporee provate, coinvolgono e fanno “sentire” la gravidanza alle compagne (madri sociali). Tale interazione intercorporea che prende vita tra due identità e personalità separate, ben descrive il progetto di genitorialità che è costruito in ogni sua fase come progetto condiviso. Difatti, come esplicitato nei precedenti capitoli, il percorso riproduttivo è caratterizzato dall’essere un’esperienza compartecipata e desiderata da entrambe le madri che sono attivamente coinvolte in tutti i passaggi del concepimento. Il vivere la gravidanza come progetto comune, esperienza intersoggettiva, significa non solo pianificare la gestione medico-tecnica dell’esperienza, ma condividere successivamente tutti gli aspetti legati alle sensazioni corporee. Come si può leggere sotto, Beatrice (madre biologica) racconta la sua esperienza durante la gravidanza, indicando le modalità attraverso le quali ha cercato di coinvolgere il più possibile la compagna Nadia (madre sociale).

«Avevamo raggiunto questo bellissimo equilibrio, quasi una simbiosi. Le raccontavo tutto quello che provavo: quando nostro figlio scalciava (la chiamavo e lei appoggiava la sua testa sul

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pancione e, ovviamente, puntualmente il bimbo stava fermo – risate), quando avevo nausee e quando non ne potevo più e non vedevo l’ora che il mio corpo tornasse normale. Era come se anche lei dovesse vivere quello che stavo fisicamente provando io…può sembrare forse strano…»

(Beatrice).

Il coinvolgimento dell’altra madre avviene anche mediante la condivisione delle percezioni fisiche provate dalla donna che porta avanti la gravidanza. In altre parole, queste ultime espongono tutte le sensazioni alla propria compagna per cercare di “fare provare” (simbolicamente) le sensazioni fisiche avvertite dalle donne in stato di gravidanza. Nadia (madre sociale) durante il colloquio rispetto all’esperienza di gravidanza di Beatrice, tende a precisare:

«È una cosa che avviene sempre, ne siamo tutti convinti di questo. Anche in relazioni eterosessuali le madri fanno sentire la pancia ai mariti, ma io essendo donna, non so se sia capitato solo a me, ma ho avuto vere e proprie manifestazioni fisiche. Mangiava lei e ingrassavo io (risate), mi si è anche leggermente ingrossato il seno. Non so se sia etichettabile come gravidanza isterica (risate)… ma l’ho proprio vissuta così.»

(Nadia).

La gestazione è un’esperienza che segna i corpi, non solo di colei che porterà avanti la gravidanza, ma che imprimerà un profondo solco anche alle sensazioni emotivo-fisico-simboliche delle altre madri. Quest’ultime, così come nell’esperienza di Elena, mi hanno raccontato di aver vissuto la gestazione con la stessa intensità delle compagne. In specifiche condizioni, alle sensazioni emotive, si sono aggiunte vere e proprie manifestazioni fisiche, come ingrossamento del seno, sbalzi ormonali, nausee, aumento di peso e dolori addominali. È un argomento che è spesso raccontato attraverso episodi divertenti, accompagnato da ilarità, ma che indubbiamente

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evidenzia la compartecipazione delle madri sociali all’esperienza fisica di gravidanza delle compagne. La gravidanza, rappresentata sovente come esperienza unica che accompagna le donne per un determinato periodo della propria esistenza è, nelle esperienze delle madri incontrate, una esperienza che diviene intersoggettiva e vissuta non solo nella carne (delle madri biologiche), ma anche nel corpo di quelle sociali. Questa “disgiunzione incorporata della gravidanza” (Teman E., 2009:55) si manifesta in entrambe le donne, nelle madri biologiche mediante la condivisione delle sensazioni fisiche della gestazione, nelle madri sociali attraverso il sentire fisico ed emotivo di molti aspetti della gravidanza.

Secondo Elly Teman (2009), quando le surrogates prendono strategicamente le distanze dai sintomi fisici della gravidanza, stanno cercando efficacemente di allontanare le etichette sociali legate alla gravidanza da se stesse, per preservare l’immagine del proprio sé lontano dalla simbologia materna; allo stesso modo posso affermare che la condivisione delle sensazioni corporee che vengono “passate” da una madre (biologica) all’altra (sociale) può essere letto come uno dei numerosi tentativi per decostruire l’immagine dominante di maternità, che vede nella sola donna che porta avanti la gravidanza la figura materna. Le esperienze etnografiche raccolte durante il campo, si indirizzano verso l’erosione dell’ideologia dominante (Cadoret A., 2008) che sancisce l’esistenza di una singola figura materna: biologia e gravidanza sono abilmente rimodellate e reinterpretate per ritagliare uno spazio alla maternità sociale. Il concetto teorizzato da Teman permette così di decostruire il concetto di gravidanza, e della connessa maternità, come processo puramente biologico che tende a sopraffare il corpo delle gestanti. Esso permette difatti di sottolineare il carattere socialmente costruito dell’esperienza di gravidanza, carattere contemporanemente vissuto da molte madri della mia ricerca (madri biologiche e madri sociali). La gravidanza è disincarnata dalla madre biologica, colei che abita lo stato fisiologico della gestazione, in favore dell’altra madre che, pur non essendo riconosciuta socialmente come tale, acquisisce progressivamente lo statuto di genitorialità grazie al faticoso lavoro di concepimento e gestazione portato avanti da entrambe. La costruzione diadica della gravidanza è un elemento che si aggiunge al percorso riproduttivo come percorso condiviso in ogni sua azione. Tuttavia come si vedrà nel corso dei prossimi paragrafi, il parto e il conseguente arrivo di figli in coppie lesbiche,

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possono scardinare gli equilibri domestici ricercati, andando a sbilanciare l’armonia creata durante il percorso di concepimento e gravidanza.

5.2 Mamme di pancia, mamme di cuore

Come alcuni studiosi hanno avuto modo di notare, chi si occupa di parentela tende a soffermarsi meno sugli aspetti negativi o ambivalenti Veena Das (1995), Michael Peletz (2000), Michael Lambek (2011). In questa sezione, cercando di mostrare le strategie attuate per costruire e bilanciare ruoli e posizioni tra madri biologiche e madri sociale, metterò in evidenza le frizioni incontrate nei riguardi della doppia maternità. A livello terminologico, non esiste una distinzione concettuale che distingua la maternità biologica dalla maternità non biologica; non possedere né un termine per identificarsi né un preciso ruolo in cui riconoscersi, comporta una costante e faticosa operazione di auto-legittimazione soprattutto da parte della madre sociale, ma sicuramente essendo un progetto condiviso, anche da quella biologica.63 Se la gravidanza in coppie di madri è vissuta come dyadic body-project, esperienza intersoggettiva che, all’interno delle mura domestiche, inserisce entrambe le donne all’interno della categoria materna, l’esperienza corporea del parto e le succesive pratiche di cura si pongono come passaggi nodali per la costruzione della doppia maternità. Indipendentemente da quanto immaginato, contrariamente alle aspettative, l’arrivo di un figlio distrugge alcuni fragili equilibri delicatamente costruiti durante il travagliato percorso riproduttivo. È difatti richiesto un lavoro specifico ad entrambe le donne, le quali rispettivamente, dovranno ritagliarsi un luogo dai confini indefiniti, che assicuri spazi e ruoli ad entrambe le madri. I significati connessi alla maternità dovranno essere patteggiati per ampliare lo spazio culturalmente concesso ad una singola maternità. L’esistenza di un’altra madre porta inevitabilmente cambiamenti in

63 Durante gli anni di campo vi è stato un mutamento terminologico sia rispetto alle figure genitoriali che e ai reproductive others (cfr. Guerzoni C. S., 2016). Durante i mesi di ricerca per il conseguimento della laurea magistrale (2012-2013), per rirferirsi alla madre non biologica, veniva spesso utilizzata l’espressione “co-madre”. Vi è stato un lento e progressivo lavoro di ricerca terminologica (mai conclusosi) che ha sostitutito co-madre con l’espressione “madre sociale” o “l’altra madre. Tale mutamento è dovuto al fatto di voler sottolineare la totale uguaglianza tra le due figure materne.

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seno alle iniziali pratiche di cura (Gabb J., 2005). Se in coppie eterosessuali i ruoli sono inizialmente distribuiti in relazione al genere di appartenenza che vede nella figura materna la fonte di cura primaria del neonato, nelle famiglie composte da genitori dello stesso sesso questa fase si è configurata come punto nodale per numerose mie interlocutrici. È stato spesso considerato un argomento tabù, del quale si è fatto in passato fatica a parlare, ma che sta acquisendo negli anni lo spazio necessario al dialogo e all’interpretazione. Ho annotato differenti modalità messe in atto dalle madri incontrate: alcune si sono preparate, hanno chiesto alle cerchie di amicizie come affrontare la situazione in questione, decidendo se allattare al seno oppure no, se co-gestire le pratiche al 50% o se invece seguire le proprie inclinazioni personali. Nonostante tutte le preparazioni messe in atto nella fase precedente al parto, lo scarto più profondo tra le due figure si concretizza proprio nel periodo immediatamente successivo alla nascita. Quest’ultima, distante dall’essere vissuta come circostanza di esclusività tra madre e figlio (come idealizzata per l’esperienza eterosessuale), realizza nei fatti la sperimentazione della differenza, sia da parte della madre sociale, che da quella della madre biologica. I primi anni del bambino sono descritti come anni compulsivi: pieni di gioia e, al contempo, caratterizzati da numerosi aggiustamenti. Anni difficili che richiedono da entrambe le figure materne la forza di essere tenaci e resilienti per imparare a condividere ruoli e spazi senza possedere un modello prestabilito da seguire.

«Effettivamente ci siamo interrogate su questo aspetto di essere due madri. Prima che nascesse lui e prima del concepimento, forse a livello teorico pensavamo che fosse possibile in qualche modo annullare, adesso non ti so dire se è genetico o della gravidanza, il portare avanti fisicamente una gestazione, ma in realtà questa cosa c’è innegabilmente. Lui adesso ha due anni si rapporta con me con lo stesso amore, ma c’è qualcosa che lega lei a lui che è assolutamente…diverso. È proprio così, è un dato. Anche se certo, ci sarà un condizionamento, ma non tanto dell’immaginario di maternità, ma del fatto che le leggi creano inevitabilmente un divario.»

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(Nadia).

Il divario che si viene a creare alla nascita di un figlio è descritto in maniera differente dalle figure coinvolte, ma le madri sono concordi nell’affermare che non vi sia qualcuna che abbia vissuto con estrema semplicità le fasi iniziali di cura del minore.