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Il «guelfismo» di Vito Giuseppe Galat

2. Dalla politica alla storia: itinerari alla ricerca di un popolarismo di opposizione

2.2 Il «guelfismo» di Vito Giuseppe Galat

La produzione storica e giornalistica di Vito Giuseppe Galati rappresenta un’altra notevole testimonianza di recupero della lezione cattolico-liberale nel tramonto del popolarismo, in cui possono ulteriormente cogliersi le ragioni che avrebbero portato non pochi antifascisti cattolici a riavvicinarsi a quella tradizione dopo la sospensione della militanza politica. La sua esperienza come popolare lo vide fondatore e direttore dal 15 gennaio 1922 del settimanale «Il Popolo» di Catanzaro, a cui contribuì da segretario provinciale del PPI fino alla sua soppressione nel 192564. Qui strinse rapporti di collaborazione politica con Antonino Anile, ministro della Pubblica Istruzione nei due governi Facta, che lo mise in contatto a Torino con Gobetti per la pubblicazione

60 I. Giordani, Alcide De Gasperi, cit., p. 96.

61 I. Giordani, Storia della democrazia cristiana, cit., pp. 39-40.

62 F. Fonzi, Il giudizio sul Risorgimento di un cattolico antifascista, cit., p. 108. 63 I. . Giordani, Storia della democrazia cristiana, cit., p. 60.

64 Sulla figura di Galati cfr. F. Malgeri, Galati, Vito Giuseppe, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia,

cit., pp. 213-215; R. Chiriano, Vito G. Galati scrittore e politico cattolico, Con un discorso di Guido Gonella, Editoriale Progetto 2000, Cosenza 1992.

59 di un suo volume di scritti antifascisti65. Di Giordani egli quindi condivise sia la vicinanza gobettiana che l’esperienza di «Parte Guelfa», ma rispetto al primo rimase meno legato culturalmente all’intransigenza sturziana nei confronti del mondo liberale e della sua classe politica. La produzione giornalistica e culturale di Galati appare interamente segnata dal tentativo di legittimare l’antifascismo popolare a partire da un incontro dei cattolici con i moderni valori di libertà, non improvvisato dall’emergenza antifascista ma storicamente radicato nella tradizione del cattolicesimo nazionale. Partecipando alle ultime battaglie del popolarismo, Galati si preoccupò di accompagnare su un piano essenzialmente storico e ideologico il percorso di reintegrazione dei cattolici popolari nello schieramento antifascista. Collocazione che per stabilizzarsi avrebbe richiesto ancora di rimuovere – a suo giudizio – stereotipi e prevenzioni di lunga data della cultura laica «contro cui la nuova forza nazionale dei cattolici avrebbe operato in profondità, se il corso della storia italiana non avesse impedito ogni vita democratica»66.

La sostituzione della riflessione culturale-religiosa a una ormai impraticabile azione politica non segnò per Galati una svolta rispetto al suo retroterra di formazione, ma gli consentì di ricollegare la fedeltà al popolarismo all’autentica vocazione di libertà che sempre avrebbe cercato di rintracciare nel solco del guelfismo risorgimentale. Contrariamente alle polemiche del cattolicesimo «fascistizzato» sul terreno dell’identificazione nazionale, l’opposizione antifascista dei popolari era considerata da Galati anzitutto una occasione di superamento dell’artificioso «dissidio» tra patriottismo e cattolicesimo. Questa della «riunificazione spirituale»67 della nazione era stata anche la costante di pensiero che lo aveva condotto al partito sturziano dopo il mazzianesimo giovanile, segnato da una forte accentuazione anticattolica e dall’imputazione alla Chiesa della responsabilità nella lacerazione religiosa del Risorgimento. La prospettiva anticlericale e antigiobertiana della militanza repubblicana si rovesciò radicalmente dopo la sua conversione di guerra al cattolicesimo, lasciando spazio a «un nuovo Galati, di ispirazione quasi giobertiana»68. Nel segno di una testimonianza politica di questa conversione spirituale avvenne anche il suo ingresso nel PPI, apertamente motivato da una lettera pubblicata sulla stampa con l’ambizione di «risolvere

65 Su Anile si veda il ritratto dedicatogli dallo stesso Galati, che vi avrebbe ricordato «l’amicizia spontaneamente

fraterna di oltre un trentennio»: V.G. Galati, Antonino Anile, Edizioni Paoline, Roma 1952, p. 6.

66 V.G. Galati, Antonino Anile, cit., p. 39.

67 R. Chiriano, Vito G. Galati scrittore e politico cattolico, cit., p. 60.

68 P. Gheda, La formazione di Vito Galati, in «Studium», 2009, n. 6, p. 916, che sottolinea anche l’influenza su Galati

dell’esempio del poeta convertito e combattente Giosuè Borsi. Ma in questo contributo si veda pure la ricostruzione dell’allontanamento giovanile di Galati dal cattolicesimo e della sua «crisi religiosa», che «ebbe per lo più alla base un ragionamento di carattere politico sociale: la Chiesa era la nemica della libertà e della democrazia; di più, essa era colpevole dell’allontanamento del popolo italiano dalla stessa religione, secondo il riferimento letterario – sempre presente in Galati – in questo caso offerto dal pensiero di Machiavelli, o da un Mazzini che pure credeva, ma restava lacerato dalla ferita ideale del potere temporale del Papa»: ivi, p. 909.

60 integralmente gli attuali problemi politici, alla luce dell’idea cristiana, che è completa e immortale»69.

Per il neo-convertito Galati il popolarismo avrebbe essenzialmente segnato la decadenza delle prevenzioni antinazionali del cattolicesimo post-risorgimentale, che grazie al programma sturziano del 1919 sarebbe stato in grado di recuperare una sua «accentuazione patriottica, che formava la rivincita degli accusati di patriottismo»70. Anche questo «guelfismo» di Galati non mancava di registrare chiari punti di contatto con l’area di opinione dei cattolici precocemente «nazionalizzati» e diversamente da lui poi approdati al fiancheggiamento filofascista. Da questi Galati si differenziava invece per la sua adesione al popolarismo come occasione di superamento del pregiudizio antiliberale dei cattolici, continuando a difendere dopo il 1923 la svolta di un partito che le sue opere storiche del secondo dopoguerra avrebbero ricordato essere «nato costituzionale, con dichiarata accettazione delle basi liberali dello Stato», in quanto autonomamente titolare di un «liberalismo di riflesso, puntualizzato secondo una concezione cristiana»71. La stessa difficoltà di rapporto dei popolari con la classe dirigente liberale risultava ai suoi occhi condizionata da una incomprensione della «rivoluzione» sturziana da parte degli uomini di governo della seconda, che avrebbero rifiutato fino all’Aventino di riconoscerne il liberalismo «implicito» in vista di una cooperazione paritaria di governo.

Tutti questi temi confluirono nel progetto di raccolta dei suoi scritti giornalistici e inediti del dopoguerra in un unico volume di polemica antifascista, «organico e di attualità» e «con i difetti e i pregi della battaglia»72. Elementi importanti su questa pubblicazione provengono anche per Galati dal suo carteggio con Gobetti, al quale l’intellettuale popolare si rivolse personalmente nel gennaio 1924, ricevendone la proposta di una rapida pubblicazione dopo le elezioni del mese di aprile. Proponimento che si infranse sull’attivismo politico gobettiano dopo il delitto Matteotti, facendo momentaneamente scivolare in secondo piano l’iniziativa del volume di Galati, che se ne lamentò ripetutamente con l’editore torinese:

Non le nascondo, però, la mia scarsa… fortuna presso di lei! Avrebbe potuto includere il libro nei suoi

Quaderni, e mi avrebbe così dato prova di volermi… anche lei diffondere! Invece non ha neppure annunziato la pubblicazione in «Riv. Lib.». In verità, me lo lasci dire, non ha fatto nulla da parte sua per facilitare la pubblicazione73.

L’impaziente insistenza di Galati durante la crisi del 1924 ne manifestava chiaramente l’intenzione di offrire al pubblico popolare una sua ricostruzione delle premesse storico-politiche della secessione aventiniana. Da Gobetti l’intellettuale popolare ricevette invece in quei mesi la

69 V.G. Galati, La mia conversione, in «Il Popolo di Catanzaro», 19 marzo 1922. 70 V.G. Galati, La democrazia cristiana, Nuova Accademia, Milano 1958, p. 50. 71 Ibidem.

72 Con animo di liberale, cit., Galati a Gobetti, 22 febbraio 1924. 73 Ivi, p. 127, Galati a Gobetti, 11 ottobre 1924

61 raccomandazione di rielaborare «il carattere frammentario» della raccolta di scritti giornalistici: «Quanto sarebbe stato meglio se Ella avesse tentato una sintesi organica!»74. Le indicazioni «maieutiche» di Gobetti finirono quindi per dilatare ulteriormente i tempi della pubblicazione, inducendo Galati alla revisione integrale della prima redazione già consegnata in forma antologica nel febbraio 192475. Il volume di Galati fu terminato di stampare il 20 giugno 1925 all’immediata vigilia dell’ultimo Congresso popolare, ma messo in circolazione solo nel mese di settembre quando era già stata praticamente decretata la soppressione della libertà di stampa.

Come indicava il titolo inizialmente prescelto dall’autore (Il dissidio storico), la prima sezione di argomento storico del volume si incaricava di «profondare il popolarismo nella tradizione cattolica del Risorgimento»76: essa venne completamente riscritta da Galati su consiglio redazionale di Gobetti, che ne modificò il titolo in I nuovi cattolici e ne ridusse la consistenza in una sintesi di poche pagine sulle matrici ottocentesche del popolarismo. Tuttavia si trattava di una parte estremamente ricca di spunti originali di interpretazione, successivamente mutuati anche dalle riflessioni di altri popolari sotto il fascismo: lo dimostravano le stesse citazioni sul contributo risorgimentale dei cattolici nella Introduzione di Anile, che ne riprendeva l’osservazione secondo la quale alcuni «grandi spiriti» avevano visto «quasi un secolo prima di noi popolari, che lo affermiamo in atto politicamente, che il dissidio tra Chiesa e Stato, religione e patria, religione e libertà non esiste»77.

L’interesse riservato al Risorgimento da Galati anche in queste sue pagine di «battaglia politica» anticipava il ritorno dei cattolici alla storiografia risorgimentale poi esploso dopo la Conciliazione, ma rimasto per i popolari una riserva identitaria che ricollegava il loro cattolicesimo democratico a una tradizione non compromessa dalla politica del primo dopoguerra:

La nostra generazione, approfondendo sempre meglio i motivi spirituali della vita, ha sovra tutto accentuato la sua tendenza a cercare e trovare la formola sintetica della sua origine, onde, mentre è stimolata alla più attenta analisi, questa non è esercitata che in funzione di un giudizio. D’ogni parte, dunque si ricercano le idee operanti nel Risorgimento: e ciò prova non solo il cresciuto bisogno di chiarire a noi stessi il nostro passato, ma, ancor più, il nostro presente, quasi che l’oggi senza il ieri fosse cieco e incapace di sviluppo cosciente e armonioso78.

Come quella offerta negli anni seguenti da altri cattolici antifascisti, l’interpretazione di Galati non cercava di «cattolicizzare» il Risorgimento in chiave intransigente o reazionaria, ma di rivalutare la funzione risorgimentale dei cattolici come antecedente del popolarismo. Tornava così a valorizzare la varia fenomenologia di patriottismo religioso a cui avrebbe dedicato la sua tesi di

74 Ivi, p. 123, Gobetti a Galati, 1 agosto 1924:

75 «Il libro è quasi interamente rifatto; ed ho accolto il suo parere di renderlo organico»: ivi, p. 131, Galati a Gobetti, 28

novembre 1924.

76 V.G. Galati, Religione e politica, cit., p. 74. 77 Ivi, pp. 42-43.

62 laurea su Il concetto di nazionalitànel Risorgimento italiano, invitando a non «giudicare la storia d’Italia coll’idea fissa all’Italia del 1861, che neppure Cavour immaginava e sperava»79. La premessa di Galati era che l’unificazione monarchico-piemontese avesse rappresentato una soluzione di necessità in condizioni storicamente obbligate, ma mantenesse inalterata alle proprie spalle il potenziale di integrazione di una nazione culturalmente identificata dal cattolicesimo. Ciò lo teneva radicalmente distante dalla tesi intransigente del Risorgimento come «macchinazione» anticattolica:

Teorizzare questo fatto storico, come una filosofia del Risorgimento contro la Chiesa, è stato certo una aberrazione settaria, che l’istinto italiano, riprendendo il suo dominio, ha polverizzato, riportando i cattolici, dall’ombra delle loro preghiere e delle loro opere di elevazione morale materiale, al dibattito della vita pubblica come fattore decisivo di equilibrio e di nuove formazioni80.

E andava conseguentemente respinta – a suo giudizio – l’ideologizzazione di una divisione tra liberali e cattolici sul cleavage del patriottismo, costruita a posteriori del 1870 per escludere la religiosità cattolica dal senso di appartenenza nazionale:

L’aver fatto una divisione netta, quanto arbitraria, fra liberali e cattolici nell’Ottocento, i primi come liberatori della patria, gli altri come nemici, non significa affatto che i cattolici non partecipino di tutta la vita nazionale, o che essi non abbiano contribuito al Risorgimento della patria81.

La preoccupazione dominante di Galati era quella di relativizzare sub specie storica la crisi religiosa del Risorgimento, senza trasformarla in paradigma di antitesi tra cattolicesimo e modernità. Fu soltanto l’apertura della questione romana dopo il 1870 che fece «straripare» il conflitto politico-religioso «da dissenso politico in illegittimo problema di natura teorica»82, a causa della pretesa laicista di una minoranza della classe liberale. Di conseguenza anche la divaricazione tra cattolicesimo e liberalismo nell’Italia post-risorgimentale poteva essere nettamente circoscritta nelle proporzioni di un «dramma storico, e perciò contingente»83, non di un dualismo etico che avrebbe ipotecato negativamente qualsiasi possibilità di riconciliazione. Una considerazione che autorizzava Galati a negare l’isolamento dei cattolici dalla storia nazionale fin dall’epoca del Risorgimento:

I nuovi cattolici, rientrati nella vita politica nazionale, dopo una lunga astensione, che non li ha affatto isolati dal fecondo lavoro ricostruttore, anche se li ha esclusi dalle cariche pubbliche, hanno rivalutato, per loro conto, la storia del Risorgimento, e intendono farla rivalutare alla mente degli altri italiani84.

79 V.G. Galati, Religione e politica, cit., p. 63. 80 Ivi, pp. 77-78.

81 Ivi, p. 58.

82 V.G. Galati, La democrazia cristiana, cit., pp. 21-22.

83 Cfr. V.G. Galati, Quattro Papi, in «Parte Guelfa», a. I, n. 3, agosto 1925. 84 V.G. Galati, Religione e politica, cit., p. 58.

63 Ne conseguiva la rivalutazione della scuola cattolico liberale di inizio Ottocento in quanto movimento di rigenerazione nazionale, che dimostrava come l’idea di libertà risorgimentale si fosse formata in un tessuto di pensiero originariamente religioso e cristiano. Come Galati avrebbe poi sostenuto in altri scritti postumi al popolarismo, sarebbe stato perciò

grave errore, spesso ripetuto, quello di attribuire la formazione etico-civile degli italiani del Risorgimento solo al Mazzini: non è audacia invece affermare che, senza l’opera vasta e profonda della scuola detta cattolica liberale, tale formazione sarebbe stata assai lenta e, comunque, […] essa avrebbe dovuto tenere lontano dai movimenti politici il clero, le classi medie e minute; in somma, non si sarebbe relativamente popolarizzata, nel periodo saliente del federalismo, l’idea stessa dell’indipendenza nazionale85.

Nelle pagine di Religione e politica Galati non esitava a riconoscere che «l’origine dei nuovi cattolici popolari» dovesse essere ritrovata «in questa corrente di libertà dei cattolici del Risorgimento», che altrove lui stesso avrebbe più propriamente classificato «non con l’aggettivazione di “liberali” ma di “costituzionalisti”, considerando che i più aderivano alla concezione dello Stato costituzionale anziché al complesso dottrinario del liberalismo»86. Questa rivalutazione del cattolicesimo risorgimentale trovava spazio in una genealogia «dualista» e non indifferenziata della tradizione religiosa ottocentesca, imperniata da Galati su una antitesi tra «riformisti» e «reazionari» che non poteva non richiamare da vicino la divisione introdotta dal fascismo tra cattolicesimo democratico e autoritario. Non a caso egli precisava che gli antesignani del popolarismo fossero i «cattolici riformatori del Risorgimento», ossia quella «fitta schiera di eletti» tra cui

Manzoni, il più grande spirito dell’Ottocento, Rosmini, Gino Capponi, Niccolò Tommaseo, T. Mamiani, Silvio Pellico, C. Balbo, C. Cantù, Carlo Troya, il P. Ventura, che accenno, trascurando tanti altri pure illustri, perché il loro solo nome indica quanto deve il Risorgimento italiano al cattolicismo, che gli ha dato sovra tutto i pensatori. Sono uomini che pensano all’Italia nuova quando altri si trastulla. Intendono tutta l’importanza della religione cattolica in Italia, unica forza unitaria rimasta dall’uno all’altro capo; comprendono come in questa forza si debba ricercare l’elemento fondamentale per una nuova vita politica; non persuasi, anzi ripugnanti, agli eccessi del rivoluzionarismo francese, lo combattono come dissolvitore, ma promuovono riforme affini allo spirito nazionale e ai nuovi tempi87.

Anche nella lettura di Galati la scuola cattolico-liberale si riallacciava al «desiderio democratico conciliatore» di Lacordaire e Montalembert, sopravvissuto nella stessa aspirazione neoguelfa di una «nuova Italia, libera e cattolica»88. Tuttavia la sua attenzione rimaneva più incentrata sul cattolicesimo liberale italiano che su quello straniero, con un occhio meno critico di Giordani nei confronti del primo e soprattutto della figura di Gioberti. Riemergeva anzi in queste pagine il suo «giobertismo», che del filosofo piemontese «faceva un precursore, quasi un battistrada

85 V.G. Galati, Il federalismo nel Risorgimento italiano, Ausonia, Roma 1951, p. 12.

86 V.G. Galati, Storia della democrazia cristiana, Edizioni Cinque Lune, Roma 1955, pp. 25-26. 87 Ivi, pp. 67-68.

64 delle moderne tendenze democratiche, soprattutto se di ispirazione cristiana»89. In particolare Galati tentava di riscattare il Gioberti idealistico di Gentile e dei «nazionalisti clericaleggianti», contro l’interpretazione immanentistica di un pensiero che aveva offerto troppo «facile appiglio» ai «nuovi reazionari», ma di cui lo stesso Galati non avrebbe invero taciuto le ambiguità, equiparandolo a quello di un «cattolicesimo senza Cristo»90. Nella sua interpretazione Galati si riagganciava implicitamente all’eredità tramandata da Toniolo, che nella cultura cattolica – come da lui riconosciuto anni dopo – aveva saputo recuperare correttamente per primo «la vecchia trama giobertiana senza inquinamenti nazionalistici, anzi con una ortodossia profonda e lineare»:

A considerarla, poi, nel suo insieme, l’opera del Toniolo apparisce come una propaggine scientifica e pratica della grande apologia della Chiesa cattolica, che in Italia aveva svolto il Gioberti del Primato. […] Tutto alla Chiesa si deve l’incivilimento dell’età cristiana, aveva, con eloquenza efficace, detto Gioberti nella sua storica polemica del Risorgimento, ed aveva mirato a ricondurre filosofia e azione sulle strade della Roma cattolica, rivolgendosi verso il Piemonte solo nella ultima fase della sua attività91.

Come tesi di fondo Galati finiva dunque per rintracciare nel cattolicesimo liberale e nel suo apogeo giobertiano la discendenza «conciliatorista» del partito sturziano, mentre assumeva una «precisa funzione politica» l’oscuramento dei lunghi anni di intransigenza post-risorgimentale92, come luogo di formazione ideologica del popolarismo. Nella sua ricostruzione Galati privilegiava infatti la riscoperta di una tradizione di libertà antecedente al movimento democratico-cristiano di inizio secolo, sottraendo momentaneamente alla «discendenza media» – a differenza di Giordani – l’esperienza del cattolicesimo sociale; operazione sulle cui ragioni sarebbe voluto ritornare anche nella sua Avvertenza alla riedizione del volume nel 1966:

Il mancato riferimento ai “cattolici sociali” del tempo dell’Opera dei Congressi, è dovuto, oltreché al fatto di essere l’immediato precedente del PPI, al bisogno anche polemico di sottolineare il contributo dei cattolici così detti “liberali” al Risorgimento nazionale, e questo, non solo perché resta la sorgente originaria del riformismo cattolico, ma anche perché l’accusa più ricorrente contro i popolari era quella di tiepido patriottismo in quanto ingiustamente ritenuti assenti dalla lotta per l’unità d’Italia93.

Si trattava di una omissione che la storiografia di Galati dopo il fascismo avrebbe largamente superato, recuperando anche la componente non conciliatorista del cattolicesimo italiano dopo il 1870, ma sempre in un quadro di complementarità con il filone cattolico- risorgimentale di Religione e politica. In contrasto con la storiografia laica, alcuni suoi contributi del secondo dopoguerra avrebbero ridimensionato l’idea di un «sovversivismo» dell’intransigenza

89 B. Gariglio, Progettare il postfascismo, cit., p. 70.

90 V.G. Galati, Il cattolicesimo senza Cristo di Vincenzo Gioberti, in «Il Regno», a. II, n. 1, gennaio-marzo 1943. Cfr.

anche V.G. Galati, Introduzione a Gioberti, Cisalpino, Milano 1943.

91 V.G. Galati, Una scienza animata dalle idee del cristianesimo, in «La Discussione», 1955, n. 12. 92 F. Malgeri, Introduzione a V.G. Galati, Religione e politica, cit., p. 27.

65 cattolica, contestandone lo schiacciamento in un ruolo di «opposizione» antistatale e antiunitaria94. L’anello di congiunzione tra cattolicesimo sociale e guelfismo risorgimentale sarebbe stata ancora la sintesi democratico-cristiana di Toniolo, in quanto garantiva – a giudizio di Galati – «non già una saldatura concettuale con i liberali sostenitori dello Stato-nazione fuori della Chiesa, ma una nuova impostazione dei rapporti dei cattolici rispetto alla Nazione italiana»95.

Anche la sua opera del 1925 restituiva comunque nettamente l’immagine del popolarismo come approdo di un processo di nazionalizzazione del cattolicesimo post-risorgimentale, ben distante dagli steccati della cultura reazionaria dell’Ottocento. Il partito sturziano «non sorgeva, insomma, per fare il processo alla rivoluzione italiana, ma per rifare l’Italia cristiana; e, in questa lotta l’accettava com’era, ponendosi nella legalità»96. Nella storia del popolarismo Galati riteneva che l’elemento storicamente transeunte fosse rappresentato dalla sua inflessione intransigente e non dalla radice neoguelfa, intimamente presente anche nella «posizione, per così dire, liberale del cattolicissimo Sturzo»97.

Dopo l’introduzione storica, il volume di Galati offriva un contributo di ricostruzione storica alla crisi politica del primo dopoguerra attraverso i ritratti dei suoi maggiori protagonisti. Tema centrale era il processo di decomposizione delle istituzioni liberali, nel quale Galati ritrovava le responsabilità di una intera classe politica, ma soprattutto la «disfatta» di quella demoliberale ancora per molti versi prigioniera del conflitto politico-religioso del Risorgimento. In questa sua