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Gli interstizi della «rete» antifascista

4. L’antifascismo cattolico e liberale nella «lunga vigilia»

4.2 Gli interstizi della «rete» antifascista

Essenzialmente in queste aperture religiose del crocianesimo vanno rintracciati anche i flussi di relazione intercorsi tra gruppi cattolici e liberali dopo il 1925, unitamente alle residue occasioni di comunicazione nel contesto di oppressione e di dispersione delle forze. Fu in questa eclissi che si consolidarono anche privati «incunaboli» di conoscenza poi rafforzatisi nella ripresa di responsabilità nel secondo dopoguerra, ma che proprio negli anni di sospensione politica durante il fascismo mantennero frequentemente un non dimenticato momento di origine. Ne avrebbe offerto indirettamente descrizione la raccolta degli scritti di Giordani sul cattolicesimo liberale uscita nel 1945, quando un suo parallelismo rievocava l’integrazione conquistata dai cattolici nello schieramento di opposizione al Secondo Impero bonapartista, richiamando da vicino lo stesso legame di fedeltà che aveva stretto oppositori cattolici e liberali sotto il fascismo in Italia: «Legittimisti parlamentari, orleanisti, cattolici liberali, repubblicani costituzionali, tutti gli

50 P. Gadda Conti, «La famiglia italiana» a Milano, in Tre cattolici liberali, cit., pp. 307-338.

51 Episodici ma non del tutto assenti furono anche i rapporti di Croce con i colleghi popolari dell’esperienza di governo

giolittiana; tra questi Croce rimase vicino nel ventennio soprattutto al napoletano Giulio Rodinò, testimoniandogli la sua amicizia in una lettera nell’agosto 1927: «Io penso spesso a te ed agli altri amici, che ebbi colleghi nella mia episodica vita politica e ricordo con soddisfazione il sentimento che allora ci animava di devozione alla cosa pubblica. Non dobbiamo arrossire di quel che facemmo o tentammo; e questa coscienza è tal conforto che non può esserci tolto da nessuna vicenda di fortuna» (Un uomo e un’idea. Documentazione della vita politica di Giulio Rodinò, Napoli 1956, pp. 185-186).

170 oppositori si legarono automaticamente di amicizia: essi furono i liberali; che coltivarono nell’Impero autoritario e nella democrazia servile la fiamma della libertà»52.

Tra questi due universi di cattolicesimo «popolare» e di liberalismo religioso rimase essenziale tramite di collegamento la figura di Stefano Jacini, che in tutti quegli anni di oscurità mantenne un ininterrotto e intenso rapporto epistolare con De Gasperi, ponendolo costantemente in collegamento con i liberali cattolici lombardi e attraverso questi di riflesso con Croce. Tramite le notizie jaciniane De Gasperi apprendeva le discussioni del cenacolo milanese di Casati, nel quale più raramente l’ex segretario del PPI veniva personalmente ricevuto in qualche sporadica escursione nel Nord Italia, rintracciabile anche nei Taccuini crociani degli anni Trenta. Di questi incontri Gallarati Scotti avrebbe lasciato uno squarcio nella sua commemorazione di Casati, definendo quegli anni «modestamente tra i nostri migliori, poiché i più distaccati dalle preoccupazioni inferiori, egoistiche, di cariche, di onori, di successi».

Anni austeri di incomprensione mondana, di allontanamento dalla vita sociale, di solitudine, di esilio in patria, ma palpitanti nella battaglia ideale per la libertà, anni di rinuncia volontaria, silenziosa. Eppur consolati da amicizie e intimità di ritrovi e gioia di incontri con personalità eminenti (diverse anche e lontane), ma con cui era possibile ritrovare uno stesso linguaggio spirituale. Ore invernali di Via Soncino – ore estive all’ombra degli alberi centenari di Arcore – conversazioni interminabili pei viali del giardino […] chi le potrà mai dimenticare?53

Tra i luoghi preferiti di appuntamento rimase fino al 1938 la residenza di Fontaniva della famiglia Cittadella presso Abano nel vicentino, descritta nei ricordi di Gallarati Scotti «bella casa aperta da ogni parte sugli incanti della pianura veneta»54 e abitualmente frequentata da Papafava, dai Casati, da Croce e occasionalmente anche da Alcide e Francesca De Gasperi. Ad animarne l’ospitalità era la cortesia della padrona di casa e cognata dello stesso Gallarati Scotti, Maria Cittadella Vigodarzere, «vibrante con noi dello stesso sentire e soffrire e volere, ardente, fida e operosa» nella testimonianza restituitone da Croce, che ne avrebbe sempre caramente custodito la memoria tra le sue amicizie di fede. Quella di Fontaniva divenne una meta obbligata delle peregrinazione nel Nord Italia di Croce, il quale avrebbe poi ricordato di esservi stato accolto immancabilmente dall’amica che «per quella ospitalità ebbe minacce, da lei non curate»55. Dal suo esempio come da quello di altri liberali cattolici Croce poteva ricavare, se non una riconciliazione teoretica del dissidio, almeno la possibilità di una coesistenza «di fatto» e più intima moralmente «tra la fede cattolica e quella del pari ferma e operosa e intransigente nella libertà», assimilando quegli spiriti alla medesima tradizione che «era stata degli uomini del Risorgimento e si era

52 I. Giordani, Storia della democrazia cristiana, cit., p. 150.

53 Alessandro Casati. Commemorazione tenuta il 5 dicembre 1955 al Circolo della Stampa di Milano da Tommaso Gallarati Scotti, cit., p. 20.

54 T. Gallarati Scotti, La nostra Maria, in Alla memoria di Maria Cittadella Vigodarzere (1892-1938), a cura di A.

Gallarati Scotti, Milano 1960, p. 11.

171 trasmessa nei cattolici liberali italiani»56. La figura della Cittadella rimase protagonista dell’antifascismo dei circoli e dei salotti anche di Roma, dove la sua residenza divenne centro di raduno di «una viva opposizione antifascistica, liberale e cattolica»57, ed occasione di incontro tra De Gasperi, Croce, Bonomi, Sforza58. Proprio da qui il trentino poteva appurare personalmente le informazioni ricevute da Jacini, corrispondendogli a sua volta sugli scambi di opinione coi crociani: in una lettera del 23 gennaio 1930, gli scriveva ad esempio di un convegno presenziato dal filosofo e da Casati, alludendo ai loro nomi con epiteti scherzosi ma ben riconoscibili:

A una serata in onore di Benedetto… XVI (Dio ce ne liberi, rizzerebbe i roghi!) ho incontrato anche il più umano uguale di Gabrio, che ho pregato di portarti i miei saluti. Per il resto nulla di nuovo nel campo della... concretezza, e in quanto alle idee ognuno si fa la filosofia che gli giova59.

Anche De Gasperi strinse in quegli anni amicizia confidenziale con la Cittadella, coinvolgendola in scambi di battute altrettanto “frizzanti” sul mondo crociano a lei così intimo e congeniale. Lo si evince ancora dal carteggio con Jacini, che il 19 marzo 1933 riferiva a De Gasperi dell’impressione simpaticamente registrata dall’amica sulle sue frequentazioni nella Roma vaticana: «In questi giorni ho parlato ripetutamente di te con una signorina... stagionatella, che ti vuoi bene assai. Mi ha detto che ti sei incurialato e vaticanizzato da capo a pié: io non me n’ero accorto»60. A questa lettera De Gasperi replicava qualche giorno dopo con una battuta di allusione all’idiosincrasia che egli avrebbe costantemente riservato alla filosofia crociana:

La signorina Maria mi trova incurialato? È solo vero che sono piuttosto disincrociato ed ho avuto la cattiveria di dirlo proprio a lei61.

Ancora in un’altra missiva a Jacini del 15 gennaio 1935, De Gasperi lo informava scherzosamente della missione crociana dell’amica in viaggio da Roma a Napoli:

È passato di qui il tandem Cittadella-Gallarati, che dopo aver fatto il colpo, venduta cioè la casa ad Albertini jun[ior], sono andati a consolarsi non so se col bel cielo o colla stucchevole filosofia di Napoli62.

56 Ibidem. Quando il 12 dicembre 1938 Croce venne raggiunto dalla notizia della fine imminente e prematura

dell’amica, si precipitò a Padova a recarne il commiato «come un peccatore a una santa»: «Ci siamo recati – annotò nei suoi Taccuini – al Palazzo Cittadella, dove Maria è a letto, assistita dalla sorella, dal cognato e da altri parenti e amici. L’ho riveduta: essa ignora la gravità del suo male, e quando le sofferenze si alleviano, pensa alla guarigione non lontana. A più riprese mi ha voluto accanto al suo letto e abbiamo conversato con lei o intorno a lei che ci ascoltava. Purtroppo, tanta gentilezza, tanta nobiltà, tanta bontà si allontanerà da noi, o piuttosto non si allontanerà ma resterà in noi come parte di noi stessi» (B. Croce, Taccuini di lavoro, cit., vol. IV, p. 116).

57 B. Croce, Maria Cittadella, cit., p. 21.

58 T. Gallarati Scotti, La nostra Maria, cit., p. 11.

59 AJC, Fondo Stefano Jacini, «Corrispondenza», cart. «Alcide De Gasperi», De Gasperi a Jacini, 23 gennaio [1930]. In

un’altra lettera senza data del 1931, De Gasperi scriveva a Jacini, ivi: «La Cittadella fu qui un paio di volte da noi durante un suo brevissimo soggiorno, ma è ripartita prima di Natale. Manderò un biglietto a Cas[ati]; e grazie del suggerimento».

60 Ivi, Jacini a De Gasperi, 19 marzo 1933. 61 Ivi, De Gasperi a Jacini, 22 marzo 1933. 62 Ivi, De Gasperi a Jacini, 15 gennaio 1935.

172 Tuttavia fu proprio Maria Cittadella a impegnarsi dal 1928 a ricercare attivamente un impiego di lavoro in Vaticano per De Gasperi, usufruendo delle sue entrature curiali e soprattutto di un pressante e contagioso ottimismo, i cui effetti vennero prudentemente recepiti dallo stesso trentino che ne scriveva a Jacini il 22 febbraio 1929: «Marietta è ottimista? Lo so è un lubrificante e fa bene al fegato. Lei mi vede p[er] e[sempio], già “sistemato”, l'ha detto a tutti e con quell'aria di chi è beato di vivere nel migliore dei mondi, l'ha detto perfino al papa a Natale»63. Nei mesi che precedettero la sua assunzione in Vaticano il 3 aprile 1929, De Gasperi contrasse un incancellabile debito di gratitudine per l’interessamento dell’amica «tanto buona che vede sistemati tutti dentro e fuori il Vaticano»64, a proposito del quale scriveva in gennaio a Jacini che «di questi giorni non sono uscito che per incontrare Mariettina (col permesso di mia moglie) la quale s’affatica invano finora a intenerire il cuore dei monsignori»65.

Dal 1929 De Gasperi assunse l’impiego presso la Biblioteca Apostolica Vaticana come addetto soprannumerario alla catalogazione degli stampati, in un ambiente che fungeva a sua volta da crocevia di incontri al riparo delle mura vaticane. Sotto l’avallo di Papa Ratti, che resistette – come è noto – anche nella crisi del 1931 alle rimostranze del regime per la protezione concessa all’antifascista De Gasperi, la «rocca di resistenza» della Vaticana rimase «l’unico rifugio europeo rimasto a Roma», accogliendo con contratti temporanei di lavoro – spesso premessa, dopo il 1938, del rifugio all’estero con passaporto vaticano – esiliati politici, studiosi e uomini di cultura perseguitati per ragioni politiche e razziali, tra i quali Umberto Cassuto, Giorgio Levi della Vida, Jacob Hess. Come avrebbe ricordato Giordani, assunto già nel 1927 come direttore della sezione bibliotecaria del trentino, «il reparto catalogo pareva, allora, un minuscolo parlamento. Le abitudini di studio e di critica conferivano alla quotidiana, se pur si solito, brevissima disamina politica, un tono di obiettività: e in quella obiettività il fascismo si dispiegava nella sua natura di decadenza morale e di precarietà politica del sistema. Si era certi, e De Gasperi lo asseriva con più autorità di tutti, che Mussolini avrebbe tratto l’Italia alla guerra e alla rovina»66.

Alla testimonianza dell’orientalista Levi Della Vida si deve «il ricordo di un incontro casuale, nel febbraio del 1933, nella Biblioteca Vaticana» con Benedetto Croce in missione di studio per i manoscritti umanistici del Calenzio, «cui fece seguito una conversazione a quattro, con Alcide De Gasperi allora addetto alla schedatura dei libri e la dotta ed energica bibliotecaria Maria

63 Ivi, De Gasperi a Jacini, 22 febbraio 1929. 64 Ibidem.

65 Ivi, De Gasperi a Jacini, 25 gennaio 1929. 2 gennaio 1939: «Ho ricevuto una assai cordiale e graditissima lettera

della duchessa Amelia [Gallarati Scotti], la quale assicura che la povera contessa Maria ha sentito di lontano attraverso le nostre lettere la profondità e la vigilanza della nostra amicizia».

173 Ortiz, direttrice della Nazionale di Napoli e poi dell’Universitaria di Roma, fedelissima di Croce»67. Ne nacquero corrispondenze e richieste di informazioni su questioni storico-erudite che si intrecciavano alle mansioni bibliotecarie di De Gasperi, da parte del quale rimaneva naturalmente vivo l’interesse a un contatto non occasionale con Croce: «Se di qui – gli scrisse il 10 marzo 1937 – le posso esser utile in qualche cosa, mi comandi»68. Lo ricercò invece lui con estrema deferenza in occasione della raccolta dell’epistolario di Giulio Salvadori, messa in cantiere dal collega bibliotecario Nello Vian:

come le è noto, si stanno raccogliendo qui in Roma le lettere di Giulio Salvadori, col proposito di pubblicarne una scelta delle più significative presso Vallecchi. Nello Vian, discepolo affezionato di lui, ed ora mio giovane collega nella Bibl[ioteca] Vat[icana], mi ha pregato di rivolgermi a lei, per ottenere copia o almeno notizia di qualcuna delle lettere avuta dal Salvadori.

Trasmettendola questa rispettosa preghiera, la faccio anche mia, solo con la premessa che la richiesta non le debba recare troppa noia e disturbo.

Colgo l’occasione per rinnovarle, anche a nome di mia moglie, ogni migliore augurio di buona salute e di fecondo lavoro, mentre mi segno suo devoto69.

Da non sottovalutare – fuori dall’orbita crociana – anche i rapporti di amicizia tra De Gasperi e la famiglia dello storico direttore del «Corriere della Sera», Luigi Albertini, di cui il trentino avrebbe curato l’assistenza spirituale alla vigilia della morte nel dicembre 1941, raccogliendone l’invocazione della fede con l’incarico di visitarlo rivolto da lui stesso a padre Vincenzo Ceresi: «Venne finalmente – trascrive De Gasperi nel suo diario – e gli dissi parole commosse e rassicuranti sulla carità e sul buon volere dell’infermo, che in quel momento non poteva parlare. Vi stette un quarto d’ora; poi tornò con il Santissimo […]. Partii, ringraziando con giubilo il Signore»70. Durante gli anni Trenta Albertini ospitò ripetutamente De Gasperi nella tenuta di Torre in Pietra vicino Roma, acquistata nel 1926 e sottoposta a bonifica con l’intento di offrire al genero Nicolò Carandini e al figlio Leonardo una sicurezza al riparo delle vicende politiche. Si trattò quindi di una frequentazione che permise al trentino per la prima volta di avvicinare, ancora sotto l’aura della presenza albertiniana, uno dei suoi futuri ministri liberali del dopoguerra:

Domenica scorsa fu giornata doppiamente bella, perché Francesca ed io fummo ospiti di Luigi Albertini a Torre in Pietra.

Tenuta interessante, villa ariosa e bellissima, ma l’ente più interessante rimane Lui, colla sua cervice e col suo magnifico stile di baronetto. Tutta quella famiglia è simpatica, una bella famiglia italiana sul serio, del ceppo buono – di quelle destinate a formare l'ossatura di una società nazionale, quando ossatura ce ne possa essere71.

67 G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Neri Pozza, Vicenza 1966, p. 202. Su questo incontro si veda anche – con

rettificazione della datazione – B. Croce, Taccuini di lavoro, cit., vol. III, p. 371, 28 aprile 1933: «Sono stato alla Biblioteca Vaticana per confrontare alcuni manoscritti del Calenzio. Riveduti De Gasperi, Levi della Vida e la Ortiz».

68 Il testo di questa lettera 1937 è pubblicato in R. Moscati, Informazioni della polizia su De Gasperi (1927-1941), in

«Clio», IX (1973), p. 532.

69 Ivi, De Gasperi a Croce, 10 marzo 1937. Su De Gasperi bibliotecario cfr. N. Vian, Il leone nello scrittoio, Città

Armoniosa, Reggio Emilia 1980, pp. 211-212.

70 M.R. De Gasperi, Mio caro padre, cit., pp. 40-41.

174 Della nuova generazione liberale, anch’essa poi approdata da diversi itinerari sotto la guida crociana tra gli anni Trenta e Quaranta, la personalità che si mantenne sicuramente più vicina a De Gasperi e al mondo del popolarismo – da cui proveniva – fu quella di Leone Cattani, che in veste di segretario del PLI dal 1944 al 1946 avrebbe conseguentemente sviluppato questa conoscenza di lunga data in una relazione speciale con il partito dei cattolici, fino a patrocinare notoriamente la nomina degasperiana alla Presidenza del Consiglio nel dicembre 1945. Allievo dell’Istituto Cattolico di Scienze Sociali di Bergamo fino al 1925, Cattani era stato giovanissimo militante del PPI nella campagna elettorale del 1924 e fondatore della «Unione goliardica Italiana per la libertà» insieme ad altri gruppi di antifascisti di fede liberale e socialista, divenendone dirigente in rappresentanza degli universitari cattolici di Roma e delegato nel Comitato centrale dell’Aventino. Qui si registrò probabilmente anche il primo contatto del giovane Cattani con De Gasperi appena nominato segretario del partito: «Io militai con ardore nella sua stessa parte e non avevo ancora diciotto anni quando lo conobbi e lo seguii con crescente ammirazione nelle ultime battaglie per la difesa della libertà contro il fascismo trionfante»72. Dopo il delitto Matteotti avvenne invece il transito politico di Cattani dal popolarismo alla democrazia amendoliana, nel cui leader gli sembrò di ritrovare «la voce più autorevole e ferma e più rappresentativa delle ragioni comuni dell’opposizione antifascista», senza intravedere contraddizioni tra la sua militanza cattolica e quella strategia di «collaborazione delle forze» tra partiti di democrazia liberale73. Rimase ancora

presidente del circolo romano della FUCI fino all’ottobre 1926, quando si dimise dagli incarichi nell’Azione Cattolica in dissenso dalla liquidazione della linea di autonomia antifascista degli universitari.

In quegli ultimi mesi di trincea nelle fila del laicato cattolico, Cattani prese l’iniziativa di pubblicazione del foglio antifascista «La Sapienza», concepita come voce di dissenso dei giovani cattolici romani che avevano preso parte all’esperienza aventiniana della Goliardica. Fu proprio nel primo numero di questa rivista che comparve un articolo non firmato di De Gasperi su Leone XIII, che riproponeva il «mito» di quel Pontefice in chiave apologetica e larvatamente polemica contro l’acquiescenza vaticana nei confronti del fascismo74. Ne scaturì la reazione prontamente risentita di Pio XI, che richiese di conoscere il nominativo dell’autore «che Cattani, a nome della redazione, rifiutò di dare», prima che la rivista fosse riportata all’obbedienza e sottratta ai giovani universitari cattolici75.

72 L. Cattani, Lo aiutai nell’assumere la Presidenza del Consiglio, in «Concretezza», 16 maggio 1974, ora in Processo a De Gasperi, a cura di G. Capua, Ebe, Roma 1976, pp. 272-273.

73 Cfr. L. Cattani, Amendola e i giovani, in AA.VV., Giovanni Amendola, Forni, Reggio Emilia 1978, pp. 245-253 74 [A. De Gasperi], Il «mito» leoniano, in «La Sapienza. Foglio di pensiero degli universitari cattolici», a. I, n. 1, 1

maggio 1926, ora in ADG, SDP, II, 2, p. 1370-1373.

175 Da quel momento la testimonianza antifascista di Cattani procedette nel solco della discendenza amendoliana anche dopo il sacrificio del deputato meridionale, nella fedeltà al suo «linguaggio dell’imperativo morale che imponeva di concentrare ogni sforzo per la riconquista della libertà»76: prese così parte all’attività cospirativa di altri giovani amendoliani, subendo l’arresto nel 1928 con La Malfa e Vinciguerra sotto l’accusa di appartenenza all’associazione clandestina «Giovine Italia», in seguito alla quale dovette abbandonare l’impiego di funzionario presso l’Istituto nazionale per l’esportazione e dedicarsi faticosamente alla professione di avvocato77. Ma proprio negli «anni oscuri» del fascismo Cattani riuscì a ritagliarsi occasioni di frequentazione più ravvicinata con De Gasperi, il quale – pur restando fedele alle sue «vecchie amicizie» tra gli ex popolari – non si sottrasse agli incontri con lui per coltivare le memorie comuni del popolarismo e «rievocare, anche nei dettagli, le passate vicende nella scrupolosa ricerca delle ragioni e dei fatti che avevano portato alla dittatura». Questa l’impressione poi ricordata da Cattani nel 1974 sulla «resistenza» degasperiana sotto il fascismo:

Egli era indiscutibilmente un vero capo e tale si rivelava non tra il fasto del potere e la suggestione del successo, ma nel momento della verità, quando anche la speranza sembrava ai più una follia. Non accettò mai alcun compromesso, ma, pur nelle gravi ristrettezze in cui viveva, ogni suo studio, ogni sua cura, ogni sacrificio furono diretti a preparare il futuro. Non sperava nulla per sé e proprio per questo si rivolgeva con speciale attenzione ai giovani. Ma si sentiva sicuro dell’avvenire. «Ho condotto la lotta al fascismo fino in fondo ed ho voluto che il partito popolare morisse onoratamente per essere sicuro della sua rinascita», mi disse durante una delle passeggiate serali che talvolta facevamo vicino a S. Pietro nell’inverno del 192978.

Attraverso i suoi rapporti di consuetudine con De Gasperi, Cattani rimase costantemente legato al mondo del popolarismo romano che si dava appuntamento in casa di Tupini, ricevendo anche qui ospitalità regolare e testimoniata dai ricordi di infanzia del figlio Giorgio, che grazie a una sua visita ebbe modo di scoprire per la prima volta l’interesse politico del padre:

Un giorno gridai a Leone Cattani, futuro Segretario del Partito Liberale, che non doveva prendere un volume dalla libreria. «I libri sono di papà», sentenziai a voce alta. Dopo questo episodio, mi fu spiegato che certi clienti erano