2. Dalla politica alla storia: itinerari alla ricerca di un popolarismo di opposizione
2.4 Stefano Jacini «popolare» e il tramonto del conservatorismo nazionale
Il lavoro di studio di Martini rifletteva un percorso di legittimazione dell’antifascismo popolare che era venuto prevalentemente a svilupparsi attraverso correnti di pensiero non originate dall’intransigenza cattolica. La sua sintonia ideale con le posizioni del conciliatorismo dimostra come questa identificazione non abbia rappresentato soltanto un passepartout di mediazione tra cattolicesimo e fascismo, ma anche il fondamento della resistenza cattolica a partire da una tradizione di libertà non ostile ai valori religiosi. In questo orizzonte deve essere inquadrata anche la parabola cattolico-liberale di un popolare come Stefano Jacini junior, che per la sua stessa discendenza familiare – nipote dell’omonimo politico risorgimentale e ministro di Cavour – incarnava naturalmente l’eredità del conservatorismo «transigente», per molti aspetti differenziandosi dall’idealtipo prosopografico della classe politica del popolarismo. L’impronta di originalità della sua formazione fu arricchita inoltre dalla partecipazione al modernismo religioso di inizio secolo, che lo aveva orientato verso un cattolicesimo non propriamente caratterizzato dalla vocazione socio-politica, ma culturalmente temprato ai valori di libertà. Il debutto da intellettuale
197 «Un sistema sociale non è una sintesi religiosa o etica, anche quando a ricercarlo, a permearlo, a realizzarlo sono dei
cattolici. La fede, la rivelazione, la morale non offrono di per sé quello che noi chiamiamo un sistema sociale nel senso che esso ha e deve avere di corpo organizzato coll’obietto e lo scopo di una sintesi. La quale per ciò che riflette la vita sociale negli atti e nelle manifestazioni dell’economia e della politica è sintesi nel terreno economico e politico, non religioso, non etico»: ibidem.
97 nel gruppo promotore della rivista milanese «Il Rinnovamento», a cui partecipò per tutto il triennio di vita dal 1907 al 1909, introdusse Jacini in un intensa attività di studio e di frequentazione con il movimento religioso e filosofico della cultura tedesca.
Dalla redazione del periodico era stato incaricato di illustrare nella rubrica di Cronache i temi di questa sua corrispondenza con la religiosità del mondo germanico, concentrando il proprio interesse verso le varie forme di revisione storicistica del cattolicesimo tradizionale. L’apologetica riformatrice di Jacini si indirizzò verso il «non celato liberalismo» di protagonisti del cattolicesimo tedesco come il teologo Hermann Schell e Karl Müth, direttore della rivista «Hochland», ricavandone l’afflato ecumenico anche nei confronti del protestantesimo liberale e la sintonia con la metafisica idealistica del filosofo Rudolf Eucken. Nell’articolo da lui firmato il 2 agosto 1907 da Strasburgo su Il pensiero di Hermann Schell, Jacini commemorava l’intellettuale cattolico da cui più rimase influenzato per la sua rivendicazione del pensiero religioso dei laici in contrapposizione all’autocrazia teologica della Chiesa. Fu quindi portato a riconoscere il primato della causalità religiosa sugli stessi orientamenti politici dei cattolici, aderendo al movimento modernista proprio come tentativo di restituire al cattolicesimo italiano uno spazio culturalmente autonomo oltre la strettoia dell’epoca tra laicismo antireligioso e intransigenza clericale: come Jacini anticipava sulle pagine della rivista, era infatti sua convinzione che «i nemici più aspri della Chiesa [andassero] d’accordo coi presunti sostenitori di essa nel negare ai cattolici la libertà di pensiero»198.
Estremamente indicativa appare la simpatia da lui espressa in quegli anni per la vitalità culturale del cattolicesimo nella Germania del primo Ottocento, quando ancora non si era costituito il movimento cristiano sociale e la religiosità poteva interiormente rigenerarsi come ecclesia pressa.
Viceversa le rassegne jaciniane formulavano un giudizio assai critico sulla presenza del cattolicesimo politico in Germania, che gli appariva come un fattore di conformismo e un ostacolo allo stesso rinnovamento religioso del movimento modernista. L’autonomia politica del Zentrum sarebbe stata conquistata dai cattolici tedeschi al prezzo di una soggezione che lasciava «arbitra sovrana» l’autorità ecclesiastica nel campo religioso e teologico, contribuendo alla decadenza spirituale della Germania cattolica:
Oggi per forza di cose e di uomini, i cattolici hanno in Germania una compagine sociale e politica fortissima, la quale ha in un certo senso soffocato l’attività ideale e costituisce così, per quanto riguarda alle idee religiose, piuttosto una inerzia conservatrice che una forza progressiva199.
Già dai suoi anni giovanili andò dunque «maturando o confermando nel giovane cattolico liberale una certa sfiducia nell’uso di strumenti temporali per il raggiungimento di finalità religiose
198 S. Jacini, Il pensiero di Hermann Schell, «Il Rinnovamento», I, fasc. 7-8, luglio-agosto 1908, p. 181. 199 X [S. Jacini], La situazione odierna del cattolicesimo in Germania, «Il Rinnovamento», II (1908), fasc. 3
98 o culturali, una ben radicata verso la protezione offerta alla Chiesa dai governi e verso l’efficienza organizzativa e realizzatrice del cattolicesimo sociale e politico»200: ne conseguiva la diffidenza dello Jacini «modernista» verso la stessa idea di un partito di ispirazione cristiana anche se improntato ai princìpi della laicità e della libertà costituzionale, in quanto da Bismarck in poi «la lotta contro il Centro rischia[va] di diventare lotta religiosa»201. Tra le stesse idee religiose della cultura tedesca Jacini guardò con grande interesse alla concezione dei rapporti tra Stato e Chiesa che emergeva dalla prolusione universitaria del 1906 di Ernst Troeltsch a Heidelberg: nella recensione dedicatale nel 1909 su «Il Rinnovamento», Jacini ne sottolineava soprattutto il riferimento a una formula di separazione «secondo giustizia» tra istituzione statale ed ecclesiastica, che avrebbe dovuto prevedere l’istruzione religiosa nelle scuole «sotto forma storica, non dogmatica»202 e la formazione teologica universitaria oltre i confini del monopolio ecclesiale.
Fu dopo la chiusura della rivista milanese che maturò gradualmente la «conversione» di Jacini dagli interessi religioso-culturali alla vita pratica del cattolicesimo ambrosiano, a lui del resto congeniale per frequentazioni sociali e sollecitazioni degli amici modernisti203. Fin dal suo primo contatto con la politica, la fedeltà naturalmente tributata al programma politico dell’avo dovette scontrarsi con l’esaurimento degli stessi presupposti di un «conservatorismo nazionale». Molto presto dovette percepire il frazionamento del liberalismo moderato a cui apparteneva per tradizione familiare e la crisi di rappresentanza del suo ceto politico nel frattempo convertitosi al programma di alleanze del clerico-moderatismo. Il suo itinerario di formazione nel microcosmo ambrosiano lo indusse inesorabilmente a distaccarsi dall’istituzionalismo della consorteria liberale, che gli apparve sempre più destinato a esaurirsi in una funzione di conservazione moderata come «stato maggiore senza soldati»204.
La conclusione della parentesi modernista lo vide quindi accostarsi all’attività sociale dei cattolici alla ricerca di una forma di rappresentanza indipendente dai vecchi quadri liberali. In questo senso non secondaria fu la sua esperienza di segretario dell’Opera per l’assistenza agli emigrati italiani istituita dal Vescovo di Cremona Bonomelli, che dimostra chiaramente come la sua integrazione nel movimento cattolico – a differenza di quella tipica del futuro personale politico del PPI – passasse inizialmente attraverso le «aperture sociali» del milieu conciliatorista, non dall’evoluzione democratico-cristiana dell’intransigenza cattolica. E proprio questo contatto con
200 F. Fonzi, Stefano Jacini jr. e «Il Rinnovamento», in «Rassegna storica del Risorgimento», LXIV (1969), p. 195. 201 F. Fonzi, Stefano Jacini junior, in Tre cattolici liberali. Alessandro Casati. Tommaso Gallarati Scotti. Stefano Jacini, a cura di A. Pellegrini, Milano 1973, p. 217.
202 «Il Rinnovamento», III (1909), fasc. 5-6, pp. 402-409.
203 Cfr. la lettera di Antonio Soragna a Jacini del 17 luglio 1908, in F. Fonzi, Stefano Jacini jr. e «Il Rinnovamento»,
cit., p. 254: «Credo che tu finirai a dare alla vita pubblica. Quest’è il mio presagio; e non me ne duole. Abbiamo tanto bisogno di menti intelligenti e di amministratori!».
99 l’associazionismo cattolico contribuì a rafforzarne le riserve sulla stabilizzazione del conservatorismo liberale anche dopo il contatto con l’esperienza clerico-moderata. Nel gennaio 1911 l'elezione a consigliere comunale di Milano nella lista costituzionale cittadina segnò infatti l’ingresso di Jacini nella politica milanese; mancata la rielezione alle amministrative del giugno 1914, divenne in quello stesso anno consigliere provinciale fino al 1919 con una maggioranza che vedeva la coesistenza delle forze cattoliche con il moderatismo liberale.
La fondazione del PPI sturziano coincise anche con l’approdo di Jacini sulle sponde del cattolicesimo politico. In esso egli vide significativamente realizzarsi quasi una naturale confluenza delle sue tradizioni familiari, cattoliche e liberali, che lo portavano a integrarsi nel nuovo partito come una forza «nazionale e costituzionale» del tutto estranea a forme di integralismo religioso e sociale205:
nell’incontro con Sturzo (che non è un «clericale») parve a Jacini di trovare nel suo partito giovine, la possibilità di contemperare le sue tradizioni cattoliche e liberali con le esigenze di un più diretto contatto col popolo e di una progressiva e cristiana elevazione dell’Italia del lavoro206.
Come si vede da questo suo itinerario giovanile, Jacini mantenne una significativa eccentricità rispetto al retroterra di formazione del popolarismo sturziano dai quadri del cattolicesimo intransigente. La sensibilità di ispirazione cattolico-liberale ne contraddistinse originalmente le posizioni fino alla liquidazione del partito, caratterizzandosi per spiccati orientamenti di apertura alle forze demoliberali indubbiamente influenzati dagli antecedenti del conservatorismo nazionale, pur nella leale adesione a un partito organizzato di massa come quello popolare. Da qui derivò la sua radicale opposizione al «mimetismo socialistoide» della sinistra popolare di Miglioli, ma anche la solidarietà con la «sinistra popolare» di estrazione politica e non sindacale guidata nel cremonese da Giuseppe Cappi. In un primo tempo lo stesso Jacini aderì all’associazione moderata milanese «Religione e patria» dei fratelli Carlo e Ottavio Cornaggia Medici, ma finì con lo staccarsene prima delle elezioni generali del maggio 1921, quando questa si contrappose alla lista popolare appoggiando formalmente il Blocco nazionale. Grazie al suo ancoraggio «popolare», rimase quindi estraneo allo sbocco tendenzialmente maggioritario del conservatorismo lombardo nel fiancheggiamento fascista. Dopo la breve parentesi di sostegno normalizzatore fino al Congresso di Torino del PPI, il passaggio alla linea di fermezza si concretizzò nello spartiacque parlamentare del luglio 1923 sulla legge Acerbo di riforma elettorale, che infranse definitivamente le sue aspettative di costituzionalizzazione del fascismo:
205 F. Fonzi, Stefano Jacini junior, cit., p. 234.
100
Questo [fascismo] vuole – scrisse alla moglie alla vigilia del voto alla Camera –, con la legge che ci presenta,
ammazzare la rappresentanza della nazione così come coll’editto sulla stampa vuol ammazzare la pubblica opinione. Tu sai che la mia teoria è sempre stata quella di aiutare il governo a trovare il proprio inquadramento nella vita costituzionale; ma qui io vedo proprio il tentativo opposto: consolidare cioè, rendere permanente la rivoluzione. Atto giacobino per eccellenza a cui si rivolta, prima ancora che la mia anima di popolare, la mia anima di conservatore207.
In ossequio a questa sua linea di intransigenza legalitaria, Jacini mantenne nei confronti del governo mussoliniano un atteggiamento di non compromissione nettamente coerente con gli orientamenti del «centrismo» sturziano, come gli venne prontamente riconosciuto da De Gasperi in una lettera del 4 settembre 1923:
Fosti abile, schietto e coraggioso come un cavaliere. […] Il tuo atteggiamento varrà a dimostrare che i cosiddetti destri quanto il destrismo vuoi dire equilibrio e non accomodantismo, sanno fare dei sacrifizi e degli atti di generosità verso il partito che valorizzeranno il contributo del loro indirizzo. Non temere che quanto hai fatto vada perduto; non è il tempo dei consensi rumorosi ne delle soddisfazioni immediate, ma l'ora buona verrà. In verità è solo di questa promessa che dobbiamo accontentarci, in un tempo così grave, del quale non si vede la fine208.
Non condivise neppure dopo le elezioni dell’aprile 1924 l’estremo «tentativo normalizzatore di un animo nobilissimo»209 come quello dell’amico ministro Casati, contestando la «fiducia vigilata» del liberalismo parlamentare a Mussolini. Di Casati accolse invece positivamente il preannuncio della rottura ministeriale nel discorso del 18 dicembre alla Camera sul bilancio della Pubblica Istruzione, nel quale si rimarcavano le ascendenze crociane e prefasciste della riforma scolastica di Gentile anche per quanto concerneva l’introduzione dell’insegnamento religioso, lasciando intravedere in controluce l’aspettativa di una restaurazione liberale dopo Mussolini210. Ne scrisse personalmente a Casati il 27 dicembre, rammaricandosi di non potergli manifestare pubblicamente la propria solidarietà a causa dell’intransigenza aventiniana del PPI, ma il 4 gennaio tornò a manifestare apertamente soddisfazione all’amico per le sue dimissioni e il passaggio all’opposizione antifascista:
Contro tutti ho sostenuto che dopo il ritiro di Salandra ti saresti dimesso: che avevi accettato il tuo posto per amor del paese, e che per amore del paese lo avresti lasciato: che per questo ti avevo stimato ed amato anche quando sedevi al banco del Governo; che un discorso come quello di ieri non lo potevi digerire ecc. ecc.211
La protesta dell’Aventino fu criticamente accettata da Jacini per disciplina di partito, ma senza interruzioni nella richiesta di ritorno in aula dell’opposizione antifascista ancora dopo il 3 gennaio 1925. Questo suo dissenso anti-aventiniano non investiva – tuttavia – la prospettiva della cooperazione dei popolari con le forze antifasciste di estrazione liberal-democratica e amendoliana. Distante dalle polemiche ideologiche di Giordani intorno al nesso di continuità tra liberalismo laico e fascismo, la voce di Jacini sulle pagine del «Popolo» rimase fino all’ultimo testimonianza
207 F. Fonzi, Stefano Jacini junior, cit., p. 237.
208 AJC, Fondo Stefano Jacini, «Corrispondenza», cart. «Alcide De Gasperi», De Gasperi a Jacini, 4 settembre 1923. 209 S. Jacini, Il regime fascista, Garzanti, Milano 1947, pp. 40-41.
210 A. Giovannini, Il rifiuto dell’Aventino, cit., p. 473.
101 dell’apertura ai liberali antifascisti su una piattaforma di «resistenza conservatrice», a cui egli riteneva potesse aderire lo stesso popolarismo rinnovando il contributo cattolico alla tradizione risorgimentale di libertà:
tutti noi delle opposizioni, da Amendola a Turati, dovremmo deciderci a passare per reazionari, perché tenderemo anzitutto a ripristinare le basi della vita costituzionale in Italia. Bisognerà rassegnarsi; del resto si è sempre reazionari di qualcuno! Ci consoleremo pensando che questa così detta reazione sarà proprio quella rivoluzione legale e benefica, che l’Italia aspetta e richiede212.
L’anello di comunicazione tra Jacini e l’opposizione liberale fu naturalmente costituito dalla svolta antifascista di Croce e dal suo ritorno di influenza in aree culturali e politiche non strettamente assimilabili al suo liberalismo filosofico, come appunto quella cattolica del popolarismo. L’incontro di Jacini con il filosofo e l’adesione alla sua impostazione storicistica risalivano proprio ai precedenti dell’esperienza modernista, durante la quale il «suggerimento» crociano era risultato determinante per assegnargli l’incarico della traduzione italiana per Laterza dell’opera dantesca sulla Divina commedia del filologo tedesco Karl Vossler213. Dopo il 3 gennaio 1925 l’ingresso pubblico di Croce nel Partito Liberale e la redazione del suo manifesto antifascista tramutarono questo discepolato intellettuale di lunga data in un collegamento politico a distanza, non privo di critiche e distinguo ma storicamente ininterrotto per tutti gli anni della dittatura. Non casualmente Jacini fu il primo popolare a testimoniare personalmente a Croce la sua vicinanza alla vigilia dell’ultimo Congresso del PPI, scrivendogli il 18 giugno 1925:
Seguo con grande interesse la sua attività anche nel campo politico. Ella si è resa un’altra volta altamente benemerita del Paese. I giovani d’Italia si stringono a Lei sul terreno pratico come ieri sul terreno degli studi214.
La vicinanza a Croce fu insieme premessa ed espressione del tentativo jaciniano di rianimare in senso liberale la cultura politica del popolarismo anche nell’estrema previsione di uno scioglimento del partito, a cui si oppose comunque fino all’ultimo da rappresentante della «pentarchia» incaricata di governare il partito dopo le dimissioni di De Gasperi nel dicembre 1925. In quegli ultimi mesi di reggenza Jacini dovette scontrarsi con le tendenze di fiancheggiamento cattolico che invitavano a dichiarare storicamente decaduto il popolarismo, giudicandolo espressione transeunte di uno Stato liberale in via di liquidazione. Emblematica fu la
212 S. Jacini, Parole di un conservatore, in «Il Popolo», 28 agosto 1925.
213 AFBBC, Carteggi di Benedetto Croce, fasc. «Stefano Jacini», Jacini a Croce, 1 luglio 1908: «L’amico Alessandro
Casati mi incoraggia a chiederle ciò che mi abbisogna, e si fa garante della di Lei indulgenza; ciò valga a scusare il mio ardire. Sto lavorando intorno al concetto del lecito. Ne vorrei trarre argomento per una tesi di laurea, per ora, ed in seguito per una piccola pubblicazione, ove il lavoretto riuscisse discreto». Cfr. anche la successiva missiva di Jacini, datata «ante 10 agosto 1908»: «Voglia, la prego, accettare tutta la mia riconoscenza per la Sua lettera cordiale e per l’invio del fascicoletto di appunti, che mi sarà utilissimo. Non ignoravo il suggerimento da Lei dato al Laterza per la traduzione del Vossler, e ne ero lusingato. Ma credevo che bastasse poco tempo a farmi ricadere nell’oblio. Sono felice di essermi sbagliato».
102 corrispondenza intrecciata nel maggio 1926 da Jacini con il popolare migliolino Giuseppe Speranzini, che gli prospettava la possibilità di una riconciliazione etico-sociale tra fascismo e «dottrina cattolica» senza l’ingombrante presenza del PPI. Posizioni di questo genere attestavano a Jacini l’atteggiamento recessivo dei cattolici rispetto alla costituzionalità liberale del popolarismo, a cui egli imputava la stessa incomprensione del «contrasto sempre più insanabile coll’indirizzo totalitario, colla violenza sistematica, colla crescente statolatria del partito al governo». Nella sua visione il popolarismo avrebbe dovuto presidiare la transizione dallo Stato alla democrazia liberale in un quadro storico di continuità, garantito proprio dallo schieramento dei cattolici dalla parte della libertà:
tutto ciò che il regime realizza o anche semplicemente progetta si ispira ad un criterio organico ed uniforme: la distruzione dello Stato liberale e la risoluzione d’esso in un organismo social-imperialistico. Ora la concezione democratico-cristiana è bensì un superamento dello Stato liberale; e ciò indipendentemente dalla possibilità di promuovere una maggiore o minore incidenza dell’elemento economico e sociale nella vita politica del paese – incidenza da noi prima voluta e preconizzata, ma attraverso l’integrazione e non già attraverso il disfacimento della struttura demo-liberale comune a tutti gli Stati moderni215.
La fine del PPI costrinse Jacini al forzato ritiro dalla vita pubblica dopo la decadenza del mandato parlamentare e le dimissioni da istituzioni in procinto di fascistizzazione come l’Opera Bonomelli e il Circolo filologico di Milano. La condivisione dell’antifascismo segnò nuovamente il ritorno di Jacini dopo il 1925 a stretti rapporti di collaborazione – per quanto ancora di carattere culturale e pre-politico – con le amicizie liberali degli ex modernisti Casati e Gallarati Scotti, da cui era stato temporaneamente diviso dalla sua scelta di adesione al popolarismo. Questa cerchia di relazioni avrebbe fatto di Jacini una essenziale figura di collegamento tra l’area liberale crociana e le truppe disperse del popolarismo di opposizione, come testimonia la sua capacità di intrecciare «solidarietà piena e sicura – ricordò Casati – con i suoi compagni di fede di un giorno e di sempre, che talvolta consigliò e sorresse»216:
Particolarmente ammirevole fu […] quel ventennio di esilio all’interno, per un uomo spiccatamente attratto dall’azione, per un parlamentare non privo di ambizioni e di possibilità di tenere un posto eminente nella vita pubblica italiana. Ma egli non si piegò, tenendo fede alle idee e a delle convinzioni e a delle convinzioni che si riallacciavano ai grandi esempi della tradizione del Risorgimento, ma che rappresentavano in tempi di dittatura un pericolo, come l’avevano rappresentato cento anni prima, che si poteva affrontare con fierezza. E d’altra parte non rimase inerte, non accettò una posizione di rassegnata passività217.
L’allontanamento di Jacini dalla politica coincise fin dagli esordi del fascismo con una intensificazione della sua «laboriosità di storico», orientata inizialmente verso ricostruzioni di carattere biografico-rievocativo sull’itinerario risorgimentale del nonno. L’impegno storiografico a cui Jacini riprese a dedicarsi segnava così un avanzamento cronologico rispetto agli studi di
215 F. Fonzi, Stefano Jacini junior, cit., pp. 241-242.
216 A. Casati, Stefano Jacini, in A. Casati, Saggi, postille e discorsi, Mondadori, Milano 1957, p. 281 217 T. Gallarati Scotti, Stefano Jacini (junior), cit., pp. 138-139.
103 Martini sul cattolicesimo risorgimentale, ma analogamente a quest’ultimo muoveva alla ricerca di un orizzonte identitario di integrazione del popolarismo nel processo nazionale. In questa direzione le ricerche di Jacini incontrarono nel mondo laico un altro punto di riferimento in aggiunta a quello