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Igino Giordani tra intransigenza antifascista e cattolicesimo liberale

2. Dalla politica alla storia: itinerari alla ricerca di un popolarismo di opposizione

2.1 Igino Giordani tra intransigenza antifascista e cattolicesimo liberale

2. Dalla politica alla storia: itinerari alla ricerca di un popolarismo di

opposizione

2.1 Igino Giordani tra intransigenza antifascista e cattolicesimo liberale

Nella sua vasta produzione giornalistica, Giordani divenne il maggiore interprete del popolarismo come alternativa intransigente alla conservazione della classe dirigente liberale, ma soprattutto – dal 1923 in avanti – alla restaurazione autoritaria del fascismo. Il suo itinerario di formazione accompagnò il riflusso del popolarismo dall’iniziativa politico-parlamentare alle battaglie della stampa di opposizione: dal luglio 1924 Giordani assunse l’incarico di direttore del settimanale «Il Popolo Nuovo» del PPI, di cui diresse anche l’ufficio stampa; dopo la soppressione del quotidiano nel gennaio 1925, diede vita al «Bollettino dell’Ufficio Stampa del PPI», ciclostilato clandestino da lui quasi interamente redatto come strumento di comunicazione con le strutture periferiche del partito ed estrema testimonianza di antifascismo popolare dopo il fallimento aventiniano.

Lo sforzo di elaborazione di Giordani sul terreno della cultura politica sostenne la concezione sturziana del partito come «concretizzazione organizzativa» di un fenomeno non isolato o personalistico di «dottrina politica», ma in cui dovevano riconfluite le tradizioni di pensiero già emerse nel mondo cattolico come risposta di integrazione al processo risorgimentale. Lo «sturzismo a oltranza»1 professato da Giordani si espresse in un tentativo di unificazione culturale delle tendenze che il popolarismo aveva politicamente federato nell’immediato dopoguerra, scontandone – tuttavia – la conflittualità interna fino al 1922 e la secessione frazionistica dopo il consolidamento del fascismo al potere. La sua operazione risultò paradossalmente agevolata dall’omogeneizzazione identitaria del partito dopo la fuoriuscita della destra cattolica tra il Congresso di Torino e l’approvazione della riforma Acerbo, che apri il varco a Giordani per uno scontro esterno di opinione con gli interpreti dell’accostamento filofascista. Tale distacco coincise notoriamente con l’«ora grigia» del progressivo disimpegno delle autorità ecclesiastiche dai destini del PPI, che vide da allora sempre più approfondirsi la condizione di isolamento dal retroterra religioso. Da questo punto di vista può considerarsi emblematica la lettera indirizzata dal popolare bresciano Longinotti

1 I. Giordani-L. Sturzo, Un ponte tra due generazioni. Carteggio (1924-1958), a cura di P. Piccoli, prefazione di G. De

Rosa, Cariplo-Laterza, Milano-Bari 1987, p. 37, Giordani a Sturzo, 2 marzo 1925: «Il veto a Giolitti, come l’introduzione della proporzionale, resta lo sforzo più poderoso per dare all’Italia un governo, un regime moderno, svincolato da clientele e dittature personalistiche ed espresso da programmi e forze organiche di grandi partiti».

42 al presidente della Giunta diocesana e portata a conoscenza nazionale proprio dalla sua pubblicazione sul «Bollettino» di Giordani nel maggio 1925. In essa si denunciava «un contegno di distacco, di coperto e poi di esplicito sospetto» dell’Azione cattolica «rasentante l’ostilità verso gli elementi rappresentativi del movimento politico»2, deprecando l’«apoliticità» delle autorità religiose come operazione di sganciamento dall’antifascismo popolare.

Indipendentemente dall’atteggiamento dei vertici della Santa Sede, ciò che sembrò materializzarsi agli occhi dei popolari antifascisti come Giordani fu una vera e propria «convergenza anti-Partito popolare fra fascismo e mondo cattolico a certi livelli, che si potrebbe circoscrivere agli ambienti dei conservatori nazionali»3. In questi settori si riteneva che la scomparsa del popolarismo dovesse aprire la strada alla rivincita antiliberale dei cattolici, condizionando il fascismo come forza di restaurazione religiosa: come scriveva nel suo editoriale dopo il Congresso di Torino «La Civiltà Cattolica», «il fascismo, che intende[va] rimettere in onore i valori spirituali, e particolarmente il più cospicuo tra essi, l’elevamento religioso e l’ispirazione cattolica della nazione, si trova[va] nella necessità di combattere il liberalismo»4. Cementata dalla polemica contro il vizio di origine «liberale» del popolarismo, la saldatura tra cattolicesimo autoritario e fascismo avrebbe imposto al movimento sturziano – gradualmente affiancato all’opposizione nel 1924-’25 dal liberalismo non fiancheggiatore – di fronteggiare l’aggressione interna al cattolicesimo di «un fronte polemico vastissimo, che [aveva] messo sotto processo la democrazia liberale, il suo carattere individualistico, il suo parlamentarismo»5.

Il riflusso del mondo cattolico su una posizione di «apoliticità» verso il popolarismo non produsse in Giordani la desistenza dall’«aconfessionalità» sturziana, ma la radicalizzò ulteriormente nella direzione di convergenze «esterne» coi settori di cultura laica e liberale. Le sue iniziative avrebbero puntato ad agganciare le correnti antifasciste che mostravano di superare – proprio di fronte all’antifascismo popolare – l’ostilità antireligiosa del post-Risorgimento, ma non rinunciato con questo a tematizzare l’idea di una «libertà politica secondo l’etica cristiana» e indipendente dalla tradizione del liberalismo:

Nella resistenza al fascismo, i cattolici, rimasti da decenni ai margini della vita nazionale, come relitti d’un mondo finito, vennero conquistando una più chiara coscienza dell’autonomia del pensiero e dell’azione politica, anzitutto dal così detto clericalismo: parola che sottintendeva uno sfruttamento della potenza religiosa ai fini di governo, di partito, di banca: sfruttamento fatto in diverse misure, dalle destre e, all’occasione, dalle sinistre e dal centro6.

2 «Bollettino dell’Ufficio Stampa del PPI», 18 maggio 1925.

3 G. De Rosa, Prefazione a I. Giordani-L. Sturzo, Un ponte tra due generazioni, cit., p. 10. 4 Liberalismo in pena, in «La Civiltà Cattolica», 1923, vol. II, 26 aprile 1923, p. 212. 5 G. De Rosa, Prefazione a I. Giordani-L. Sturzo, Un ponte tra due generazioni, cit., p. 10. . 6 I. Giordani, Memorie d’un cristiano ingenuo, Città Nuova, Roma 1981, p. 67.

43 Il lavoro giornalistico di Giordani contribuì a definire «più istintivamente che culturalmente» l’identità politica e laica del popolarismo rispetto ad ambienti cattolici di diversa cultura religiosa: il suo divenne per molti versi «lo sforzo ultimo di autocomprensione storica del partito nel momento della sua eclissi» di fronte alla secessione del filofascismo cattolico. La stessa categoria polemica di «clerico-fascismo» (poi direttamente recepita in ambito storiografico) rappresentò una invenzione della sua «apologetica» antifascista, che tendeva a derubricare il fenomeno dei cattolici «nazionalizzati» soltanto come cedimento alle filosofie monistiche del «nazionalismo integrale». A un popolare come Giordani questa tendenza doveva apparire tanto più pericolosa, in quanto non estrinseca ma coerente con un percorso di formazione anche di primissimo piano che si era sviluppato (basti pensare al caso di Filippo Crispolti) all’interno del movimento cattolico e tangenzialmente allo stesso popolarismo almeno fino al 1923. Il riavvicinamento del fascismo all’istituzionalità del cattolicesimo ingenerava agli occhi di Giordani un fenomeno di «crispoltizzazione nazionale della specie cattolica», contrassegnato dalla riproposizione degli «equivoci neoguelfi» che in epoca risorgimentale avevano strumentalmente allargato il fronte cattolico. La campagna di Giordani contro l’autogiustificazione del filofascismo crispoltiano in chiave di «ritorno alla patria» dei cattolici si fondava su una identificazione non meno forte nel valore della nazione rispetto a quella del cattolicesimo autoritario. Anche il suo «idealismo cristiano» avrebbe parallelamente accentuato il riferimento identitario al patriottismo risorgimentale, ma sforzandosi di riconciliare i cattolici con una forma di appartenenza nazionale non disgiunta dai valori di libertà. Da parte di Giordani si respingeva così la riscoperta della distinzione ottocentesca tra «tesi» e «ipotesi» per giustificare l’adattamento dei cattolici al «governo di fatto» del fascismo, negandogli capacità ricostruttrice di una italianità riconciliata con la fede.

Il Giordani antifascista scese ripetutamente in polemica contro la tesi dello Stato etico gentiliano e il suo tentativo di inglobamento del cattolicesimo come «religione nazionale»: l’8 marzo 1925 rispose all’intervento di Gentile su «L’Educazione politica» che avrebbe suscitato la difesa crociana del liberalismo, contestando al filosofo attualista l’intenzione di «ingabbiare la Chiesa per farla strumento governamentale» e la «sintesi cristiano-pagana» che rivestiva di religiosità laica lo Stato fascista7. Ripropose il suo attacco antigentiliano anche sul «Bollettino dell’Ufficio Stampa del PPI»8 e nuovamente il 23 aprile su «Il Popolo» dopo la pubblicazione del «Manifesto degli intellettuali fascisti», denunciando l’inconciliabilità tra la dottrina cattolica e i

camouflages religiosi della filosofia di Gentile, già inoculati nella sua riforma scolastica con

7 I. Giordani, Sintesi cristiano-pagana? La nuova religione del filosofo Gentile, in «Il Popolo», 8 marzo 1925. 8 «Bollettino dell’Ufficio Stampa del PPI», I, n. 8, 9 marzo 1925.

44 l’introduzione dell’istruzione religiosa elementare come «primo grado del tempio dell’atto puro»9. La negazione gentiliana del cattolicesimo trascendente come «momento mitico» ridimensionava il valore delle aperture alla religione di Gentile ministro della Pubblica Istruzione, a cui Giordani addebitava l’intento di strumentalizzazione gerarchica. Il tenore delle citazioni riprodotte dal Gentile prefascista dei Discorsi di religione gli faceva ritenere prima o poi inevitabile l’apertura di un conflitto «destinato a sboccare per fatalità in una lotta aperta e intransigente» tra «idea religiosa» del fascismo e opinione cattolica senza distinzioni di temperamento politico10.

Dalle polemica contro la derivazione del fascismo da ideologie e filosofie laiche, Giordani ricavava anche la propria insofferenza per quei settori di opinione cattolica che dalla dissociazione dalla linea politica sturziana sarebbero confluiti nel compromesso con il «paganesimo trionfante». Il suo antifascismo coglieva in quel tornante il riproporsi di una divisione di lungo periodo del cattolicesimo italiano, che solo come ultimo approdo si traduceva in una spaccatura tra i «cattolici restati nel popolarismo» e gli altri «stanchi della libertà» che aderivano a un «novus ordo impiantato con tutte le risorse dell’arte militare, politica, parlamentare, filosofica su un terreno acattolico, su un’etica non nostra»11. Di conseguenza i suoi scritti scelsero di risalire storicamente più indietro fino alla «discriminante profonda e epocale tra i cattolici che accettarono il processo risorgimentale, facendosene promotori, e quelli che se ne discostarono, rendendosi succubi delle classi dirigenti, prima di quella liberale e poi di quella fascista»12. Giordani scelse dunque di concentrare la sua

battaglia principalmente all’interno del campo cattolico, contro la permeazione di una «religione nazionalistica» che faceva leva sulla ricucitura della frattura tra Chiesa e italianità risorgimentale.

In un suo articolo del 15 marzo 1925, Giordani affrontava la polemica antireazionaria con il Giuliotti della raccolta Tizzi e fiamme uscita in quell’anno da Vallecchi, opera «dovuta a permeazione di umori francesi», «reminiscenze di Bloy, improvvisazioni sull’“Univers”», duramente stroncata dal popolare come incarnazione dell’antimoderno cattolico che si apprestava a identificarsi nell’autoritarismo fascista13. Giordani ne contestava soprattutto l’esaltazione di

9 «Giovanni Gentile, s’intende, non nega la religione con le banalità pseudoscientifiche dei positivisti e dei materialisti:

la supera, semplicemente, nella filosofia e con la filosofia»: I. Giordani, Cattolicismo e fascismo, in «Il Popolo», 23 aprile 1925.

10 Ibidem.

11 I. Giordani, La rivolta cattolica, Città Nuova, Roma 1995, cit., p. 110.

12 N. Antonetti, Igino Giordani tra popolarismo e fascismo, in Igino Giordani politica e morale, a cura di T. Sorgi,

Città Nuova, Roma 1995, p. 213.

13 Sul senso e sui limiti della sua adesione al fascismo, cfr. la lettera di Giuliotti a Papini del 7 aprile 1924, in D.

Giuliotti-G. Papini, Carteggio, vol. I, 1913-1927, a cura di N. Vian, prefazione di C. Bo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1984, pp. 203-204, che raccoglieva la proposta di collaborazione alla rivista pisana «Rivoluzione fascista»: «Ho mezza intenzione di accettare l’invito e di ribadire, con chiarezza e con franchezza, le mie idee cattoliche sull’autorità, sulla gerarchia, sull’ordine, sulla giustizia ecc. Che ne dici? Nel fascismo c’è una piccola corrente che

45 Veuillot nelle pagine dedicate ai dissidi cattolici francesi14, osservando che proprio le compromissioni assolutistiche del suo movimento avrebbero in qualche misura legittimato dopo il 1870 la reazione anticattolica della Francia repubblicana e radicale. A Giuliotti ricordava inoltre che «non [era] detto che i liberticidi [fossero] sempre filo-cattolici», contrapponendo alla sua condanna apocalittica della modernità l’intangibilità dei diritti di libertà garantiti anche ai cattolici15. Dopo questo suo articolo Giordani ricevette il 18 marzo 1925 la risposta dello scrittore toscano, che si preoccupava di enfatizzare il proprio «sentimento di solitudine»16 dalla cultura cattolica dell’epoca e l’estraneità di fondo all’esperienza dell’«infelicissimo Partito Popolare»:

al suo lungo articolo, una risposta breve. C’è chi dice: Dio, papa, re, sudditi. E c’è chi dice: Dio, papa… (e, pigliando a braccetto il Grande Oriente, seguita:) suffragio universale, Berretto Rosso, popolo sovrano. Nel primo modo dicevano (per esempio) Veuillot e Pio IX. Nel secondo modo dicevano e facevano i signori Lacordaire, Montalembert, Dupanloup, ecc. Nel primo modo dico io, povero «assolutista» in ritardo. Nel secondo modo dice e fa (presumendo, al solito, di convertire il diavolo) l’infelicissimo Partito Popolare. E lei… Ahimè, Giordani, la conclusione è triste17.

La tribuna privilegiata che diede diffusione agli scritti di Giordani fuori dal mondo cattolico fu ancora quella dell’editoria gobettiana, con la quale riuscì a entrare in relazione grazie ai contatti di Sturzo con il direttore de «La Rivoluzione Liberale», che «aveva dato inizio – avrebbe poi ricordato Giordani – a un liberalismo nuovo, di contenuto sociale, svincolato dai settarismi e dai conservatorismi del passato; e per questo avvicinava anche noi popolari e accoglieva nel suo giornale anche scritti di cattolici»18. Dopo la partenza di Sturzo in esilio proprio Giordani divenne il principale anello di collegamento tra il mondo popolare e Gobetti (personalmente invitato da Giordani ad assistere all’ultimo Congresso del PPI)19 in una scelta di apertura che ne testimoniava ulteriormente la distanza dalla cultura cattolica di opposizione alla civiltà moderna20. La prima occasione di conoscenza con l’editore torinese fu notoriamente rappresentata dalla richiesta di

14 Cfr. D. Giuliotti, Tizzi e fiamme, Vallecchi, Cantagalli, Siena 1999 [I ediz. Vallecchi, Firenze 1925], pp. 139-165; le

pagine di questo capitolo dedicato a Luigi Veuillot rappresentavano un ampliamento del saggio omonimo pubblicato in quattro puntate dal gennaio al giugno 1924 sulla rivista cattolica milanese «Il Carroccio». Per un profilo dello scrittore grevigiano il riferimento più completo resta M. Baldini, Giuliotti. Cristiano controcorrente, Messaggero, Padova 1996.

15 I. Giordani, Giuliotti imperialista cattolico, in «Il Popolo», 15 marzo 1925, ora in Le terze pagine de Il Popolo 1923- 1925. Cattolici democratici e clerico-fascisti, a cura di L. Bedeschi, Edizioni Cinque Lune, Roma 1973, pp. 367-373.

16 A. Ciampani, La formazione dei cattolici italiani. Esperienza religiosa e impegno civile nell’azione culturale di Giuliotti e Papini, in «Annali della Fondazione Giulio Pastore», XIV (1985), pp. 177-203 (cit. p. 187).

17 I. Giordani-L. Sturzo, Un ponte tra due generazioni, cit., p. 168. Sul Veuillot di Giuliotti cfr. L. Righi, Cattolicismo nero, Firenze 1976, pp. 142-143.

18 I. Giordani, Alcide De Gasperi, Mondadori, Milano 1955, p. 93.

19 Sui rapporti tra Gobetti e Giordani cfr. B. Gariglio, Progettare il postfascismo, cit., pp. 51-66.

20 Dello stesso Giuliotti si veda la lettera a Gobetti del 21 febbraio 1922, in D. Giuliotti, L’ora di Barabba, Vallecchi,

Firenze 1922, p. 97, che dichiarava «l’impossibilità d’intenderci» sul programma apparso nel primo numero de «La Rivoluzione Liberale»: «Nessuna osservazione da fare: nego tutto. Sono antiliberale, antidemocratico, antisocialista, anticomunista. In una parola, antimoderno. In questa Italia di briganti-pazzi vivo con la tristezza ostile d’uno straniero che non ha più patria. Sono dunque da voi dissimilassimo. Voi (professori) cercate di catalogare, mentre vi travolgono, le ondate della piena; io (poeta) disperatamente spero nell’auto-distruzione dell’anarchia e nella ricostruzione d’una piramide, con al vertice il Papa e alla base il popolo».

46 pubblicazione di un suo «libro di battaglia» sul cattolicesimo antifascista, di cui Giordani scrisse a Gobetti il 21 maggio 1924:

Ho scritto un lavoro dal titolo: Contrattacco (Polemica religiosa e politica), in cui dalla posizione del cattolicismo e del popolarismo attacco il militarismo, il nazionalismo, e sopra tutto il fascismo e l’appendice clerico- fascista, eccitando uno spirito di conquista e di rivincita nella vita pubblica da parte dei cattolici popolari. Insisto perciò a rilevare le due anime della massa cattolica italiana personalizzandole nelle due figure di L. Sturzo e del Conte Grosoli: anima democratica, autonoma e clericalismo conservatore parassita21.

Giordani e Gobetti si incontrarono per la prima volta a Roma pochi giorni dopo questa prima lettera, concordando la pubblicazione con un titolo diverso da quello da inizialmente proposto dall’autore, che su indicazione gobettiana prese poi definitivamente come nome La Rivolta

cattolica. Durante l’intervallo che precedette la sua uscita nel giugno 1925, il carteggio tra i due documenta l’incubazione di un’opera destinata a rimanere per la generazione popolare (che ne ricevette copia in occasione del congedo congressuale del partito) «il vero manifesto dell’antifascismo cattolico»22, come testimonianza di un «periodo di lotta appassionata, in cui presentendo l’imminente silenzio cemeteriale sul “cadavere della libertà” noi gittavamo nell’arengo le idee e i sentimenti come scaraventandoli in mezzo ad una tragica rissa»23. Contro il monopolio della rappresentanza religiosa preteso dal «filo-cattolicismo nazionalista», Giordani si sarebbe preoccupato di restituire nella sua opera la dimensione autenticamente «cristiana» dell’antifascismo popolare e della sua resistenza non confessionale alla tirannide: «D’altra parte – scrisse in quei mesi a Gobetti – i clerico-fascisti lo aspettano sperando di vedermi compromettere in tema di ortodossia cattolica. Ergo mi mandi presto il manoscritto e quindi lo pubblichi presto, perchè certamente andrà bene anche per Lei»24.

Al netto della sua stessa insufflazione retorica, il volume di Giordani anticipava l’eredità storico-ideale che negli anni di silenzio ormai alle porte avrebbe accompagnato i superstiti oppositori del popolarismo nella resistenza interiore e spirituale alla «religione fascista»: «Siamo l’antitesi netta del fascismo. Spiritualmente noi neghiamo il fascismo. […] Con altri – liberali ed estremisti di destra e di sinistra – esso è un po’ imparentato. Noi invece siamo l’antagonista – se siamo noi: con noi nessuna affinità di dittature, siano esse d’un uomo, d’una casta, d’un partito. Per noi qualunque dittature strangola con le libertà politiche, la libertà morale». Tra i suoi riferimenti

21 Con animo di liberale. Piero Gobetti e i popolari. Carteggi 1918-1926, a cura di B. Gariglio, Franco Angeli, Milano

1997, p. 164.

22 F. Molinari, Il giovane Giordani, in Igino Giordani politica e morale, cit., p. 364. Cfr. anche G. Spadolini, Giordani e il movimento cattolico, ivi, p. 258, che valuta il libro di Giordani «fondamentale per la sua generazione, per la generazione dei cattolici antifascisti»

23 I. Giordani, La Rivolta cattolica, Città Nuova, Roma 1995 [I ediz.: 1925], p. 8

24 Con animo di liberale, cit., pp. 169-170, Giordani a Gobetti, s.d. [gennaio 1925]. «Il lavoro presso Gobetti s’è dovuto

aggiornare; non so quando si deciderà a pubblicarlo. Se lei avesse occasione di scrivergli, lo solleciti. Il lavoro sarà rivisto ed emendato da don Giulio, il quale è del parere che andrà a ruba! Speriamolo nell’interesse dell’idea»: I. Giordani-L. Sturzo, Un ponte tra due generazioni, cit., p. 35, Giordani a Sturzo, 19 gennaio 1925.

47 polemici vi erano naturalmente la divinizzazione neo-pagana e il carattere conseguentemente antireligioso prima che antiliberale di una dittatura come quella fascista; ma anche – per quanto concerneva più direttamente i cattolici – la difesa di uno spazio di autonomia civile nella distinzione non separatistica con l’ispirazione religiosa, che escludeva qualsiasi «ritorno in sacrestia» dei cattolici popolari se non come momentaneo arretramento. La possibilità di ripresa della loro militanza rimaneva condizionata alla fedeltà nei confronti della lezione sturziana, di cui Giordani richiamava soprattutto l’acquisizione dell’indivisibilità tra libertà politica e religiosa, preannunciando nel dispotismo autoritario una minaccia alla stessa autonomia della Chiesa:

Se si vuole la libertà della Chiesa, dei cattolici, non si deve negare la libertà agli altri, cioè non si deve appoggiare la dittatura. Io credo che tutte le libertà siano coordinate o dipendenti dalla libertà politica. Da questa fatalità sgorga il popolarismo, sforzo per sollevare gli iloti cattolici d’Italia a un piano di autonomia, d’indipendenza, con una concezione statale propria; sintesi sociale-politica – costrutta sull’etica cristiana – integrante l’emancipazione dei cattolici in tutti i campi, e rendendola anzi possibile. Inefficace è la libertà d’insegnamento, incerta è la stessa libertà della Chiesa, se affidate a neutralità infide, a protezioni volubili, o riposte più nel calcolo delle divisioni degli antagonisti che nella forza sicura, organica, di cittadini dalla fede adamantina25.

La sua prospettiva di antifascismo religioso induceva Giordani a ritenere analogamente impensabili una restaurazione della libertà non mediata dal cristianesimo e la difesa della religiosità cristiana in un contesto di coazione «borbonica». Ne conseguiva che se «in altra epoca si combatteva il cristianesimo in nome della ragione e della libertà, nella contemporaneità «non si [poteva] più combattere il cristianesimo se non distruggendo la ragione e la libertà»26:

Noi, coi pensatori del Risorgimento, la crediamo, questa libertà dono divino; essenziale al cristianesimo, che è tutto sforzo di liberazione.

E non abbiamo perduto la fede nel Parlamento, se pure i don Chisciotte del liberalismo la rinneghino per piccole vendette. […] E così pure crediamo che sinora la Costituzione sia la migliore garanzia per sbarrare il passo a velleità dittatoriali, per arginare demagogie bolscevizzanti, per assicurare lo sviluppo armonico delle classi.