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Guido De Ruggiero e la Storia del liberalismo europeo

3. Religione e politica nei liberali «cattolicizzanti»

3.1 Guido De Ruggiero e la Storia del liberalismo europeo

Il passaggio del PPI all’opposizione antifascista nel 1923 rappresentò un tornante di svolta non sufficientemente avvertito come tale dalla storiografia, per quanto concerne il mutamento di giudizio di non pochi settori di cultura laica nei confronti di un «cattolicesimo politico» a vocazione nettamente liberal-democratica come quello del partito sturziano. Tra questi casi uno dei più emblematici (ma al contempo meno conosciuti in questa direzione) è proprio quello di Guido De Ruggiero, che già nell’immediato dopoguerra – come si è anticipato – non aveva mancato di denunciare l’inconsistente reiterazione di un pregiudizio liberale contro il popolarismo come «partito cattolico» e la strategia di annessionismo clerico-moderato non dismessa dalle maggioranze «costituzionali» di governo. Fu proprio nei mesi successivi al Congresso di Torino che De Ruggiero intrecciò la sua collaborazione giornalistica con «Il Popolo», quando iniziava ormai a restringersi il suo impegno con testate dell’antifascismo democratico come «Il Paese» di Francesco Ciccotti e «Il Secolo» di Missiroli. Allo stesso quotidiano di partito del popolarismo, affidato dall’aprile 1923 alla direzione di Giuseppe Donati, De Ruggiero volle personalmente contribuire almeno con due articoli firmati di grande spessore politico, portando alle estreme conseguenze l’atteggiamento di «benevola attesa» che aveva riservato al popolarismo nei suoi scritti giornalistici sulla stampa laica.

In quello del 21-22 giugno 1923, dal titolo La storia si ripete, De Ruggiero interveniva nel pieno della crisi frazionistica del popolarismo e dell’offensiva fascista che il 10 luglio avrebbe portato alle dimissioni di Sturzo da segretario, alla vigilia della discussione in Assemblea alla Camera della riforma elettorale Acerbo. Di questo clima di involuzione liberticida De Ruggiero si rendeva interprete del tutto consapevole, identificando nella resistenza parlamentare del popolarismo l’ultimo argine di resistenza dello stesso parlamentarismo liberale, ma anche l’oggetto delle lusinghe restauratrici di clericalizzazione del governo mussoliniano. Prendeva infatti le mosse dalla «astuta manovra di aggiramento delle forze cattoliche, che i reazionari di oggi stanno tentando a danno del Partito Popolare», e da cui intendeva trarre «qualche interessante considerazione storica»:

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Alla vigilia, e anche più insistentemente, all’indomani del colpo di stato di Luigi Napoleone, si presentò per le forze cattoliche francesi il problema politico dell’ubi consistam. Il nuovo regime veniva con molto accorgimento presentato ad esse sotto seducenti colori popolareschi e filo cattolici; esso doveva rinnovare gli splendori del regno cristianissimo, doveva finalmente ridare alla Chiesa la forza del braccio secolare. Al contrario, quale e quanta abiezione nel parlamentarismo demagogico della repubblica: quale politicantismo nel Partito popolare dell’epoca, che era rappresentato dal movimento così detto cattolico-liberale dell’epoca, che aveva alla testa il Montelembert e il Lacordaire244.

Nel suo articolo De Ruggiero istituiva il paragone tra l’Italia mussoliniana e la Francia di «Napoleone il piccolo», definendo «impressionante» l’analogia delle situazioni storiche soprattutto per quanto concerneva il determinante posizionamento dei cattolici come ago della bilancia nei destini della libertà politica. Da quel capitolo di storia ottocentesca ricavava infatti l’assimilazione del popolarismo di opposizione al precedente antinapoleonico del «liberalismo cattolico» in Francia dopo il 2 dicembre 1851. Introduceva – in questo senso – l’attualizzazione del «celebre libricino» di Montalembert del 1852 sugli Interessi cattolici con quasi due anni di anticipo rispetto alla traduzione e alle iniziative di divulgazione giornalistica di Giordani, che trasse quasi certamente proprio da questa incursione di De Ruggiero sulla stampa popolare la prima ispirazione del suo interessamento al nobile francese. Utilizzando le tesi di Montalembert, anche De Ruggiero esprimeva la certezza che la conversione dei cattolici al dispotismo sarebbe andata contro gli stessi interessi della Chiesa, dal momento che «in linea di principio» che il governo autocratico «non è affatto un ideale cattolico, ma è l’ideale del paganesimo». Dopo avere ammonito sulle conseguenze di limitazione anticattolica dell’alternativa assolutistica allo Stato liberale e parlamentare, ricordava invece le conquiste religiose della Chiesa nel regime di libertà prima del 1848:

Invece, che cosa ha suscitato il fervido risveglio religioso del ’48? di quella stessa rivoluzione, i cui protagonisti chiedevano ai vescovi di benedire le loro bandiere? Non certo la protezione dello Stato, né la simpatia del governo, ma la sola libertà, null’altro che la libertà. È stato proprio quel regime liberale, rappresentativo, contro cui si accaniscono oggi le folle, che, dal 1830 al 1848, ha creato l’ambiente propizio all’emancipazione delle forze cattoliche e al risollevamento della Chiesa dalla decadenza a cui l’avevano condannata le prepotenze dei governi dispotici.

Un governo parlamentare, costituzionale, rappresentativo significa oggi un governo controllato e contenuto, il più che possibile, immune dagli arbìtri e dalle avventatezze. Esso consiste essenzialmente nella divisione dei poteri e nel loro controllo reciproco, perché tali sono state in tutti i tempi le considerazioni di un’azione grande e durevole. Oggi si pretende farne gitto; ma a favore di che?245

Con questo De Ruggiero negava di voler «fare ai cattolici un discorso di occasione» meramente dettato dalla contingenza politica, ma si dichiarava convinto che ai cattolici e alla Chiesa stessa spettasse contro la «statolatria» dell’assolutismo moderno «una funzione di schietto significato liberale»:

Ciò che i cattolici liberali del ’48 e gli odierni popolari hanno mostrato di intendere egualmente bene è che i reazionari d’allora e d’oggi non sono che dei rivoluzionari a rovescio, ma più astuti, capaci di giovarsi, ai loro fini particolari, dell’ingenuità degli elementi conservatori.

244 G. De Ruggiero, La storia si ripete, «Il Popolo», 21-22 giugno 1923, ora in Id., Scritti politici, cit., p. 628. 245 Ivi, p. 630.

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Il Montalembert, denunciando l’equivoco, passava risolutamente all’opposizione, e così facendo, egli entrava nella fase più veramente e dinamicamente liberale della sua attività, mentre per lo addietro il suo liberalismo aveva avuto un carattere troppo occasionale e unilaterale. In effetti, qual è la funzione eminentemente liberale delle forze cattoliche e della stessa Chiesa nella società politica moderna? Quella di formare una diga, di opporre un limite all’assolutismo, alla statolatria dei sistemi politici dell’Europa continentale, sempre troppo proclivi a sacrificare, in nome delle ragioni e quindi anche dei pretesti della difesa e della sicurezza nazionale, i diritti e la libertà degl’individui. Da questo punto di vista, i conflitti tra Stato e Chiesa, che all’erastianismo antico e moderno sono sempre apparsi come delle calamità e delle paralisi della vita politica, appaiono a me invece come una delle massime garanzie di equilibrio e di libertà.

Io, che non sono popolare, non so se i miei amici popolari accetteranno questa interpretazione storica, che del resto io enuncio sotto mia stretta responsabilità personale. A ogni modo, se non l’interpretazione, almeno la cosa è scritta nella storia. Come i cattolici del ’48, così i popolari di oggi, con le loro opposizioni esercitano, in servigio di tutti gl’italiani (quindi anche dei loro stessi avversari) una funzione di schietto significato liberale246.

L’articolo ottenne ampia risonanza e ripubblicazioni sulla stampa popolare e ai primi luglio De Ruggiero ricevette anche la lettera di ringraziamento di Anile, che gli scrisse come il suo intervento fosse «molto piaciuto» negli ambienti di partito, pur dandogli conferma dell’«ora molto difficile» del popolarismo e «degli sforzi enormi per mantenere il giornale, che è una delle poche voci libere rimaste in Italia»247. Questo sarebbe infatti rimasto anche l’ultimo articolo di De Ruggiero sul quotidiano popolare, ma a pochi giorni di distanza l’intellettuale liberale sarebbe tornato a intervenire sul popolarismo, dedicando l’ultimo articolo da lui pubblicato sul quotidiano democratico «Il Secolo» alla recensione della raccolta di scritti sturziani per Vallecchi, Riforma

statale e indirizzi politici. Qui riproponeva nuovamente la sua tesi che l’antifascismo popolare costituisse l’occasione di maturazione in senso liberale dell’intero cattolicesimo italiano: pur premettendo la sua non appartenenza al movimento sturziano e le matrici idealistiche del suo pensiero, De Ruggiero si dichiarava infatti convinto che attraverso il popolarismo fosse possibile superare, in re politica se non in consapevolezza filosofica, l’antitesi tra cattolicesimo e civiltà moderna:

Io, […] che non sono legato da vincoli politici al popolarismo, e parto da una dottrina che nega radicalmente i presupposti filosofici del cattolicismo, confesso di aver tratto dalla lettura degli scritti di Sturzo questo confortante affidamento: che è possibile, anzi che è necessario, dare una rigorosa impostazione storica ai problemi della politica; che esiste un comune patrimonio di idee, di esperienze, di giudizi sul passato, anteriore ad ogni differenziamento di partiti politici, ed anzi condizione e presupposto di quel differenziamento. Ciò non è poco, se si pensa che siamo ormai ridotti a combatterci sulla nazione e sull’anti-nazione, sul liberalismo o sull’antiliberalismo, sul tema della rivoluzione francese, e, a momenti, sulla democrazia di Atene e sul comunismo di Sparta248.

Il giudizio positivo di De Ruggiero risaliva ancora una volta al «differenziamento» di Sturzo dalle «antitesi anacronistiche» dell’intransigentismo ottocentesco e dei suoi epigoni clericaleggianti, mentre ne fissava positivamente le origini nella «ricca tradizione di esperienze cattoliche» costituita dai partiti di ispirazione cristiana dell’Ottocento liberale, che avevano «rivelato una viva sensibilità

246 Ivi, pp. 631-632. 247 Ivi, p. 628.

115 dei tempi nuovi, e una notevole capacità di adattarsi ad esse, sempre tenendo conto delle resistenze da sormontare e degli sforzi che costava quell’adattamento»

Il più caratteristico è che uno studioso di cose politiche debba accordarsi nel riconoscimento e nel giudizio del passato, proprio con uno scrittore di origine e di tradizioni cattoliche – cioè di un indirizzo che si è mostrato più di ogni altro riluttante allo storicismo e che nel passato ha preteso lottare, in nome della stabilità e del riposo, contro l’irrequietezza e il movimento della civiltà moderna. Ma, se ha lottato, si è, con ciò stesso, portato al livello degli avversari, ha imparato a conoscerli, ha finito con l’assimilarne la vita. Quindi possiamo aggiungere che nel secolo XIX i partiti cattolici hanno rivelato una viva sensibilità nel percepire le così dette esigenze dei tempi nuovi, e una notevole capacità di adattarsi ad esse, sempre tenendo conto delle resistenze da sormontare e degli sforzi che costava quell’adattamento249.

Tra le righe De Ruggiero si faceva anche promotore di una lettura «tocquevelliana» di Sturzo come erede di una «concezione organica delle libertà», che De Ruggiero negava potesse entrare in contraddizione con la tradizione di liberalismo moderno e ottocentesco radicalmente negata dall’anti-individualismo di Sturzo. Gli stessi fenomeni di ritorno assolutistico si sarebbero incaricati di riabilitare a posteriori il suo organicismo liberale colpevolmente ostracizzato dal liberalismo del dopoguerra: i presupposti «antistatali» del programma sturziano – concepiti contro la deriva «panteistica» dello Stato liberale, ma a maggior ragione estendibili contro regimi autoritari – inducevano De Ruggiero a riconoscere positivamente la tendenza «a ricostituire, sotto nuova forma, quei nuclei organici che un tempo costituivano il più saldo baluardo delle pubbliche libertà contro l’assolutismo» e la cui rimozione post-rivoluzionaria aveva spianato la strada al «nuovo cesarismo democratico»250.

Nell’eclissi dello Stato liberale De Ruggiero continuò a testimoniare pubblicamente il suo antifascismo liberale, ma la sua iniziativa più significativa – anche per il suo rapporto con l’orizzonte cattolico – rimase la pubblicazione della Storia del liberalismo europeo nella seconda metà del giugno 1925, quando ormai poteva dirsi tramontata la battaglia politica di Amendola e delle opposizioni aventiniane251. Immediatamente tradotta in Inghilterra e in Germania, l’opera assunse notoriamente un valore di testimonianza di fede nella libertà, come confermato anche dal suo «larghissimo successo» negli ambienti non fascisti per tutto il periodo della dittatura fino alla prima riedizione del 1942: ne favorì la circolazione anche l’intenzionalità eminentemente educativa dell’autore e la sua capacità (spesso ingiustamente deprecata dai suoi interpreti) come di alta divulgazione, proveniente a De Ruggiero dall’esperienza giornalistica di formazione sulla «Cultura» di De Lollis analogamente ad altri intellettuali amendoliani come Vinciguerra, Luigi Salvatorelli e Adriano Tilgher.

249 Ibidem. 250 Ivi, p. 637.

251 R. De Felice, De Ruggiero Guido, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXXIX, Istituto dell’Enciclopedia

116 Il nucleo di pensiero forte del volume di De Ruggiero era notoriamente rappresentato dal principio di «inconvertibilità» del liberalismo ad altre ideologie politiche, che veniva proposto attraverso la storicizzazione dei movimenti liberali in Europa, ma che manteneva il suo indubbio radicamento nell’attualità dell’opposizione antifascista. La storia editoriale della pubblicazione coincise – in questo senso – con la parabola del suo «ritorno a Croce» nei primissimi anni del fascismo, costellati dalla collaborazione a riviste di opposizione come la repubblicana «Critica politica» di Zuccarini e «Rinascita liberale», sulle quali anticipò in saggi e articoli alcuni passaggi del volume. Inizialmente la sua uscita era stata programmata (dietro consiglio di Alessandro Casati) in una iniziativa di «politica culturale» come la Storia d’Italia di Gioacchino Volpe per l’editore Zanichelli, di cui De Ruggiero si era preoccupato di avvertire Gentile già nel maggio 1922. Il periodo di stesura finale coincise invece con l’accostamento di De Ruggiero all’antifascismo crociano, come si ricava dal suo annuncio a Croce del 10 agosto 1924: «Comincio ora a scrivere la mia storia del liberalismo europeo: spero di ricavarne un frutto adeguato ai quattro anni di lavoro intenso che la preparazione m’è costata»252. L’opera si inseriva nell’accentuazione di interesse crociano per la «crisi» di quel liberalismo di cui De Ruggiero andava ricostruendo l’apogeo storico: «Credo che facciate benissimo – gli rispose il 14 agosto – a lavorare allo studio sul liberalismo: tema veramente attuale, come non è l’idealismo attuale, il quale del resto si è punito da sé, fondendosi col fascismo. Vorrei raccomandarvi (ed è frutto della mia esperienza di storico) di non perdere mai di vista i problemi morali, decisivi nelle tendenze politiche, come non possono essere i motivi economici»253. L’inizio della nuova fase di collaborazione con Croce – di cui sottoscrisse anche il Manifesto antifascista – determinò poi il passaggio a Laterza come collocazione editoriale del volume. In coda al capitolo sul liberalismo italiano De Ruggiero inseriva in revisione delle bozze una nota di attualità politica che ne esprimeva la «fiducia nel risveglio liberale in Italia col giudizio di Benedetto Croce», riproponendo ampi stralci di citazione dalla Postilla crociana sul

Liberalismo del 12 marzo 1925. Al momento dell’uscita nel giugno del 1925, Croce volle manifestare a De Ruggiero la propria ideale sintonia con la sua opera come manifesto di una nuova teoria liberale:

Mi sono congratulato col Laterza pel libro che ha messo fuori: a più forte ragione mi congratulo con voi, che ne siete autore. Ho già letto buona parte del libro, e vado continuando la lettura con mia grande e intima soddisfazione. Sarebbe giovato che qualcosa del libro fosse penetrato nel recente congresso dell’Unione nazionale! Perché non avete preso la parola in quel congresso e avete invece lasciato che vi primeggiasse l’improvvisatore Ferrero? Ma forse voi, come me, siete più atto alla penna che alla parola254.

252 Carteggio Croce-De Ruggiero, a cura di A. Schinaia-N. De Ruggiero, introduzione di G. Sasso, Il Mulino, Bologna

2008, p. 187.

253 Ivi, p. 188, Croce a De Ruggiero, 14 agosto 1924. 254 Ivi, p. 189, Croce a De Ruggiero, 16 giugno 1925.

117 Totale consenso fu espresso anche dalla recensione del volume pubblicata da Croce su «La Critica» del 20 settembre 1925255, in cui si sottolineava l’«importanza attuale che esso ha per la vita politica italiana». Croce vi riprendeva la distinzione tra il liberalismo come «partito» e «soprapartito», estendendo in questo secondo caso la definizione di «liberale» a tutte le forze e ideologie che avessero rivendicato la difesa del regime costituzionale di libertà:

Il liberalismo è, nel tempo stesso, un partito e un soprapartito, un singolo partito e una gamma di partiti. Nel secondo senso, liberale è chiunque accetti l’idea dello Stato liberale: conservatore, moderato, democratico che poi sia nelle sue gradazioni o specificazioni, e perfino socialista, sempre che il socialismo, rinunziando alle rivolte e dittature proletarie e alle utopie, prenda a operare entro quel quadro, come, del resto, già va facendo con talune sue forme. In questo largo senso il liberalismo non si oppone se non ai regimi autoritarii, quali che sieno, di estremo reazionarismo o di estremo rivoluzionarismo, assolutistico-cattolici o comunistico-materialistici, e altrettali. Nel primo senso, invece, il partito liberale è quello moderato, e si oppone al democratico e al socialista, ma con opposizione interna e lasciando che ciascuna delle altre gradazioni liberali faccia, quando prevale, la sua prova di governo, purchè non violi la lettera e lo spirito della costituzione dello Stato liberale. Dovrebbero essere cose ovvie; ma negli ultimi anni questi chiari concetti si erano ottenebrati o imbrogliati nelle menti, e ci voleva il pungolo dei moti antiliberali e i tentativi di soppiantare lo Stato liberale del Risorgimento, opera dei nostri padri, con lo Stato antiliberale, perché si rifacessero netti e limpidi e richiamassero un rinnovato amore e fervore256.

Da Croce la Storia del liberalismo europeo dovette essere positivamente accolta anche come contributo alla rottura dell’equazione idealismo-fascismo, in considerazione soprattutto della provenienza gentiliana del suo autore. L’opera ufficializzava infatti la rottura dello «scolaro» De Ruggiero con Gentile, di cui «più che un discepolo» si era sempre considerato «un collaboratore»257, nel momento in cui la sua filosofia attualista gli sembrò essere diventata – in linea con il giudizio crociano – lo strumento di un «programma di fascistizzazione della cultura e della scuola»258. Nella polemica contro la statualità etica e l’identificazione tra liberalismo e fascismo, De Ruggiero si era reso infatti conto che la filosofia dell’atto gentiliana e la sua identificazione «mistica» di pensiero e azione si riduceva crocianamente in un indiscriminato attivismo, ossia in una contraddizione delle sue premesse razionali e spirituali. Dopo questa crisi etico-politica (prima e più ancora che filosofica) del suo attualismo di formazione, negli anni del fascismo lo stesso De Ruggiero rimase dunque agganciato al «liberalismo storico e dialettico»259 di Croce, riprendendo dal novembre 1927 la collaborazione a «La Critica» interrotta nel luglio 1915, anche se più per il «comune antifascismo» che per l’adesione al pensiero crociano260. Le sue preoccupazioni etiche e in

255 Cfr. Carteggio Croce-De Ruggiero, cit., p. 190, De Ruggiero a Croce, 28 settembre 1925: «Vi ringrazio sentitamente

di quel che avete scritto nella Critica sul mio libro».

256 B. Croce, rec. a G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, in «La Critica», XXXIII (1925), pp. 305-306; la

recensione non si trova raccolta nelle opere di Croce.

257 C. Antoni, Il pensiero e l'azione di Guido De Ruggiero. Storia della filosofia, storia della civiltà, in «La Voce

repubblicana», 13 maggio 1949.

258 R. De Felice, De Ruggiero, Guido, cit.

259 G. De Ruggiero, Il ritorno alla ragione, cit., p. 33

260 R. De Felice, De Ruggiero, Guido, cit. Cfr. G. Sasso, Introduzione, a Carteggio Croce-De Ruggiero, cit., p. XVIII,

che così giudica il riavvicinamento di De Ruggiero a Croce: «erano le cose che via via lo persuasero meglio, e più radicalmente, che gli argomenti filosofici non avessero potuto».

118 senso lato «religiose» lo avrebbero portato a differenziarsi verso la fine degli anni Trenta dallo stesso storicismo di Croce, di cui nel secondo dopoguerra avrebbe poi denunciato la visione «troppo retrospettiva» che lasciava «inappagate alcune esigenze universalmente umane dell’illuminismo a cui ha voluto sostituirsi»261. La sua stessa protesta antistoricistica in nome di una «ragione metastorica» e della permanenza dei valori avrebbe infine postulato – in termini vagamente cattolicizzanti – «una sorta di trascendenza nella immanenza, di un dover essere assoluto nell’essere storicamente relativo»262, rivelandone l’estraneità di fondo alle conseguenze radicalmente laiciste del pensiero idealistico.

Anche per questo itinerario del tutto interno alla filosofia laica, minore attenzione ha invece suscitato nella «fortuna» della Storia del liberalismo europeo l’impostazione del capitolo dedicato a

Stato e Chiesa, in cui riemergevano – per molti aspetti – i presupposti delle sue aperture di giudizio verso il popolarismo di Sturzo. De Ruggiero vi superava l’interpretazione individualistica della libertà religiosa tradizionalmente difesa dal liberalismo, allargandone il contenuto dall’espressione di fede del singolo credente al riconoscimento (anche questo per molti versi tocquevelliano) della libertà «istituzionale» della Chiesa come «provvida difesa» nei confronti dell’assolutismo statale. La sua acquisizione più innovativa e originale era rappresentata dalla riabilitazione del dualismo conflittuale tra lo Stato e la Chiesa, identificato da De Ruggiero come presupposto storico di