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5. Mamme di pancia, mamme di cuore

5.1 Desideri di maternità

5.2.1 Maternità biologica, maternità di pancia

L’immaginario collettivo occidentale (Cadoret A., 2008) identifica la diversità sessuale come base per distinguere e definire la genitorialità. Due figure, una mamma ed un papà, incorporano e acquisiscono implicitamente una serie di azioni che le identificano e le confermano nei ruoli stabiliti dalla cultura stessa. In linea teorica dunque, compiti e funzioni genitoriali son stabiliti e distinti in relazione all’appartenenza di genere: ad una donna competeranno le principali mansioni di cura (allattamento, accudimento), ad un uomo, incarichi pubblicamente identificati come “più maschili”. Le opposte e complementari posizioni, all’interno di un legame eterosessuale, sono costantemente rafforzate, sia a livello sociale sia in ambito privato. La genitorialità eterosessuale è confermata da un lato, dall’esistenza di generiche che identificano e distinguono il padre dalla madre e, dall’altro lato, dall’evento stesso della gravidanza (interpretata come esperienza esclusivamente materna e pertanto femminile). Cosa accade dunque all’interno di una coppia di donne dove i compiti son condivisi e bilanciati mediante un’interscambiabilità di ruoli?

«Non so se sia capitato alle famiglie che hai incontrato e che fanno parte dell’associazione. Ecco, noi non siamo tesserate e brancoliamo un po’ nel buoio rispetto a questo…se sia qualcosa che ho avvertito solo io. E gliel’ho subito detto a Ilaria, perché a volte mi sentivo un mostro. Mi sentivo male a lasciarglielo…non perché pensassi non fosse in grado di prendersi cura di lui, ma sentivo qualcosa che arrivava dalla pancia. Volevo quell’escusività

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di cui sentivo parlare spesso alle altre mamme e che a me un po’ mancava…quando poi ne abbiamo parlato, abbiamo un po’ aggiustato le cose. Ma non è stata facile, per niente.»

(Emily).

«Ecco, sì, ora che ho provato l’esperienza dall’altra parte riesco meglio a capire e soprattutto a spiegare questa differenza. L’ho vissuta sulla mia pelle alla prima nostra gravidanza, quando lei era incinta non riuscivo a capire perché non mi includesse in alcune cose…dopo la nostra seconda gravidanza, che ho portato avanti io, posso dirti che è così. C’è un qualcosa che ti lega al bambino che è totalmente differente. Ma per genetica o biologia, ma è per il tuo sentirsi madre che cambia. Attenzione, non sto dicendo che senta il nostro primo figlio in maniera diversa e che non gli voglia bene eh…parlo dei primi mesi, diciamo anni.

(Simona).

«Paradossalmente quello che succede poi è che in una coppia eterosessuale, almeno per come me la immagino io, uno si auto-conferma nel suo ruolo. Non chiede all’altro come sta andando. E invece questa maternità condivisa…mi aspettavo una conferma da lei anche rispetto al mio ruolo, a quanto lo occupavo — se lo occupavo troppo, se lo occupavo poco.»

(Roberta).

L’esperienza di maternità in una coppia di donne è percepita dalle stesse madri biologiche come più complessa rispetto alla medesima esperienza in coppie eterosessuali, dove la presenza di due generi colloca il padre e la madre all’interno di due ruoli e due spazi in cui vivere la genitorialità. Esiste difatti uno scarto tra l’immaginato rapporto di simbiosi madre-bambino e la realtà esperita. La presenza di due madri crea una difficoltà direttamente connessa alla gestione domestica, in cui in

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linea teorica allattamento e accudimento vengono eseguite dalla figura femminile. Tale passaggio comporta una ritualizzazione della cura slegata dal modello di “maternità eterosessuale”, incorporato dagli stessi soggetti dell’etnografia. In una coppia omogenitoriale la gestualità materna danza lungo una “flessibile coreografia”. Prendersi cura dei figli, durante le prime fasi di vita, significa suddividersi allattamento, preparazione pappe, cambio pannolini, bagnetti. La divisione di ruoli si traduce in una delicata articolazione delle mansioni, provocando una serie di conseguenze implicitamente connesse a tale aspetto.

«A livello di ruoli, la differenza c’è un po’ nell’accudimento. È come se mi fosse apparso l’istinto materno: nelle prime fasi ero sempre io pronta, col piede di guerra…volevo fare tutto e avere tutto sotto controllo. È stata fortissima all’inizio, ma poi diciamo che sono migliorata (risate).»

(Caterina).

Alcune ricerche hanno evidenziato la propensione della madre biologica ad espletare le principali mansioni di cura (Gabb J., 2005). I primi anni di vita del bambino, connessi da un lato all’esperienza della gravidanza e dall’altro agli schemi acquisiti, indirizzano le abitudini materne. I bisogni primari del neonato tuttavia separano profondamente le prassi domestiche, caratterizzate da una specifica e differente organizzazione che varia da famiglia a famiglia. Esistono, ad esempio, casi in cui l’allattamento è eseguito in maniera co-gestita e casi in cui la madre biologica si occupa in modo esclusivo di questa funzione.

Le madri biologiche incontrate hanno avvertito tale sbilanciamento in maniera ambigua, la cui posizione è stata vissuta inizialmente tra “sicurezza” e “minaccia”. Difatti il “potere assoluto” (supportato dal diritto italiano) della maternità di pancia (evocato spesso da chi ha portato avanti la gravidanza) è stato descritto come facoltà di poter disporre in maniera autonoma del rapporto di filiazione senza bilanciare questa attitudine assieme alla all’altra madre.

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«Questa cosa che io abbia un potere assoluto sui figli, mi spaventa, e non poco. È come se tutto quello che avessimo creato io e lei in questi anni non fosse reale o mai esistito. Perché devo essere l’unica responsabile per nostro figlio? Anche lei è madre…»

(Beatrice).

Da un lato si è sottolineata la violenza strutturale operata dallo stato che non possedendo leggi che tutelino queste forme di famiglia, realizza quotidianamente forme di esclusione sociale. Dall’altro si è evidenziata l’agency dei soggetti che quotidianamente cercano nuove strategie e forme di azione per sovvertire questa condizione di marginalità.

L’equilibrio ricercato è funzionale all’apertura di uno spazio per decifrare i sentimenti specifici dell’essere madre. Se la percezione del sé è connessa al modello di genere incorporato, è dunque doveroso per imparare a leggere in modo “nuovo” le proprie emozioni, culturalmente orientate. Le parole di Beatrice suggeriscono l’ idea di corpo come «attaccapanni sul quale vengono gettati o sovrapposti i diversi manufatti culturali» ( (Nicholson L., 1996:43) la femminilità è interpretata come un costrutto acquisito. Possiamo così cogliere e sottolineare un passaggio fondamentale per comprendere l’omogenitorialità, così come emersa dall’etnografia: esiste una sorta di matrice per decifrare i sentimenti connessi al“sentirsi madre”, che rendono più semplice, a chi ha portato la gravidanza, identificarsi nel ruolo immaginato.